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Racconti erotici sull'Incesto

La mia prima crociera

By 13 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Era da diverso tempo che avevano programmato un periodo di assoluto relax, anche in previsione che gli impegni professionali di Vittorio, mio padre, lo avrebbero tenuto lontano, chissà per quanto tempo, nella solita base ‘segreta’ della NASA. L’ideale, per essere fuori da ogni ‘invasione’, come diceva lui, era una bella crociera, su una nave moderna e comoda, con una rotta piacevole, e trascorrere così un paio di settimane, lui e Selma, la mia biondissima genitrice, che portava il nome di chissà quale bisnonna nordica.

Il programma prevedeva l’assoluta privacy, quindi io ero stato dirottato al camping degli Scouts, come junior trainer d’atletica, un modo come un altro di utilizzare la mia passione per lo sport, soprattutto per il corpo libero. E devo dire, anche se pecco d’immodestia, che il fisico non rispondeva tanto male. Ero alla vigilia del mio compleanno ed avevo l’aspetto di un ultraventenne ben messo.

Non &egrave che il camping con gli Scouts m’entusiasmasse, ma capivo le esigenze dei miei vecchi, e il desiderio di starsene in santa pace.

Erano simpatici, i miei.

Lui, in aeronautica, affermato ingegnere spaziale, però troppo spesso lontano. Comunque, era il suo mestiere, e non poteva abbandonare una strada abbastanza lusinghiera, che stava brillantemente percorrendo, con lusinghiere affermazioni. Stava per compiere i quarantacinque, ed era uno dei più apprezzati esperti del settore e tra i più giovani generali della NASA.

Lo capivo. Selma, la bella Selma, risentiva della lontananza del suo uomo. E né il laboratorio di fisica, né le altre occupazioni, riuscivano a distogliere il su pensiero sempre rivolto al marito.

Si erano incontrati, appunto, nel laboratorio. Poi la brillante laurea in fisica pura, col massimo dei voti, e il presidente della commissione aveva tratto motivo dalla bravura della neo collega, come aveva detto, per abbracciarla e baciarla. Forse stringendo a sé un po’ troppo le sode tette della splendida ventunenne, perla della sua facoltà (sono sempre sue parole), e attardandosi in quello che avrebbe dovuto essere un formale bacio accademico.

Lei e Vittorio ne avevano riso, e avevano festeggiato a modo loro, tanto erano alla vigilia delle nozze.

Allo scadere dei fatidici nove mesi nacqui io, Pierino, orgogliosissimo del papà generale e soprattutto della meravigliosa mamma che mi trovavo.

Meravigliosa come carattere: dolcezza e decisione, comprensione e fermezza che a volte, quando non mi sconfifferava quello che mi diceva, io definivo ostinazione.

Più che meravigliosa come donna che si avviava splendidamente ai quaranta col corpo degno di una pin up di almeno dieci anni di meno.

A Selma dava anche fastidio certa pseudo premurosa attenzione da parte degli uomini coi quali, specie per ragioni professionali, doveva venire in contatto. Si. &egrave vero che pur senza assumere particolari pose, e vestendo secondo una più che misurata moda, soprattutto sportivamente, la sua splendida fisicità non poteva che essere ammirata, attrarre e, di conseguenza, riscuotere anche non sempre silenziosi apprezzamenti che si riferivano principalmente alle deliziose grazie che la natura aveva profuso in lei, ma m’incazzavo lo stesso quando pensavo che tette e natiche della mamma erano oggetto di pesanti complimenti e innominabili auspici.

Anche qualche mio compagno di scuola o di palestra, mi aveva fatto comprendere quali sentimenti lei suscitava in loro.

E il bello, anzi il brutto, era, che più passava il tempo e più Selma mi turbava, cessava di essere la ‘mammina’ e diveniva sempre più la femmina dei miei sogni (chiamiamoli così).

Era bello sentirsi stringere al suo seno. Soprattutto per avvertire le splendide sode tette. E nell’abbracciarla, non era a causa della statura, che le mie mani si compiacevano di saggiarne le natiche.

Anche baciandola cercavo di sentire le sue labbra sulle mie e non sulle gote.

Forse il camping era quello che ci voleva.

Così come per loro ci voleva la crociera.

La partenza era fissata per il mercoledì successivo, da Genova, nel pomeriggio.

Io avrei raggiunto il Campig, col bus, lo stesso giorno.

Fu il lunedì sera che giunse il ‘plico giallo’, ‘confidential’, recato da un motociclista in borghese.

Selma e Vittorio si scambiarono uno sguardo significativo.

Lui si attardava ad aprire la busta.

Insomma: convocazione straordinaria e urgente a’.. base Nasa, per il mercoledì mattino. L’aereo attendeva il generale Belli martedì mattina, alle ore 0600 a Ciampino.

Lunga conversazione tra i miei, calma ma che non nascondeva un profondo disappunto, una imprevista ulteriore disillusione.

L’Agenzia disse che pur comprendendo le ragioni dei passeggeri, non potevano effettuare alcun rimborso, ai sensi delle condizioni generali, ma che il generale Belli poteva proporre all’armatore il nominativo di altri croceristi che, però, doveva reperire direttamente.

Papà, come al solito, fu logico e sbrigativo.

‘Ci andrai con Pierino.’

Mamma osservò che era tutt’altra cosa, ma, in fondo, era un modo di sentire meno la lontananza del marito.

Quindi, niente Camping, ma la mia prima crociera.

^^^

Fu così che, dopo aver modificato il mio bagaglio, il mercoledì mattina, io e Selma, che si era affettuosamente dichiarata felice di trascorrere con me un paio di settimane, prendemmo l’aereo per Genova e successivamente c’imbarcammo sulla bella ed elegante nave.

Non avevo idee chiare neppure sulla rotta che avremmo seguito.

Lo seppi solo quando mamma mi dette il programma dettagliato.

Era bella, in effetti, interessante.

Non ero mai salito su una nave di quella grandezza e, pur avendo sfogliato opuscoli e visto pubblicità in merito, non credevo che a bordo vi fosse tanta eleganza. Ora capisco perché mamma mi aveva detto di portare qualcosa per la eventualità di una serata un po’ su.

Ci condussero nella nostra suite, che era in uno dei ponti più alti.

Rimasi colpito dall’ampiezza e dalla sistemazione. C’era pure un balcone!

Sul tavolo, un lucidissimo recipiente con una bottiglia di champagne.

Fino a quel momento non mi ero soffermato sul fatto che per due settimane avrei condiviso la camera di mia madre.

Sarei stato ammesso nel ‘Sancta Santorum’.

Dove solo il Sommo Sacerdote poteva entrare.

Dov’era custodito il Tabernacolo, simbolo del Paradiso.

Avrei vissuto alle soglie del Paradiso.

Mille idee, per lo più confuse, mi turbinavano nella mente, idee più relative al paradiso islamico che al cristiano, e alle delizie destinate ai privilegiati che vi avrebbero avuto accesso.

