Sul palco per la musica, nel centro della piazza, erano sistemati, in semicerchio, leggii e sedie. In alto, ai loro posti, grancassa, tamburo, timpani, campane, piatti, xilofono. Più in basso, andavano prendendo posto violini, viole e violoncelli. I contrabbassi erano appoggiati alle sedie. Gli strumenti a fiato occupavano la zona centrale: corni, trombe, tromboni, tube, clarinetti, fagotti, controfagotti, flauti, ottavini, oboi, corni inglesi.
Un’orchestra di molti elementi. Forse la più grande di quelle esibitesi nell’incantevole salotto della città.
Al lato del palco, in una cornice dorata, la pergamena indicava:
Orchestra Moderna di Venezia
Direttore Alvise Prete
Programma
Purcell, Trumpet tune
Wagner, Lohengrin
Beethoven, Sinfonia 6 in fa maggiore, la Pastorale
Mussorgski, Una notte sul Monte Calvo
Rossini, Guglielmo Tell, ouverture
La piazza era gremita.
I caffè avevano occupato anche qualche metro in più di quanto era stato concesso loro dal Comune.
Altra gente sopraggiungeva.
Dai vaporetti sbarcavano a centinaia. Un flusso ininterrotto proveniva dalla riva, dalle mercerie, dalle altre calli.
Era stato evitato qualsiasi tipo di diffusione acustica per non alterare la purezza dei suoni.
Solo i Mori, dall’alto della Torre dell’Orologio, non avrebbero sospeso il loro martellare le ore.
Un avvenimento unico, atteso da tempo, accuratamente preparato. Un programma audace, che univa alcuni giganti della musica, non certo in un’improponibile comparazione, ma in magnifica rassegna offerta a tutto il popolo.
I Mori apparvero, batterono nove lenti rintocchi.
Tutti gli orchestrali erano al loro posto, gli accordi s’incrociavano, il mormorio della gente s’infittiva sempre più.
Il maestro, in frac, salì sul podio, i musicisti s’alzarono, strinse la mano al primo violino. Scrosciò un lungo, fragoroso, applauso.
Il maestro si voltò ringraziando. Riprese il suo posto, fece cenno di sedere. Le luci dei lampioni si attenuarono, vi fu un silenzio profondo che si diffuse rapidamente, dovunque, anche lontano, di là dai portici, sulla riva.
Le note di Purcell s’alzarono struggenti, in un canto che scendeva nel cuore.
Marco, già da tempo, per assicurarsi il posto, sedeva ad un tavolino del Florian. Era ancora solo, nessuno gli aveva chiesto di condividere quell’angolo privilegiato, e una sedia, cosa stranissima, era ancora libera, forse sfuggita all’affannosa ricerca di chi era in piedi. Poco discosta da lui, con gli occhi fissi sull’orchestra, una ragazza seguiva, incantata, i virtuosismi del trombettista che sembrata tessere un ricamo di note, innalzare un canto magnifico e struggente, nel silenzio profondo, rimarcato dal lieve bisbiglio che veniva da lontano.
Marco la guardava, con un lieve sorriso sulle labbra, seguendone le mutevoli espressioni del bel volto, ovale, incorniciato da lunghi capelli neri che giungevano fin quasi a metà della schiena.
Cercò di attrarne l’attenzione, con un leggero sibilo che fece uscire dalle labbra, cautamente, perché non desse fastidio agli astanti. La ragazza si voltò, e lui le fece cenno di avvicinarsi. La donna lo guardò interrogativamente, e con la mano puntata sul petto gli chiese se si rivolgesse a lei. Marco assentì con la testa, e lei, quasi sfiorando la terra, si accostò al tavolino.
Le bisbigliò:
‘Non resti in piedi, il concerto proseguirà parecchio, profitti di questa sedia che é inaspettatamente ancora libera.’
Lei fece un cenno di ringraziamento, col capo, sorrise e sedette.
Il giovane si sporse verso di lei.
‘Le piace Purcell?’
Lei alzò le spalle e strinse le labbra, seguitando a guardare l’orchestra, come a non voler perdere nemmeno una battuta.
Il virtuosismo dell’orchestra terminò tra battimani entusiasti. Il maestro fece alzare il solista e lo applaudì vivamente. La folla tributò all’artista una vera ovazione che durò a lungo, e poi andò spegnendosi lentamente. Il maestro scese dal podio.
Marco si rivolse alla ragazza.
‘Scusi per prima, l’ho disturbata mentre stava seguendo attentamente la magnifica esecuzione di Purcell. Le piace?’
‘Le devo confessare’ ‘rispose la ragazza- ‘che non ne so molto di Purcell.’
‘In effetti, non ha avuto molto tempo per scrivere la sua bella musica, é morto prima dei quarant’anni. E’ certamente un precursore di Haendel.’
‘Lei é un competente, in materia.’
‘No, solo un piccolo appassionato della musica che prima di andare ai concerti cerca di documentarsi sui pezzi che saranno eseguiti. Purcell, come dicevo, visse poco, frequentò la corte inglese, compose un’opera molto bella, Didone ed Enea, e molte sonate, in cui mostrò una sensibilità delicata, e che espressero la sua concezione della musica: una raffinata decorazione. L’uso della tromba, poi, la sua esaltazione, sottolinea la poesia di Purcell. La tromba annuncia, divulga le notizie, incita alla battaglia, accompagna riti religiosi, dichiara la fama.
Petrarca lo canta: O fortunato, che sì chiara tromba trovasti!’
Lei sorrise.
‘Grazie per avermi chiamata al suo tavolo. Sono certa che le sue lezioni m’istruiranno preziosamente in una materia che quasi sconosco. Mi piace la musica, moltissimo, ma sono all’oscuro della sua storia e delle caratteristiche dei vari autori, ed ancor meno sono capace dei suoi dotti accostamenti.’
‘Non mi prenda in giro, la prego, nessuna presunzione di lezioni. E’ che sono restato solo, a questo tavolino, per molto tempo, ed ora assalgo chi mi offre l’occasione di fare quattro chiacchiere. Specie, poi, se é una bella ragazza.’
‘Grazie per il suo complimento, ma non vorrei che fosse una specie di… approccio…’
‘Mi perdoni se ho dato una tale sensazione. In questo caso, starò nel più rigoroso silenzio.’
‘No, non volevo essere scortese, é solo una forma di difesa istintiva dovuta alla realtà odierna. Non crede?’
‘Si, ha ragione. Un uomo solo, al caffè, invita una bella ragazza a sedere al suo tavolino, con la scusa che non é il caso di restare in piedi per tutto il concerto, e subito… attacca, con la scusa di parlare dei musicisti. Ci sono tutti gli estremi per sospettare un… tentativo.’
Lei sorrise, rasserenata.
‘Credo d’essere stata sospettosa e precipitosa. Grazie ancora per il posto.’
‘Per suggellare la pace, mi permetta d’offrirle qualcosa. Lei certamente sa, che qui sono speciali per gelati, cioccolato, panna, cialdoni…’
‘Io sono golosa, e non so resistere alle tentazioni. Che ne dice di cioccolato con panna e cialdoni?’
Marco fece un cenno al cameriere, che si avvicinò subito, e ordinò ciò che aveva detto la ragazza, per due.
Si rivolse a lei.
‘Sono anch’io goloso, e incapace di rinunciare alle piccole dolcezze della vita. Mi permetta di presentarmi. Sono Marco Grimani.’
‘Veneziano?’
‘Da infinite generazioni.’
‘Io sono Licia Farsetti, arciveneziana, studentessa alla Ca’ Foscari.’
‘Facoltà?’
‘Lettere moderne, ultimo anno, mi manca solo un esame. La tesi é stata approvata ed é pronta. Filologia romanza, su Bonvesin da La Riva. E lei di cosa s’occupa?’
‘Sono anch’io alla Ca’ Foscari. Vi sono tornato quest’anno, dopo un periodo in cui ho vagato sia in Italia che all’Estero. Eccomi di nuovo a casa. Felicissimo.’
‘Se non sono indiscreta, di cosa s’interessa alla Ca’ Foscari?’
‘Sono ordinario d’economia, a Giurisprudenza. Non mi guardi con l’ironia tipica dello studente contro il docente. Non sono un cattedratico barbogio e barone. In fondo, ho compiuto ieri trentaquattro anni.’
‘No, professore, nessun’ironia, solo doverosa deferenza verso il maestro. Complimenti per la sua giovane età. La si riterrebbe, al massimo, uno studente un po’ in ritardo.’
‘Forse sono solo un insegnante in anticipo, ho avuto la fortuna di vincere subito il concorso. La prego, però, non mi chiami professore.’
Il cameriere portò quanto ordinato, e sistemò le coppe dinanzi a ciascuno.
‘Scusi, ma come dovrei chiamarla?’
‘Mi consideri un amico, se permette, un amico un po’ anziano, e mi chiami Marco.’
‘Lo sa che mio fratello ha trentaquattro anni?’
‘Lei lo considera vecchio?’
‘No, mio fratello é giovanissimo ed é bellissimo. Gli voglio molto bene. Qualche volta, per farlo arrabbiare, lo chiamo matusa. E’ un giovane veramente in gamba. Ha conseguito la laurea a Milano, alla Bocconi. Lavora in banca come il mio papà.’
Avevano, intanto, iniziato a gustare lo scuro cioccolato che emanava un odore delizioso. Licia, aveva raccolto la panna col cialdone, l’aveva messa in bocca, ed ora sorseggiava il cioccolato tiepido.
Marco la guardava sorridendo.
‘Le piace?’
‘Da morire. Lei, però, non ha ancora cominciato.’
Lui mischiò la panna al cioccolato, col cucchiaino, e cominciò a centellinare, lentamente.
‘Come mai sola?’
‘Cosa c’é di strano? E’ solo anche lei.’
‘Ha ragione, ma credo che una giovane ragazza debba essere sempre col suo ragazzo.’
‘Crede male, perché mi no gò moroso. Mi scusi, e la sua morosa?’
‘Gnanca mi gò morosa.’
Scoppiarono a ridere entrambi.
‘Quindi, professore, siamo due single.’
‘Possiamo anche definirci così, ma lei é talmente giovane che tale qualifica le si può addire solo scherzosamente.’
‘Andiamo, professore, non stia a considerarsi zitello prima de nàsser.’
‘Lei é simpaticissima, Licia ‘posso chiamarla così?- ed ha un amabile modo di consolare e prendere in giro contemporaneamente. No, non mi sento condannato irrevocabilmente al … zitellaggio, ma in materia devo cominciare da zero, perché non ho mai avuto il tempo di pensare seriamente a una fidanzata. E dove, poi? Quando? Sono sempre stato di qua e di là alle prese coi libri, con le pubblicazioni, a prepararmi al concorso…’
‘D’accordo, professore, ma é certo che non ha ancora trovato la donna della sua vita, perché l’amor no se pol tegnir sconto. A proposito, mi chiami pure Licia. Del resto è il mio nome.’
‘Grazie, e si ricordi che il mio nome é Marco. Non mi tenga a distanza, non credo di meritarlo.’
‘Quando dirò alle mie amiche che un professore, un ordinario per giunta, mi ha detto di chiamarlo per nome, non ci crederanno.’
‘Perché, glielo dirà?’
Licia divenne seria, lo guardò pensosa.
‘Non lo so.’
‘Non perda la sua gaiezza. Ho detto qualcosa che l’ha turbata?’
‘No, é che ho la sensazione di sbagliare tutto, questa sera. Forse non dovevo venire ad ascoltare la musica, non mi dovevo sedere al suo tavolo, non dovevo prendere cioccolato e panna, non…’
‘Troppi non, Licia. Consideri le cose dal lato buono. La musica é incantevole, e quando é possibile é bene ascoltarla. Meglio seduti, che non stancarsi rimanendo in piedi. Cioccolato e panna sono una piccola delizia per il palato, e dolcemente si sposano al godimento dello spirito. L’unico neo, ne deriva, sono io. Mi scusi.’
‘Oh, no. Lei non deve scusarsi, così gentile, così affabile. Forse é bene che io vada, non vorrei far tardi.’
