Nervosismo e irritazione, ecco cosa provava in quel momento Mark Drefford, mentre cavalcava il suo stallone nero, la meta era sconosciuta. Al suo fianco, la bella sorellastra Kate, che aveva appena compiuto diciotto anni. Studentessa modello e fisico statuario e… grandissima stronza, che si divertiva a sminuirlo e a contrastare ogni sua scelta. Da quando sua madre aveva deciso d’andare a convivere con il nuovo compagno, tutto si era complicato: la vita era diventata un vero inferno. Per quanto affascinante e sensuale, la sorellastra era una vera Arpia. A causa sua, gli era stato negato l’utilizzo della Wolkswagen; gli era stato vietato di frequentare un paio d’amici e di andare in discoteca il sabato sera, fino a nuovo ordine.
Adesso cavalcava serena in sella a Roket, una giumenta dal lucido manto colore della neve, mentre esaltava a voce alta le sue doti di cavallerizza.
«Potresti chiudere il becco? Mi sta venendo il mal di testa!» La rimbeccò Mark, irritato.
«Come siamo suscettibili oggi, dovresti ringraziarmi invece. Se non fosse stato per me, il nonno non ci avrebbe mai affidato i suoi migliori cavalli.»
«Nessuno te l’ha chiesto. E ti ricordo che sono stato contrario sin dall’inizio a passare il weekend in una triste fattoria, a spalare merda di vacca e ingozzare maiali!»
Kate, tirò le redini e rallentò. Mark, la imitò virando appena. Nello sguardo della sorellastra si leggeva chiaramente lo sdegno che provava.
«Oh, certo! Sarebbe stato di gran lunga più divertente andare a caccia di puttanella in qualche squallida discoteca di periferia, vero?»
Mark guardò per terra e ridacchiò sotto i baffi:
«Sei patetica! Se non hai una vita sociale non puoi farne una colpa a me. Però, ti avverto ancora una volta: non provare a distruggere la mia, non te lo lascerò fare, dolcezza.»
«Tesoro, la mia vita sociale è decisamente più interessante della tua. Sotto ogni punto di vista.»
«Quella specie di biondino che frequenti… sarebbe lui l’esempio di quello che intendi per “socializzazione”?» Mark rise, volutamente sarcastico.
«Non sei degno nemmeno di nominarlo, il mio Jason; al contrario di te, si guadagna da vivere col sudore della fronte. Non campa sulle spalle dei suoi.»
«Ah, certo! Un mestiere duro, quello di rispondere al telefono, nell’ufficio del padre. Porgere gli attrezzi al “vecchio” per trapanare i denti…eh sì! Una vita difficile la sua.»
Kate sbuffò e poi diete un colpo di speroni alla cavalla. Ripartì al galoppo, senza più degnarlo d’uno sguardo.
«Centro!» Esclamò il giovane, compiaciuto e scattò a sua volta.
Dopo alcuni minuti il paesaggio mutò. La prateria cedette il posto a una fitta boscaglia. Avanzare a cavallo era impossibile, Kate scese di sella e le legò le redini al tronco di un albero. Mark, giunse pochi istanti dopo.
Vide la giumenta e si chiese dove fosse finita la sorellastra. Scese a sua volta, per permettere al suo animale di riposare un po’.
Lievemente nascosti dal sottobosco notò dei ruderi e vi si diresse. Sembravano i resti di un Castello o forse di una vecchia Cattedrale. La maggior parte delle mura erano crollate e la sterpaglia aveva invaso ogni pietra, sovrastandola. Era evidente che ben pochi viandanti si avventuravano in quella forra, chissà da quanti anni.
«Aspettami qui», disse allo stallone, assicurandolo a un ramo. L’animale dava evidenti segni di inquietudine, forse per l’atmosfera ovattata e silente che circondava quei ruderi dimenticati. Gli carezzò il muso umido e quello, per tutta risposta, nitrì, effettuando un breve scarto. e, in tutta risposta nitrì. Mark si avviò, cercando le tracce di sua sorella; non era facile farsi largo tra gli alti rovi. Incespicò un paio di volte e si graffiò le mani incappando negli insidiosi sarmenti pieni di spine arcuate.