Selma era la Uri, i suoi splendidi occhi non erano hur, neri, ma profondi e cerulei come il mare che ci apprestavamo a solcare.

Fui richiamato alla realtà dalla sua voce, dalla mano che pose sul mio braccio.

‘Ti piace, Pierino?’

‘Ancora non comprendo se tutto questo sia realtà.’

‘Adesso voglio fare una doccia, poi verserai lo champagne, dobbiamo brindare a questa occasione.’

La doccia. La mia incantevole fata azzurra avrebbe sciolto i capelli colore delle spighe mature, l’acqua avrebbe carezzato quel corpo che da sempre sognavo. Si, ero pazzamente preso da Selma, da quella femmina incantatrice. Ed ora, avrebbe dormito a pochi centimetri da me, avrebbe condiviso con me le immancabili intimità della convivenza in una sola camera. Il solo pensiero m’eccitava violentemente. Sarebbero state due settimane d’inferno. Altro che di paradiso!

E fece la doccia.

Entrò nel bagno, regolò il miscelatore.

Tornò di nuovo in cabina, tolse il vestito, rimase in slip e reggiseno, andò alla toilette, si guardò nello specchio, si voltò verso me, che sedevo in poltrona e dovevo avere un aspetto diverso dal solito.

Mi guardò con aria preoccupata.

‘Stai bene, Pierino?’

Dovetti deglutire prima di rispondere.

‘Benissimo, grazie.’

‘Hai una faccia!’

Si avvicinò, si chinò su di me. Le sue rigogliose e sode tettone erano sotto il mio naso, gli occhi corsero dove il suo slip rosa era più scuro, mi carezzò il volto, mi sfiorò la fronte con un bacio.

Tornò nel bagno, senza chiudere completamente la porta.

Tolse tutto, andò sotto l’acqua.

Decisamente, sarei morto d’un colpo, durante quella mia prima crociera che rischiava di essere anche l’ultima.

Come potevo sopravvivere a tale tormento?

D’accordo, non ero mai stato con una donna, non avevo mai avuto un rapporto sessuale completo. Le mie amichette occasionali ‘perché non avevo una ragazza fissa- mi avevano concesso qualcosa, ma sempre ‘uso esterno’!

L’eccitazione era tale che facevo fatica a non sfogarmi da solo.

Ed eravamo all’inizio.

Selma, intanto, aveva chiuso il getto e stava pigramente asciugandosi.

‘Pierino, sulla toilette c’&egrave un flacone con scritto ‘body cream’, me lo porgi per favore?’

Eseguii con un certo disagio, perché i miei leggeri pantaloni stavano per esplodere.

Spalancai la porta, anche se non serviva, e le tesi il flacone.

L’asciugamani le copriva appena il petto, era aperto su un fianco, e arrivava appena sotto il pube.

‘Perché non indossi l’accappatoio, ma’?’

‘E’ vero, che distratta’ dammelo.’

Lo presi, lo aprii e mi misi alle sue spalle per aiutarla ad indossarlo, cominciò ad infilarvi le braccia. L’asciugamano cadde per terra.

Non riuscii a comandare il mio pensiero.

Guardai quel magnifico fondo schiena, e ‘Signore, che culo!’ riuscii a non pronunciarlo a voce alta, ma fu spontaneo.

Era veramente bello, tondeggiante, e si vedeva che era sodo.

Il mio fallo stava per spezzarsi dal dolore.

Tornai in cabina.

La nave, intanto, andava sempre più allontanandosi da terra.

Selma andò a sedere dinanzi alla toilette, così, in accappatoio.

‘Perché non fai una bella doccia, Piero? Ti farà bene.’

‘Si, &egrave vero. Ne ho bisogno.’

‘Se vuoi che ti aiuto a lavarti la schiena, chiamami. E’ un secolo che non lo faccio, e a te piaceva moltissimo.’

‘Grazie, ma’, va bene.’

Tolsi camicia e pantaloni, rimasi scalzo e, cercando di non farmi vedere per non far scorgere il mio palese eccitamento, andai nel bagno, chiusi la porta, sfilai i boxer, li appesi all’attaccapanni, aprii l’acqua, la regolai piuttosto freddina, entrai sotto la doccia.

Il fallo, benché colpito dall’acqua quasi fredda, non accennava a calmarsi.

M’insaponai lentamente, lasciai che il getto portasse via la schiuma dal mio corpo, e attendevo il ritorno del mio sesso alla posizione di quiete.

La porta s’aprì e Selma, ancora in accappatoio, scostò la tenda della doccia e mi chiese se tutto andasse bene. Dall’espressione del suo volto compresi che aveva visto in stato era il suo figliolone, fece finta di nulla.

‘Piero, esci che ti aiuto ad asciugarti.’

Mi porse l’altro accappatoio.

Strofinava piano il tessuto spugnoso dell’accappatoio sulla schiena.

Vedevo il suo volto, serio e pensoso, riflesso dallo specchio.

Ero almeno quattro dita più alto di lei, ed era tutt’altro che bassa. Segno che il mio sviluppo verticale era stato alquanto precoce e generoso. E non soltanto quello.

La sua voce era meno argentina del solito.

‘Dove hai la biancheria, ancora in valigia?’

‘Si, in quella sulla panca bassa.’

‘Aspetta, te la prendo e te la porto.’

‘Grazie, ma’, ci penso io, l’accappatoio mi basta.’

Tornammo in cabina.

In quel momento si udì bussare alla porta.

Mamma, seduta sulla poltrona, disse di entrare.

Era la giovane e graziosa cameriera. Voleva sapere se la signora desiderava essere aiutata per disfare il bagaglio.

Ma’ la ringraziò ma disse che l’avrebbe aiutata suo figlio.

La cameriera mi sorrise. Uscì.

Percepivo un cambiamento nell’atmosfera familiare.

Selma cercò di essere naturale.

‘Bella ragazza, la cameriera. Vero?’

Mugugnai qualcosa che voleva essere una risposta affermativa.

‘Non dici niente, Pierino?’

La guardai, e trattenevo a stento le lacrime.

‘Vieni qui, pulcino, vieni qui.’

Mi tese la mano, mi tirò sulle sue ginocchia. Mi carezzava teneramente.

Mi cullava piano.

Quasi con naturalezza, mise una mano nell’accappatoio e avvolse il mio fallo sempre eretto.

‘Non c’&egrave niente di male, pulcino, anzi ora sei proprio un galletto. E’ naturale che si abbiano certe manifestazioni. Sta buono.’

Ma come faceva a dire di stare buono se contemporaneamente mi carezzava il pisello!

Lasciò la presa, mi prese il volto tra le mani e mi baciò sugli occhi.

‘Non devi mai vergognarti con la tua mammina, lei ti comprende. Vedrai che in crociera le cose si appianeranno, chissà che non ti capiti l’occasione giusta.’

