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Racconti Erotici

Ci son dei giorni

By 10 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Ci sono dei giorni che hanno un sapore dolciastro

come lo sterco di storni quando fa buio,

e t’affidi all’odore e ti lasci guidare

nonostante tu conosca benissimo da dove proviene,

che è solo melma, merda che ti riempie la bocca

e ripeti ossessiva per assaporarne il disgusto.

Sai che il tuo vestito di fiori è solo apparenza,

che la notte che lenta si oscura,

si fa poesia per chi rimane a guardarla in disparte,

si fa nettare d’api per chi non vuole succhiare nient’altro.

Ci sono dei giorni che passano opachi

come sfumature di verde in un paesaggio autunnale

e ti chiedi dov’è finito il tuo ardore,

in quale buco la voglia di non essere sola,

come ora che nitido senti il tonfo d’una pigna che cade distante.

Ci sono dei giorni che paiono un sogno e stai lì a fissare i contorni,

come un’ombra che a fatica ne assembli i tasselli,

ne tiri fuori una faccia identica a l’uomo

che ora dorme e respira tra le braccia di un’altra.

Poi ti scorrono gli anni senza che nessuno abbia preso il suo posto,

senza che uno straccio di occhi, di mani,

si soffermino ora sul tuo decolté mai troppo scollato,

mai troppo audace alla voglia che sale di dentro.

Ti giuro, non è solo sesso!

Non sono parole che inappagate cercano il loro contrario,

che cercano tra i chiaroscuri quell’ombra

o chiunque stasera le nobiliti fino a che diventino prosa.

Ti lasci nel sonno suoni felpati di scarpette da sposa,

uno strascico bianco che raccoglie polvere ed anni,

riposti negli abissi slabbrati d’un cuore che chiede.

Ma si fanno bolle come smorfie dentro un bicchiere,

si fanno rami secchi di rose senza più spine.

Ora senti il rumore metallico di tacchi,

l’attutirsi d’un tonfo contro un muro di muffa,

come due labbra imbottite dove si smorza un sorriso

come un calpestio di corse di bimbi su foglie bagnate.

Amore! Ma che dici?

Che strana parola ti gonfia le guance,

ti riempie la bocca come un sesso che strozza,

e stai lì col fiato sospeso

fino a che esausta ne vedi il piacere che sgorga

da crepe di sole come zampilli in pieno deserto

da mille ed una notte che aride

ti risparmiano il ventre trapanando soltanto il cervello.

Solo allora ti rendi conto della grandezza,

di come potresti abbandonarti in un mare tranquillo,

di come la risposta biancastra

possa dare un senso ai tuoi desideri più bassi.

Amore! Ma che dici?

Che strana parola ti scoperchia le gambe,

come se fossi una pentola che bolle

e ti lessa le labbra come chi per mestiere

passa le notti a guardare le stelle

e conosce a memoria ogni sospiro di vento.

Domani sarà temporale!

Sarà una notte di tuoni che coprono lamenti

e accompagnano grida soffocate d’amore.

Saranno rami lucenti di fulmini lilla

che ti entrano dentro e ti fanno abortire

figli mai nati che soddisfano sogni

come cuciture che arrossano la pelle

e orlano fiocchi dentro queste mutande da sogno.

Ci sono dei giorni che finiscono all’alba

come se quel chiarore che sfarfalla lontano

fosse ancora l’inizio d’una lunga giornata.

Una di quelle dove non ci dormi la notte e t’alzi prima che suoni la sveglia,

per poi goderti l’idea così come t’è venuta.

Ci sono dei giorni che ti culli per ore

come un bambino nel ventre d’una gestante immobile al letto.

Ti guardi allo specchio ogni qualvolta che s’affloscia un capello

e sfiori con un soffio la fronte perché torni al suo posto

mentre agiti le dita ancora fresche di smalto.

Guardi di fuori ad intervalli precisi

e preghi perché quelle nuvole non diventino basse,

non diventino rosse perché solo domani sarebbe bel tempo.

‘Se piove dovrò portare un ombrello!’

Se piove saranno chicchi di riso, che mai hai sentito contro la faccia,

saranno cappelli che danzano al vento e salutano la nuova arrivata

saranno occhi che penetrano nei tuoi spacchi di stoffa e di carne

e sguardi invidiosi che ti fanno regina sopra un pezzo d’asfalto.

‘Perché mai quella sensazione bizzarra m’è arrivata fin sotto i capelli?’

Perché mai l’hai lasciata ingrossarsi come tette fresche a corto d’amore,

di fronte a due mani insecchite che non servono ad altro.

Covata ogni notte tra il sogno e le gambe,

stretta nel grembo quando una voce da dentro giurava che mai sarebbe accaduto

mai t’avrebbe costretta di finire in questo ventre dell’anima

per sentirti più viva mentre obbedisci

per sentirti più donna mentre ti cercano in fondo.

