La settimana prossima compitò 40 anni!
Interrogarsi in merito è spontaneo, naturale.
Come ti senti a 40 anni?
A momenti mi sembrano che siano quattrocento. Ma solo a momenti, perché più spesso devo ricordarmi di averceli, mi sorprendo a pensare, e qualche volta ad agire, come se ne avessi la metà.
Lasciamo stare il pensiero.
L’agire, in ogni caso, è sempre ponderato e controllato, perché anche a vent’anni cautela e prudenza erano state la mia guida.
Niente carpe diem.
Lasciar libera la fantasia, di pensare.
Agire accortamente. Anche se costa qualche rinuncia.
C’è un vecchio proverbio arabo: ‘quello che non sciupi oggi ti sarà tesoro domani’!
40 anni!
Mi avvicinai allo specchio.
Nessun segno di rughe.
Le mie amiche, del resto, avevano sempre ammirata (invidiata) la mia pelle liscia e vellutata, il mio colorito roseo, la mia freschezza di ‘eterna bambina’, dicevano. E non sapevo se era complimento o derisione.
Poi mi venne in mente di controllare anche il resto.
Mi spogliai completamente.
Lo specchio non era quello della matrigna di Biancaneve che doveva per forza dirmi che ero la più bella del reame. Né io presumevo o aspiravo di esserlo.
A suo tempo mi bastava essere la più bella di Roberto, il mio primo ed unico ragazzo, mio marito. Me lo ripeteva spesso che per lui ero la più bella. Io ci credevo, ed ero felice. Poi l’elicottero sul quale era salito per controllare meglio il terreno andò a sbattere contro i fili della teleferica! Il suo ricordo vivo è Carlo, che gli somiglia moltissimo, la sua stessa prestanza atletica, il suo stesso sorriso, il suo stesso carattere. A volte lo guardo, senza essere vista, e mi sembra proprio lui, il mio Roberto.
Carlo è un ragazzone di poco più di diciotto anni, sempre allegro e sorridente.
Ma torniamo allo specchio.
Non ho forme giunoniche, e la ginnastica artistica che ho curato da ragazza e la frequenza attuale della palestra mi consentono un fisico asciutto, non magro, ben proporzionato, e soprattutto abbastanza sodo. In più, nessuna inestetica smagliatura.
Poco meno di 170 centimetri d’altezza, gambe tornite e proporzionate, natiche alte, ben tondeggianti, ventre piatto, seno non voluminoso, ben sostenuto.
Beh, per una quarantenne, mi sembra niente male.
Del resto, non mi sfuggono certi sguardi degli uomini ed ho sentito i commenti che alcuni volutamente fanno ad alta voce.
E’ proprio di ieri quelli raccolti in un crocchio di colleghi, mentre stavo entrando in aula.
‘Ma quel tocco di figliola (veramente hanno detto fica) a chi la fa godere?’
Non so per quale ragione, perché non sono né bacchettona né ipermoralista, ma io ho conosciuto un solo uomo, Roberto.
Ero vergine quando mi sono sposata, e dalla sua morte ho penosamente affrontato e superato tormentosamente le naturali esigenze del mio fisico, senza conoscere altro uomo.
Vi giuro che non è facile, specie quando si ha ininterrottamente dinanzi agli occhi le rappel du passé, come dicono i francesi, cioè il richiamo, più che il ricordo, del passato: Carlo.
Ho seguito Carlo con particolare attenzione, specie dopo la morte del padre. Cercavo in ogni modo di supplire, per quanto possibile, alla carenza della figura paterna.
Ho sempre cercato di intessere con lui un rapporto che, oltre quello tipicamente intercorrente tra madre e figlio, potesse farmi considerare sua amica e confidente. Credo di esservi abbastanza riuscita.
Carlo mi ha sempre confidato tutti i suoi pensieri e le sue preoccupazioni. Fin da bambino.
Ritengo sia così.
Mi parlava delle suore dell’asilo, dei suoi compagni.