La baciai sul collo, e la mia mano entrò a carezzarle timidamente il seno.

Lasciò fare, generosamente, ma sentii che le ginocchia sulle quali sedevo avevano avuto un sobbalzo.

‘Vestiamoci, Piero, andiamo sul ponte.’

Erano trascorse circa tre ore da quando la nave aveva lasciato il molo dov’era attraccata.

Ci preparammo anche in vista della cena.

^^^

L’inappuntabile Maitre attendeva all’ingresso della sala da pranzo, due ponti sotto quello dov’era la nostra suite-

Ci guardò interrogativamente.

Mamma disse sottovoce: ‘Belli’.

Lo sguardo, questa volta, non celò completamente una certa sorpresa.

Ma’ sorrise.

‘E’ mio figlio Piero: mio marito &egrave stato convocato d’urgenza in servizio.’

‘Benvenuti, signori Belli, e scusino la mia incertezza, sull’elenco c’é scritto Generale Belli e signora, e il signore mi sembra un generale un po’ troppo giovane. Di nuovo benvenuti. Vi accompagno subito al vostro tavolo. Nelle note &egrave detto che il signor generale preferisce un tavolo un po’ appartato, possibilmente senza altri croceristi. Ho osservato quanto &egrave stato chiesto, a meno che loro non vogliano cambiare.’

‘Va benissimo così, grazie.’

Selma era incantevole con quel suo particolare sorriso che le illuminava il volto e la rendeva ancora più bella.

Indossava un semplice abito, a portafoglio, con gonna plissata, d’un turchese scuro in vita che andava schiarendosi salendo verso la generosa scollatura e scendendo al bordo della gonna.

Papà aveva scelto il secondo turno, così non c’era la fretta di dover osservare un certo orario per lasciare libera la sala.

V’erano già altri croceristi, ai tavoli. Quasi tutti gli occhi ci seguirono, dall’ingresso al tavolo dove il cameriere, un Filippino, Manuel, ci accolse con un inchino.

Immaginavo i commenti degli astanti.

Anche se ma’ dimostrava dieci anni di meno e io certamente di più dei miei, sicuramente gli uomini mi invidiavano (guarda quel ragazzino con quella sventola), e le signore si rodevano (hai visto, maturina, che fusto ha rimediato).

In un certo senso ero orgoglioso di quei pensieri, ma loro non sapevano che era tutta loro fantasia.

Il Menu era ricco e raffinato.

Ma’ disse che dovevo scegliere prima io.

Chiesi un cocktail di gamberetti e della sogliola alla mugnaia, poi fruit-salade.

Selma mi guardò.

‘Così poco, pulcino?’

‘Si, non ho molta fame.’

Per lei, dopo il cocktail di gamberetti, scelse le potage du jour e dell’aragosta con maionese, torta di frutta con una pallina di gelato alla crema.

Passò a me la lista dei vini, ma mi sussurrò quello che lei preferiva.

Ma’ stese la sua affusolata manina, quella che’., lasciamo stare, sulla mia che era poggiata distrattamente a fianco del piatto.

‘Cosa pensi, Pierino? Non sei contento di questo viaggio?’

‘Sono felicissimo, &egrave una graditissima improvvisata. Non ricordo, poi che siamo mai stati insieme,così, soli, sia pure in mezzo a tanta gente che però non conosciamo e non ci conosce, per due intere settimane. E’ bellissimo.’

‘Allora?’

‘Niente’ niente’..’

Mi carezzò la mano, teneramente.

Erano arrivati i cocktails.

Il vino scelto dalla mammina era delizioso, ma curai di berne pochissimo, e senza un preciso scopo non lasciai mai vuoto il calice della mia deliziosa compagna di tavola sulla quale convergevano gli ammirati sguardi degli altri.

Ci attardammo perché lei gradiva un cognac, mentre io seguitavo a guardarla sempre più estasiato. Ed inquieto.

‘Che ne diresti di andare un po’ sulla passeggiata?’

‘Certo.’

‘Speriamo che non ci sia troppo vento.’

‘Non dovrebbe essere molto, perché mi sembra che quanto dovuto alla velocità della nave sia abbastanza compensato da quello che spira in senso contrario.’

‘Bravo, sei un esperto.’

‘La scuola di vela serve a qualcosa.’

Andammo sulla passeggiata.

Un po’ di vento da prua si sentiva, ma non dava fastidio. Ma’ avvolse la sua lunga leggerissima sciarpa di seta sulla testa e intorno al collo. Era abbastanza allegra. Pensai che non fossero estranei alla cosa il vinello fresco e l’ottimo Lepanto.

Non c’era quasi nessuno.

Forse erano al salone delle feste. Dove suonava l’orchestrina, al bar, o al cine dove proiettavano documentari relativi ai porti che avremmo toccati.

Ma’ si mise sottobraccio, stretta a me. A prua si poggiò al parapetto. Mi venne istintivo di cingerle la vita, pose la sua mano sulla mia. Mi feci ancora più vicino a lei, sentivo il tepore del suo corpo. Occhieggiavo il suo seno.

‘Ma’, prendi freddo al petto.’

Presi i lembi della sciarpa e li annodai, coprendola. Poi, di nuovo a fianco a lei, la mano che prima posavo sulla sua vita, salì a mantenere aderente alle sue tette la svolazzante fascia. Benedissi il vento, e strinsi di più.

Come avrei potuto trascorrere due settimane con tale inquietudine, con questo supplizio di Tantalo!

Ma’ mi carezzò il volto, mi baciò su una guancia.

‘Com’&egrave premuroso il mio Pierino.’

La strinsi ancor più a me.

Seguitò, a bassa voce.

‘Dovrei dire il mio Pierone, sei diventato un giovanottone, un gran bel giovanottone. La tua mamma &egrave fiera di te.’

Ancora un bacio.

La cosa non mi lasciava indifferente.

Si voltò, poggiando la schiena alla ringhiera.

Ero di fronte a lei, mi pose le mani sui fianchi. Mi avvicinai.

No, non fu casuale che cercai di far aderire la mia sempre più lievitante patta al suo grembo. Dovetti piegarmi un po’ sulle gambe, e quando le distesi di nuovo, sentii chiaramente che s’era insinuata tra le sue gambe e la stava quasi sollevando.

Sentii che per un istante il suo corpo s’era irrigidito.

Restai fermo. In attesa.

Uno schiaffo? Un movimento per liberarsi da quella presa?

Poi si rilassò. Il suo ventre era nuovamente divenuto morbido.

Le mie mani, sui fianchi, incontrarono la morbida consistenza che speravano.

‘Tesoro mio”

La voce era dolce, carezzevole, suadente, come quella della mammina che vuole far fare qualcosa al suo bambino, o impedirgli di commettere una monelleria.