Intorno a lui l’aria odorava di muschio e pino selvatico. Respirò quell’ essenza che riportava alla luce vecchi ricordi, i campeggi con gli amici, le escursioni nei boschi.. Mentre avanzava verso la struttura, i dettagli delle sculture e dei gargoyles di pietra, apparivano sempre più precisi e nitidi. Si trattava di una chiesa, giaceva abbandonata, in balia della vegetazione selvatica. Tutt’intorno regnava un reverenziale silenzio.
Sembrava un luogo abbandonato da Dio, in balia delle intemperie e destinato al degrado.
Udi un cigolio poco lontano che attrasse la sua attenzione. Corse e notò che l’antico porticato di legno massiccio, quasi ciondolava trattenuto soltanto da un ultimo, grossolano perno, completamente arrugginito. Con la mano scostò di poco l’anta cadente e riuscì a sbirciare all’interno. ante e pigiò. Al suo sguardo si offriva ciò che restava in piedi di una grande navata; ai lati, vecchie statue grossolane, ricoperte da muffa antica. C’erano anche dei grandi candelabri, con ciò che restava dei ceri disciolti da tempo. Sulle pareti laterali, era evidente l’opera dei soliti vandali, dissacratori: abbozzati con spray lo nero, i classici simboli satanici e stelle a cinque punte, con l’apice rovesciato. Alcune scritte, inequivocabilmente maligne.
Parzialmente, il vecchio pavimento di pietra era ricoperto da un tappeto, sbiadito. Probabilmente in passato doveva essere stato bordò. Era a stento riconoscibile, costellato di strappi, chiazze di fango e macchi di antica umidità. Misteriosamente, nella chiesa abbandonata, avevano resistito all’opera dei vandali persino alcuni affreschi, notevolmente sbiadito, sui quali era difficile identificare che cosa vi fosse stato ritratto.
«Ehi?» gridò. Ma la voce rimbombò e si perse nel vuoto.
Avanzò circospetto fino a raggiungere la breve scalea che conduceva a quello che era stato un altare. Era inquieto: la luce penetrava a fatica, dai luridi mosaici di vetro multicolore. Un angelo marmoreo lo fissava gelido; stringeva tra le dita una bilancia, di sicuro a simboleggiare la Giustizia… oppure la Pena.
«Kateeeeee!» gridò nel silenzio, formando una coppa con le mani per farsi sentire. Silenzio di tomba, era chiaro che la sorellastra non si trovava in quel luogo.
Voltò le spalle all’altare deciso a ritornare sui suoi passi, quando “qualcosa” lo spinse alle spalle, con forza. Impreparato, perse l’equilibrio e cadde in avanti. Si voltò disorientato e poi, tirò un sospiro di sollievo.
«Ho sfiorato l’infarto, stronza!» Esclamò imbestialito.
La ragazza incrociò le braccia e lo fissò dall’alto, divertita:
«Mi sembrava il minimo, visto quello che hai detto di me. Così impari; certe osservazioni potresti tenerle per te. » poi, cambiando repentinamente atteggiamento, aggiunse, «Però hai visto che posto pazzesco? Avrà almeno cento anni…»
Mark, si tirò su alla svelta, cercando di spolverarsi le maniche della camicia a scacchi blu e bianchi:
«Centoventi per l’esattezza. Non hai visto la data incisa su ciò che rimane del frontespizio? Sì, non male, devo ammetterlo, un posto assai intrigante, e…»
«E… cosa?»
«E grazie per avermi fatto scoprire questo posto.»
«Leggi troppi libri dell’orrore.» disse Kate, stuzzicandolo come al solito.
«Riesci a immaginare quanta storia, quante vite son passate da questa chiesa, in tanti anni?» disse Mark, infervorato.
«A giudicare dalle scritte sulle pareti, anche molte teste di cazzo!»
«Quella roba è magia nera. Meglio non scherzare con queste cose…»
«Non credo alla magia, di qualsiasi colore, e non credo nemmeno al “teletrasporto”, sarà il caso di rientrare, prima che faccia buio.» S’incamminarono decisi verso il vecchio portale. Erano quasi in prossimità dell’uscio, quando l’anta malsicura, slittò su se stessa e si richiuse con fragore. Mark, preoccupato e sorpreso, indietreggiò.