Mi sussurrò, un po’ impacciato, che le sue amichette non avevano il ‘pipì’, come il suo. Poi, vezzosamente, mi disse che il suo gli sarebbe piaciuto chiamarlo ‘carletto’, come se fosse un fratellino per lui.
Da allora, quando si diceva ‘carletto’ ci si riferiva al suo pisellino. Solo al suo, perché quello degli altri era semplicemente un ‘pipì’.
Mi mostrava i suoi disegni, le prime lettere dell’alfabeto che aveva imparato a scrivere, poi i primi temi. E così via.
Al liceo mostrò una particolare predisposizione per le materie letterarie ed era lieto di potermi leggere i suoi brevi ma interessanti saggi, su questo o quell’altro argomento.
Si, ricordo allorché venne a chiedermi come mai ‘carletto’, specie al mattino quando si svegliava, era duro, avevo dentro un osso che poi spariva.
Gli spiegai che era una cosa naturale, ma non aggiunsi altro.
Quella perfetta intesa portava, di conseguenza, anche una completa fiducia.
Conobbi i suoi primi turbamenti.
Amava più la vasca da bagno che la doccia.
Quando poteva vi poltriva.
Gli avevo sempre insaponato la schiena, gli passavo a lungo la spugna sul dorso, sul petto. E mi ero anche accorta che quasi sempre ‘carletto’ mostrava evidentemente di riempirsi del suo’ osso.
Poi lo asciugavo, energicamente.
Lui cominciò a sbirciare le mie tette, perché di solito, quando lo aiutavo a fare il bagno e lo asciugavo, indossavo il solo accappatoio, spesso non perfettamente chiuso, e avevo anche notato la sua reazione, o meglio quella di ‘carletto’ che, però, andava sempre più guadagnandosi il diritto di essere chiamato ‘carlone’.
Un giorno glielo dissi, sorridendo, e non rispose, ma arrossì e cercò di nascondere la sua manifesta erezione.
Anche io, come lui, amavo crogiolarmi nella vasca da bagno. A volte vi indugiavo sfogliando qualche rivista.
Da qualche tempo, Carlo era particolarmente premuroso quando ero nella vasca.
Mi consegnava una rivista, si tratteneva ad indicarmi qualche articolo, qualche fotografia. Mi preparava un caffè, me lo portava, sedeva sullo sgabello, accanto alla vasca, in attesa che lo sorbissi, e soprattutto mi osservava attentamente, sia pure con ostentata indifferenza, soffermandosi sulle tette, sul pube.
Immaginavo che, col passare del tempo, ciò sarebbe cessato, per la naturale privacy che si desidera, ma non facevo nulla per far comprendere a Carlo che, ormai, non era il caso di far continue visite alla sua mamma mentre era nuda nel bagno. Non avrei voluto far sorgere in lui una malizia che forse non aveva. Forse.
Diciamo subito, devo ammetterlo, che quei suoi occhi indagatori non mi erano sgraditi. In ogni femmina c’è qualcosa di esibizionistico. Le fa piacere essere ammirata. E poiché mi accorgevo benissimo delle sue reazioni, di come ‘carletto’, o meglio ‘carlone’, giudicava lo spettacolo, non nascondo che mi sentivo lusingata. Insomma, non ero indifferente all’uomo.
Il bello, o no dovrei dire ‘il brutto’, era, ed è, che la reazione di ‘carlone’ mi turbava. E questo mi faceva sempre rimandare l’attuazione della mia decisione: dire a Carlo che era meglio che facesse la doccia, così non serviva chi gli lavava la schiena. Capisco che sarebbe stata una scusa stupida, perché pur nella vasca bastava prendere il ‘telefono-doccia’ per ottenere lo stesso risultato, ma non avevo trovato di meglio.
Così, le cose andavano avanti.
‘Mamma, vuoi che ti asciughi io, come tu fai a me?’