” questa mattina ci siamo alzati presto, &egrave stata una giornata un po’ pesante’ che ne diresti se me ne vado a nanna? Se vuoi puoi rimanere”

Senza lasciarla, e sempre più eccitato, le dissi che anche io desideravo ritirarmi, del resto, tra una cosa e un’altra mancava non molto alla mezzanotte.

‘Prima, però, vorrei un drink, al bar. Prendi qualcosa anche tu, Piero?’

‘Non credo di averne bisogno.’

‘A volte un po’ di piacevole lieta ebbrezza da alcool aiuta a dormire, fa dimenticare la realtà.’

‘Grazie, ti accompagno, ma prenderò una camomilla.’

^^^

La cameriera aveva preparato sui letto il necessario per la notte.

Una graziosa camicia rossa per ma’, e il mio pigiama con pantaloncini corti.

Selma mi chiese se mi meravigliavo che non usava pigiama per la notte.

‘No, ma’, l’ho sempre saputo.’

‘Io, a letto, non sopporto nulla, mi da fastidio anche il lenzuolo, le coperte, e perfino una leggera camicia da notte &egrave di troppo. Sono un po’ ‘nature’, in questo.’

La guardai senza rispondere.

Cosa dovevo dirle: ‘non indossarla, ma’!?’

‘Ma’, vado prima io al bagno?’

‘Va pure, come ai visto ci sono due separati servizi, quindi se ne avessi necessità”

Andai e portai con me di che cambiarmi.

Non ci misi molto.

Quando rientrai, Selma era seduta, in camicia da notte. Altro che camomilla ci voleva. Era necessario un sonnifero fortissimo, meglio un’anestesia totale.

Tutto mi conturbava, di lei. Le sue gambe erano bellissime, avrei voluto inginocchiarmi ai sui piedi e baciarle, lambirle’

Ma’ si alzò, andò nel bagno, ne uscì dopo qualche minuto e si sdraiò sul letto, accese la luce che era sul tavolino tra i due letti, prese una rivista e cominciò a sfogliarla.

Era più che evidente che la camicia da notte era l’unico indumento che indossava, e la sua dichiarata insofferenza si manifestava col continuo sollevarla e abbassarla. La abbassava, però, sempre meno di quanto l’aveva alzata.

Per mia gioia e mio tormento che, dall’altro letto, non riuscivo a distogliere gli occhi da lei.

L’impercettibile dondolio della nave, ed anche il ‘doppio’ che aveva bevuto al bar, uniti alla stanchezza della giornata, la fecero cadere in un profondo sonno, con la rivista sul volto.

Mi alzai. Tolsi il giornale, delicatamente. E stavo per tornare al mio letto, quando mi assalì il desiderio di sollevarle la camicia.

Chissà cosa sarebbe accaduto se si fosse svegliata d’improvviso.

Il respiro, però, era profondo e regolare.

Mi venne in mente che potevo fare una prova.

Il figliolino che dava il bacio della buona notte alla mammina.

Mi chinai su lei, le sfiorai la bocca con le mie labbra. Non si mosse.

Il secondo bacio fu meno filiale, la mia lingua insisté tra il vermiglio delle sue labbra. Ancora niente.

Allora, cauta e leggera, la mano preso un lembo della camicia e lo sollevò. Molto. Mi sembrò di svenire nell’ammirare quel bosco riccioluto che aveva tra le gambe, e che sembrava vivere.

Lasciai la camicia così, sui fianchi, deponendola con infinita cautela.

Tornai nel mio letto.

La guardavo fissa.

Il seno che seguiva la cadenza del respiro, e quel meraviglioso ingresso al più prezioso sacrario che abbia mai anelato di visitare.

Rimasi ore. Incantato, ed eccitato.

A stento riuscii a non ricorrere allo squallido surrogato della mia mano.

Le prime luci del giorno entravano in cabina, ed ora erano le eccitanti natiche di Selma che beavano i miei occhi.

Poi, per fortuna, la stanchezza riuscì a farmi assopire.

^^^

Sentivo un lieve soffio sul viso.

Aprii appena gli occhi, ancora con la mente confusa.

Era giorno.

Il sole entrava dal balcone, dinanzi al quale risaltava il verde di una pianta, era già abbastanza alto.

Selma, sorridente, era seduta sul mio letto. Già vestita. Indossava un prendisole a fiori vivaci, che le ravvivava il volto, rendendolo ancor più seducente.

Era lei, con le sue labbra dischiuse, che soffiava delicatamente sul volto.

‘Dormiglione. Devi essere piombato improvvisamente nel sonno. Quando mi sono svegliata la luce del tavolino era ancora accesa.

Devi aver dormito pesante’.’

Sorrise maliziosamente.

” meno male. La mia insofferenza deve avermi agitato. M’ero quasi tolta del tutto la camicia”

L’abbracciai, restando sdraiato, e la mano le carezzava il ventre.

‘Peccato, ma’, ho perso il meglio”

Un buffetto sulla guancia, poi un live bacetto. E la mia mano la strinse ancor più. Il tono della voce era scherzoso.

‘Non essere impertinente, sono la tua mamma.’

‘Ciò non toglie che sei bellissima.’

‘Un po’ vecchia”

Balzai a sedere, ovviamente ben eccitato.

Ero alle sue spalle, l’abbracciai, con le mani sulle sue stuzzicanti tette, sui capezzoli che s’erano subito eretti.

‘Ma se sei la mia bambina. Posso dire la mia affascinante fidanzata?’

‘Adulatore!’

La strinsi ancora di più.

‘Sei la mia fidanzata, Selma?’

Alzò la testa verso me, appena voltandosi, e non lasciai che le sue labbra si posassero sul viso, sebbene incontrassero le labbra.

Com’erano dolci le sue, e belle da baciare.

Non sentii che cercasse di sfuggirmi.

‘Dai fidanzato, sono pronta per una nuotata in piscina, sotto il prendisole ho già il costume, sul tavolino c’&egrave la tua colazione.’

‘Vedere.’

‘La colazione?’

‘Noooo, il costume.’

Si alzò, si volto verso il balcone, aprì la vestaglia, la lasciò cadere a terra.

Rimasi abbagliato, forse sarebbe più esatto dire folgorato. Non avevo mai immaginato una tale bellezza, e nel contempo mi sfuggì un energico ‘NO!’ che la fece voltare.

‘No, che?’

‘No, tu non vai in giro con quella roba. Non voglio.’

Ero divenuto improvvisamente aspro, anche aggressivo.

Seguitai.

‘Ma pa’ ti permette di farti vedere così?’

‘Così come, tesoro?’

La sua voce, però, era insicura, tremula, non capivo se spaventata o emozionata.

‘In quel modo, con tutto di fuori? No, Selma, tu così non vai in piscina.’

Divenne dolce, carezzevole, si voltò verso me, si avvicinò, strinse la mia testa sul suo grembo. Le abbrancai le natiche.