‘Non vuole ascoltare Wagner? I Veneziani lo amano, come lui amava Venezia. E’ qui che morì, nel 1883, dopo aver composto il Parsifal.’
‘Mi spiace, ma sento che devo andare.’
‘Aspetti solo un momento, pago il conto e l’accompagno.’
‘Non si disturbi.’
‘Sarebbe un grandissimo piacere accompagnarla, almeno per un tratto. Ma se non vuole…’
‘No… solo che non voglio impedirle di ascoltare Wagner.’
‘Questo mi sarà possibile quando vorrò. Ne ho una ottima incisione, a casa. Accompagnare lei, non so se mi capiterà ancora.’
Chiamò il cameriere, pagò.
Si alzarono, mentre il maestro stava tornando sul podio.
Lui la superava in altezza, di alcuni centimetri. Ben proporzionato, abbastanza snello, dal portamento elegante, vestito di scuro.
Lei, indossava una gonna nera, una maglietta, molto aderente, di jersey rosa, in seta, con un fiore ricamato sul seno sinistro. Sopra, un leggero soprabito, anch’esso nero, svolazzante. Volto regolare, intelligente, con occhi verdissimi, labbra perfette, appena ravvivate dal rossetto color amarena. Un personale statuario.
Marco le chiese:
‘Da quale parte?’
‘Abito un po’ lontano. Campo San Geremia.’
‘Possiamo andare a prendere una gondola, un motoscafo.’
‘No, grazie. Neppure il vaporetto. Preferisco andare a piedi.’
La prese sotto braccio.
‘Venga, facciamo le mercerie. Va bene?’
Lei annuì.
Si diresse alla Torre dell’orologio, imboccò le mercerie.
C’era pochissima gente, alla confusione di qualche ora prima era subentrata una calma quasi irreale. Dopo il concerto, la gente avrebbe nuovamente affollato le piccole strade.
Lui la teneva sempre sottobraccio, sentiva il tepore di lei attraverso la leggera stoffa.
‘Lei dove abita, professore?’
Marco rimase in silenzio, guardando dinanzi a sé.
Licia lo guardò, curiosa.
‘Professore? Dove abita?’
L’uomo non rispose.
Lei si fermò di scatto.
‘Perché non risponde?’
‘Chi, io?’
‘E, allora, chi?’
‘Non lo so, mi sembrava che volesse parlare con un professore. Qui non c’é.’
Licia rise sonoramente.
‘Va bene. Riformulo la domanda. Lei dove abita, Marco?’
‘Ci passeremo davanti, a San Giovanni Crisostomo.’
‘Dove c’é il pozzo nel capitello?’
‘Si, proprio li.’
‘E’ con i suoi genitori?’
‘Si, e con mia sorella Giulia.’
‘Più giovane di lei?’
‘Dieci anni meno. E’ biologa, da pochi mesi.’
‘Anch’io ho una sorella, Olga, di vent’anni, secondo anno di lettere.
Erano giunti a Campo San Salvador, girarono a destra, verso il monumento a Goldoni.
Marco sostò un istante, senza lasciare il piacevole calore di Licia, che carezzava leggermente. La guardò interrogativamente.
‘Rialto o Santi Apostoli?’
‘Passiamo per Santi Apostoli, così vediamo casa sua.’
Lasciarono a sinistra la Posta, e prima di entrare nel campo, giunsero dinanzi la chiesa. Nonostante l’ora, era aperta.
Licia si fece il segno della croce, e spiegò:
‘E’ aperta perché é esposto il SS Sacramento, per l’adorazione. Entriamo un momento?’
S’avviò alla porta, senza attendere risposta.
Rimasero in silenziosa preghiera per qualche minuto.
‘Sa, Marco, conosco questa chiesa. Ogni tanto, passandovi davanti, mi fermo a fare una preghiera. Nel 1918 stava per essere distrutta, durante un bombardamento austriaco. Sarebbe stato un vero peccato, perché é l’ultima opera dell’architetto rinascimentale Mauro Codussi. Dentro, forse l’hai notata, c’é una bella pala di Tullio Lombardo.’
Marco le strinse con forza il braccio.
‘Grazie, Licia, grazie infinite.’
‘Di cosa, delle poche notizie sulla Chiesa? Fa parte della storia dell’arte veneziana, esame che ho superato anche con la lode.’
‘Altro che lode, ci vorrebbe il bacio, di quelli da ricordare. Grazie, perché spontaneamente, e prima che io lo chiedessi, mi hai dato del tu…’
‘Scusi…’
‘Tutt’altro. Sono lietissimo, una ragazza, che, tutto sommato, mi considera zitello, mi parla col tu. Grazie. Non tornare indietro, per favore. Sono felice.’
Erano giunti nel campiello. Al centro. Il pozzo, ricordato da Licia, di fronte la casa di Marco.
‘Ecco, sono nato in quella casa, vivo li da sempre. Da quei balconi, quand’ero piccolo, vedevo la gente che andava, dirimpetto, dal frittolino. Oggi c’é uno snack bar. Sono stato battezzato a San Cassian. Il campiello era il mio piccolo regno, il luogo di giuochi, con i compagni, le rare volte che mi lasciavano scendere.’
Licia lo guardò, un po’ commossa, strinse il braccio verso il corpo, serrando la mano che seguitava a carezzarla lentamente.
Ripresero il cammino, in silenzio. Il piccolo ponte, la chiesa dei Santi Apostoli, la larga e lunga strada nuova, con qualche raro passante.
Sembrava che avessero esaurito tutti gli argomenti.
La ragazza lo guardava, di tanto in tanto, e non sapeva come riprendere la conversazione. Gli aveva dato del tu, spontaneamente, come ad un compagno d’università, abbattendo improvvisamente le barriere dell’età, dell’essere, lui, un cattedratico. Lei, ora, non percepiva tali ostacoli.
Incontrarono una calle stretta, a fianco del Palazzetto Foscari. Gli chiese:
‘Andiamo a vedere il canale?’
Lui assentì, silenziosamente.
Non c’era nessuno. L’acqua, scura, sciabordava sordamente. Poco distante, il pontile della Ca’ d’Oro, la fermata del vaporetto, era deserto. Licia s’accostò al bordo. Lui le era dietro. La prese per le braccia, istintivamente, per proteggerla, per tema che potesse cadere in canale. Lei si strinse a lui, sospirando, si voltò lentamente. Fu un lungo bacio, delizioso, tenero, e al tempo stesso appassionato.
Le sussurrò teneramente:
‘Scusa, ma un baso, una forbìa, el baso xé andà via….’
Licia respirò profondamente. La voce era un po’ roca.
‘ Mì no vogio una forbìa…’
E tornò a baciarlo.
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Bussò timidamente alla porta.
‘Avanti!’
Aprì appena la porta, quasi con circospezione.
Marco era dietro la grande scrivania, a destra, vicino il balcone, piena di libri e di carte. Levò gli occhi da un documento che stava leggendo. Si alzò e le andò incontro, con un’espressione felice sul volto. Le prese le mani e le baciò.
‘E’ un dono meraviglioso, cara. Non speravo tanto.’
‘Disturbo?’
‘Una visione che incanta, é sempre il regalo più bello del creato.’
‘Anche poeta!’
‘Solo ammiratore del bello.’
‘Grazie. Posso affacciarmi?’
‘Certo, vieni.’
Dischiuse la vetrata e uscirono sul balcone.
Licia si appoggiò sul parapetto, Marco si mise accanto, le cinse la vita, accostò il volto ai capelli di lei.
‘E’ bello qui, uno degli angoli più suggestivi del Canale, dove si distacca il Rio, tra noi e Ca’ Balbi. Di fronte, Ca’ Moro-Lin e Ca’ Grassi, poco oltre, San Samuele, alla nostra destra Palazzo Giustinian, sede del Museo del Settecento veneziano. Siamo in una costruzione che ha più di cinquecento anni. E’ stata anche caserma degli Austriaci. Ti piace?’
Lei lo guardò, ammiccando.
‘Non credi che sia imprudente farti vedere affacciato con una studentessa?’
‘A parte che non sei della mia facoltà, la cosa potrebbe, forse, destare l’interesse del Preside e del Rettore, e invidia negli altri.’
L’attirò ancor più a sé.
‘Ti sono grato, Licia, per essere venuta. Ripeto, non lo speravo. Quando ieri sera ti ho salutata, e ti ho detto che avrei voluto rivederti, hai alzato le spalle. Hai appena sfiorato il mio viso, con un bacio che nulla aveva di quelli scambiati prima. Mi é sembrato di capire che per te era stato un breve momento di debolezza, forse di carità per me.’
Gli passò le unghie, leggermente, sulla mano che la teneva stretta.
‘Ciò, varda el professor, ga inventà i basi de carità. Se credi così, ho sbagliato a venire a trovarti.’
‘Perché sei qui?’
‘La verità é che me piase cioccolato e panna, e spero che tu me ne offra ancora…! Contento? Adesso vado via.’
‘Resta ancora, ho lezione solo tra un’ora. Poi potremo andare a colazione insieme.’
‘No se pol. Mi aspettano a casa.’
‘Pomeriggio libero?’
‘Dipende.’
‘Da che?’
‘Da quello che mi si prospetta.’
‘Cioccolato e panna, al Lido.’
‘Aggiudicato.’
‘A che ora?’
‘Alle tre, dopo pranzo, al vaporetto, al ponte della Paglia?’
‘D’accordo.’
‘Devo andare in biblioteca. Ho chiesto dei libri e mi hanno promesso che me li faranno trovare questa mattina.’
Tornarono nella stanza, Marco chiuse il balcone.
Licia gli si attaccò al collo e lo baciò sulle labbra, con foga. Si staccò un po’ e lo guardò negli occhi.
‘Carità per un poareto. E questo xe per mi.’
Lo baciò ancora.
Senza dargli il tempo di dire qualcosa, lo salutò con un ciao allegro, e uscì.
^^^
Marco l’attendeva al pontile. Immaginava che sarebbe venuta col motoscafo pubblico. In quel momento se n’accostava uno. Licia era in prima fila, pronta a sbarcare. Balzò, agile, salutandolo con la mano, e gli corse incontro.
Era bellissima, sprizzante gioventù, allegria, voglia di vivere. Pantaloni, aderenti, marrone scuro, camicetta di seta avana, un leggero foulard, al collo, dello stesso colore dei pantaloni. Una moderna borsa di tela, sportiva ed elegante, dalla quale faceva capolino un leggero cardigan di lana.
Si alzò sulla punta dei piedi, gli sfiorò le labbra con le sue.
‘Riverisco, professore. E’ molto che aspetta?’
‘Sciao suo, bela putea. Sono qui dal tempo giusto, ansioso di vederla. Andiamo al Lido?’
‘Professore, promissio boni viri…’
‘Salvo che tu non desideri andare altrove.’
‘Lido, Lido, Lido…’
‘Benissimo. Prendiamo il motoscafo privato?’
‘No, vaporetto grande, e saliamo su.’
La prese per la mano, e andarono dov’era attraccata la piccola motonave in partenza per il Lido. Fece i biglietti, mentre lei l’attendeva poco discosta, salirono a bordo, andarono sul ponte superiore, all’aperto, a sedere sulla panchina di diritta, che guardava San Giorgio.
‘Non avrai freddo?’
Lo guardò con espressione maliziosa.
‘Me ne farai avere?’
Marco l’avvolse col braccio, sfiorandole il seno con la mano.
Lei fu percorsa da un fremito, lo guardò di nuovo.
‘Non credo che avrò freddo.’
Abbandonò la testa sulla spalla di lui, coi lunghi capelli che formavano un manto corvino.
Marco indicò l’isola, di fronte.
Venerdì devo aprire un convegno e svolgere la relazione d’apertura, quella principale, alla Fondazione Cini.
Lei ebbe un sobbalzo. Gonfiò il petto. Sentì più forte la stretta della mano di lui.
‘Posso venire?’
‘Senza sapere l’argomento?’
‘Posso venire? L’argomento é certamente interessante, ma quel che più conta, per me, é il relatore. Posso venire?’
‘Certamente. Domani ti darò l’invito per i posti assegnati.’
‘Che vuol dire?’
‘Sono posti riservati. Su ogni sedia é indicato il nome dell’invitato.’