A fianco alla vasca sovrastavano i suoi 185 centimetri, il suo atletico torace evidenziato dalla t-shirt, ed era manifesta l’irrequietezza di ‘carlone’ che premeva bei suoi leggeri calzoncini di cotone.
Rimasi un momento perplessa.
Bastava un cortese rifiuto, dicendo che avrei fatto da sola, come sempre.
Ma c’era qualcosa, in me, che mi sconvolgeva, mi provocava particolari spasmi del grembo. Qualcosa che mi faceva desiderare sentire quelle mani su di me.
‘Grazie, Carlo, sei gentile, ma non vorrei disturbarti.’
‘Che dici, mamma, disturbo? Tu lo fai a me da sempre.’
Prese il lenzuolo di spugna e lo aprì, attendendo che uscissi dall’acqua.
Ero in piedi, nuda, dinanzi a lui, dandogli spalle.
Non mi coprì subito, rimase a guardarmi. Mi voltai appena e notai che i suoi occhi erano fissi sulle mie natiche. Credo che fosse la prima volta che le vedesse così, ‘nature’.
‘Cosa c’é, Carlo?’
‘Niente’ sono incantato”
‘Di che? Non hai mai visto la tua mamma?’
‘Sei bellissima, mamma, sembri una fanciulla.’
‘Dai, scioccone, non farmi raffreddare.’
Mi avvolse nel lenzuolo, cominciò a passare lentamente le sue mani, strofinando con delicatezza, soffermandosi proprio sulle natiche di cui, mi sembrava, andava saggiandone forma e consistenza.
No, non ne ero infastidita!
Poi venne di fronte a me, e si abbassò per asciugare le gambe, sempre con evidente lentezza, salendo piano piano, e questa volta ripetendo sulle cosce quanto aveva operato sui glutei. Saltò il ventre e passò al seno. Questo fu oggetto di particolare diligenza, di attenta asciugatura, e i capezzoli s’erano inturgiditi a quel tocco.
Veramente anche in mezzo alle gambe sentivo un vellichio insistente.
‘Dammi quell’asciugamano piccolo che devo asciugarmi la pancia.’
‘Ci penso io.’
Prese l’asciugamano e s’inginocchiò, lasciando il lenzuolo che s’aprì, rimanendo poggiato solo sulle spalle.
Rimase impietrito. Lo vedevo benissimo.
Gli abbondanti e folti riccioli del pube materno, lo avevano folgorato.
Li fissava, come dinanzi ad una visione.
Ero talmente fuori di me, eccitata e mentalmente snaturata, che invece di mettere fine alla cosa fui impudicamente provocante: divaricai le gambe.
Non ricordo da quanto tempo un uomo, Roberto, non era restato in tale atteggiamento di fronte alla mia nudità.
Carlo, in quel momento non c’era più, c’era Roberto.
Fui tentata di afferrargli la testa e di attrarlo a me, di sentire i suoi baci, la sua lingua cercarmi avidamente, penetrarmi, titillarmi, farmi godere.
Fu Carlo a tornare alla realtà, e timidamente cominciò a carezzarmi con l’asciugamano, con evidente disagio.
Ma io non chiusi le gambe. Tutt’altro, perché il mio sesso desiderava essere toccato, sia pure con l’impaccio della stoffa.
Mi risvegliai come da un sogno.
‘Grazie, Carlo, sei molto gentile, grazie, ora mi vesto.’
Si allontanò arretrando, seguitando a fissare la mia nudità che non avevo certo coperta. E uscì.
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Da quel momento mi sembrò che la limpidezza dei nostri rapporti si fosse leggermente appannata.
L’innocente ingenuità era sfumata.
Eva e Adamo, ora sapevano cosa fosse il bene e cosa il male.
Già, il male. Cosa era in effetti?
Ti sarò fedele, nella buona e nell’avversa sorte, finché morte non ci separi.
Questo il giuramento che io e Roberto c’eravamo scambiati.
Finché morte non ci separi.
Ci aveva separati!
Quindi, nessun male, cioè nessun tradimento a quel giuramento.
