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Io, la cassiera

By 16 Marzo 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi trovavo a 30 anni senza soldi, senza lavoro ed ero disperata. I pochi soldi che avevo in banca erano terminati e l’ultimo assegno che avevo fatto era stato rifiutato perché non coperto.

è opinione comune che per noi donne carine, e con un fisico da non buttare, il problema dell’impiego non esista. Ma non è così, credetemi.
Fino ad un anno prima facevo la contabile in un autosalone. Poi, sopravvenne la crisi finanziaria, la casa automobilistica non vendeva più auto e i soci avevano deciso di chiudere quanti più punti vendita possibile. Quello, dove lavoravo io fu uno dei primi. E mi ritrovai a terra.

Quel giorno uscii di casa per comprare qualcosa da mangiare. Entrai in macelleria per comprarmi una fettina di carne e, considerato che non c’era alcun cliente in quel momento, presi il coraggio a due mani e chiesi ad Arturo, che gestiva il negozio con sua moglie, se poteva, con qualunque mansione, assumermi.

– Silvana ( a noi clienti abituali ci chiamava per nome e noi facevamo lo stesso con lui) – mi rispose con aria desolata – lo farei volentieri, ma come vede, anche qui gli affari non vanno molto bene. La crisi si fa sentire in tutte le famiglie ed ormai si vende meno.

Si vedeva che anche lui era imbarazzato e guardava continuamente sua moglie.
Presi il pacchettino, pagai con quei pochi soldi che mi restavano e, sconsolata, feci per andare via.
Ero già sulla porta, quando lui mi chiamò.

– Silvana venga un po’ qua.

Mi avvicinai. Non sapevo cosa volesse dirmi. Mi preoccupavo che, data la situazione, mi volesse restituire il denaro, o regalarmi un altro pezzo di carne. Il mio orgoglio non lo avrebbe permesso.

– Ascolti, abbiamo deciso Michela ed io, di assumerla come cassiera per un certo periodo di tempo, al termine del quale, se le cose continueranno così, saremo costretti a mandarla via; se, invece, miglioreranno, la confermeremo.

Accettai con entusiasmo. Arturo è sempre stato, nonostante il suo fisico apparentemente burbero, una brava persona.
Non era certo il tipo di lavoro che avevo sempre sognato, però, nelle mie condizioni, non potevo permettermi il lusso di fare la schizzinosa.

L’indomani mattina ero davanti alla saracinesca ancora abbassata. Aspettavo con trepidazione che arrivassero Arturo e Michela. Non avrei voluto che, nel frattempo, avessero cambiato idea.

No, per fortuna, erano ancora decisi. Entrammo nella bottega. Michela mi porse un camice color carta da zucchero, per non confonderlo con il loro che è bianco, mi spiegò come fare con la cassa e andai a cambiarmi.
Una stanza molto ampia del retrobottega era adibita a spogliatoio. Arturo spostò degli armadietti nel mezzo della camera in modo da creare due ambienti: in quello in fondo, ci saremmo cambiate noi donne; in quello che dava direttamente sul corridoietto, lui. Mi tolsi gli abiti, rimasi in reggiseno e mutandine, mi guardai allo specchio e
– Sì, Michela, sei ancora una gran fica, dissi soddisfatta alla Michela riflessa nello specchio. Essere riuscita ad allontanare, seppur per un periodo limitato, i miei problemi, mi rendeva euforica e mi induceva a dire sciocchezze.

Mi ripresi da quel momento di autocompiacimento, indossai il camice, entrai nel negozio, andai dietro la cassa, cominciai, finalmente, il mio nuovo lavoro.

Era ormai passato un mese e continuavo a lavorare nella macelleria.
Quel giorno, venne solo Arturo.
– Michela è a letto con l’influenza e la febbre le ha impedito di venire. Mi disse e aggiunse
Per oggi, mi aiuti tu al bancone?

Dissi di sì. Ormai conoscevo bene il negozio. Oltre alla stanza adibita a spogliatoio ce ne era un’altra, piastrellata alle pareti, che serviva da laboratorio. In essa Arturo, aiutato da Michela, la sera, dopo aver chiuso il locale e prima di andare a casa, tagliava la carne, che avrebbe venduto il giorno dopo.
Mi misi al bancone ed aiutai Arturo come potevo. Non facevo lun vero e proprio lavoro da macellaia, ma affettavo e servivo gli insaccati, vendevo le bottiglie di vino o i vasetti di salsine già pronte. Insomma, lo aiutai come potevo e sapevo.
A fine giornata, abbassò la serranda e mi chiese di rimanere ancora per aiutarlo nel laboratorio.
Lui tagliava la carne, io prendevo i pezzi e li portavo nel negozio per riporli in ordine nel bancone frigorifero in modo che potessero essere serviti l’indomani.