‘No, ma’, per favore, non farmi questo. Non devono vederti così”

‘Che fidanzato geloso’ Va bene, metterò il costume olimpico.

Alzati, fidanzato, devi prepararti, fare colazione. All’ora di pranzo arriveremo a Barcellona. Ci sono due possibilità: giro in città o Museo di Picasso.’

Il sorriso che aleggiava divertito sulle sue labbra i smorzò. Divenne seria, pensosa. Aggrottò la fronte. Rimase immobile per qualche momento, mentre m’ero avvicinato al tavolino e avevo cominciato a fare colazione pigramente.

Il volto di Selma si distese ,la nube era passata, l’indecisione superata. Quale?

Così com’era, in quel provocante costume verde, andò all’armadio, l’aprì, prese quello che aveva chiamato ‘olimpionico’, tutto intero, un po’ elastico, lo mise sul letto.

Seguivo attentamente i suoi movimenti, osservavo le espressioni del volto. Ero sicuro che stava seguendo il corso dei suoi pensieri. Quale?

Balzai sulla sedia quando, con disarmante naturalezza, slacciò il ridottissimo costume che indossava, lo lasciò cadere a terra, lo raccolse e, così com’era, andò ad appenderlo nel bagno. Il sorso d’aranciata mi si fermò in gola.

Era nuda, di fronte a me, come se fosse una cosa normalissima, consueta. Si muoveva disinvoltamente. Mi sorrideva, perfino.

Le sue forme scultoree passavano e ripassavano sotto i miei occhi sbalorditi.

Un seno stupendo, tondo e sodo. Fianchi meravigliosi. Natiche incantevoli che ti spingevano ad addentarle come una pesca vellutata e succosa. Un triangolo di sole le impreziosiva il pube, mostrando e nascondendo, ad ogni movenza, lo scrigno delle sognate delizie.

Ero paralizzato. Ma cosa le era preso?

Fu la sua voce a scuotermi.

Era di fronte a me, con le tette che mi sfioravano il volto, l’olimpionico in mano.

‘Aiutami ad indossarlo, Piero.’

‘Cosa?’

‘Aiutami a mettere il costume, a tirarlo su. Credo che mi vada un po’ stretto. Non lo uso da tanto.’

Mi alzai, sempre con una grande confusione in testa.

Aveva arrotolato, in fuori, il costume azzurro, me lo porse.

‘Tienilo in basso, perché possa infilarci i piedi, poi tiralo su, piano curando che non faccia pieghe false. Cercherò di trattenere il fiato.’

Ero convinto si sognare: nuda, di fronte a me.

M’ero chinato, perché i suoi piedini potessero introdursi’ e d’improvviso il suo cupreo bosco riccioluto s’aprì, all’alzare della gamba, disvelando l’incredibile visione del suo sesso rosa.

Si, sognavo.

‘Bravo, ora tiralo su, lentamente”

Certamente si riferiva al costume, perché il resto era già su’ e non lentamente.

Iniziai a srotolarlo, come diceva lei. Lo calzava benissimo, senza difficoltà. Chi era a disagio ero io, perché non c’era modo di nascondere la mia prepotente eccitazione. Ero arrivato alle braccia, che entrarono nelle spalline, le accomodai.

‘Cura che non vi siano false pieghe, Piero.’

Era un invito gentile, amorevole, allettante.

Le mie mani s’attardarono sui glutei, sul ventre piatto, sul petto florido, passando e ripassando.

‘Guarda che’ in mezzo alle gambe non’ fuoriesca qualcosa d’inopportuno”

M’inginocchiai.

‘Si’ veramente”

‘Metti tutto a posto.’

Divaricò un po’ le gambe. Si vedeva solo qualche invisibile peletto, ma operai lentamente e diligentemente, come se dovessi raccogliere sotto la stretta striscia che la copriva, una ribelle e folta criniera. Era delizioso sentire sotto le dita quei dorati fili di seta, ed era inebriante percepire il turgore delle grandi labbra che mai avrei immaginato, sperato, di poter sfiorare.

Decisi di dichiarare che era tutto a posto. Mi alzai.

Mi pose le mani sulle spalle e mi fissò negli occhi.

‘Allora, mio geloso custode, va bene cosi?’

‘Per gli altri!’

‘Come per gli altri? E per te?’

‘Ti preferivo prima”

‘Prima, quando?’

‘Prima di aiutarti a indossare il costume.’

Col dorso della mano, sorridendo, colpì lievemente la mia erezione.

‘Monello!’

Mi sfiorò le labbra con un bacio.

‘Sbrigati, che ho voglia di nuotare.’

Mentre mi avviavo a cambiarmi, le chiesi se avesse optato per il tour in città o il museo.

‘Per una terza soluzione’ sbrigati.’

Andò al balcone.

^^^

La nave si avvicinava rapidamente al porto.

Ci avevano chiesto se desideravamo consumare il lunch prima del solito, per partecipare ad una delle visite. Selma rispose che preferiva riposare, a bordo. In tal caso, ci informarono, la nostra serie sarebbe stata serviva alle 13.45.

La fretta per la nuotata sembrava essersi spenta. Si andò a sistemare su una delle sdraie che erano lungo la piscina, non lontane dal bar, poco discoste dalla scaletta d’accesso, in seconda fila, davanti alle scialuppe di salvataggio. Un po’ in disparte. Non tolse neppure il prendisole. Sedetti nella sedia a fianco alla sua.

‘E la nuotata, ma’?’

‘Posso?’

‘Perché, adesso hai bisogno del mio permesso?’

Mi guardò divertita, sorridendo. Allungò la mano e prese la mia.

‘Credo proprio di si. Mi sembri più severo del guardiano dell’arem’ capisco, però, che certe manipolazioni su te non sono state’ operate”

Il suo sorriso, ora, era decisamente malizioso.

Non riuscivo a stabilire se afferravo o meno il senso della sua ironia.

‘Non credo di aver compreso”

‘Va là, che per te dovrei i nuotare con tanto di scafandro”

Accettai la provocazione.

‘Certo. Meno, però, quando siamo solo noi due in piscina!’

‘In tal caso cosa dovrei indossare?’

‘E’ sufficiente ciò che la natura ti ha generosamente donato.’

‘Monello. Galante e sfacciato.’ Divenne seria. ‘Comunque non io devo essere, per te, causa di contrarietà, tanto meno di tormento, dolore’ o che so”’

Mi baciò la mano. E rimanemmo così, fin quando non fu ora di prepararsi per il lunch.

^^^

La nave aveva avuto il permesso di attraccare non molto distante dalla colonna dalla quale dominava Cristobal Colòn, come i Catalani chiamano Cristoforo Colombo. E la perfetta copia d’una sua caravella si dondolava a pochi metri. A quell’ora il traffico del Paséo, pur sensibile, non era intenso come nelle ore di punta.

Selma ed io eravamo saliti al solarium, dal quale si spaziava tutto intorno. A bordo eravamo rimasti in pochi.