‘Anche su quella mia?’
‘Certo. Ci sarà un cartello con su scritto Licia Farsetti.’
‘Che bello. Ci sarà molta gente?’
‘Credo di si. E’ un convegno internazionale. E’ prevista la traduzione simultanea in alcune lingue.’
‘L’argomento?’
‘What if…’
‘Cioè?’
‘Cosa potrebbe accadere se… Si riferisce alle problematiche economiche mondiali se accadessero alcuni eventi.’
‘Sei preparato?’
Marco sorrise, e le carezzò i capelli.
‘Spero. Non vorrei fare cattiva figura. Interverranno anche i miei professori di Harvard e Cambridge, e alcuni colleghi francesi dell’ENA. Se vuoi, posso darti un invito per tuo fratello, lui è bocconiano, potrebbe essere interessato. Ma sarà un invito ordinario, vuoi?’
‘Si, grazie. Non sapevo che tu fossi così importante.’
‘Non sono importante, é tra i compiti di un economista partecipare a tali convegni.’
La ragazza restò in silenzio, guardando lontano, mentre la nave si distaccava dalla riva. Le vibrazioni del motore giungevano fino a loro.
‘Perché sei così silenziosa? Mi sembra di leggere un’espressione delusa sul tuo visetto. Sei pentita d’essere con me?’
‘Niente…’
‘Guardami, bimba. Niente non é una risposta. Cosa ti turba?’
Lei fece un profondo sospiro.
‘Dio…’
Marco si volse verso lei, le prese le mani gelide.
‘Chi chiama Dio non é contento. Cosa é accaduto. Ti prego, dimmelo.’
Licia aveva gli occhi pieni di lacrime.
‘Sono una stupida, Marco, scusami.’
‘Cosa significa questo, non capisco.’
‘Marco, ieri sera sono stata contenta, quando sono stata invitata al tuo tavolo. Sono stata felicissima, per la prima volta in vita mia, quando ci siamo baciati. Ho rimuginato tutta la notte, mi sono chiesta se sia possibile restare folgorata al primo incontro. La risposta é si. Questa mattina, hai visto, mi sono precipitata nel tuo studio, non ho saputo resistere. Ho contato i minuti che hanno preceduto quest’incontro. Mille volte mi sono detta di stare attenta, di non sopravvalutare un incontro occasionale, che, forse, sono rimasta attratta dall’alone che ti circonda: simpatia, cultura, un aspetto sereno, il sembrare un uomo sincero…’
‘Non sembro sincero, lo sono. Ma, ti prego, va avanti.’
‘Mi sono anche domandata come io possa credere di volerti bene, dopo aver parlato con te, in complesso, pochi minuti. Una prima risposta, purtroppo, me la sono data.
Non credo di volerti bene.
Ti voglio bene! Ma sto comprendendo che mi faccio delle illusioni, la tua vita ti porta lontano da me. Forse é solo un breve episodio. Incontrarsi e dirsi addio. Tu hai la tua cattedra, i tuoi convegni, le consulenze, i tuoi studi. Come posso illudermi che tu abbia anche un posticino per me, nel tuo cuore, nel tuo tempo? Mi sono montata la testa. In meno di ventiquattr’ore mi sono costruita un castello che non ha fondamenta, ho creduto una fiaba irrealizzabile…’
Marco le prese il volto tra le mani e la baciò sulla bocca, appassionatamente. L’attirò sulle sue ginocchia, incurante se qualcuno stesse a guardarli. La cullò dolcemente.
‘Piccola Licia che tormenta la sua mente e il suo cuore. Ragiona solo un momento. Proprio perché un po’ sono come tu mi hai descritto, perché sono preso dagli impegni ai quali hai accennato, credi che sia il tipo che abbia voglia di perdere tempo in una breve avventura sentimentale? Mi reputi così meschino da infastidire una giovane fanciulla, d’ottima famiglia, seria, corretta, laureanda, e per giunta con tanti anni meno di me? Ti confido una cosa. Quando ieri sera ti ho vista, in piedi, mentre seguivi l’inizio del concerto, mi é venuto spontaneo da domandarmi: Marco, perché non dici a tua moglie di sedere al tuo tavolo? Si, ho la certezza che ieri sera ho incontrato mia moglie. Ne ho avuto la conferma nei tuoi baci, nel tuo venire in facoltà, nel tuo essere qui adesso.’
Licia l’abbracciò stretto.
‘Marco, ti prego, non prendermi in giro, non burlarti di me.’
‘Bambina mia, sei già tutto, per me.
Non piangere, non arrossare i tuoi splendidi occhi di smeraldo.’
Le porse il fazzoletto candido che aveva in tasca.
‘Asciuga le tue lacrime’
Le dette un’affettuosa pacca sul fianco.
‘Su, putea, ndemo a prender cioccolato e panna. O gelato?’
Lei tirò su col naso. Lo guardo con gli occhi lucidi. Sorrise.
‘Gelato, professore, gelato.’
La nave era giunta a Santa Elisabetta.
Scesero con gli altri passeggeri.
‘Licia, prendiamo il taxi e andiamo sulla veranda dell’Excelsior?’
‘Ma é troppo caro, Marco.’
‘Non per me, sono Consigliere d’Amministrazione della Società proprietaria.’
In quel momento s’avvicinò un giovane in divisa d’autista e salutò rispettosamente Marco.
‘Buon giorno signor professore. Sono con l’auto dell’Hotel. Viene da noi? Posso accompagnarla?’
Marco gli sorrise, lo ringraziò, e prese posto nella lussuosa auto, con Licia che gli si era posta al braccio, con aria deliziosamente incantata.
In pochi minuti giunsero a destinazione. Andarono direttamente alla veranda del bar. Anche qui furono accolti con sorrisi ed inchini. Presero posto su un comodo dondolo. Ordinarono due coppe di gelato. Con panna, aggiunse Licia.
Marco chiese scusa a Licia e si allontanò per qualche minuto.
Subito dopo il suo ritorno, servirono i gelati.
‘Passato tutto, bimba?’
Lei annuì, sorridendo.
‘Però, Marco, scherzavi quando hai detto che avevi visto in me tua moglie, vero?’
‘Mai più serio di così. So bene che devi valutare tante cose. Prima di tutto accuratamente, a fondo e serenamente, i tuoi sentimenti. Poi, accertare la piena e incondizionata disponibilità del tuo cuore: se é totalmente libero, e per sempre. Quindi, esaminare il tipo di vita che ti attende, per il mio carattere, per la mia professione, e se ciò contrasta con le tue aspettative, professionali o meno. E non é tutto. Devi parlarne con i tuoi.’
‘Marco, ieri a quest’ora pensavo all’ultimo esame, alla tesi. Ora tu mi parli di tutta una vita. Mi sembra di navigare tra una nebbia fitta, impenetrabile. Ma non mi prendi in giro?’
‘Che crudeltà stupida, sarebbe la mia, se osassi scherzare su tali argomenti. Vieni, facciamo una passeggiata. Vuoi?’
Licia si alzò, andarono verso la spiaggia. Passeggiarono a lungo sulla battigia. Tornarono indietro, entrarono nel giardino dell’Hotel, sedettero in un angolo tranquillo. Si baciarono a lungo, ardentemente, con le dita che s’intrecciavano e si cercavano, bramose.
‘Marco, forse dobbiamo pensare a rientrare. Le ore sono volate veloci, purtroppo. Ci vorrà molto tempo per giungere a casa.’
‘Ti aspettano presto?’
‘Alla solita ora, per la cena. Non ho detto che avrei fatto più tardi.’
‘Vieni, andiamo a salutare il direttore.’
Entrarono nell’Hotel. Il direttore, che era nella hall, andò subito verso Marco salutandolo con cordiale riguardo.
Marco lo presentò a Licia.
‘La signorina Licia Farsetti é la mia fidanzata, direttore. Credo che ci vedrà spesso.’
L’uomo s’inchinò leggermente verso la ragazza.
‘Auguri, signorina, e complimenti a lei, professore. Noi saremo sempre lieti e onorati di ospitarvi. Il prossimo mese inizierà la stagione dei bagni, come la chiamiamo noi, e per voi ci sarà sempre un posto riservato.’
Si volse a Marco.
‘Il motoscafo è pronto e a sua disposizione, professore. Troverà anche un pacchetto con quanto ha ordinato. E’ stato fatto tutto, rapidamente e perfettamente. Se i signori partono subito, li accompagno.’
‘Grazie, direttore. Partiamo subito perché Licia vuole tornare a casa.
Si avviarono al pontile. Il ganzér teneva fermo il motoscafo, il direttore aiutò Licia a salirvi. S’imbarcò anche Marco. L’imbarcazione si staccò lentamente.
Entrarono nell’abitacolo, comodo, con poltrone di velluto rosso. Sul tavolino una piccola scatola di cuoio blu. Marco l’aprì, n’estrasse un bracciale d’oro, con alcuni smeraldi scintillanti. Sulla piastrina, vicino alla chiusura, erano intrecciate due iniziali, LG. Marco disse a Licia di dargli la mano. Le cinse il polso col braccialetto.
‘Ti piace?’
‘E’ bellissimo, per chi é?’
‘Per te, bambina.’
Licia lo guardò attentamente.
‘Le iniziali, però, non sono le mie. Inoltre, che racconterei a casa?’
‘Le iniziali, piccola, sono le tue: Licia Grimani. A casa racconta la verità. Vieni qui.’
L’attirò a sé, sul divanetto, e la tenne stretta per tutto il percorso, mentre il motoscafo sobbalzava sulle onde.
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I Farsetti avevano finito di cenare. Marietta stava sparecchiando, i commensali erano ancora intorno alla tavola, a scambiare quattro chiacchiere. Licia li guardò ad uno ad uno, con un certo sorriso sulle labbra.
‘Sapete che ho conosciuto un giovane?’
Olga ebbe un moto di sorpresa.
‘Se non ce lo dici, come facciamo a saperlo?’
‘Si, l’ho conosciuto ieri sera, a San Marco, e oggi sono stata con lui al Lido.’
Il padre, si tolse gli occhiali.
‘Chi selo?’
‘Si chiama Marco Grimani.’
Giorgio intervenne.
‘Come il professor Grimani.’
‘Non come, é il professor Grimani.’
‘Va là!’
‘Grimani é qualcuno. Il giovane astro dell’economia.’ ‘proseguì il fratello- ‘E’ anche il consulente economico della banca dove lavoro io. Come l’hai conosciuto?’
Tra l’attento silenzio della famiglia, Licia raccontò tutto. Quasi…
Guardate cosa mi ha regalato, oggi. Mostrò il braccialetto.
‘Fa vedere.’
Disse papà Simone.
Licia lo tolse dal polso e lo dette al padre. Questi inforcò gli occhiali e lo guardò accuratamente, poi, con espressione stupita, lo passò alla moglie.
‘Guarda, Elena, é un gioiello di valore.’
La donna esaminò il braccialetto.’
‘Ma le iniziali incise, LG, non sono le tue Licia.’
‘E’ una storia da dire, mamma, Marco mi ha spiegato il perché di quelle lettere.’
‘Sta attenta Licia, tu sei molto giovane e quest’uomo potrebbe essere tuo padre, credo.’
Licia sbottò a ridere.
‘Mamma, ha la stessa età di Giorgio.’
‘Ma se Giorgio ha detto che é un pezzo grosso dell’economia. Tu che ne dici Simone?’
Il padre era alquanto accigliato.
‘Ho letto qualcosa d’interessante, di questo Grimani. Mi sembra un uomo preparato, e so che fa anche parte del Consiglio economico della nostra Banca, la Banca d’Italia. Non immaginavo, però, che fosse così giovane. Quello che importa, però, anche in considerazione del gioiello che ha regalato a Licia, é sapere cosa significhi, per lei, quest’incontro casuale.’
‘Papà, non so spiegarmi. Tu sai che non sono il tipo di dare facilmente confidenza ai ragazzi. E’ vero, però, che questo é un uomo fatto. Fin da quando mi sono seduta al suo tavolo, ieri sera, mi sono sentita protetta, oggetto d’attenzione, d’ammirazione. Mi é sembrato di essere avvolta in un piacevole tepore. Del resto, non c’é stato niente più d’un bacio…’
‘Licia!’