«Hai…hai visto?» Farfugliò allarmato. «Com’è possibile? Non c’è un alito di vento.» Si avvicinò alla maniglia e la strattonò con forza.
La ragazza, in maniera del tutto incomprensibile, scoppiò a ridere e Mark si voltò vero lei irritato.
«Cosa cazzo ci trovi di divertente me lo spieghi? Questa vecchia porta si è bloccata! Non c’è anima viva, intorno… come usciamo?»
«Su Mark, non essere così turbato. Dopo tutto, avremo la possibilità di starcene un po’ insieme, soli soletti.»
Il giovane la guardò come se quelle parole le avesse profferite un’aliena.
L’aveva davvero sentita pronunciarle? Sembrava diversa, persino la voce aveva acquisito un timbro anomalo.
«Divertente davvero! Sai che ore sono? Ci rimangono a occhio e croce, un paio d’ore di luce. Dobbiamo affrettarci, altrimenti ci toccherà passare la notte in questo buco di merda!»
Lei, con strafottenza, ancheggiò lentamente sino all’altare; saltò sopra il piano di granito e gattonò un po’, sinuosa come un felino. Accovacciandosi, l’abitino di maglina bianco si sollevò evidenziando i fianchi generosi e il bordo degli slip di pizzo. Sorrise maliziosa e, con l’indice, lo invitò a raggiungerla.
Mark s’inumidì le labbra arse:
«A che gioco stai giocando?» Chiese serio. «Non sono in vena di certe cazzate, adesso.»
«Io sì.» Sussurrò lei lasciva. «Sono tutta per te. Cosa aspetti? Vieni a prendermi.»
Il ragazzo deglutì a vuoto. Era chiaro che la sorellastra lo stava prendeva in giro e, viste le circostanze, non gli pareva proprio il caso. Sbuffò seccato. Poi si decise e tornò indietro, deciso a non dare importanza alla superficialità dimostrata dalla sorellastra. Una volta salito sui gradini, poggiò le mani sul bordo dell’altare e iniziò a tamburellare con le dita, cercando di concentrarsi alla ricerca di una veloce soluzione.
«Scendi!» le ordinò con tono serio e che non ammetteva repliche.
Ma lei scosse il capo, strafottente. Si sdraiò sul marmo freddo e prese a sbottonare, uno a uno, i minuscoli bottoni del corpetto operato, in vellutino.
«Che diavolo fai?» Fece lui prendendole la mano. «Okay, adesso basta! O vieni con le buone, o ti carico sulle spalle e ti strappo di qui con la forza.»
«E fallo!» lo provocò.
«Ma smettila, irresponsabile, ti sembra il momento…»
«Dai fallo, fammi vedere che uomo sei!»
Mark scosse il capo incredulo. «Tu sei matta: completamente fusa. Tu…tu hai bisogno di uno psicologo, credimi.»
La giovane, con un gesto fulmineo, afferrò il fratellastro per il collo della camicia. I suoi occhi, fissi nei suoi, lo sfidarono: «Lo sai che questa “puttana” ha un debole per te? Lo sapevi Mark?…sapevi che ti sogna di notte, da quando vi siete incontrati? Sei diventato un desiderio estremamente morboso, tesoro.»
Intanto stringeva il suo collo con una forza che non le conosceva, Mark dovette afferrarle le mani e strattonarle con tutta la forza, forse senza volerlo ma lo stava quasi soffocando. La guardò veramente stupito, mentre si massaggiava il collo indolenzito.
Non era possibile. Non poteva avere tutta quella forza, non poteva aver detto davvero quelle parole!
Lei ghignò, in maniera quasi animalesca, poi si dedicò al corpetto con maggio frenesia, con lo scopo evidente di liberarsi il petto. Ci riuscì e gettò a terra l’indumento. I seni, ormai liberi, esplosero in tutta la loro bellezza: prosperosi e chiari. Uno sfacciato invito, per qualsiasi uomo ad andare oltre.