Era ‘male’ turbarsi perché lui era mio figlio?
Moltissimi scritti, di molte religioni, condannano l’attrazione carnale tra figli e genitori, o meglio la congiunzione carnale, perché l’attrazione non è controllabile, ma trovano subito giustificazioni quando Lot copula con le figlie, asserendo che lui era ubriaco e che il fine era la prosecuzione della specie. Lot era ubriaco, si, ma dell’avvenenza delle sue giovani ragazze.
Così come io sono sempre più inebriata di Carlo e, lo riconosco, di ‘carlone’ in particolare.
Lo sogno la notte.
Il grembo si contrae dolorosamente vuoto.
Io sono ubriaca di lui, lo bramo, lo concupisco.
Ma lui?
A giudicare da ‘carlone’, non gli sono indifferente, o meglio lui non è indifferente agli attributi non disprezzabili d’una femmina, anche se ha quarant’anni, anche se è sua madre.
Forse mi considererebbe solo un ‘natural vasello’ dove alleviare l’esubernza della sua gioventù.
E se così fosse?
E’ vero che io lo amo, teneramente e appassionatamente, ma non mi tirerei indietro se dovessi essere solo la sua ‘valvola di scarico’.
Sarebbe, nel contempo, il balsamo per la mia piaga, il lenitivo per i miei mali, il voluttuoso dissetante della mia arsura, il riempimento del vuoto che mi tormenta.
Come cercare di scoprire i sentimenti, o meglio la comprensione, di Carlo?
Provocarlo con atteggiamenti e vestimenti inequivocabili?
Non mi sorrideva l’idea di fare l’adescatrice di mio figlio.
Infilarmi nuda nel suo letto e vedere come reagiva?
Si, non posso negare che mi sentivo ‘in calore’, assatanata, infoiata, allupata. Dite come vi pare. Ma quell’assalto non mi piaceva. In fondo, sarebbe stato come consumare un rapporto rapido e incolore con un maschio qualunque. Io, infatti, non bramavo un maschio, ma lui, il mio Roberto-Carlo, perché, in fondo, era proprio così. Carlo era Roberto e Roberto era Carlo.
Era la sera successiva all’episodio dell’asciugamento, dell’essermi rivelata a lui completamente nuda, per la prima volta.
Siedevamo sul comodo divano del salotto, dopo cena, e stavamo per scegliere di comune accordo un programma TV.
Lui indossava una camiciola di cotone su pantaloncini comodi e corti.
Io m’ero messo in vestaglia, sulla camicia da notte, come facevo di solito, prima di andare a dormire. O meglio a letto, perché il sonno tardava sempre più e diveniva sempre più inquieto.
Cercai di entrare in argomento.
‘Forse non è stata una buona idea, quella di chiederti di asciugarmi la schiena, dopo il bagno.’
(Sapevo bene che la proposta era venuta da lui.)
‘Perché, mamma?’
‘Mi è sembrato che la cosa ti seccasse.’
‘Da cosa lo deduci?’
‘Da qualche tua esitazione, perché ad un certo momento t’eri fermato”
‘Ma’, nessuna esitazione, solo che sono rimasto affascinato dalla tua rigogliosa bellezza.’
‘Carlo, ma mi conosci da sempre, sono la tua mamma!’
‘Si, ti ho sempre considerata la mia bella mammina, ma non immaginavo che tu fossi la splendida, incantevole, seducente donna che”
‘Carlo, ho 40 anni, sono la mamma!’
‘Ma’, sei una ragazza meravigliosa, che poi tu sia la mia mamma è solo motivo d’orgoglio. Ho potuto ammirare la mia ammaliante mammina in tutto il suo splendore. E chi mai aveva visto, e potrà mai vedere, una creatura del genere!
Esitazione? No, ma’, era adorazione.