L’odore della carne macellata, il rumore del coltello che la tagliava e la vista del sangue, mi mise in uno stato di leggera eccitazione. Mi piaceva lavorare e sentire la fichetta bagnata e così decisi di aumentare il turbamento e, ogni volta che mi avvicinavo ad Arturo, strusciavo i capezzoli, ora sulla sua schiena, ora sul suo braccio, in modo che sembrasse che la cosa avvenisse involontariamente, anche se qualche volta indugiavo un po’ più a lungo.

Finì di tagliare l’ultimo trancio ed io, mentre lui riponeva il quarto di vitello in un frigorifero, andai nello spogliatoio per cambiarmi.
Quando mi tolsi il camice, mi accorsi che la mia eccitazione, non solo permaneva (questo lo sapevo già) ma aveva fatto sì che il fluido che fuoriusciva abbondante dalla vagina avesse invaso il mio sottilissimo tanga. Si notava, infatti, su di esso una strisciolina di umido in corrispondenza della figa

Pazienza, mi dissi, tanto casa mia è vicinissima.
Stavo facendo questee considerazioni, quando due grosse mani mi afferrarono le tette. Sentii Arturo che mi sussurrava con voce roca

– Immaginavo che eri una porca. Stasera ne ho avuto le prove

Mi girai di scatto e con tono di rimprovero gli dissi

– Arturo! Come ti permetti? Non farlo mai più!

– Dai, non fare l’innocente agnellino. Mi hai strusciato per tutta la sera le tue tette e deve esserti piaciuto, considerate le condizione delle tue mutandine.

Confusa, arrossii, lui approfittò di questo attimo di esitazione per baciarmi, infilandomi la sua lingua in bocca e massaggiando con essa la mia mucosa orale.
Non resistetti a lungo e gli avvolsi le braccia attorno al corpo e ricambiai il suo bacio. Quando le lingue finirono di intrecciarsi, lui si staccò, mi afferrò per i capelli e mi costrinse a chinarmi. Avevo la patta dei suoi pantaloni davanti la faccia. Temetti di sapere quello che lui voleva da me. Infatti, subito dopo mi disse

Succhialo!

Ormai, completamente svuotata della mia volontà, gli abbassai la cerniera e presi il suo pene in bocca. Era enorme, mi occupava tutta la bocca, impedendomi di respirare bene. Fortunatamente, le dimensioni del membro erano inversamente proporzionali alla sua resistenza, sicché bastarono pochi colpi di lingua per farlo venire. Mi ingiunse di ingoiare.
Ne avevo già fatto di pompini in passato, ma mai avevo ingoiato. Era sempre stato più forte di me: dovevo sputarlo in un fazzolettino o dentro il water. Quella volta, non so cosa mi successe, ma lo ingoiai tutto. Credetemi, la cosa mi piacque tanto, che rimasi ancora in posizione per poter prendere con la lingua anche gli ultimi fiotti che continuavano a uscire man mano che quel pene ritornava alle dimensioni normali.

– Ho deciso – mi disse, riaggiustandosi i pantaloni ‘ che, se vuoi continuare a lavorare in questa macelleria, dovrai ripetere quest’operazione tutte le volte che vorrò. Se non sei d’accordo, domani mattina non venire neanche.

Non lo conoscevo così brusco, anzi mi era sempre sembrato gentile ed educato. Me ne andai a casa, feci la doccia e, ancora scombussolata, mi coricai senza neanche aver cenato. Non lavai neanche i denti volevo ancora sentire in bocca il gusto di Arturo.
Possibile che ero così troia?
La mano con la quale mi accarezzavo la fichetta ancora bagnata e gonfia, mi diede la risposta.

L’indomani mattina entrai in macelleria che già lui e Michela erano dietro il bancone.
Vedendomi, Arturo mi strizzò l’occhio in segno d’intesa, io gli risposi con un cenno di assenso fatto col capo. (sì, mi rassegnavo ad accettare la sua proposta) e andai a cambiarmi.