Si mise in ginocchio. Allungò le mani verso il fratello che, sconvolto da quella visione, adesso era incapace di opporre resistenza. Le lasciò strappare i bottoni nella furia che l’aveva invasa di liberargli il torace, muscoloso e abbronzato.
Avvicinò le labbra carnose all’orecchio del ragazzo e sussurrò melliflua:
«Facciamo un gioco: tu mi fai godere e io, ti lascio vivere.»
Mark sbiancò, cuore e mente in contrasto, incapace di comunicare tra loro. La voce profonda della ragazza, era certo che non fosse la sua. Come poteva fingere così bene?
Eppure l’affascinava, lo inquietava, adesso era schiavo di lei. La voleva. Sì, la voleva, non si era mai accorto di quanto la desiderasse. Al punto che adesso, il tessuto dei jeans,ggli bloccava dolorosamente il membro, fattosi improvvisamente gonfio e turgido.
Con movenze feline, lei scese dall’altare. Si sfilò i sandali lasciandoli sul pavimento. Avanzò a piedi nudi fino a lui e gli diede uno scossone:
«Inginocchiati, davanti a me!» Ordinò gelida.
Lui non obbiettò. Era troppo affamato, accecato da quel corpo perfetto che lo reclamava. Fece quanto richiesto. Kate sollevò la gonna scoprendo il suo fiore velato, da un esile drappo di pizzo trasparente. Sollevò una gamba e gli poggiò il tallone sulla spalla. Mark percepì i suoi pensieri: la catturò per i glutei sodi. Li strinse prepotentemente tra le dita, e immerse il viso tra le sue cosce. Con tocchi lenti e sinuosi della lingua, accarezzò l’indumento. Lo bagnò delicatamente. La ruvidità del tessuto gli pizzicava la lingua e al contempo, gli procurava piacere. Il delizioso sapore di quella carne delicata, gonfia di baci, gli impregnava le labbra. Lei lo afferrò per i capelli castani, costringendolo a continuare. Ansimante, ma voglioso, tirò il tessuto tra i denti, fino a creare una breccia. La punta della lingua s’insinuò dentro di lei. Stuzzicò il clitoride, piccolo e gustoso. Lo succhiò con calma, assaporò ogni centimetro, lasciando che la saliva, inumidisse dolcemente la fessura delle piccole labbra. Era succube e incatenato perversamente a lei. Si sentiva schiavo. La mente appannata, incapace di qualsiasi altro pensiero che non fosse quel corpo così provocante. La lingua penetrò in profondità. Lei sussultò a quel tocco caldo che ambiva a deflorarla. La sorellastra chiuse gli occhi, inarcò il collo godendo di quelle attenzioni sempre più invadenti che la facevano impazzire. La lingua guizzava dentro di lei. A ogni tocco, mugolava di piacere. Mark, con la bocca impregnata di quel sapore, leccò ogni centimetro di quella pelle rosea come fosse un frutto proibito.
Kate sospirò deliziata. L’eccitazione aveva ormai raggiunto il culmine. Gli catturò il viso e lo fece affondare violentemente tra le cosce. Venne, e inondò la bocca del fratellastro senza pudore. L’adrenalina scorreva impetuosa nelle sue vene, annebbiandole la mente. Si accarezzò intimamente. Catturò la sua essenza e la strofinò sulle guance del fratellastro. Odorava di sesso. Mark, le afferrò la mano. Leccò le sue dita affusolate come un cane devoto.
«Alzati bastardo!» Riprese la sorellastra.
Ancora una volta, il giovane eseguì. Kate sorrise maliziosa. Con gesti nervosi, gli sfilò la cintura dai passanti. Diabolicamente, l’avvolse come una sciarpa attorno al collo del ragazzo e bloccò la fibbia. Tirò un’estremità creando uno stabile cappio. Lo tirò verso di se. Con passi incerti, il ragazzo avanzò come uno schiavo, senza emettere fiato. Fin quando non si ritrovarono nuovamente vicino all’altare. Lei si sdraiò come una sirena, sul piano di pietra. Allargò le gambe mostrando sfacciatamente, la leggera peluria del pube, e le calde labbra ancora colanti di sensuale ambrosia. Mark abbassò velocemente i jeans. Liberò dai boxer, il grosso membro pulsante di desiderio. Incapace di controllarsi, poggiò la punta del glande sull’umida fessura. La sfregò sino a schiuderla. Con un colpo di bacino la penetrò violentemente, in profondità.