‘Piero, sono le tre. Io prenderei un bel caff&egrave prima di riposare. Tu?’

‘Il guardiano &egrave al servizio della padrona!’

‘Sciocchino.’

Il bar era due ponti più sotto, su quello dov’era anche la nostra suite.

Un ottimo espresso, come sempre. Il barman augurò buon riposo.

Fui rapidamente sul mio letto, coi soli pantaloncini del pigiama, le mani dietro la nuca, guardando il soffitto.

Selma non aveva voluto chiudere le tende del balcone, desiderava la luce,

Mi attendevo di vederla sbucare dal bagno nella sua rossa camicia, che aveva presa dall’attaccapanni. Dopo poco apparve’ ma aveva dimenticato di indossarla.

Era il giorno in cui sarei morto d’infarto.

Andò al suo letto, s’infilò sotto il lenzuolo tirandolo fino alle ascelle. Si voltò su un fianco, col volto verso me. Una grossa tetta occhieggiava incantevolmente.

Dopo un po’ sembrò dormire.

Avessi potuto dormire anche io.

Sonno.

Hypnos figlio della notte e gemello di Thanatos, la Morte, benefico e consolatore.

Sonno, seconda portata al desco della natura, dice Shakespeare, che ci alimenta e ci parla del regno di Morfeo, dalla cui porta d’avorio escono i sogni.

Dormire, sognare, invece che torturarmi nella realtà.

Tornai a fissare il soffitto.

Forse era meglio alzarsi e fuggire da quel Sancta Sanctorum, luogo di tentazione,perdizione,tormento.
Maledetta Crociera!

Ero così preso da quella ossessione, che non mi accorsi che Selma era in piedi, accanto al mio letto, diabolicamente nuda.

Si, diabolicamente, perché solo l’inferno, forse, m’avrebbe potuto procurare simile pena.

Mi guardò. Seria. Con un’espressione che mi ammaliava, mi irretiva.

‘Non &egrave giusto, Piero!’

‘Non &egrave giusto cosa?’

Mi tese la mano, prese la mia, la tenne stretta.

‘Non &egrave giusto soffrire così. Non &egrave giusto per te. Non &egrave giusto per me!’

‘Cosa c’entri tu? Cosa soffri tu?’

‘Soffro doppiamente: per quello che ti causo, per quello che mi strazia”

La guardavo sbigottito. Avevo capito bene? Qualcosa la straziava.

‘Ti strazia?’

‘Dilania le mie viscere, sconvolge la mia mente. Non &egrave giusto!’

Come se fosse in trance, tirò ai piedi del letto il lenzuolino che mi copriva. Con gesto rapido e deciso mi sfilò i pantaloncini. Si mise a cavallo del mio pube, dove svettava la mia incontenibile eccitazione. Erano le sequenze irreali d’un sogno.

Afferrò il glande, lo poggiò alle palpitanti labbra della calda vagina, s’impalò con sapiente e voluttuosa lentezza. Si fermò. Si chinò su me. Il capezzolo lungo e scuro fu accolto dalle mie labbra golose. Lo succhiai, da prima piano, poi sempre più’ sentivo le contrazioni della vagina rispondere al succhio, stringermi in lei, mungermi voluttuosamente.

Cominciò a muoversi.

Comprendevo, anche senza conoscerlo, il suo piacere, il godimento che la invadeva sempre più. Le stringevo le natiche senza tralasciare di poppare quelle incredibili tette.

Ora gemeva, Selma, deliziosamente, con gli occhi socchiusi, le labbra semiaperte, la testa riversa indietro. Non capivo se era più intenta a darsi o a prendermi. Fu percorsa da lunghi fremiti, i gemiti divennero grido, s’abbassò su me. Ero io, adesso, a non fermarmi, finché non sentii fluire da me un fiume incantevolmente liberatorio che l’invase con suo grande godimento. Era la prima volta che conoscevo l’orgasmo d’una donna. E quale orgasmo.

L’orologio sul tavolino segnava le 16.00.

Ventiquattro ore innanzi era iniziata la mia prima crociera..

Benedetta crociera!

S’era poggiata sui gomiti. Un po’ sudata, gli occhi radiosi, un’espressione che non le avevo mai visto. Mi venne spontaneo pensare alla ‘Trasfigurazione’. Il suo volto brillò come il sole! Ed anche per noi era bello stare lì’ vivevo un senso di sgomento, mi sembrava essere in un’altra dimensione, che da un momento all’altro dovessi udire una voce: questo &egrave mio figlio, l’eletto’

La voce di Selma, dolce, tenera, e nel contempo sensuale, passionale, che tra un bacio e l’altro, sugli occhi, sulle labbra, mi sussurrava la sua felicità per avermi fatto felice, e la sua felice sorpresa d’essere stata anche lei inaspettatamente felice.

‘Il mio Pierino. Più mio che mai”

I suoi baci risvegliavano i miei sensi, mai del tutto sopiti, e il risveglio era accolto da rinnovati voluttuosi palpiti del suo grembo che ancora mi serrava avidamente in lei.

Era bello carezzarle le natiche, che rispondevano contraendosi, aumentando gli spasmi della vagina.

Mi strinse forte e, tenendomi così avvinto, senza lasciarmi sgusciare da lei, si girò, piano, sì che le fui sopra. Allora strinse le gambe sul mio dorso e inarcò il bacino per farsi più profondamente penetrare, o meglio per sentire meglio la spinta del mio fallo sul fondo caldo e accogliente del suo sesso. Cominciai a muovermi, istintivamente, e lei accompagnava con grande passione, con incalzante ardore. Ogni diga di innaturale ritegno era crollata, e sentivo la femmina che cercava ansiosamente il suo piacere. Raggiuntolo, gemendo, seguitava, ancora ed ancora, per rinnovarlo all’infinito. Il mio seme che si spargeva il lei era accolto con liberatori sospiri, come balsamo anelato.

‘Sei meraviglioso, bambino mio’ meraviglioso’ non avrei mai immaginato”

Sei tu splendida, al di là di ogni sogno.’

‘Era questo che volevi?’

‘Siiii!’

‘Anche io, tesoro, e non lo sapevo. Non immaginavo che, con te, mi sarebbe piaciuto più di orni altra volta. Ero assetata e non lo sapevo’ Avevo la fonte limpida e fresca e non l’avevo scoperta’ Dimmi, ti ha deluso la vecchia Selma?’

‘La più giovane delle giovani”

‘La tua prima volta?’

‘Grazie’ grazie”

‘Ancora?’

La risposta fu evidente

^^^

Lo scalpiccio soffocato del corridoio ci disse che erano tornati a bordo i gitanti di Barcellona.

Trillò il telefono sul tavolino, vicino al letto.

Facemmo finta di non sentirlo.

Insisté.

