La storia che vado a raccontare è basata su fatti realmente accaduti, i luoghi ed i tempi sono reali, solo i nomi sono di fantasia.
Questo racconto è il proseguimento degli altri due (La cugina infermiera e Viva l’Inghilterra). La prima parte è solo descrittiva degli avvenimenti che, poi, porteranno ai fatti dei capitoli successivi. È comunque, a mio parere, importante per comprendere appieno il senso generale del racconto.
Chi non avesse interesse a leggerla, può saltare direttamente alla seconda
Rientrai in Italia e allo studio di Arezzo, contenti del mio operato in Inghilterra, mi offrirono di entrare a far parte come socio in compartecipazione dello studio.
Ma io avevo altri progetti in testa; con il periodo inglese avevo guadagnato bene e volevo aprire uno studio di progettazione solo mio.
Trovai un locale a Firenze, dove ancora avevo l’appartamento, comprato da mio padre durante l’università ed iniziai la mia attività in proprio.
E fu a Firenze che, durante una visita al museo del Bargello conobbi Alice, che lavorava lì come guida.
Tra noi due scattò subito un’attrazione reciproca, ci frequentammo, ci fidanzammo e, dopo circa due anni, ci sposammo.
Un anno dopo nacque un bambino che completò la famiglia.
Tutto filò liscio, il lavoro procedeva alla grande, ed in armonia nella vita famigliare.
Finché un giorno, mentre ero al lavoro, mi telefonò il museo, dove Alice aveva ripreso a lavorare, comunicandomi che lei aveva avuto uno svenimento ed era stata ricoverata in ospedale.
Quando arrivai all’ospedale fui accolto da un medico che mi condusse nel suo studio.
Molto professionalmente mi comunicò che Alice aveva avuto un arresto cardiaco, molto probabilmente provocato da una malformazione cardiaca congenita, e che era morta.
La disperazione mi assalì; pensai a come avrei potuto fare con un bambino di dieci anni, a come avrei potuto continuare a lavorare, a che cosa sarebbe stata della mia vita senza di lei.
Vi risparmio gli avvenimenti del periodo e degli anni successivi.
Erano passati più di due anni ed io ancora non riuscivo a capacitarmi della perdita di Alice.
Qualcosa in me era cambiato, si era rotto; sul lavoro ero svogliato ed improduttivo, non riuscivo più ad avere un rapporto cordiale con i miei collaboratori e, perfino, il rapporto con mio figlio si era incrinato.
Ero depresso, come se non avessi più voglia di continuare; ero ad un passo dal collasso nervoso.
Grazie all’insistenza di mia cugina Luisa, la quale era l’unica con cui riuscivo ancora a parlare, ad esternare i miei problemi, mi convinsi a consultare uno psicologo, anzi una psicologa, che Luisa conosceva bene ed era anche sua amica.
Telefonai per avere un appuntamento anche se ero molto scettico, avevo sempre avuto sfiducia per quella branca della medicina.
Ero convinto che ognuno di noi sa da dove derivano i propri problemi e sa come risolverli.
La mia razionalità nel campo della psiche era sempre stata ottusa, ma tremendamente efficace, almeno fino a quel momento.
Così in un caldo pomeriggio primaverile, arrivo al numero 15 di Via Leopardi qualche minuto prima delle 18.
Osservo la targa che occupa un limitato spazio appena sopra i campanelli del palazzo: Anna F., Medico Chirurgo e sotto, Specialista in Psicologia, Sessuologia e Psicoterapia.
Arrivato al piano esito un po’ prima di suonare.
Mi apre una signora sui 60 anni non troppo alta, robusta ma armoniosa e con un taglio di capelli abbastanza moderno che porta con disinvoltura, quasi vantandosi di quel colore argenteo.
So che non può essere Anna, Luisa me l’ha descritta come una donna all’incirca della nostra età, capelli castani e un po’ appariscente.
“Buonasera, ho un appuntamento con la dottoressa alle 18, mi chiamo Mauro…”
“Oh prego si accomodi, lei è l’ultimo paziente stasera, la dottoressa l’aspetta, venga che l’accompagno”.
Entro nello studio della psicologa.
Seduta ad una scrivania c’è una donna con capelli castani lunghi al collo e ben curati, ha un trucco leggero meno che sulle labbra, dove risalta un rossetto rosso, mi fa cenno di accomodarmi mentre sta chiudendo una telefonata.
Quando finisce si alza per salutarmi e posso vederla a figura intera.
È alta, fisico snello, indossa una camicia bianca sotto la quale s’indovinano seni consistenti ma ben sostenuti, pantaloni aderenti di velluto bordeaux che mettono in evidenza le lunghe gambe, ai piedi stivaletti neri di camoscio con tacco molto alto.
“Uff, eccoci! Mi scusi, piacere, io sono Anna. Lei deve essere Mauro, Luisa mi ha parlato di lei”.
“Ah sì? Beh io e Luisa siamo cugini e molto legati”.
“Ohh sì lo so. Pensi che ci siamo conosciute proprio nel suo viaggio di nozze a New Orleans. Mio marito le ha rovesciato una spremuta d’arancio addosso nella sala da pranzo dell’hotel. Un po’ bizzarro come incontro ma abbiamo iniziato a parlare, abbiamo scoperto di essere della stessa città e da lì è nata una bell’amicizia, anche fra i nostri rispettivi consorti”.