Non successe nulla di strano per una decina di giorni. Si lavorava come al solito e, nei momenti di quiete, noi tre chiacchieravamo e scherzavamo amichevolmente, tanto che pensai che quello che era accaduto era stato solo frutto di un momento di debolezza da parte di quell’uomo.

Una sera, eravamo soli in negozio perché Michela si era assentata per andare a fare la spesa nei negozi vicini, Arturo, con un cenno della testa, mi ordinò di andare nello spogliatoio.
Obbedii, il cuore cominciò a pulsare velocemente, nel breve tratto che mi separava dalla stanza sentii la fica ingrossarsi e bagnarsi. Entrai nello spogliatoio e mi tolsi il camice.
Arturo, che nel frattempo mi aveva raggiunto, con un gesto della mano mi ingiunse di sedermi su una seggiola in un angolo. Si piazzò davanti a me, io glielo presi in mano e me lo misi in bocca, cominciando a spompinarlo.
La mia eccitazione era al massimo, non mi accontentavo di riceverlo in bocca, lo volevo nella fica.
Me lo tolsi dalla bocca, alzai gli occhi e gli dissi.
– Senti, perche non facciamo le cose con più calma?. Domani, che è domenica, tu potrai venire a casa mia così potremo fare tutto meglio.

– Perché così non ti soddisfa?

– No, che non mi soddisfa completamente. Voglio godere anch’io

Mi diede un sonoro ceffone sul braccio che avevo appoggiato su una coscia per mantenere la posizione. Il contraccolpo me lo fece scivolare giù.

– Masturbati allora. Mi disse, reinfilandomelo in bocca.

Quella violenza esercitata su di me, sgarbata per quanto non dolorosa, mi eccitò maggiormente e mi misi sul serio a masturbarmi. Stavo per venire, chiusi gli occhi. Un dolore proprio nella fica che accarezzavo me li fece aprire.
Michela era ritornata dagli acquisti. Era entrata nello spogliatoio e, vedendo quello che stavamo facendo, era andata a prendere un salamino e adesso cercava di infilarmelo nella fica.

L’insaccato entrò come il burro nella vagina, ormai completamente lubrificata ed aperta ed io venni urlando di piacere, sentendomi riempita da qualcosa di lungo e duro.

– Vedi che anche la tua fica ha avuto quello che si merita.? Per una troia ci vuole un cilindro di carne di maiale. Disse Arturo e venne, sbrodolandomi tutto il suo liquido in bocca.

Le sue parole non mi avevano affatto offeso, anzi, sentirmi umiliare in quel modo mi aveva infiammato di più.

Michela si andò a sedere sulla poltrona, si alzò il camice, si tolse le mutandine

– Adesso fai godere anche me con la tua bocca, grandissima porca che non sei altro.

Non avevo mai avuto rapporti saffici fino a quel momento. Non mi erano neanche passati per la testa. Tuttavia, ormai completamente succube dei due e, perciò, incapace di ogni reazione, con la fica nuovamente elettrizzata e grondante, mi avvicinai alle sue cosce spalancate.

Quando a casa mi coricai, el mio letto pensavo a quello che mi era successo. Tutte le mie esperienze, per quanto disinibite, si erano sempre incanalate nei binari di un’assoluta normalità, Nessuno mi aveva trattato in quel modo, non avevo leccato mai una fica. Godere per essere trattata in quel modo per me era una novità. Mi lasciava stupefatta. Sì, proprio così, era più il modo con cui ero stata trattata che mi eccitava, che quanto ero stata costretta a fare. Anche se devo dire che anche questo aspetto lo trovavo estremamente piacevole.

Da allora i due coniugi presero a servirsi della mia bocca quasi ogni sera. Ormai andavo spontaneamente nello spogliatoio e, in attesa che loro entrassero, mi masturbavo per lubrificare la fica in modo che Michela potesse infilarmi il salamino senza difficoltà, girandolo e muovendolo finchè non raggiungevo appagamento La bocca e la lingua venivano spartite equamente tra loro.
Ogni sera, poi, tornavo a casa in una condizioni di estremo benessere e non mi lavavo più i denti prima di coricarmi per poter godere, al mattino successivo, del gusto delle loro secrezioni che ancora mi restava in bocca.