Mi sarei inginocchiato dinanzi a te, ti avrei adorato. Sono rimasto estasiato dinanzi a un corpo del genere. Quello era il grembo che mi aveva generato, quello il seno che mi aveva dato il primo alimento. Sei bella tutta, dovunque, statuaria. Il tuo volto, i tuoi occhi, le tue labbra, il tuo collo, il tuo seno, il tuo grembo, le tue natiche perfette che t’invitano ad essere morse come una vellutata pesca soda e matura. Il prato dorato tra le tue gambe”
Mi sentivo sconvolgere il grembo, inturgidire i capezzoli, le grandi labbra, arruffarsi i peli del pube, pervadere dal lento e tiepido imperlarsi della vagina.
‘Ma Carlo, è un madrigale per la propria donna.’
‘O per quella che si desidera.’
Avevo capito bene?
‘Come?’
‘Si, ma’, che si desidera!’
‘Carlo, sono la mamma, la tua mamma!’
‘E perché non anche la mia donna?’
Era rosso in volto, congestionato. Si comprendeva lo sforzo che aveva dovuto fare per dirmi tutto questo, d’un fiato.
Per me si dischiudeva il Paradiso. Ma dovevo insistere, anche se malvolentieri, nel ruolo che mi competeva.
Gli presi la mano tra le mie.
Già il fatto che non mi fossi ribellata a quelle parole, doveva significargli qualcosa.
Rimase rigido. Poi, mi pose la mano sulla spalla, mi attirò a se.
‘Mammina, sei bellissima. Non ti immaginavo così. Sei irresistibile, eccitante.’
‘E’ la tempesta ormonale della tua età, Carlo.’
‘Quella si può placare dovunque.
E’ qualcosa che non so spiegarti. Un’attrazione che va al di là del mero aspetto fisico. E’ tenerezza, dolcezza, certezza che nessun’altra potrebbe darmi quello che puoi darmi tu. Sento che tu, tu sola, sei la mia altra metà. Che tu sia mia madre è una mera coincidenza, o forse ne è la causa determinante. Comunque sia, sto impazzendo.’
Era commovente.
Lo carezzai teneramente sul volto.
Mi sfiorò il seno, il grembo. Prese la mia mano e la portò sulla patta.
‘Senti?’
‘Si, comprendo. E’ una reazione fisica, quella di un giovane esuberante.’
‘No, non mi capita con nessun’altra.’
‘Vieni qui, ti cullo come quando eri bambino.’
‘Vieni tu, a cavalluccio, come quando mi facevi fare ‘trucci trucci cavallucci”
Lo guardai, perplessa. Poi lo assecondai.
Alzai la vestaglia, la camicia, mi posi a cavallo sulle sue ginocchia. Mi strinse a sé. La sottile pattina del mio slip poggiava sul prepotente gonfiore imprigionato nei pantaloni. Ero certa d’essere bagnata, e stavo bagnando i suoi calzoncini.
Mi prese la testa tra le mani, posò le sue labbra sulle mie labbra, timidamente. Poi m’aprì la vestaglia, sbottonò la camicia da notte e si mise a suggere voracemente un capezzolo, procurandomi deliziose contrazioni della vagina, che supplicava ben altro. La pattina s’era infilata tra e grandi labbra che ora aderivano a ventosa su quel gonfiore e non stavano ferme, si strofinavamo sempre più freneticamente, perché, dopo tanto tempo, e inaspettatamente, a quel solo contatto, io stavo venendo, stavo raggiungendo un travolgente orgasmo. Dopo tanto tempo, così, con quel solo contatto con mio figlio!
Ogni proposito era stato vinto dalla mia debolezza.
Una gran forza, la debolezza.
Perché la debole ero io. Cosa si poteva pretendere da un giovane così infiammato, che non si eccitasse solo perché quella era la madre?
Via, si usa dire che ‘al cor non si comanda’, ma i latini erano più sinceri e nei carmina priapea avevano ben scritto che ‘a cazzo diritto non c’é legge che tenga’. Avrebbero dovuto aggiungervi anche a ‘vagina smaniosa’. Perché la mia smaniava, impaziente. Ma come potevo dire a mio figlio ‘andiamo a scopare’?