‘Mamma, baso no fa buso!’
‘Si benedeta, ma no xe massa difficile passare dall’uno all’altro! Scusatemi.’
‘Sta attenta, putea, non star a dargli troppa confidenza, spetta di capire cosa ci sia veramente, tra voi. Restituiscigli il braccialetto.’
‘No, mamma. Mi ha invitato ad un convegno…’
Giorgio annuì.
‘Si, quest’anno il What if si tiene in Italia, e il professor Grimani ha avuto l’incarico di tenere la relazione d’apertura. Ci andrai? Beata te.’
‘Marco mi ha detto che manderà l’invito anche a te.’
‘Davvero? Perché, gli hai parlato di me?’
‘Certo, fratellino, e lui mi ha parlato della sua famiglia, mi ha fatto vedere dov’é nato e dove vive, a San Giovanni Crisostomo.’
‘Dai, sorella, sei cotta.’
Licia arrossì e abbassò la testa.
Simeone cercò di mediare.
‘Figlietta mia, é normale che una ragazza s’innamori d’un ragazzo. Non correre troppo, però, abbi fiducia in noi, specie in tua madre. Sta ben attenta a non prendere cantonate. Sii cauta.’
Lei restò a guardare la tavola, con gli occhi pieni di lacrime.
Il padre s’alzò, le andò vicino, le mise le mani sulle spalle.
‘Non piangere, piccola, può essere una cosa bellissima.’
‘Si, papà, é bello, mi piace stare con lui.’
‘Sappici stare, Licia, comportati come sempre ti sei comportata. Su, dà un bacio a papà e mamma. Io vado a leggere il giornale nel mio studio. Voi, ragazzi, non uscite?’
Giorgio e Olga dissero che sarebbero andati a fare un giretto. Ognuno con i propri amici.
Licia preferiva studiare.
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Non erano ancora scoccate le nove, quando suonò il citofono dei Farsetti. Marietta chiese chi era, spinse il pulsante d’apertura del portone, attese che l’uomo che s’era annunciato, il fattorino della Ca’ Foscari, giungesse al pianerottolo.
‘Devo consegnare due buste, una per la signorina Licia Farsetti e l’altra per il dottor Giorgio Farsetti.’
Marietta gli sorrise.
‘Vuole entrare?’
‘No, grazie, devo solo lasciare queste, pensa lei a darle ai destinatari?’
Le porse i due plichi.
‘Grazie, ci penso io.’
Prese i plichi, attese che l’uomo fosse sceso, chiuse piano la porta di casa, e andò a bussare alla porta di Licita.
‘Postaaaa!’
Licia aprì.
‘Posta?’
‘Si dalla Ca’ Foscari. Facoltà di Giurisprudenza. Il Direttore del dipartimento d’Economia! C’é n’é anche una per il fratello, la lascio qui?’
‘D’accordo, dalla a me.’
Prese le buste e tornò a sedere sul divanetto. Girò e rigirò gli involucri. Gli indirizzi erano scritti a mano, con calligrafia diritta, chiara.
Poggiò la lettera per Giorgio sul tavolino, aprì la sua, lentamente, senza strapparla. N’estrasse un foglio scritto e un’altra busta, bianca, indirizzata a lei.
Licia bella,
Grazie per ieri, attendendo speranzoso di incontrarci questa sera, per andare al cinema.
Nella sala grande della Palazzo del Cinema, proiettano una prima mondiale, e sarei felice di andarvi con te. In un bigliettino a parte ti scrivo i numeri di telefono dove puoi trovarmi, senza passare per le segreterie. Ti allego due inviti per il convegno di venerdì prossimo (e sabato), e relativi programmi: per te e per tuo fratello. Mi piacerebbe conoscerlo. Scusa se scrivo frettolosamente, ma sono preso da mille cose, molto meno importanti di te, logicamente.
Tornando a questa sera: verrò a prenderti alle otto, col motoscafo raggiungeremo la sala. Al termine dello spettacolo ci sarà un buffet. Dopo, ti riaccompagnerò a casa, verso l’una di notte. Se sei d’accordo, non hai bisogno di telefonarmi. Se lo ritieni necessario, posso telefonare ai tuoi, per assicurare loro che non girerai sola. Non vedo l’ora che sia stasera. Un lungo bacio, Marco
Rilesse la lettera più volte, con un’espressione compiaciuta sul volto. Copiò i numeri telefonici nella sua piccola agenda, e mise in tasca il foglietto. Aprì l’invito indirizzato a lei. La solita formula, un po’ enfatica. In alto, a destra, in corsivo, AUTORITA’, sul lato opposto, in grassetto, B25. Uscì dalla sua camera, andò in cerca della madre. Era nello studio di Simeone, seduta dietro l’ampia scrivania, intenta a controllare il calendario sul quale annotava varie scadenze.
‘Mamma, Marco ha mandato a Giorgio l’invito, e il programma, per il convegno di venerdì. Questa é la busta. Lo metto qui, sulla scrivania di papà. Anch’io l’ho ricevuto. Guarda. Vedi, c’é scritto che é per le autorità, chissà cosa significa quel B25.’
Elena prese il biglietto e il programma, che la figlia le porgeva, li lesse attentamente, glieli restituì.
‘Complimenti, Licia. Credo che il convegno sia molto interessante. Hai notato quanti illustri economisti vi partecipano? Vengono da tutto il mondo.’
‘Si, Marco mi ha detto che ci sono anche suoi professori e suoi colleghi. Dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra, dalla Francia…’
‘Quel B25, a mio parere, dovrebbe indicare fila B posto n.25.’
‘Si, dev’essere così. Mamma, Marco mi ha invitato per questa sera, ad una prima mondiale al Teatro della Mostra. Viene lui a prendermi, alle otto, andiamo al Lido col motoscafo privato, dopo la proiezione ci sarà un buffet, e quindi mi riaccompagnerà a casa. Farò tardi, un po’ oltre la mezzanotte. Che ne dici, mamma?’
Elena tolse gli occhiali, la guardò sorridendo.
‘Che bello che una figlia che ha già tutto deciso ti chieda cosa ne penso io! Divertiti, piccola, e, come ti ripeto sempre, sii prudente.’
Licia andò ad abbracciare la mamma.
‘Mamma, voglio telefonare a Marco, posso da qui?’
‘Certo. Devo lasciarti sola?’
‘No, anzi é bene che tu rimanga.’
Cercò in tasca il biglietto coi numeri telefonici, tirò a sé l’apparecchio, digitò il primo numero dell’elenco, inserì la viva voce. Marco rispose quasi subito.
‘Pronto, Marco?’
‘Ciao, bella. Se mi telefoni, significa che non devo venire a prenderti, questa sera? Sono profondamente deluso e dispiaciuto.’
‘No, significa che volevo sentire la tua voce, e chi ti aspetto. Grazie per l’invito.’
‘Grazie a te, bella bambina, e grazie per la telefonata.’
‘Hai da fare?’
‘Purtroppo si, e per la prima volta nella mia vita ne sono rammaricato, perché vorrei trascorrere tutto il mio tempo solo con te.’
‘Ciao, Marco, a questa sera.’
‘Ciao, amore. Un bacione.’
Rimise il ricevitore al suo posto.
Elena guardò intensamente la figlia.
‘Ma é proprio vero che vi conoscete solo da due giorni? Parlate come una coppia di vecchi fidanzati.’
‘Mamma, ieri, a meno di ventiquattr’ore dall’incontro al Florian, mi ha regalato quello stupendo bracciale, e mi ha detto che le iniziali sono quelle che dovrò avere per tutta la vita: LG, Licia Grimani.’
‘Se in cielo é stabilito così, amen! Ma tutto sta andando così in fretta, che mi sento confusa.’
‘Glielo dici tu, a papà che andrò al cine con Marco? Cosa mi devo mettere questa sera?’
Elena sospirò.
‘Si, Licia, glielo dico io.
Tu metti un po’ di sale in zucca…
Stasera, credo, ci sarà gente elegante, ma tu sarai la più bella.
Metti l’abito blu scuro e il soprabito nero. Ti darò la mia pochette nuova. Starai benissimo. Assicurati che sia tutto in ordine.’
‘Mammina, sei un tesoro.’
La baciò e uscì dallo studio, tornò nella sua camera, aprì l’armadio e controllò attentamente il vestito, il soprabito. Scelse le calze, preparò i guanti e le scarpine con un po’ di tacco. Esaminò diligentemente il contenuto del beauty case, si guardò allo specchio. Indossò un vestito per uscire, prese dei soldi dal primo cassetto, andò verso la porta d’ingresso, prima di aprirla si volse verso lo studio.
‘Mamma, vado a farmi capelli e mani, torno subito.’
‘Licia, potresti andarvi nel pomeriggio, mancano quasi dieci ore.’
Licia guardò l’orologio, al polso, alzò le spalle.’
‘Hai ragione, mamma, vi andrò oggi. Adesso vado a fare la doccia.’
‘Ma Licia, l’hai fatta solo da due ore.’
‘E’ vero, allora mi metto a studiare.’
‘Ecco, brava, studia. E sta calma.’
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Licia era elegantissima, splendida, affascinate.
Rispose lei, al citofono.
‘Sali, Marco?’
‘Forse, é meglio un’altra volta, quando non avremo orari da rispettare. Ti aspetto.’
Quando la vide, sul portone, sbarrò gli occhi, le prese le mani, curatissime, e le baciò teneramente.
‘Sei troppo bella, tesoro, una visione che incanta, affascina, strega. Abbaglierai tutti.’
Licia, girò lentamente su sé stessa.
‘Va bene, così?’
‘Al di là d’ogni sogno.’
‘Mi presenterai ai tuoi conoscenti?’
‘Certo.’
‘Come?’
‘Sei la mia fidanzata. Credo che mezza Venezia già sappia che Marco Grimani é fidanzato con Licia Farsetti.’
‘Quindi, le donne della laguna sono in gramaglie.’
‘Credo che non importi nulla a nessuno. In ogni modo, i commenti non m’interessano.’
Si fermò ad ammirarla.
‘Se non temessi di guastarti il trucco, l’acconciatura, ti coprirei di baci.’
Le baciò nuovamente le mani.
‘Andiamo, il motoscafo é in riva.’
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L’ingresso di Licia e Marco nel foyer, fece voltare molte teste verso loro. Ci fu uno scambio di sorrisi, misurati gesti di saluto. Procedettero verso il guardaroba. Quando Licia tolse il soprabito, e rimase col suo delizioso vestito, con la scollatura che esaltava la sua bellezza, e una leggerissima stola di seta, ci fu un evidente espressione d’ammirazione nei volti, specie degli uomini, e un discreto bisbiglio.
Un uomo, alto, bruno, elegante, simpatico andò incontro a loro.
‘Benvenuto, Marco, vi attendevo. Mi presenti alla signorina?’
Marco gli sorrise.
‘Non credo sia necessario. Comunque adempio alla formalità. Guido, questa é Licia Farsetti, la mia fidanzata. Licia, ti presento il Sindaco di Venezia.’
Guido Caracci accennò un inchino.
‘Venite, il Ministro é al bar, desidero che lo conosciate.’
Gualtiero Ravoni, era un giovane e simpatico politico, da sempre amante dell’arte, soprattutto dello spettacolo, e in particolare della cinematografia. Aveva, attualmente, un’importante posizione nella compagine governativa, ma, quando gli era possibile, non mancava ad avvenimenti importanti.
Salutò calorosamente Marco, e strinse la mano a Licia.
Si rivolse a Marco, come fosse un vecchio amico.
‘Caro professore, ho molto piacere a conoscerla personalmente, dopo aver tanto sentito parlare di lei, e tanto letto dei suoi scritti. Non é che condivida totalmente gli indirizzi economici che lei così bene illustra e suggerisce, ma questo, soprattutto, é dovuto alla mia ancora incompleta preparazione in materia. Del resto, i docenti servono, appunto, per chiarire, spiegare, dimostrare. Complimenti, caro Grimani, per la sua affascinante fidanzata. Economista anche lei?’
‘No, Ministro, Licia appartiene al mondo della letteratura moderna.’
Gualtiero si rivolse a lei, con compiacimento.