Allungai la mano, riuscii a prendere il ricevitore, portandolo all’orecchio, senza tralasciare nulla, cercai di rispondere con voce normale.

‘Pronto?’

‘Pronto? Pierino sono papà, dove siete?’

‘Stiamo lasciando Barcellona, e tu?’

‘Alla base. La mamma dov’&egrave?’

‘Sotto la doccia.’

‘Baciala per me, Pierino.

Telefonerò appena posso. Mi raccomando, devi esserle molto vicino, vicinissimo, e non devi farle mancare nulla. Devi riempirle il vuoto che le causa la mia lontananza. Mi raccomando. Pensaci tu.’

‘E’ quello che sto facendo, papà!’

La linea satellitare s’interruppe.

Non io.

Selma mi stava donando il meglio di sé, ed io, in lei, esprimevo il meglio di me.

Benedetta crociera!

^^^

Suono della sirena. Lento muoversi della nave che si staccava dal molo.

Abbracciavo forte Selma, alle sue spalle, col sesso tra le sode e prensili natiche, una mano sulla tetta e l’altra che approfondiva sempre più la conoscenza col suo boschetto dorato, con quelle labbra che anelavo baciare, col piccolo bocciolo che le mie dita titillavano felici.

Voltò il suo incantevole volto verso me.

‘Pensa che bello, se dal fiore del mio giardino sbocciasse un altro fiore.’

Non compresi bene il senso delle sue parole, ma la punta del mio grosso e avido tulipano entrò di nuovo nel giardino delle delizie, e vi trovò quello che aveva sempre sognato: calda ed appassionata accoglienza.

‘Piero, piccolo mio, sei bellissimo, stupendo. Non immaginavo di stare così bene con te. E’ una cosa anormale”

‘Anormale volersi bene?’

‘Ammettilo. Non dovevamo farlo’ anzi io non dovevo farlo.’

‘Pentita?’

‘Ti sembro pentita o non, piuttosto, pazza?’

‘Pazza?’

‘Si, di te.’

Mi baciò furiosamente, e di colpo s’allontanò da me.

‘Dobbiamo prepararci per la cena, e”

‘E’?’

‘Niente, ne riparleremo.’

^^^

Dopo cena andammo sul bridge dove non c’era nessuno

Non era stata molto loquace, per tutta la sera.

Era elegantissima, bellissima.

Sedemmo sul divano a due posti. Mi prese la mano, come usava fare.

‘Piero, sono turbata’ sconvolta.. Non interrompermi, lasciami parlare, o non ne avrò più il coraggio’ Non &egrave facile’

Avevo visto, compreso, che la mia vicinanza ti eccitava. Ad un ragazzo della tua età, col tuo fisico esuberante, senza particolari esperienze in materia, accade di far prevalere la femmina su ogni altra considerazione.

Ho meditato a lungo.

Potevo farti soffrire?

La promiscuità della crociera ti costava troppo cara.

Pensai di sbarcare a Barcellona, di tornare a casa. Sarebbe servito? Ti saresti calmato? Forse, a terra, avresti trovato una ragazza, una donna, che avrebbe sedato quelli che consideravo i tuoi bollenti spiriti.

Poi mi venne in mente che se fossi riuscita a deluderti, mi avresti, in seguito, considerata la matusa che in effetti sono.

Zitto, non interrompermi.

Sono venuta nel tuo letto. Ti ho fatto entrare in me. Sapevo che era la tua prima volta, ma non potevo immaginare che, in un certo senso, sarebbe stata anche la mia prima volta. In effetti lo era, considerando chi sei tu e chi sono io. Ma era anche la prima volta che provavo simile voluttà nel sentirmi penetrata. Non era un maschio, in me, eri tu. Pensai a Giocasta. Ma lei non sapeva chi le stava facendo conoscere orgasmi mai provati. Io si!

Volevo godere. Ho goduto! Come non mai. E così pure dopo, e dopo ancora.

Il tuo seme scoppiava nel mio ventre e nella mia testa.

Il tuo sigillo mi marchiava, mi bollava come tua e ne ero felice, alla follia. Ed era follia ciò che stavo facendo.’

Tacque, respirando a fatica.

Ero spaventato per quello che avrebbe ancora detto.

‘Allora, ma’?’

‘Non vedo l’ora di averti ancora, di donarmi ancora a te. Il solo pensiero mi provoca i brividi, mi eccita.’

Non ci importava se e chi potesse vederci. Ci abbracciammo e baciammo quasi con furia, e ci saremmo congiunti, lì, sul momento, se la sirena, strana a quell’ora, non ci avesse richiamato alla realtà.

^^^

Mi fermai sul balcone, mentre era sotto la doccia. Era quasi mezzanotte.

Il cielo era rischiarato da una luna piena e luminosa, che inargentava la scia. Mi sembrava respirare strane essenze esotiche. Ma l’Africa era troppo lontana, avevamo lasciato Barcellona da solo sei ore. Avevamo percorso poco più di 120 miglia, ma io sentivo profumo dappertutto. Guardai in cabina. Era illuminata solo dal riverbero della luna.

Selma aveva spento tutto. E lei era una macchia rossa, la sua camicia, sul candore del letto.

Entrai, chiusi il balcone.

Così, al buio, andai a prepararmi, nel bagno. Non indossai nulla. Sedetti ai suoi piedi. Desideravo posare il capo sul suo grembo. Sollevai la camicia, vi adagiai il viso. Venne accolto da un morbido prato di seta che sentii risvegliarsi al mio tocco. La mia bocca vi si tuffò, curiosa e golosa. Le gambe si dischiusero lentamente. La lingua lambì le sue grandi labbra. Una sensazione indescrivibile. Aveva posato le mani sul mio capo, mi carezzava teneramente. Sentivo il tepore della sua carne, il profumo, il sapore. Ecco il piccolo clitoride che mi veniva incontro, m’invitava a lambirlo, suggerlo. Le piccole labbra palpitanti. La frugavo dentro. Uno sconosciuto inebriante gusto, lievemente salato. I suoi umori, il modo di farsi sentire mia, di volermi suo. La lingua la penetrava e si ritraeva. Il suo grembo era un palpito crescente. Le sue dita erano divenute irrequieta, regolavano il movimento della mia testa . La sentivo sussurrare.

‘Piero’ così’ sì’ Piero”

Ebbi la sensazione ‘o era vero?- che in lei distillasse qualcosa di delizioso per la mia sempre più frenetica lingua. D’un tratto, inarcò il bacino, mi strinse fortemente a lei.

‘Oddio’ oddio’!’

Con voce strozzata, e giacque esausta.

La mia eccitazione era violenta. Lo sapeva.

‘Vieni’ vieni”

Salii su lei, mi guidò in lei, mi accolse con un lungo sospiro stringendo voluttuosamente il mio impaziente fallo nel tepore fremente del suo ventre.

La mattina ci salutò, abbracciati, sfiniti nel fisico, per le insuperabili leggi della natura, ma non paghi.