Mi guardava negli occhi.
‘Ti ho sentito, mamma, ti ho sentito’ hai goduto’ non ti sono indifferente”
‘No, Carlo. Non mi sei indifferente.’
‘Allora?’
Mi inginocchiai dinanzi a lui, lo feci alzare, gli sfilai calzoncini e boxer.
Apparve la mole imponente del suo ‘carlone’ prepotentemente eretto.
Lo baciai, ne assaporai il glande, lo carezzai con la lingua, lo cominciai a ciucciare. Con inesperienza, però, perché ‘non lo crederete- quella era la prima volta che la mia bocca riceveva un fallo. Lui vibrava, mi teneva la testa, non sapeva se guidare o meno i movimenti che gradiva, poi, d’improvviso, lo tirò fuori ed eiaculò violentemente, facendo cadere il seme per terra.
‘Non così, mamma, non così’, è solo un surrogato”
‘Vieni, piccolo mio, vieni”
Andammo nella mia camera.
Mi denudai, mi stesi sul letto.
‘Vieni, bambino mio, sdraiati, togli tutto.’
Era lì, al posto di Roberto. Ma era Roberto.
E gli fui sopra, prendendogli il glande e portando all’umido e fremente ingresso della vagina che l’attendeva smaniosa. Mi feci penetrare con voluttuosa lentezza.
Lo attirai a me, perché le sue labbra accogliessero il mio generoso capezzolo.
‘Bevi la tetta della mamma, Carlo, bevi. La mamma ti disseta, ma tu sazia lei, dalle il tuo miele. Sei bellissimo, amore mio, bellissimo. Sono tua, tesoro, come volevi. E’ questo che volevi, no?’
Senza smettere di mungermi annuì con la testa.
Io, intanto, ondeggiavo perché anche lui fosse munto da me.
Stavo godendo come non mai, ed ero ammirata dalla sua resistenza.
Forse la lunga astinenza, o la frenesia troppo a lungo soffocata, o chissà che, mi portava a sconosciuti e ripetuti orgasmi che mi squassavano, e nel mentre mi sentivo deliziosamente invasa, mi sembrava di essere svuotata, di venir meno.
Si, l’avevo concupito, Carlo, ma non immaginavo che mi avrebbe dato tali e tante sensazioni
Forse era l’incontro tra la quasi ‘matusa’ e un giovane così vigoroso, gagliardo, prestante, ed anche eccitato.
Non lo so, e non voglio indagare le cause, ma quello che poteva essere giudicato un incontro peccaminoso, si rivelava un inimmaginabile completamento tra un giovane maschio e una femmina matura che stavano godendo voluttuosamente e rigodendo ancora. Perché Carlo non si dimostrava pago, ed io ancor meno di lui.
‘Voglio vederti, ma’, alzati.’
Ero totalmente in suo potere.
Mi alzai.
‘Per favore, cammina verso la toletta’ fermati’ chinati toccando con le mani a terra’ voltati’ torna verso me’ fermati’ vieni qui’ sdraiati sul letto”
Eseguivo come una marionetta, ed ero felice che mi comandasse così, che i suoi occhi mi frugassero in tal modo.
Tuffò la testa tra le mie gambe. L’allontanò. Mi fece poggiare i piedi sui talloni, divaricare le cosce. Le mani sfiorarono i miei ricci, li carezzarono; le dita si soffermarono sulle grandi labbra, le separarono, andarono oltre, si soffermarono sul clitoride vibrante, lo titillarono, s’introdussero in me. Era bello, delizioso. Si abbassò per guardare meglio, alla scoperta di un mondo certamente nuovo per lui. Innegabilmente gli era nuovo questo, di sua madre.
Mi baciò le piccole labbra, la sua lingua s’intrufolò dentro, curiosa. Mi baciò ancora.
‘Com’è bello lo scrigno che mi ha conservato, da cui sono venuto al mondo. Ma è stato ancora più bello rientrarvi”
‘Sei tu bello, Carlo. Il più bel ragazzo che esista.’