‘Anche dell’arte?’
Licia fu pronta a rispondere.
‘Si, signor Ministro, arte in genere, e figurative in special modo.’
‘Possiamo, allora, contare su di lei per la Biennale e per la Mostra cinematografica?’
‘Con molto piacere, signor Ministro.’
‘La prego, non si rivolga a me con toni d’ufficialità, se mi considera un amico. Ho un nome o, se proprio non vuole concedermi tale confidenza, ho un cognome. Questo vale, prima di tutto, per il professore. D’accordo?’
Il Ministro, come sua abitudine, voleva creare un clima di cordialità, quasi di clan.
Marco gli sorrise.
‘Ci proveremo, Gualtiero. Vero, Licia?’
‘Certo, anche se non credo di riuscirci subito.’
Il Ministro si rivolse al Sindaco.
‘Forse é ora di prendere posto, desidero essere puntuale… potendo. Scusa, Guido, se questa splendida coppia siede vicino a noi, rivoluziono i vostri programmi, o provoco crisi nelle precedenze?’
‘Nessun problema.’
Rispose il Sindaco, chiamò un suo collaboratore e gli disse qualcosa.
‘Ora, Ministro, possiamo andare.’
Ravoni andò verso il Cardinale Patriarca, intento a conversare col Prefetto, e tutti insieme s’avviarono verso la sala.
Licia si accostò a Marco, sussurrandogli all’orecchio.
‘Io voglio stare vicino a te.’
Gualtiero l’udì, si volse a guardarla e le sorrise.
L’ingresso delle autorità, fece cessare il chiacchierio.
Ravoni stringeva mani a destra e manca e, prima di sedere, si rivolse indietro, a salutare gli spettatori della balconata.
Si sistemarono in prima fila. Alla destra del Ministro, presero posto il Cardinale e il Prefetto. Alla sinistra, Licia, poi Marco e il Sindaco.
Il film riscosse molti applausi.
Il gruppo col Patriarca, Ravoni, il Prefetto, il Sindaco, Marco e Licia, e altre persone, andò in un angolo del buffet.
Marco prese Licia per il braccio e si rivolse al Cardinale.
‘Permette, Eminenza, che le presenti la mia fidanzata? E’ Licia Farsetti.’
‘La figlia del Direttore della Banca?’
‘Si, Eminenza.’
Il Patriarca tese la mano alla ragazza, che si chinò a baciarla.
‘Bella e brava signorina, complimenti professor Grimani. E quando le nozze?’
‘Contiamo a settembre, Eminenza, e speriamo che lei voglia unirci in matrimonio, a San Marco.’
‘Con molto piacere, caro professore. E lei, signorina… Licia, vero? Mi saluti tanto il suo papà.’
Il Cardinale si mise a parlare con Gualtiero.
Licia guardò Marco, con gli occhi spalancati.
‘A settembre? Ma fai tutto da solo. Pensa se al Patriarca venisse in mente di parlarne con papà.’
‘Piano, piccola, andiamo con ordine.
Si, a settembre, dopo la tua laurea, e prima dell’inizio della sessione autunnale degli esami, all’Università.
Secondo, non farò tutto da solo, perché ritengo che ci sarai anche tu. In quanto al tuo papà, gli chiederò di ricevermi posdomani, nel pomeriggio, e, dopo, tutto sarà in regola.’
‘Devi essere un po’ matto. Sei sempre così precipitoso?’
‘Sarei matto a non affrettarmi.’
^^^
Licia dormiva ancora, quando la mamma entrò nella sua camera. Aprì le tapparelle, si accostò al letto della figlia, con in mano un giornale.
‘Licia, varda, ti xé sul Gazzettino, nella pagina della cronaca di Venezia.’
La ragazza balzò a sedere sul letto, ancora mezzo assonnata. Prese il giornale e guardò attentamente.
Il titolo, che sovrastava la grande fotografia, era ‘Trionfo della prima mondiale del film americano’, la didascalia indicava: ‘da sinistra, il Prefetto, il Cardinale Patriarca, il Ministro Ravoni, la signorina Farsetti, il professor Grimani, il Sindaco di Venezia.
Marietta bussò alla porta, entrò col telefono portatile. Il dottor Simone voleva parlare con Licia.
Licia portò l’apparecchio all’orecchio. Le giunse la voce del padre.
‘Licietta, cossa combini!? Sei sul giornale. Vicina al Ministro. C’é anche il Cardinale Patriarca…’
‘Si, papà, l’ho visto. Me l’ha portato la mamma. Anzi, papà, il Patriarca ti manda i suoi saluti e Marco…’
‘Mi ha telefonato, Marco, ha chiesto di venire a trovarci nel pomeriggio.’
‘Cosa gli hai detto?’
‘Non potevo mica dirgli di no. Viene alle cinque…alle diciassette. Anzi, devo dirlo alla mamma.’
‘Te la passo, papà. La mamma sta qui.’
Dette il telefono a mamma Elena.
‘Elena!’
‘Ciao, Simòn.’
‘Oggi verrà a trovarci il professor Grimani, alle cinque del pomeriggio.’
‘Go capìo.’
‘Non vengo a pranzo. Sarò a casa alle quattro.’
‘Va bene. Penso io. Ciao.’
Spense il telefono. Si rivolse alla figlia.
‘Su, benedetta, alzati. Oggi viene Marco Grimani, dobbiamo affrettarci.’
‘Mamma, é tutto a posto. Il salotto é stato lucidato e spolverato ieri.’
‘Si, ma i riguardi.’
‘Marietta é bravissima a preparare un ottimo tè, e ci sono i biscotti che ci porterà questa mattina il ragazzo di Nane, il pasticciere.’
‘Speriamo bene, Licia, speriamo bene.’
‘No starte ad azitàr, mamma. Pensa a farti bella, potrìa esser to’ zenero.’
‘Madona benedeta!’
E uscì, preoccupata, dalla camera.
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La pendola batteva le sedici quando suonò il campanello del citofono, e sul piccolo schermo, accanto all’apparecchio, apparve la figura di un uomo, alto, elegante, con un gran mazzo di fiori.
Marietta chiese: ‘Chi selo?’
‘Marco Grimani.’
La donna spinse il pulsante per l’apertura del portone.
‘Si accomodi.’
‘Grazie.’
Marcò entrò nell’atrio e cominciò a salire la breve scala.
Licia l’attendeva sulla porta, elegante e bella, come sempre, con Marietta. Gli sfiorò la gota con un bacio.
‘Entra, sono in salotto.’
Marco consegnò i fiori a Marietta.
‘Sono per la signora.’
Licia lo prese per la mano.
‘Vieni.’
Aprì un’anta della gran porta che conduceva direttamente in salotto.
Olga era seduta in poltrona, Simone gli andò incontro, tendendogli la mano.
‘Caro professore, benvenuto.’
Marco strinse calorosamente la mano e si avvicinò ad Olga.
‘Signora.’
Si chinò a baciarle la mano.
‘Mamma, Marco ti ha portato dei bellissimi fiori.’
‘La ringrazio, professore. Sono sicura che Marietta li sistemerà in un vaso e li porterà qui.’
Simone indicò il divano.
‘Prego, sedete pure li. Io starò vicino alla mamma.’
L’atmosfera era serena, cordiale, rilassata.
I due giovani, erano vicini.
Marco, deglutì.
‘Gentile signora e caro dottore, se permettono, desidero entrare subito in argomento, senza lungaggini o giri di parole.
Io sono restato letteralmente affascinato da Licia, dal suo carattere, dalla sua bellezza. Da tutto, insomma. Ho motivo di ritenere di non esserle indifferente, perciò, col vostro consenso, e sempre che Licia sia d’accordo, vorrei sposarla’.
Ai primi di settembre.’
Prese la Mano di Licia, e rimase, in silenzio, a guardare i genitori della ragazza.
Simone muoveva appena la testa, come annuendo.
‘Caro il mio professore. Inutile fingere di non sapere il motivo della sua gradita visita. Olga ed io n’abbiamo parlato a lungo, dopo aver interrogato, in proposito, la nostra bambina. Che lei chieda il nostro consenso é bello e dimostra la delicatezza del suo animo. Ai giorni attuali, i genitori d’una ragazza maggiorenne sono del tutto ignorati. Grazie, dunque. Tale sua sensibilità, inoltre, ci consente di chiederle cosa ne pensano i suoi genitori. Licia é una brava giovane, mi consenta di dirlo, ma ancora non ha una sua sistemazione professionale, ed appartiene, come lei sa, alla famiglia di un modesto bancario.’
Olga assentiva, in silenzio.
Marco era raggiante.
‘Dottore, i miei volevano venire loro a chiedere per me la mano di Licia. Sono attaccati alla tradizione. Ho dovuto faticare, a convincerli che a trentaquattro anni potevo e dovevo ben essere io a presentarmi a quelli che desideravo poter già considerare i miei suoceri.
I miei sono felicissimi, e sperano di incontrarvi presto. Per quanto riguarda il resto, a parte che lei pecca di modestia, definendosi modesto bancario, le sono grato per darmi l’occasione d’essere chiaro in tutto.
Licia, che conseguirà la laurea tra poco, potrà scegliere l’attività che più le aggrada, in aggiunta, ovviamente (e sorrise guardando la ragazza), a quella di moglie e di madre. In casa siamo abituati a ciò.
Mia madre é architetto e collabora nello studio di progettazione edile di mio padre. Per la nostra sistemazione abbiamo solo da scegliere. Noi abbiamo due appartamenti liberi, uno al Lido e l’altro a San Simeone Grande, poco distante dall’Inail. Sono sufficientemente grandi, ben sistemati. In ogni caso, possiamo modificarli, se Licia lo crederà necessario. Nel caso non piacciano, possiamo trovarne altro. Una cosa, però, non posso tacere. Licia ne é al corrente. La mia attività mi tiene molto occupato, e spesso mi porta fuori Venezia. Licia potrà venire sempre con me, e ne sarò felice, ma di questi ritmi soffrirà anche lei.’
‘Caro professore…’
‘Mi chiami Marco, la prego.’
‘Caro Marco, é bene che siate voi e solo voi a decidere della vostra vita, a cominciare dal quando e dove vorrete sposare, salutare gli amici. E così via. Va da sé, che Licia, che é stata sempre considerata la perla della nostra casa. avrà qui i suoi genitori, finché Dio vorrà, a sua completa e illimitata disposizione.’
Licia andò a baciare, con gli occhi lucidi, prima il padre e poi la madre, e tornò a sedere accanto a Marco, stringendogli forte la mano.
Anche Marco era commosso.
‘Dottore, la vostra accoglienza va al di là di ogni più rosea speranza. Mi auguro di non deludervi mai.’
Simone si alzò.
‘Venga, Marco, lasci che l’abbracci.’
Marco e Simone s’abbracciarono. Elena, intanto, s’era levata anche lei dalla poltrona, e strinse al petto il suo futuro genero.
Marietta bussò timidamente ed entrò con un vaso di splendidi fiori che mise sulla consolle grande. Rivolgendosi ad Elena chiese se poteva servire il tè. Elena chinò il capo, assentendo, perché un nodo le serrava la gola.
Marietta rientrò poco dopo, col carrello dov’erano vassoio, tazze e piattini, cucchiaini, teiera, lattiera, zuccheriera, fettine di limone, biscotti. tovagliolini. Mise una tovaglietta sul tavolino basso tra le poltrone e il divano.
Elena, la ringraziò e disse che avrebbe pensato lei a servire.
Versò il tè in una tazza, e guardò Marco.
‘Latte o limone, professore?’
‘Latte, grazie. Ma… sono Marco.’
Elena sorrise, porse a Marco la tazza su un tovagliolino e gli offrì lo zucchero.
‘Grazie, signora, lo preferisco senza zucchero.’
‘Licia, offrì i biscotti.’
‘Dopo, mamma. Vuoi che seguiti io?’
‘Si, grazie cara.’
Licia servì la madre, il padre e preparò anche per sé.
Prese un biscotto, n’addentò un pezzetto e il resto lo dette a Marco.
‘Così conosci i miei pensieri. E sta attento…’
Simone si rivolse a Marco.