Kate sussultò. Lo spintonò via urlandogli contro:
«Ti ho dato il permesso di prendermi, bastardo?»
Mark, trasecolò:
«Io…io.» Farfugliò stupidamente.
La giovane, afferrò la cinghia che penzolava dal collo del fratellastro, la tirò sino a serrargli la gola. Lo guardò dritto negli occhi, e poi, catturò le sue labbra carnose avvolgendo in un massaggio sensuale. Esplorò il palato con foga quasi rabbiosa. Tirò tra i denti il labbro inferiore fino a pizzicargli la pelle, lo succhiò. Mark gemette. Dolore misto a piacere, si stavano impadronendo di lui. Avvertì il sapore ferroso del sangue; ciò nonostante, Sempre più eccitato, implorò:
«Ti voglio, non resisto più.»
«Cosa vuoi?» Sussurrò languida, la peccatrice.
«Il tuo corpo.» Riuscì appena a proferire tra un bacio e un altro.
«Farò di più». Continuò imperterrita, conscia d’averlo ormai in pugno.
Guidò le dita robuste del giovane sino all’inguine. Lasciò che affondassero nel fiore della sua femminilità, impregnandosi di quel nettare divino. Lo lasciò immergere completamente e dettare i ritmi infuocati di quel gioco diabolico.
Ancora una volta, lo bloccò. Si piegò sulle ginocchia, all’altezza del membro ormai rigido e gonfio di desiderio. La bocca si schiuse attorno alla cappella e poi, scivolò giù vogliosa, sino a farlo scomparire completamente dentro la bocca. Mark trattenne a stento un gemito. Quel calore improvviso e dirompente, gli provocò un fremito lungo tutta la schiena. Come se tutto il corpo fosse in balia di numerose scariche elettriche. Lei lo trattenne per qualche istante, poi, con gesti sadici, assaporò quella carne tesa, muscolosa, virile. Le labbra presero a scorrere lungo l’asta. Lo succhiò avidamente, ripulendo ogni singola goccia di seme che, s’affacciava. Un eccitante gioco erotico che, amplificò il piacere. Come un succoso ghiacciolo, ci giocò, impregnandolo di saliva bollente. Kate frizionò il membro con la mano, torturandolo senza pietà. Mordicchiò la punta sadicamente e punzecchiò il forellino. Una delizia per il palato. Il membro regolarmente scompariva e tornava a galla, tra le labbra vogliose.
«Sto per venire!» Mugolò Mark roco.
«Allora ti succhierò più forte.» Replicò ingorda.
Aumentò la velocità di quel massaggio erotico. La presa si fece più salda, più violenta. Ormai era suo. La sua preda devastata dal piacere. Incapace di ribellarsi, di pensare, di agire. Era suo ogni centimetro di quel corpo scolpito, suo il pene grosso, perfetto, pulsante di desiderio. Il fratellastro, inarcò la schiena e urlò fuori controllo. Fiotti di denso sperma, invasero la bocca della sorellastra che, l’accolse ingordamente, degustandolo come un vino pregiato. Un rivolo, scivolò lungo il suo labbro inferiore. Lo catturò con l’indice e lo leccò avidamente.
«Ne voglio ancora». Disse viziosa.
Mark, sudato e ansimante, riuscì appena a biascicare qualcosa. Ma si ritrovò disteso sul pavimento, con la sorellastra a cavalcioni. La predatrice, prese a trafficare con la sua verga ancora gonfia, ancora intrisa di liquido candido, ancora scossa da lievi sussulti. La guidò tra le gambe. L’attrito con quella pelle infuocata, mandò in panne il giovane.
«Basta, fermati!» Implorò torturato dal piacere che stava mutando in piccole fitte di dolore. Lei ghignò. I suoi occhi brillarono nella penombra. Sorrise, ignorando le suppliche. Più si ribellava, più la eccitava. Voleva vederlo strisciare ai suoi piedi come uno verme.