‘Ogni scarafone è bello a mamma sua.’
‘Sciocco, ogni tesoro è prezioso per chi può averlo, fosse anche per poco.’
‘Perché per poco, ma’?’
‘Perché sono vecchia e tu un ragazzo bellissimo.’
‘Il tempo di smentirà, donna di poca fede.’
‘Utinam! Il cielo lo voglia!’
Sedette sul letto.
‘Alzati, ma”’
Fui in piedi.
‘Vieni qui, senza voltarti.’
M’attirò a se.
Mise le mani sotto le mie natiche, mi sollevò, come fossi un fuscello, mi fece scendere lentamente, in modo che il suo glande violaceo incontrasse la vagina. Lo agevolai, dilatandola con le dita, e m’impalò quasi con sadica lentezza, perché sentiva che lo volevo il più possibile in me e al più presto.
Le sue mani s’alternavano nel tormentare tette e capezzoli e nel titillare il clitoride. La mia vagina lo stringeva in sé, ingordamente, insaziabile.
Era sempre bello.
Quello che mi meravigliava era come dopo cotanto pasto avevo più fame che pria, ed ancor più ammiravo l’instancabilità di Carlo.
Era sempre splendidamente eretto e gagliardo, malgrado gli svuotamenti impetuosi a cui l’aveva sottoposto il mio assetato sesso.
Quando giacqui seduta sulle sue ginocchia, ansante e con le sue mani strette al seno e sul grembo, mi voltai un po’.
‘Bellissimo bambino. Ti fa lavorare la tua mammina, eh? Sei stanco?’
‘Tu che dici?’
Incredibile, stava di nuovo rifiorendo in me.
‘Sei un incantevole uomo d’acciaio.’
‘Ma anche di carne, no?’
‘Voluttuosamente.’
‘Ora, ma’, dobbiamo lavorare di fantasia.’
Era solo un modo di dire, un allettamento, per farmi credere che fosse pura improvvisazione quello che forse era un piano.
Se si riferiva a quanto avevamo finora fatto, o a cosa improvvisata, o prevista, mi andava bene lo stesso, e come.
Salì sul letto, prese un cuscino e lo pose vicino alla testiera.
Mi tese la mano.
‘Sali.’
Salii.
‘Poggia le mani sul cuscino.’
Eseguii.
‘Apri un po’ le gambe.’
‘Obbedii.’
‘Ferma così.’
Mi dilatò le natiche e con la punta del suo immenso ‘carlone’ cominciò una delicata spennellatura che partendo dal clitoride finiva dopo il piccolo buchetto che sussultava ad ogni passaggio.
Lui insisteva, con quel grosso arnese, ogni volta che incontrava il mio buchetto, e spingeva un po’.
Oddio, ma io quello non l’avevo mai fatto.
E se lui avesse insistito?
Sapevo che molti uomini ne andavano pazzi, era un bocconcino prelibati, e che piaceva anche ad alcune donne.
Ma come si faceva?
Mi sforzai a pensare che lo strappo dell’imene, cosa spesso presentata come un trauma doloroso, in fondo era stato il breve fastidio d’un momento, seguito da piacere più che compensativo.
Forse sarebbe stato lo stesso anche per il buchetto.
Non illuderti, mi diceva un’altra voce, la vagina è fatta per il coito e per il passaggio del neonato, ha un’apposita elasticità. Come può quell’altra parte, dilatare lo sfintere e accogliere un manganello di quel genere?
Vero, ma non sarei stata la prima, né l’ultima, a un tale esercizio.
Ma non c’era pericolo di lacerazioni?
E se mi fossi decisamente rifiutata?
Si, e se poi lui, proprio per questo, m’avesse definitivamente lasciata?
Era meglio attendere.
Ogni tanto spingeva. Anzi, una volta tolse il fallo e carezzò il buchetto con un dito. Ne provò la resistenza, carezzando, titillando, introducendolo dolcemente, massaggiando. Non era la fine del mondo, ma si trattava di un dito, tutt’altra cosa.