‘Senta, Marco, noi desideriamo conoscere la sua famiglia. Al più presto. Telefonerò a suo padre per invitarvi tutti. Poi, però, vorrei brindare tutti insieme, e a tal proposito potremmo cenare al Danieli, in una saletta riservata. Io sarei favorevole ad un sabato sera, diciamo tra due settimane. Ne parlerò con il suo papà.’
‘Benissimo, dottore. Saremo felicissimi per queste occasioni. Ma che mi dite dell’idea di sposare a settembre?’
‘Così presto?’
Licia corrugò la fronte.
Marco sorrise.
‘Da questo momento, caro dottore, é sempre tardi.’
Simone sospirò.
‘ E va ben, putei!’
La conversazione sfiorò vari argomenti, soffermandosi, principalmente, sull’avvenire dei giovani.
Marcò ringraziò per l’accoglienza, e chiese congedo.
Elena, a sua volta, rinnovò la gratitudine per i bellissimi fiori.
Licia disse che l’avrebbe accompagnato al portone.
Non tornò subitissimo, e quando rientrò il rossetto era completamente scomparso dalle sue labbra.
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What if… adunò quanto di meglio c’era nel mondo, in tema d’economia. Erano giunti da ogni parte della terra, dalla Cina all’Argentina, dall’Islanda all’Australia.
Marco aveva messo a disposizione di Licia e del fratello, Giorgio, uno dei motoscafi della fondazione. Lui si scusò, ma doveva incontrare delle persone prima dell’inizio dei lavori. L’avrebbe attesa nello studio riservato al Chairman.
All’ingresso, Giorgio andò alla registrazione. Licia aveva in mano la busta celeste del suo invito, fu avvicinata e salutata da un addetto al ricevimento che, esaminato il biglietto, l’accompagnò al suo posto: seconda fila, corridoio centrale, settore destro, prima poltrona, la numero 25. Sullo schienale, un cartello: Autorità, Licia Farsetti Grimani. Sul piano, un’elegante cartella di pelle. Licia sedette e aprì la cartella. Conteneva la relazione di Marco, il necessario per prendere appunti, il programma dei lavori, una bella riproduzione, in serigrafia, del cortile del Giorgio Cini, un badge celeste col suo nome. Appuntò il badge sul vestito. Nel posto vicino era seduto un austero signore, in grigio, non molto giovane, che le sorrise. Sul badge era scritto: T.S. Wise, – Yale Un.- (Conn.) USA.
Un commesso in divisa le venne accanto, e si chinò su lei.
‘La signorina Farsetti?’
‘Si.’
‘Venga, il professore l’attende. Porti con sé il soprabito.’
Licia si alzò e lo seguì. Uscirono dalla gran sala, percorsero due corridoi, fino ad un’imponente porta di legno. Il commesso bussò, alla risposta aprì la porta e fece entrare la ragazza.
Marco era nel vasto studio, con alcuni signori. Tutti meno giovani di lui. Le andò subito incontro e la baciò sul volto.
‘Dammi il soprabito.’
L’aiutò a toglierlo, lo prese e lo mise in un vano guardaroba.
‘Vieni, ti presento ai miei amici.’
La condusse presso il gruppo, accanto al balcone.
‘Gentlemen, this is Licia, my fiancée.’
I complimenti le furono rivolti in molte lingue.
Si avvicinava l’ora dell’apertura dei lavori.
Marco si scusò con gli altri, andò con Licia vicino la scrivania e, fingendo di mostrarle delle carte, disse che l’attendeva al coffee-break, e poi si sarebbero rivisti per il lunch. Le sorrise, assumendo, scherzoso, un atteggiamento importante.
‘Scusami, amore, ma devo adempiere ai doveri del mio stato.’
‘D’accordo, ma non dimenticare lo status di fidanzato.’
L’accompagnò verso la porta, dandole un’affettuosa pacca sul sedere.
Licia, salutò con la mano il gruppo che seguitava a confabulare, baciò sulle labbra Marco, uscì nel corridoio, tornò alla sua poltrona.
Il gruppo dei relatori entrò nella sala, e prese posto al tavolo grande. Marco, il più giovane, era al centro. Si fece silenzio,
Si accese il quadro indicante la traduzione simultanea. Ad ogni numero corrispondeva una lingua.
All’estremità destra del tavolo, si alzò Don Evans, un attempato signore, con i capelli candidi, inappuntabilmente vestito di grigio. Fu accolto da molti applausi. Ringraziò con un cenno del capo, e con la mano fece un gesto per chiedere silenzio. Parlò in Inglese. Salutò gli intervenuti, e li ringraziò per il prezioso sostegno, da loro ricevuto, durante i lunghi anni che aveva presieduto gli incontri periodici, tenuti in ogni parte del mondo.
‘Oggi’ ‘continuò- ‘è un giorno particolare, un giorno da ricordare, perché, come da voi tutti stabilito, al più anziano di noi subentra il più giovane di noi: Marco Grimaldi.’
Tutti si alzarono battendo le mani.
Don andò verso Marco, che intanto s’era alzato, e l’abbracciò.’
‘Ad now, Marc, is up to you!’
Gli strinse la mano e tornò al suo posto.
Marco era commosso, muoveva il capo in segno di ringraziamento.
I convenuti sedettero.
Marco ringraziò Don, per i suoi preziosi e determinanti insegnamenti, e si dichiarò certo che Don non lo avrebbe lasciato solo, ad affrontare i marosi che lo attendevano.
‘Ed ora, signore e signori, passiamo al programma, e iniziamo i lavori di questa sessione.’
La relazione fu una meticolosa ricognizione della situazione politico-economica mondiale, identificandone equilibri e squilibri, analizzandone le cause, ipotizzando possibili e probabili mutamenti se si verificassero determinati eventi.
Ci fu una vera e propria standing ovation.
Marco raccolse gli appunti e li mise nella cartella. Fece cenno a Licia di raggiungerlo.
Era l’intervallo per il caffè.
Licia gli andò vicino, tra i tantissimi che si erano precipitati a complimentarsi. Gli sussurrò:
‘Sei stato meraviglioso.’
Lui le prese la mano, era gelida. La guardò e le sorrise.
Uscirono dalla sala, e si avviarono ad uno dei tavoli dov’erano tazzine di caffè, succhi di frutta, croissants.
Licia visse giorni di fiaba, seguendo attentamente lo svolgersi del convegno, e prestando particolare attenzione agli interventi di Marco. Le sembrarono i migliori, sempre acuti, centrati, risolventi, anche se la specificità della materia non sempre le consentì di comprenderne interamente la portata.
Il sabato sera Marco concluse i lavori, riassumendo quanto era stato fatto, e tracciando le linee guida per le osservazioni e la raccolta di dati che necessitavano per il prossimo incontro, a Monaco, in Germania, l’anno venturo.
‘Ci saluteremo domani, a mezzogiorno, all’Harry’s Bar, in calle Vallaresso.’
Si formarono molti capannelli che, pian piano, andarono sciogliendosi.
Licia era stata sempre vicina a Marco, durante i numerosi saluti e scambi di convenevoli tra lui e gran parte degli intervenuti. Era, ormai, conosciuta da tutti, e qualcuno la salutava confidenzialmente: ‘Hallo, Licia.’
Andarono verso il motoscafo che li attendeva, tra i molti ‘Hi’ che li accompagnarono fin quando non si staccarono dal pontile.
Marco andò a sedere sul divanetto, Licia gli fu accanto. Gli passò dolcemente la mano sul volto.
‘Stanco?’
‘Un po’. Domani, in ogni modo, sarà finita. Poi, un giorno di totale riposo, tutto per noi.’
‘Fino a che ora sarai occupato, domani? Potremo vederci, dopo il pranzo?’
La guardò fisso, con aria burlona.
‘Dove credi di andare, domattina? Preparati. Alle undici passerò a prenderti per il goodbye lunch.’
‘Devo venirci anch’io?’
‘Che domanda! Ubi Gaius ibi Gaia. Sarà così, per tutta la vita.’
La sfiorò con un bacio.
‘Pensaci bene, quindi, signora Grimani. A proposito, perché non indossi il braccialetto con le tue iniziali? Non é di tuo gusto?’
‘E’ il più bel dono che abbia ricevuto. Molto spesso apro l’astuccio e lo rimiro. Ti dirò perché non l’ho addosso. Un’altra volta.’
Si appoggiò sulla spalla di lui, che la cinse col braccio carezzandole teneramente il seno.
Il motoscafo attraccò alla riva. Marco scese per primo e porse la mano a Licia, aiutandola. Andarono fino al portone.
Licia pigiò il campanello, si udì lo scatto della serratura che s’apriva. La porta si socchiuse. La ragazza entrò tenendo per mano Marco, e lo attirò nell’androne. Gli si avvinghiò al collo baciandolo impetuosamente, inebriata, eccitata.
Si staccò appena, per sussurrargli:
‘Ti mangio tutto, ho fame di te.’
Marco la strinse forte e la baciò ancora, voluttuosamente.
Licia gli prese la mano, la baciò.
‘A domani, amore.’
S’avviò per le scale.
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Da Harry’s, l’atmosfera, durante il pranzo, fu molto allegra.
Si era cominciato con gli aperitivi, per proseguire con gli ottimi vini italiani, molto apprezzati e, alla fine, le bottiglie di whisky non si contavano.
Marco aveva brindato con tutti, senza mai bere. Solo allo champagne, aveva portato le sue labbra alla coppa, e l’aveva subito passata a Licia, stringendole amorevolmente il ginocchio.
Era veramente tutto finito. Benissimo. Era stato il trionfo di Marco, la sua affermazione definitiva. Ne parlavano i giornali di tutto il mondo.
Salendo sul motoscafo, fece un lungo sospiro.
‘Per favore, ci lasci a San Marcuola, e torni pure a casa. Farò due passi a piedi.’
‘Va bene, professore. Domani, a che ora, all’Università?’
‘Domani, Nane, meritata vacanza. Ci vediamo martedì, alla Ca’ Foscari, senza motoscafo. Grazie.’
Giunta a casa, Licia lo invitò a salire.
‘Vieni, c’é solo Marietta, i miei sono a Padova da un amico di mio padre. Ti potrai rinfrescare e riposare un po’. Ti faccio preparare un tè. Vuoi?’
L’espressione della ragazza, bellissima, era splendida, nella voce c’era più una preghiera che un invito.
Bussarono. Il portone s’aprì. Salirono lentamente le scale. Marietta li aspettava sul pianerottolo. Salutò garbatamente Marco.
‘Entra, Marco. Vieni da me, nel mio bagno c’é quanto potrà occorrerti. Io, intanto, chiedo a Marietta di prepararti qualcosa. Vuoi una spremuta o un tè?’
Marco la guardò con profonda tenerezza, la seguì.
Giunti nella camera di Licia, la ragazza gli indicò il bagno.
‘Io ti aspetto in salotto. Fa pure con comodo.’
‘Grazie, bambina. Solo un po’ d’acqua sul volto. Non disturbare Marietta, non desidero nulla. Ti raggiungo presto.’
Licia andò nel salotto, sedette sul divano.
Dopo qualche minuto Marco entrò sorridendo.
‘Sai, la tua camera é molto graziosa, e comoda.’
‘Grazie, caro. Adesso vado a cambiarmi. E’ già troppo che sono tutta in ghingheri. Farò in un attimo. Tu puoi sfogliare qualche rivista che é sul tavolino d’angolo.
Marco andò sul divano e guardò attentamente, tutt’intorno, compiacendosi in silenzio per l’arredamento, i colori, il buon gusto. Lui apprezzava, tutto ciò, da buon figlio d’architetto.
Licia tornò dopo poco. Aveva indossato un vestito, semplice e comodo, molto fresco, a fiori vivaci, con un’ampia scollatura incrociata. Aveva sciolto, e certamente spazzolato, i suoi splendidi capelli.
Andò a fianco a Marco.
‘Sicché, professore, domani vacanza. Che te ne farai?’
Lui l’attirò a sé, le cinse le spalle.
‘Ho pensato che per stare veramente in pace, potremmo andare a Torcello. Se sei d’accordo, andremmo a piedi fino alle Fondamenta Nuove e li prenderemo il vaporetto. Come sposini in viaggio di nozze.’