Si aggrappò al collare di cuoio nero, lo strinse fino a soffocarlo. Prese a muoversi con movimenti ritmici del bacino, affondando su di lui con brutalità. Il pene intrappolato in una morsa decisa, succube, intriso di linfa sessuale.
«Dammi ciò che voglio». Ringhiò.
Mark tentò di divincolarsi dalla morsa. Lei gli catturò i polsi e li inchiodò al pavimento aumento la sua danza perversa. Gli affondi erano ormai fuori controllo, folli, dettati soltanto dal suo egoistico desiderio d’appagamento. Si chinò a mordergli il mento. Lo catturò: era ispido e profumava di maschio. Cercò la sua lingua, la succhiò avida, la lambì con desiderio crescente. Chiuse gli occhi sopraffatta dal piacere. Lo sentiva duro tra le sue cosce, bagnato, rovente. Il calore tra i loro corpi perfettamente incastrati come tessere di un puzzle, le incendiava i sensi, la stordiva. Mark si liberò finalmente dalla presa della sua aguzzina, l’afferrò per i fianchi stringendoli con prepotenza. Con stoccate brutali, la penetrò affondo, annientando ogni distanza tra loro. La sentì guaire come una cagna in calore.
«Puttana è questo che vuoi eh?» Tuonò, ormai fuori controllo.
Lei, si morse il labbro inferiore e annuì appena. I seni rimbalzarono strofinandosi turgidi contro il torace sudato del ragazzo. Una danza folle, senza freni né inibizioni. Drogati l’uno dall’altra.
«Riempimi». Mormorò lasciva «sono tua».
Quelle parole, sorbirono l’effetto sperato. Incapace di trattenersi oltre, Mark inarcò la schiena e con un ultima furiosa penetrazione, si lasciò andare, inondandola sino a grondare fuori di lei. Il suo seme ormai liquido, trasbordava dalle grandi labbra. Le contrazioni ritmiche, incapaci di placarsi, continuavano a seviziarlo. Un orgasmo talmente violento che lasciò entrambi tramortiti. Lo sperma scivolò lungo le cosce, giù sino al pavimento. Ma Lei non lo lasciò. Le gambe ancora avvinghiate ai fianchi possenti e muscolosi del fratellastro, per prolungare il più possibile il piacere. Si sentiva invasa, deflorata, eppure sorrideva sfacciatamente, beandosi di quel miele candido, che la invadeva la leggera peluria scura del pube.
Ansimante, esausto, incapace persino di deglutire, Mark si sdraiò su di lei per riprendere fiato.
«Che bravo che sei stato bestiolina.» Sussurrò malvagiamente lei. Lo sapevo che eri uno scopatore nato. Bastava solo tirar fuori…il meglio di te.»
Mark rise. Sollevò appena lo sguardo. Le tempie gli battevano ancora indolenzite: «E tutta quella storia, del fidanzato modello, dell’uomo genuino e perfetto?» Chiese dubbioso.
«Oh la sostengo ancora. Intanto però, mi scopo te. Credo che diventerai: la mia bestiolina del sesso.» Gli accarezzò i folti capelli castani, «e tu mi appagherai. Non ti sottrarrai dai tuoi doveri, vero?» Chiese leziosa.
Il giovane annuì. Poggiò il viso sui seni accaldati della ragazza, e si lasciò andare beandosi, di quelle carezze sensuali.
Quel luogo pieno di storia, inquietante e dannato, aveva risvegliato istinti primordiali insiti nella natura umana. Quando i due salirono a cavallo per tornare alla fattoria, era già buio. Il cielo rischiarato appena dalla soffusa lucea argentea della luna. Mark notò un profondo cambiamento nella sorellastra. Inaspettatamente era tornata la rompicoglioni saccente di sempre. Durante il tragitto, non parlò più di quanto accaduto, e non lo stuzzicò più. Si chiese se quell’avventura fosse stata solo un caso, o se fosse stata pilotata da qualcosa di più malvagio e profondo celato, nei meandri dell’oscura Cattedrale.
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
ciao ruben, mi puoi scrivere a gioiliad1985[at]gmail.com ? mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze...
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?