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Racconti erotici sull'Incesto

Sigari e Brandy

By 22 Dicembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Entro nel suo studio in punta di piedi, attenta a non fare rumore. Seduto alla sua scrivania, chino, è impegnato nel suo lavoro, sorseggia del brandy, mentre corregge alcuni esami scritti. Il profumo del cubano che stà fumando è intenso, riempie la stanza, avvolgendola in una sottile nebbiolina.
Busso piano allo stipite della porta. Alza lo sguardo, mi sorride.
“Cosa fai sveglio a quest’ora?” gli chiedo.
“Lavoro. Questi studentelli non hanno la minima idea di cosa sia la letteratura”, risponde, stanco.
“Di che opera di stratta?”
“Iliade, tesoro”
Mi avvicino, sedendomi sulla scrivania, proprio accanto a lui. Gli sorrido.
“Non ho sonno. Ti va di leggermene un pò?”
Non risponde, mette in mano il libro, gira la sedia in mio favore, cominciando a recitare.

“Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei”

Apro leggermente le gambe, alzando la gonna, poco sopra le ginocchia. Mi guarda. Afferro il bicchiere mezzo pieno di brandy, e lo sorseggio.
Riprende..

“molte anzi tempo all’Orco
generose travolse alme d’eroi,
e di cani e d’augelli orrido pasto
lor salme abbandonò”

Adesso la mano sinistra risale, lungo la coscia, portando con se il lembo del vestitino, che va alzandosi, sempre di più. Altro sorso.

“da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de’ prodi Atride e il divo Achille.”

Alzo una gamba, appoggiando il piedino sulla scrivania. La gonna velocemente si alza, seguendo il movimento della coscia, e la mano si porta sul pube, cominciando a carezzarlo.
Mi guarda, smette per un attimo di leggere.
“Continua” gli ordino.

“E qual de’ numi inimicolli? Il figlio
di Latona e di Giove. Irato al Sire
destò quel Dio nel campo un feral morbo” .

Carezzo il monte di venere, solleticando la pelle liscia, poi procedo verso il basso. Lascio che un dito si insinui più profondamente, lambendo le grandi labbra e giungendo nel punto più caldo e bagnato. Quindi, si approfonda.
Sono già un lago.. è terribile ed immediato l’effetto che mi fa quest’uomo, le sue parole, il suo profumo.
Lo porto lentamente alla bocca, sentendo il sapore della mia eccitazione.
Lo guardo, è impegnato nella lettura, per farmi contenta. Ma fa fatica a tenere gli occhi incollati sul libro.
E’ così paziente con me, accondiscende sempre ai miei capricci.
Cambio posizione, inginocchiandomi ai suoi piedi, tolgo amorevolmente le scarpe. Quindi le mie manine cominciano a salire, sulle gambe, verso il suo pube.
“Tesoro no..”
“Lo voglio papà, ne ho bisogno. Stà tranquillo, mamma stà dormendo da un pezzo. Continua, ti prego”
Si schiarisce la voce.

“E qual de’ numi inimicolli? Il figlio
di Latona e di Giove. Irato al Sire
destò quel Dio nel campo un feral morbo”

Sbottono i pantaloni, tirandoli verso di me. Poi, sfilo i boxer, liberando il suo cazzo, che svetta velocemente, svincolato dalla morsa degli indumenti.
In un batter d’occhio, è già dentro la mia bocca.
Geme.
“Continua, non ti fermare per alcun motivo!”

“e la gente perìa: colpa d’Atride
che fece a Crise sacerdote oltraggio.
Degli Achivi era Crise alle veloci
prore venuto a riscattar la figlia
con molto prezzo”

Le mie labbra si stringono intorno a quel meraviglioso cazzo, la lingua corre sul glande con calcolata lentezza. Giocherella col frenulo, col meato, li in cima, e di nuovo, rotea itorno ad esso.

“In man le bende avea,
e l’aureo scettro dell’arciero Apollo:
e agli Achei tutti supplicando, e in prima
ai due supremi condottieri Atridi:” continua con voce sempre più roca.