Licia lo guardò con un certo disagio.
Marco lo notò.
‘Qualcosa che non va?’
Gli sorrise, un po’ forzatamente.
‘No, un pensiero fugace. Dove andremo, noi, in viaggio di nozze, dopo che saremo sposati?’
‘Ho qualche idea da proporti. Ne parleremo. Ma che ne dici, di Torcello?’
Le prese la mano.
‘Vieni, voglio tenerti sulle ginocchia, cullarti.’
Lei l’accontentò, felice, e gli cinse il collo.
‘Marco, ti amo.’
‘Anch’io, tesoro.’
‘Marco, ti voglio bene.’
‘Anch’io, amore. Tantissimo.’
‘Marco, devo dirti una cosa. Ma mi sento a disagio.’
Le carezzò i lunghi capelli, ma sentì d’essere alquanto teso.
‘Cosa vuoi dirmi?’
‘Marco, tu credi che un cuore possa e debba aprirsi solo a chi ha la chiave giusta?’
‘Credo.’
‘Credi che, come in Cenerentola, la scarpina debba essere calzata proprio e solo da quel piede, senza nessuna forzatura?’
‘Credo, Licia. Ma mi sembra di stare in chiesa, ad una cerimonia battesimale.’
‘C’é anche del sacro, in quello che ti chiedo e che ti dico, Marco. Perché i sentimenti sono sacri, l’amore vero é sacro, un uomo una donna si uniscono con un sacramento. Almeno, così é per me. E per te?’
‘Anche per me.’
‘Marco, per tutte queste ragioni, non sono mai stata con un uomo.’
Lui la strinse appassionatamente, la baciò sul collo.
‘Quindi, tu, bambina bella, sei…?’
‘Si, Marco. Sono vergine.’
Si unirono in un bacio appassionato, fremente, tenero, commosso, palpitante.
Lei si staccò a malincuore.
‘Verrò con te, Marco, dove vorrai. Ma cerca di comprendere il conflitto che regna in me: il mio credo e il desiderio di te.’
‘Anch’io ti desidero pazzamente, bambina, ma non forzerò mai i tuoi sentimenti. Io desidero aprire il tuo cuore all’amore, con una chiave preziosa, non con un grimaldello.’
Lo baciò furiosamente.
‘Ti amo, Marco, ti amo…’
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Torcello s’avvicinava lentamente. Il vaporetto li accompagnò poco discosto dalla piazzetta. Non scese molta gente. Li accolsero i cipressi svettanti, le targhe di marmo sul vecchio muro, il Museo, qualche bancarella che vendeva prodotti dell’artigianato locale. Su tutto, dominava il campanile di Santa Fosca, coi suoi trentacinque metri. La bella Chiesa col caratteristico ingresso a colonne, e la severità millenaria del romanico. L’interno, appena illuminato da qualche candela, invitava alla preghiera. Dinanzi, il pozzo, con un coperchio di ferro verniciato. Più a sinistra, la Chiesa di Santa Maria Assunta.
Isola che fino a duecento anni fa, vantava più di settecento casate nobiliari.
Erano quasi le undici di un tiepido mattino di fine maggio.
‘Vieni, bambina, andiamo da Cipriani. Prenderemo un’aranciata.’
L’interno della Locanda Cipriani era caratteristico ed elegantissimo.
Il Barman salutò Marco.
‘Buongiorno, professore, cosa posso servirle?’
‘Buongiorno Gino, due belle spremute d’arancia.’
‘S’accomodi, professore, gliele porto in giardino.’
Andarono nel silenzioso e grazioso giardino, a sedere ad un tavolino coperto con una tovaglietta vivacemente colorata.
Sulla porta apparve un signore che salutò Marco, con un cenno del capo, e si avvicinò, cerimonioso.
‘Buon giorno professore. Signorina. Complimenti, professore, ho letto del suo trionfo al convegno all’Isola di San Giorgio.’
‘Licia, il Dottor Volpato, Direttore Generale di Cipriani, sia di qui che dell’Albergo alla Giudecca. Licia é la mia fidanzata. Prego, caro Commendatore, ci faccia compagnia. Noi prendiamo un’aranciata e poi vorremmo fare un giro in barca. Da soli, però, senza l’uomo che voga, se si fidano di me.’
Volpato fece un gesto. Accorse un cameriere.
‘Fa preparare una bella barca, la migliore, per il professore. Assicurati che sia tutto in regola. Il professore é un ottimo rematore, é stato un campione di canottaggio.’
Il cameriere s’allontanò.
‘Sa, signorina che io la conosco? A parte che l’ho incontrata altre volte, qui, con la sua famiglia. E colgo l’occasione per pregarla di salutarmi tanto il Direttore, suo padre. L’ho anche vista sul giornale, insieme al professore e al Ministro, al Palazzo del Cinema.’
Erano giunte le aranciate.
‘Lei gradisce qualcosa, Commendatore?’
Chiese Marco.
‘Grazie, ma ho preso or ora la mia solita pillolina. Si fermano a colazione, professore? Oggi ci sono specialità della casa: risotto alla torcelliana e scampi alla Carlina.’
‘Si, grazie. Torneremo per le tredici.’
Il cameriere, col quale aveva parlato Volpato, tornò.
‘Tutto a posto, signori.’
Marco gli sorrise.
‘Grazie.’
Scambiò uno sguardo con Licia. Si alzarono, salutarono Volpato, si diressero verso il piccolo canale, in fondo.
Salirono sulla barca, che l’uomo teneva accostata alla riva.
Marco sedette sulla panca, e imbracciò i remi, Licia sull’altra, di fronte a lui.
Si staccò lentamente, e cominciò a vogare dirigendosi verso l’interno, dov’era tutto un dedalo di canaletti, tra la folta vegetazione. La ragazza si sporse, e mise la mano nell’acqua, lasciando lambire la punta dei capelli dalla lieve onda formata dal remo. Marco la guardava estasiato. Imboccò il piccolo rio, nascosto dall’erba alta, che si staccava dal canale, e furono subito avvolti dal verde delle piante, che trattennero la barca. Poggiò i remi sul bordo, tese la mano a Licia, e andò con lei a sedere sui cuscini di poppa, sul fondo dello scafo.
L’abbracciò teneramente, stringendola a sé. Era la prima volta che la sentiva così vicina. Licia poggiò la testa sul braccio di lui, e restò, in silenzio, a guardare il cielo azzurro. Marco si sollevò sul gomito, la guardò negli occhi, verdi e limpidi, si chinò a baciarla sulla bocca, le carezzò la gola, il seno, e scese lentamente giù, sul pube, dove le gambe si congiungevano, fino alle ginocchia. Poi risalì, le strinse il viso tra le mani, e la baciò ancora. Lei gli passava, tremante, le dita tra i capelli.
Trascorsero così, il tempo che li separava dal ritorno al Cipriani, tra baci, carezze sempre più bramose, sospiri, gemiti, brividi voluttuosi.
Licia si mise a sedere. Lo guardò, arrossata nel folto, con occhi di fiamma, nari frementi.
‘Marco, ho riposto il tuo braccialetto nel piccolo portagioie, a forma di cuore, che conservo nel mio cassetto. Attendo d’avere pieno titolo, dopo il matrimonio, per fregiarmi di quelle iniziali. Andando avanti così, però, non sono sicura che lo scrigno, dove custodisco quel prezioso gioiello, rimarrà chiuso a lungo.’
E riprese a baciarlo con passione.
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La sala riservata del Danieli, col lungo balcone prospiciente l’isola di San Giorgio Maggiore, risplendeva di luci. Intorno al lungo tavolo, elegantemente addobbato, sedeva i Farsetti e i Grimani.
Tra loro s’era già stabilita una cordiale armonia, sorta durante le cene amichevoli dei giorni precedenti, scambiate per conoscersi meglio,
Quella sera, rispettosi delle antiche tradizioni, si festeggiava il fidanzamento ufficiale di Licia e Marco. Nel passato, solo dopo tale cerimonia i fidanzati potevano farsi vedere, insieme, in pubblico.
Intorno al tavolino tondo, sul quale erano i limpidi calici di cristallo, vicino al balcone, c’era stato lo scambio dei doni. Marco aveva infilato all’anulare sinistro di Licia l’anello con uno splendido brillante; Licia aveva cinto il polso di Marco con un prezioso cronometro d’oro. I camerieri avevano stappato lo champagne. I calici si levarono in segno di buon augurio, i fidanzati si scambiarono un lungo bacio, tra applausi commossi. Poi fu tutto un abbracciarsi, con gli occhi lucidi.
Durante il pranzo, logicamente, l’argomento della conversazione, era stato il matrimonio di Licia e Marco. Tutto sembrava già programmato con precisione, e molto era già stato fatto, sebbene fossero trascorsi solo pochi giorni dal primo incontro dei ragazzi, come i genitori continuavano a chiamare i loro figlioli.
Per residenza degli sposi, era stata scelta la casa a San Simeone Grande. Lucia avrebbe controllato che tutto fosse in ordine, e già aveva preparato le proposte d’arredamento, comprendenti i mobili e loro sistemazione, le luci, e ogni altra cosa. Tra un paio di giorni le avrebbe date a Licia e Marco per la scelta definitiva.
Simone, disse che il Patriarca aveva accettato di buon cuore di benedire il matrimonio, in San Marco, e dopo avrebbero tutti pregato all’altare della Madonna del Pargolo.
Vittorio, scherzando, lamentò di essere lasciato da parte, e per rifarsi dichiarò di non ammettere discussioni: lui avrebbe regalato l’abito alla sposa, il più bello degli atelier di Venezia e Burano.
Licia andò ad abbracciarlo.
Marco, simulando una certa contrarietà, e con fare sornione, disse che in quanto al ricevimento e al viaggio di nozze, purtroppo non avevano scelta. Alcune Società, delle quali era consigliere d’amministrazione e consulente economico, avevano già deciso di offrire loro il pranzo, dopo la cerimonia nuziale, al Cipriani, alla Giudecca, dove sarebbero stati anche ospitati la sera nel matrimonio, e di aver riservato, per gli sposi, una suite sulla lussuosa nave che partiva da Venezia il giorno successivo, alla volta della Grecia e di altri scali, per una crociera di due settimane. L’Arte del Vetro, li attendeva per la scelta delle bomboniere.
Elena e Lucia si sarebbero messe d’accordo per gli inviti, i confetti…
Elena dichiarò che, sempre seguendo le tradizioni d’un tempo, le sue figliole disponevano di un ben fornito corredo personale e per la casa. Avrebbero dovuto fare gli ultimi acquisti, specie per abiti e accessori, tenendo anche conto della crociera.
‘Basterà una tuta, mamma.’
Disse, radiosa, Licia.
Marco stringendole la mano, disse sorridendo:
‘Soprattutto per le serate di gala, a bordo.’
Il tempo trascorse allegramente. La domenica s’avviava al tramonto.
Scesero tutti insieme, nella hall. Sulla Riva, si salutarono. I Grimani sarebbero andati a casa a piedi. I Farsetti avrebbero noleggiato un motoscafo.
Marco sussurrò all’orecchio di Licia.
‘Vengo a prenderti fra un’ora. Andremo al cine.’
‘A vedere cosa?’
‘Perché, é importante?’
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Licia viveva le sue giornate sempre aspettando di rivedere Marco, in un rapimento estatico continuo. Si era confidata con Olga, la sorella.
‘Mi sembra d’essere leggermente ubriaca, forse é così che si sente chi ha raggiunto il nirvana.’
‘Nirvana?’ ‘disse maliziosamente Olga- ‘Significa che hai annullato desideri e passioni.’
Licia la guardò, sorpresa.
‘Tutt’altro, sorellina, tutt’altro.’
‘Allora, sei ebbra d’amore, cotta, scuffia. Marchite!’
‘Sono in continua attesa d’essere coinvolta in qualcosa incantevole, come se dovessi entrare nell’Eden.’
‘Eva, é pronta la mela?’
Licia la guardò con occhi sognanti.
‘Si!’
‘Come hai potuto superare l’ultimo esame, e con lode, nelle tue condizioni?’