Mentre mi parla continuo ad osservarla per tutto il tempo in cui mi racconta dell’incontro con la sua amica Luisa e penso che è sicuramente una bella donna, fine e non così appariscente come mia cugina mi aveva detto.
“Allora Mauro, se sei d’accordo ci diamo del tu visto che siamo all’incirca coetanei. Vorrei sapere perché sei qui. Cosa speri che io possa fare per te?”
La guardo per qualche secondo senza riuscire ad aprire bocca.
-“Perché devo raccontare i miei turbamenti ad una sconosciuta?” – penso – “Per di più una donna”.
Sento il cuore accelerare, poi guardo gli occhi scuri di Anna sereni e pacifici, penso che alla fine si tratta di un medico e inizio a parlare.
Una volta cominciato è come un fiume in piena.
Mi rendo conto di come è facile parlare con qualcuno che ti ascolta senza interrompere e senza tirare occhiate perplesse.
Le parlo di tutto.
Dell’anno passato con Luisa, le racconto dei rapporti avuti con le donne fino al momento dell’incontro con Alice, dei begl’anni passati con lei, fino alla sua morte e poi dei problemi relazionali subentrati dopo, del cattivo rapporto che si era venuto a creare con mio figlio, ora adolescente, del fatto che da due anni non riesco più ad avvicinare una donna senza pensare ad Alice, convinto di non provare più nessun desiderio sessuale; parlo per più di mezz’ora e concludo con la più semplice e disperata delle frasi.
-“Ecco io non so più cosa fare…..non so più gestire la mia vita”.
Anna mi guarda in silenzio, ha appuntato qualcosa in un quaderno che ricontrolla con attenzione.
-“Vedi Mauro,” – comincia – “il problema non sta nei tuoi atteggiamenti, ma nel tuo modo di viverli. Se tutto quello che mi hai raccontato è reale e non nasconde altre sfaccettature, posso garantirti che non c’è nessun tipo di malattia psicologica in te. Ti sei solo bloccato, ancorato ad un passato che, purtroppo, non esiste più, cercando di scaricare le tue tensioni sugli altri”.
-“Per quanto riguarda i tuoi rapporti con le donne, non sono assolutamente convinta della tua incapacità sessuale, per me tu sei ancora un uomo valido e prestante, solo che vuoi punirti col disinteresse per le altre donne”.
-“Non credo.” – ribatto – “Come spieghi che anche guardando una donna che si mostra, non provo alcuno stimolo?”
“Vedo che non capisci. Va bene.”
Anna si alza e inizia a sbottonarsi la camicetta.
Sgrano gli occhi senza capire cosa realmente vuole fare.
In pochi secondi rimane in reggiseno di pizzo bianco molto trasparente.
I suoi seni sono pieni e, quando abbassa il reggiseno e li estrae dalle coppe, ancora ben fermi, con i capezzoli che puntano dritti, poi si piazza davanti a me con le mani sopra la testa.
-“Ecco, dimmi cosa senti adesso” – mi chiede.
-“Mah…io veramente…non so….” – balbetto.
-“Beh puoi anche dirmi che non senti nulla perché non sono di tuo gradimento”.
-“N…no, sei una bella donna, niente da dire….” – rispondo con il volto in fiamme.
-“Stai avendo un’erezione? Ti sta piacendo guardarmi?”
-“Anna io….non credo che sia il caso..”
-“Rispondimi”.
-“S…sì….mi sento eccitato e m…mi piace guardarti”.
Anna si riveste lentamente e torna a sedersi.
-“Perfetto, hai avuto una reazione normalissima della quale non mi sono stupita, né scandalizzata. Devi imparare a farlo anche tu. Ci vediamo venerdì prossimo alle 18 se ti viene bene”.
Mi sento perso e non riesco a far altro che annuire ed alzarmi.
Esco dalla stanza ancora sconvolto e non sento neanche la segretaria salutarmi.
Raggiungo la macchina e siedo ancora frastornato.
-“Che soluzione era quella? A cosa voleva arrivare? Sono certissimo che gli incontri con Anna non si sarebbero spinti oltre, ma forse non era proprio quella, la terapia di cui avevo bisogno?”
Aspetto prima di mettere in moto e mi tocco leggermente i pantaloni; ho ancora il sesso gonfio e duro.
-“No, non può essere questa la soluzione” – penso.
Mi dirigo velocemente a casa con l’idea di chiamare lo studio di Anna per annullare il prossimo appuntamento e dimenticarmi di quell’esperienza.
I commenti e i suggerimenti sono ben accetti, scrivetemi pure a miziomoro@gmail.com
Complimenti per la facile lettura e presa diretta
ciao cara,ho letto attentamente il tuo racconto ad alto contenuto erotico, e debbo dirti, per quanto possa sembrare raro, che…
Davvero incredibilmente eccitante, avrei qualche domanda da farvi..se vi andasse mi trovate a questa email grossgiulio@yahoo.com
certoo, contattami qui Asiadu01er@gmail.com
le tue storie mi eccitano tantissimo ma avrei una curiosità che vorrei chiederti in privato: è possibile scriverti via mail?