Ecco di nuovo il glande, ancora insistente, poi si indirizzò decisamente alla vagina e con una poderosa spinta, questa volta un po’ selvaggia, la penetrò, fino in fondo. Accolto col piacere di sempre, ed anche maggiore per aver desistito da un’azione che, tutto sommato, m’inquietava.
Magnifica ulteriore scopata, con accompagnamento di tette e fica, e piccoli strappetti ai peli del pube.
Ancora un getto incandescente che sembrò salirmi fin nel cervello, attraversando e infuocando le ovaie, anche, se in effetti, s’era infranto sul collo dell’utero.
Poi giacemmo sdraiati, io riversa su lui, con una tetta sul suo petto, la gamba su ‘carlone’ e il mio sesso sulla sua coscia.
‘Posso parlarti senza giri di parole, ma’?’
‘Certo.’
‘Hai un sedere che è un portento, stuzzicante, due chiappette prensili che sembrano proprio fatte per indicarti il centro del piacere.’
‘Ho capito il tuo apprezzamento da certe manovre.’
‘Deve essere bellissimo farlo. Lo hai mai fatto?’
‘No.’
‘Possibile che il vecchio Roberto abbia rinunciato a un bocconcino del genere?’
‘Possibile.’
La cosa mi irritava, che c’entrava Roberto. Glielo dissi.
‘Scusa, ma’. E’ che ne sono spasmodicamente attratto. Vuoi sapere la verità? Non l’ho fatto mai neanche io. Ma non per questo ci rinuncio. Specie ora che so di essere il primo”
Non lo lasciai terminare.
”ed eventualmente l’unico”
‘Mi farai questo regalo?’
‘Lo devi meritare.’
‘Ti ho deluso finora?’
Mi strinsi a lui.
‘No, ma il dolce, visto che tu lo consideri tale, si ha se si merita.’
‘Vedrai che lo meriterò, è solo un rinvio, ricordi il detto latino? Quod differtur non aufertur’ rinviare non è rimuovere.’
‘Quando ti fa comodo lo ricordi bene il latino!’
‘Vedrai che sarà bello per tutti e due.’
Non ci accorgemmo d’addormentarci e il mattino ci colse, ancora abbracciati, pronti a rinnovare le amorose tenzoni.
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Immagino di raccontare tutto questo a un gruppo di ascoltatori attenti.
Ho finito.
Intorno, volti attenti, qualcuno mostra d’essere disgustato, altri esprimono una certa perplessità. Tutti, però, manifestano curiosità.
Ecco, sono assalita da mille domande, alle quali rispondo:
‘Ma poi’glielo hai dato?’
= Si.
‘Hai provato dolore?’
(Questa è una domanda interessata’)
= Non più di tanto e solo un po’ la prima volta, all’inaugurazione!
‘Ti è piaciuto?’
= Ho goduto come non mai, è meraviglioso!
‘Come è andata a finire, questa storia?’
= Non è finita. Dura da oltre quattro anni. La viviamo meravigliosamente, almeno io. Siamo una coppia perfetta, tenera e passionale, complementare non solo fisicamente, ma anche per pensiero, spiritualità, visione della vita.
‘Come vi considerano amici e parenti?’
= Non ce ne siamo mai curati del loro giudizio.
‘Come hai fatto a non restare incinta, hai usato profilattici fin dalla prima volta, prendi la pillola?’
= Nessuno ‘sbarramento’, ci godiamo come natura vuole, integralmente, in ogni modo possibile.
Nessuna pillola. Ci affidiamo al fato. Per me è stato benigno, e lo sarà, fin che dura, qualsiasi cosa accada.
Desiderarsi, amarsi, possedersi, donare e ricevere, non consente forzature o indirizzamenti.
Siamo Adamo ed Eva nell’Eden. E non temiamo d’essere scacciati.
Lo spero!
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grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…