Perché mai queste ore che passano non corrono in fretta?

Ne senti il fiatone come se fossero stanche,

come se si rifiutassero di far venire la notte

e s’adagiassero stipate come sull’orlo d’un buco di culo.

Perché mai le tue notti sono stipate di sogni?

Ci sono dei giorni uguali a quelli di prima

che si squagliano come orologi visti in un quadro

e di colpo rimangono immobili in silenzio

come un uovo spiaccicato sul pavimento in cucina.

E pensi di uscire con il cuore annodato alla gola,

sperando che i vicini non stiano dietro alla porta

a spiarti più bella come mai t’hanno vista,

a domandarsi dove cavolo esci a quell’ora

dipinta come colore dei tuoi occhi di sera

senza un uomo che ti copra le spalle

o dia un senso al rumore di due tacchi di fretta.

Dove diavolo vai avvolta in una mantella

con due seni che danzano ancora senza saliva,

ancora indecisi se riempire un qualsiasi sogno

o fare a gara con la luna che invidiosa li guarda,

che l’illumina a quest’ora per strada dove nessun’altro ne ricorda il sapore,

ne ricorda la forma tranne quei cani senza padrone con le bocche fumanti.

Ci sono dei giorni dove ti tieni in disparte,

dove le emozioni di dentro t’arrotolano il ventre,

ti gonfiano il petto e t’invadono il cuore

senza che un respiro profondo ti lasci una tregua

come se da sola in quel posto dove mastichi nebbia fosse tutto il tuo mondo

dove rade paure ti volteggiano intorno e tu leggera ti rimetti al destino

ché invisibile ti chiama e t’invita, ti ristora con i suoi simboli ignoti

fino a farti sentire piatta e banale

perché mai avevi previsto di finire in culo al tramonto

che giustifica gli anni sfilacciati nel cuore,

tutti quei giorni dove hai prosciugato le vene,

quando ancora cretina appiccicavi l’amore come figurine nella pagina giusta.

Ci sono dei giorni che hanno un indizio,

una prova schiacciante che ti rende colpevole,

come una lampada in faccia che ti fa confessare

come una luna infuocata ti fa sembrare più audace.

Potresti raggiungerla a piedi se solo non portassi quei tacchi,

se solo ne avessi il coraggio, potresti correre altrove

lungo figure perfette di siepi che si fanno percorsi obbligati e sfilano calze,

tra ombre di pali che s’accorciano e sbattono sulla tua ansia che cresce.

Vorresti avere uno specchio per vederti più identica a quella che hai lasciato nel bagno,

per vederti più bella di quella che ora s’affanna

che cerca un qualsiasi posto dove gli altri potranno ricamarci una storia

scattare una foto che sia perfetta allo stato d’animo che avanza.

Ci sono dei giorni che ti marcano a fuoco come vitelli neonati,

che danno un senso ai porti tra le nebbie dove non sei mai approdata

e stanno lì come segnalibro tra le pagine dei ricordi

come una colpa mai confessata,

come sogni spezzati a cui nessun’alba ha dato decoro.

Ci sono dei giorni dove si blocca la macchina proprio sopra il viadotto

e scendi e ti sporgi per vedere le case immerse nel fango,

per sentire il fetore che viene dal basso

e pensare come diavolo avresti fatto a camminarci sicura,

ammirandoti i tacchi che scintillano al buio.

Se fossi un uomo li leccheresti fino alla punta,

essiccheresti la lingua per ricominciare daccapo

fino ad essere convinta che valgono più di due labbra,

di qualsiasi bocca che ti offre un amore.

Se fossi una puttana basterebbe un niente davvero

scoprirti il seno e sentirtelo umido della prima saliva che tra poco si ferma,

per poi dirgli che stasera l’hai scampata più bella di quanto t’ammira

fino ad essere convinta d’aver rinunciato alla tua prima notte di quiete.

Se fossi puttana davvero?

Magari di quelle che battono asfalto,

che si erigono regine sui rifiuti di notte,

che curano il dettaglio marcato di labbra

come porte d’Oriente ricche di sfarzi.

Eccola la porta della natura che si fa penetrare da cose,

da oggetti sparpagliati come uno scrupolo che entra senza permesso,

come un desiderio represso che non vuole andarsene via.

Ti trova ogni volta spalancata e indifesa,

addobbata di stoffa e merletti come se il meglio rimanesse di fuori

Ci sono dei giorni che finiscono all’alba sopra questo viadotto

e ripensi a quell’uomo che t’ha lasciata incompiuta

ti sporgi e ti cerchi immersa nel fango

o sopra a quei tetti appesa ad un cavo di luce.

Senti il vento che penetra e ti svasa la gonna,

lo senti e lo temi come un brivido di paura lungo la schiena

come se ancora fossi chiusa nel bagno

a domandarti se un golfino di lana sarebbe bastato per tutta una notte

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