Una sera eravamo presi dalla nostra abituale attività erotica, quando si presentò sulla porta un cliente.
Dovevano aver dimenticato la serranda alzata e il signor Caligaris, pensando giustamente che ci fosse ancora qualcuno nel retrobottega, entrò per acquistare della carne. Non vedendo nessuno nel negozio, approfittando della confidenza che aveva acquisito per il fatto che da lungo tempo era un buon cliente abituale, si introdusse nel retrobottega in cerca di Arturo.
Quando ci vide occupati in quegli esercizi, si fermò allibito

Scusate, disse imbarazzatissimo. Arturo, levò il cazzo dalla mia bocca e rispose

– Ma si figuri, signor Caligaris, eravamo qui che cercavamo di calmare la nostra commessa perché era in preda ad un raptus erotico indescrivibile e stava per distruggere tutto il negozio.

– Anzi, aggiunse Michela, se vuole venire anche lei ad aiutarci, le saremo veramente grati.

Ero paonazza in volto. Essere descritta come una donna affamata di sesso con degli estranei mi mandò in tilt. Non sapevo cosa fare per cercare di scomparire sotto terra, in modo da non essere più in quella stanza.
Caligaris, superato il primo momento di imbarazzo, entrò nella stanza e si avvicinò a me. Mi squadrò bene in faccia, scrutò attentamente le mie tette e disse.

– Sì posso aiutarvi. In fondo è un’opera di bene. Si sbottonò la patta, tirò fuori un uccello già duro e me lo ficcò in bocca senza altri commenti.

Io, ormai ridotta ad un’automa, succhiai anche lui e bevvi com’era divenuto mio costume fare. Arturo gli portò la carne e Michela, sfilando il salame che era ancora dentro la mia fica, lo porse al cliente dicendo

– La prego di accettare questo, come nostro ringraziamento per aver aiutato la nostra ragazza.

Lui lo prese in mano, lo annusò ben bene per tutta la sua lunghezza

– Grazie, lo accetto volentieri. Questa salsina che lo ricopre deve conferirgli un buon sapore. Le saprò dire qualcosa la prossima volta.

Fui costretta a ringraziarlo pure io.

Quella sera i due non approfittarono più della mia bocca e mi lasciarono andare. Non vedevo l’ora di mettermi nel letto per calmare la fica che palpitava freneticamente.

Dopo qualche giorno, il signor Caligaris ritornò con un suo amico:

– Permettete di presentarvi il mio caro amico, il dottor Menza. Gli ho descritto la bontà della vostra carne e le qualità dei salamini che voi vendete e vorrebbe acquistarne anche lui.

– Eh, signor Caligaris per il momento non ne abbiamo pronti di quei salamini, ma se volete attendere, ve lo prepariamo subito. Vero, Silvana che vai di là con Michela a prepararne uno?

Michela, mi prese per il braccio, mi portò nel retrobottega, mi fece fare un ditalino e mi infilò il salame nel solito posto. Si affacciò alla porta che dava sul negozio e con tono accattivante, disse

– Se il dottore vuole entrare per assistere alla preparazione, si accomodi pure.

Menza entrò, mi vide, ma esitava a farsi avanti per timidezza. Fu Michela che l’accompagnò davanti a me, gli tirò l’uccello e me lo mise in bocca.

Da allora, la notizia si sparse per tutto il quartiere e vennero molti uomini ad acquistare la carne in quel negozio e, naturalmente, anche il salamino, che veniva preparato, di volta in volta davanti ai loro occhi, mentre, provvedevo con la bocca a rendere meno penosa la loro attesa

Sono passati 10 anni da allora. Il salamino che si vendeva, assieme alla carne, in quella macelleria ebbe un grande successo. Gli affari andarono a gonfie vele e fu necessario aprire una catena di negozi in tutta la città.

Adesso, Arturo e Michela non vengono più in negozio e si godono, ai bordi della piscina della loro villa al mare, i proventi che, sempre più cospicui, vengono loro versati in banca.
Da chi?
Da me, naturalmente, che a 40 anni sono diventata la direttrice della ditta.

Dimenticavo di dirvi che avevo conosciuto nel retrobottega, mentre con Michela preparavamo i salamini, un affezionatissimo cliente, Gianni, con il quale adesso convivo innamoratissima.
Lui, per non farmi perdere l’abitudine, continua a infilarmi nella fica un salamino, Ma questo non è di carne di maiale.

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