Selma mi carezzava il volto. Le sue dita sottili avevano sempre avuto il potere di sedarmi, ed ora univano anche il dono di rendermi felice. Sentivo il oro l’invito a dimostrarle ancora la mia passione, il mio desiderio. Non era solo l’entusiasmo di avere, finalmente, il giocattolo tanto anelato, l’avidità dell’affamato. Era, invece, l’appassionata tenerezza (posso dire così?) per un sentimento che da confuso e turbolento era esploso nella sua vera essenza fino allora soffocata da certo innaturale moralismo, da bigotta censura, some se per desiderare una donna, o un uomo, si dovesse prima fare indagini all’anagrafe.

Avrei mai più avuto una donna che conoscevo come e quanto Selma? E che da sempre era mia come io ero da sempre suo?

‘Pierino, &egrave incantevole stare con te. Purtroppo ci sono anche delle forme da salvare. E poiché &egrave certo che le cose desiderate sono le più belle, io voglio desiderarti, e spero che anche per te ogni volta sarà ancora più bello, se sarò capace, come spero, di farti felice. Dobbiamo partecipare alla vita e alle attività che si svolgono fuori di questa cabina. Potremmo andare in piscina.

Mi permetti di mostrarmi agli altri nel castigato costume olimpionico? Possiamo andare al cine, agli spettacoli della sera?

Domani saremo a Casablanca, Dar el Baida, se sei d’accordo faremo la gita a Marrakesh. Staremo vicini nel viaggio, sempre, e ciò ci farà sentire sempre più forte il desiderio di tornare qui, così, come adesso.’

Mi dimostrò ancora come avrebbe saputo mantenere le sue deliziose promesse.

La sua galoppata lunga e voluttuosa confermò la sua abilità di amazzone appassionata, e i suoi palpiti accolsero con più entusiasmo che mai il mio prorompere in lei.

(Il mio nardo effonde il suo profumo

‘ sono entrato nel mio guardino,

ho raccolto la mia mirra col mio balsamo

‘Le curve dei tuoi fianchi sono come monili’

Il tuo ventre &egrave un mucchio di grano contornato di gigli’

I tuoi seni somigliano a due caprioli’)

Le nostre notti furono alimentate dal Fuego di Lanzarote, dal Teide di santa Cruz. Scendemmo, abbracciati, il Terriere de Lesta, nei ‘cestinhos’ di vimini di Madeira. Rubammo baci sfuggenti alle ombre dell’Alhambra di Granata.

Giunse, troppo presto, il rientro a casa.

Il taxi ci aveva lasciato dinanzi al cancello poco dopo le 14. Decidemmo di consumare un rapido brunch nel locale poco lontano.

Era stata magnifica la crociera, ma home sweet home, casa dolce casa.

Non vedevo l’ora di amarla sulla terra ferma.

Notai qualche incertezza nei suoi occhi. La casa l’aveva resa pensosa.

‘Va in camera tua, Piero. Aspettami lì”

Fu dolce e appassionata, come sempre.

Decise, poi, di far portare qualcosa di pronto per la cena.

Era splendido essere qui, noi due soli, con lei in vestaglia, i capelli sciolti sulle spalle.

Apparecchiai in veranda.

Mi disse che avrebbe fatto un bagno tiepido, ne sentiva il bisogno. Nella sua vasca. Voleva abbandonarsi al corso dei suoi pensieri.

‘Scusami Piero, verrò fra un’ora, per la cena.’

Ne profittai per una rapida doccia e per un disordinato zapping televisivo.

La porta della camera di Selma era chiusa. Ogni tanto, pur senza ragione, ci passavo davanti.

Finalmente ne uscì, elegantissima, appena truccata.

Sul suo letto scorsi il vermiglio della camicia da notte.

Cena allegra, con scambio di piccole attenzioni.

Un drink, sul divano, guardando distrattamente la televisione, come una vecchia coppia.

Non sapevo come comportarmi, cosa fare. Non c’era più la limitatezza della cabina a stabilire le cose.

Selma era più bella che mai.

Ormai conoscevo quella espressione del suo volto: la Trasfigurazione..

Si alzò, mi tese la mano, si avviò verso il corridoio, spense le luci, mi condusse nella sua camera da letto. Accese il lume sul comodino, lasciò cadere vestaglia, reggiseno, slip. Infilò la camicia da notte, si distese sul letto. Ero restato in piedi, confuso.

Mi indicò il posto accanto a sé, nel suo letto.

‘Vieni!’

^^^

Papà ci aveva fatto sapere che purtroppo (per lui!) la sua assenza sarebbe stata abbastanza lunga, almeno quattro mesi.

Nessun commento da parte di Selma.

La vita scorreva sul piano della normalità quotidiana, e della passione notturna (spesso anche pomeridiana’ mattutina’).

Ognuno era tornato alle proprie occupazioni: scuola, laboratorio.

L’amavo e la desideravo più che mai.

‘Non posso fare a meno di te, Piero. Sono felice di renderti felice. Ti donerei anche la vita, se necessario.’

Il tempo trascorreva, troppo veloce.

Papà telefonò: sarebbe tornato tra dieci giorni.

Quella notizia sembrò eccitarla. Non era mai stata così ardente, passionale, avida.

Non dormimmo tutta la notte.

L’indomani mattina, un lunedì, disse che doveva consultare un medico. A pranzo, molto serenamente, mi informò che doveva subire un piccolo intervento ambulatoriale.

La guardai preoccupato.

‘Niente di importante, Pierino, piccole cose di donne. E’ per domani.’

‘Ti accompagno.’

‘Preferisco di no. Viene la mia amica Lina, ed ho già avvertito la colf di quello che mi serve e quello che deve fare nei due prossimi giorni, nei quali &egrave bene che resti a casa, per pura precauzione.

Tu, Piero, dovrai andare a dormire in camera tua.’

‘Perché?’

‘Meglio così, poi ti spiegherò.’

Mi riammise nel suo letto quattro giorni dopo, con la solita dolcezza di sempre. Forse maggiore.

Senza parlare, prima di accogliermi in lei, infilò sul mio fallo impaziente un profilattico. Fu bellissimo anche così.

Già, non ci avevo mai pensato.

E non avevo mai riflettuto che durante tutto quel tempo lei non aveva mai avuto manifestazione fisiologica della sua femminilità.

Lo compresi successivamente, quando, dopo il rientro di Vittorio al primo dei nostri incontri, che furono meno frequenti ma sempre più belli, sparì pure l’impiccio del preservativo. Mi confidò all’orecchio, mentre mi scaldava col suo corpo meraviglioso.

‘Prendo la pillola, Piero. Non l’avevo fatto prima. Tuo padre non c’era.’

Ma non mi disse mai quanto le costò rinunciare al ‘fiore del suo fiore’.

Quindi, non avrei mai conosciuto il mio figlio e fratello.

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