La bocca adesso si porta in basso, solleticando l’attaccatura del pene, succhia i testicoli, dolcemente, mentre la mano riprende il movimento sull’asta.
Lo guardo, sudato, mentre si appiglia alla sua proverbiale forza di volontà per continuare a leggere, malgrado la sua figlioletta lo stia spompinando con tutto l’amore possibile.
Quando la mia lingua, lasciate le palle, si dirige nuovamente sul glande, ha un sussulto.
Si blocca, mi guarda.
“Sei una bocchinara nata, amore mio” mi sorride, si alza, e rapidamente poggia il libro, e me, sulla scrivania.
Solleva la gonna, apre le gambe, afferrandole con le mani, tenendole ferme, aperte ed alzate.
“Dove hai lasciato le mutandine, tesoro?”
Gli sorrido “Non ricordo..”
“Sei una puttanella, amore di papà, e spero tu lo sia solo con me”
“Certo papi, sai che sono solo tua”
A quelle parole, mi carezza amorevolmente il viso, e l’attimo dopo è già sulla mia figa, a bocca aperta, come se stesse mangiando una pesca succulenta. Comincia a leccarmi e mordicchiarmi, con foga. La sua lingua colpisce il clitoride, lo succhia, quindi si porta sul buchetto, ormai fradicio. Mi penetra con la lingua, bevendo il fiume di umori che ho prodotto, per merito suo. Quindi scende, verso il culetto, disegnando piccoli cerchi intorno ad esso con le dita, che rapidamente lascia scivolare dentro, aiutato dall’abbondante lubrificazione.
Inarco la schiena, mugolo. Comincia a muoverle, lentamente, e la sua bocca si porta nuovamente sul clitoride.
Un brivido, un gemito soffocato. Sa quanto mi piace. Mio papà mi conosce come nessun’altro uomo al mondo.
Allargo ulteriormente le gambe, sono completamente ed oscenamente aperta, davanti a lui.
I miei umori, mischiati alla sua saliva, scendono, verso il basso, sullo stretto buchetto del culo, ed ancora più in giù, gocciolando sui fogli d’esame.
I suoi movimenti accelerano, afferra il clitoride con i denti.
Vengo, in un gemito soffocato. Urlerei, urlerei come non ho mai fatto prima, se non ci fosse mia madre, e sua moglie nella stanza accanto.
Sono scossa da tremende contrazioni, continue. Mi godo questo momento, con gli occhi chiusi, ed una mano sulla bocca, che mi impedisce di gridare.
Sento mio papà alzarsi, afferrare il mio bacino, e sento il suo membro, il suo gigantesco membro, penetrarmi la figa in un solo, secco, rapido colpo.
Un gridolino soffocato, per l’inaspetatta intrusione.
Lo guardo, con ochi lucidi per il piacere e sbarrati per la sorpesa. “Non farlo più, ti prego, se non vuoi che la mamma scopra tutto”
“Zitta bambina mia, non pensare a tua madre, pensa a me, a noi, e goditi il mio cazzo” risponde.
Obbedisco, poggio il capo sul tavolo, chiudo gli occhi, godendo della meravigliosa verga di mio padre, del sangue del mio sangue, che mi chiava con foga..
Sento il glande sbattere contro il collo dell’utero, sento le sue mani abbrancate alle mie cosce, mentre mi spinge verso di se. Sento i suoi ansimi, i miei gemiti soffocati, il cigolio del tavolo dello studio, sotto i suoi colpi. L’aroma del brandy e del sigaro, che si mescola all’odore di sudore ed umori.
Sento mio padre spingere forte la sua verga nel giovane e stretto ventre della sua figlioletta, e sento l’orgasmo arrivare.
“Vieni, vieni con me papà, sborra dentro la tua bambina” sussurro.
Ultimo, secco e profondo affondo e fiotti di sperma che mi riempiono.
I respiri di entrambi, si mozzano, il tavolo smette di cigolare.
Poi, una lunga espirazione, quasi rumorosa, e papà di accascia su di me, stremato e sudato.
“Bella, bella, e puttanella, bambina mia”
“E tu sei un porco, papà, un meraviglioso porco”

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