‘Sapevo tutto, ero aiutata da una forza che non riesco a descrivere. Era come se un altro parlasse per me. Dicevo cose che non ricordavo neppure d’aver studiato. Mi sembrava di salire una scala che mi conduceva in alto. Al Paradiso.’
‘Poareta, la xe mata. Ti andrà a San Servolo!’
Licia accennò alcuni passi di danza, canticchiando: Nina, pazza per amore…
Marietta, da dietro la porta, disse che al telefono c’era il professore.
Licia uscì, sempre cantando, andò all’apparecchio.
‘Ciao, amore, sei alla Ca’ Foscari?’
Ascoltò attentamente, col volto radioso, annuendo col capo.
‘Si, Marco, t’aspetto al pontile, prima del ponte degli Scalzi. A presto, ciao.’
Rimise a posto la cornetta. Andò in cerca della madre.
‘Mamma, vado con Marco al Lido.’
Tornò nella sua camera, indossò un vestito leggero e fresco, mise qualcosa nella borsa di tela, mandò un bacio ad Olga. S’avviò alla porta di casa, tornò indietro, andò a baciare la mamma, e uscì. Scese le scale di corsa, aprì il portone e, a passo svelto, s’avviò al pontile, poco distante.
Il motoscafo con Marco, accostò rapido, lei vi balzò dentro, agilmente, senza prendere la mano che le veniva porta. Lo abbracciò con slancio.
Andarono a sedere a poppa. Marco le cinse le spalle col braccio.
‘Allora, Licia, domani a quest’ora, sarai la dottoressa Farsetti. Che effetto ti fa?’
Lei inarcò le sopracciglia, senza rispondere.
Lo guardò intensamente.
‘Fra due mesi, sarò la dottoressa Grimani.’
‘Ancora due lunghi mesi, bambina. Due mesi. Parliamo d’altro. Hai portato il costume?’
Licia indicò la borsa.
‘Farai il bagno?’
‘Non so, Marco, non é molto tempo che ho pranzato.’
‘Possiamo aspettare un po’. E’ ancora presto.’
Il motoscafo aveva raggiunto il Canal Grande e si dirigeva verso la punta della Dogana.
Non faceva troppo caldo e il vento li carezzava piacevolmente. Licia aveva raccolto i capelli in un leggero foulard, e sfiorava lievemente la mano che Marco le poggiava sulla coscia.
‘Spero che tu abbia finito le tue scorribande per l’Italia. Milano, Roma, Napoli, Palermo. Non sai più dove andare. Sei rimasto lontano da me anche due giorni.’
La baciò sulla tempia.
‘Hai dimenticato Bari e Cagliari. Fino al ritorno dal viaggio di nozze non girerò più l’Italia… Devo solo andare a Londra.’
‘A Londra? A fare cosa?’
‘Una conferenza ai Lloyds of London.’
‘Quanto starai lontano?’
‘Mancheremo da Venezia solo quattro giorni.’
‘Come, mancheremo?’
‘Vieni anche tu, no?’
‘I miei non saranno di questo parere.’
‘Li convinceremo, verrà con noi anche Olga, così conoscerà Londra. Tu ci sei già stata, vero?’
Si, qualche ora al sabato, accompagnata dalle suore di Bunbury, dov’ero a preparare l’esame d’inglese. Bisognerà vedere se Olga é disposta.’
‘Basterà saperglielo proporre. Tu le devi dirle: Olga, Marco andrà a Londra per tenere una conferenza, gli chiediamo se ci fa andare con lui? Così faremo una bella gita. Non dovremo preoccuparci di nulla, la Fondazione penserà a tutto.’
‘Ci proverò.’
Stavano giungendo all’Excelsior.
Un marinaio dell’Hotel li attendeva sul pontile.
‘Vengano, signori, li accompagno.’
Marco si rivolse al motoscafista.
‘Torneremo a casa tra circa due ore e mezzo. Faccia anche lei un bel bagno.’
L’uomo ringraziò e salutò.
Il marinaio li condusse dal bagnino che aveva le chiavi.
‘La cabina é la numero dodici, e l’ombrellone, con i lettini, ha lo stesso numero. Se vogliono seguirmi.’
Andò alla cabina e l’aprì, dette la chiave a Marco, che lo ringraziò e gli dette una generosa mancia.
Entrarono nella fresca cameretta, dov’erano un armadio, un tavolino, con telefono, un frigorifero fornito di acqua minerale, bibite, bicchieri, e anche di piccole bottiglie di champagne, una poltrona e due sedie da spiaggia. La porta celeste portava nella doccia, con tutti i servizi.
Licia si guardò intorno, aprì l’armadio, provò a sedersi sulla poltrona, andò a ispezionare il locale della doccia.
Marco aprì il frigorifero.
‘Vuoi champagne?’
‘Si, ci manca solo quello. Vorrei solo un po’ di minerale.’
‘La servo subito, signorina.’
Prese due bicchieri, li mise sul tavolino, prelevò dal frigo una bottiglia d’acqua, la stappò, versò il liquido nei bicchieri, ne dette uno a Licia.
‘Comanda altro, signorina?’
Licia alzò la testa e protese le labbra.
Marco le si avvicinò, le strinse piano i capelli, sulla nuca, e gustò golosamente quel frutto vermiglio che accoglieva la sua lingua freneticamente palpitante.
Un bacio lungo, prepotente, esigente, che lasciò Licia in un languido torpore.
‘Vado in bagno a mettermi in costume.’
‘No, esco io, ti attendo sotto l’ombrellone. Tu fa con comodo.’
La baciò ancora. Uscì, lasciando la sua sacca sulla sedia.
Andò a sedere su uno dei lettini, sotto l’ombrello, di fronte al mare. Guardava lontano, l’orizzonte dov’erano tante piccole vele bianche. Mille pensieri gli affollavano la mente. Forse era questo, il vero amore. Era infinitamente felice con Licia. Bastava esserle vicino, tenerle la mano. Pur desiderandola ardentemente, pur sentendosi eccitato da lei, fino a provarne dolore fisico, riusciva a controllarsi, a frenare le sue pulsioni.
Eccola, Licia. In un bikini mozzafiato, quasi fosse una leggera mano di tinta fiammante spruzzatale con lo spray, i capelli, lunghi fin sui fianchi.
La guardò incantato. Fece fatica ad alzarsi, a sorriderle, a tenderle la mano.
‘Resta così, amore, sei infinitamente splendida, magnifica, bellissima. Mi viene da piangere per la gioia. Non avrei mai immaginato tanto fascino, tanta perfezione. Non ho mai osato sognare, per me, una donna della tua avvenenza, della tua grazia, della tua armoniosità. Girati lentamente, fatti ammirare.’
Licia, con civetteria, fece una lenta piroetta, infiammando ancor più i sensi di Marco. Poi, incurante del luogo, gli si avvicinò, gli gettò le braccia al collo e gli bisbigliò, provocante:
‘Altezza 168, misure 85, 58, 85. Approvata?’
Lo baciò sulla bocca, si mise a sedere sul lettino.
Le andò accanto.
‘Promossa col massimo dei voti, riservandomi la lode a dopo un esame molto più approfondito.’
Distese, sul lettino, il lenzuolino con le iniziali dell’Hotel.
‘Sdraiati qui, bella, resterò vicino a te, in adorazione, contemplandoti, per imprimere nella mente ogni millimetro di te, della tua grazia, delle tue grazie. Per pregustare la dolce beatitudine di riposare sul tuo cuore.’
Licia gli prese la mano, se la strinse al cuore che galoppava, impaziente. Poi, i battiti andarono lentamente placandosi, il respiro divenne più lento e regolare, si assopì.
Marco restò così, a lungo, carezzando dolcemente i capelli della ragazza. Poi, si chinò sul suo volto, le lambì le labbra. Lei, le dischiuse, piano, sorridendo. Aprì gli occhi, lo guardò con profonda tenerezza.
‘Marco, sognavo di dormire tra le tue braccia.’
Si levò a sedere, scuotendo piano la testa.
‘Andiamo a fare il bagno, Marco?’
‘Si, tesoro, ma prima devo mettermi in costume. Sono ancora vestito, vedi?’
‘Scusa, sono stordita. Va pure.’
Marco la baciò e s’avviò verso la cabina.
Tornò poco dopo, indossando le mutandine per il bagno.
‘Andiamo, Licia?’
Sulla battigia, si fermarono. Lei saggiò l’acqua con la punta del piede, prese per mano Marco e, con lui, entrò tra le onde. Allorché giunsero dove l’acqua era più alta, Licia si mise a nuotare. Molti, intorno, si fermarono ad ammirarla. Qualcuno, riconoscendolo, accennò un saluto a Marco.
Trascorsi alcuni minuti, tornarono verso la riva.
‘Vorrei fare la doccia, Marco, accompagnami alla cabina, per favore.’
Entrarono, ancor goccianti.
Marco la prese tra le braccia, la bacio avidamente.
‘Sei dolcissima anche quando sei salata, amore.’
Lei gli passò la lingua sul volto.
‘Anche tu.’
La strinse di nuovo a sé, e la mano incontrò il laccio del reggiseno. Lo tirò lentamente. Allontanò appena Licia, e il reggiseno cadde sul pavimento. Si riaccostò alla ragazza, e sentì sul petto il seno sodo, i capezzoli turgidi. Le mani le artigliarono freneticamente i glutei, la strinsero a lui, convulsamente, mentre il sesso, palpitante, prepotente, le frugava il grembo protetto dal rosso, fragile, triangolino dello slip. Si chinò a baciarle i capezzoli, s’inginocchiò a lambirle il piccolo ombelico, le abbassò un po’ lo slip e immerse le sue labbra avide in quel giardino salato che per la prima volta si sentiva sfiorare dalla voluttà d’un bacio appassionato e avido.
Licia ansimava, gli carezzava i capelli, ancora bagnati.
‘Marco, la doccia… Marco…’
Lui si rialzò.
‘Scusa, amore, scusa…’
‘No, Marco, é bellissimo, ma…’
‘Scusa, bambina mia, scusami. E’ meglio che attenda fuori.’
Uscì.
Licia raccolse il reggiseno, tolse lo slip, entrò nella sala da bagno, aprì la doccia, ne regolò la temperatura, curando che non fosse troppo calda. Sciacquò il costume, lo strizzò e lo appese al gancio dell’attaccapanni. Si mise sotto la doccia, rimanendo immobile, con l’acqua che le scorreva lungo il corpo bellissimo, insieme alle lacrime che sgorgavano dal verde splendido dei suoi occhi.
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Olga accettò con piacere l’idea d’una gita a Londra. I genitori non trovarono motivi per opporsi.
Dal pomeriggio trascorso al Lido, Marco si mostrava alquanto chiuso, silenzioso, contrariato. Il suo sorriso, era un po’ stentato, manifestava amore, tenerezza, ma con minor naturalezza che in passato.
Licia evitava di telefonargli, non lo voleva disturbare, ma quella mattina decise di chiamarlo.
‘Marco, scusa se t’importuno, mentre sei occupato.’
‘Sono sempre felice d’udire la tua voce, amore. E’ un dono che mi fai, telefonandomi, non un disturbo.’
‘Grazie, sei un tesoro. Vorrei invitarti a cena, una cosa modestissima, in famiglia. Anzi, in famiglia ridotta, perché Giorgio e Olga saranno fuori, coi loro amici. Poi, mi piacerebbe andare al Florian, c’é una bella orchestrina.’
‘Per non far tardi, verrò direttamente da te, poco prima delle otto. Non passo neppure a casa, per cambiare l’abito. E poi, certamente, piccola, al Florian. Dico al motoscafista di venire a prenderci alle nove e messo. Va bene?’
‘Sono felice, ma non vorrei che tu ti stancassi troppo. Sono egosita, vero?’
‘Sei deliziosa. Ci vediamo questa sera. Un bacione.’
‘Ti bacio, amore mio.’
Licia aveva pensato a lungo, ed era giunta alla conclusione che non poteva restare col dubbio che la tormentava. Doveva chiedere a Marco il perché di quel mutamento, sia pure impercettibile, nel suo comportamento. Nel contempo, era presa da un senso di sgomento. E se Marco le avesse detto che… tutto era finito, tra loro?
Sulla porta, Marco la baciò con tenerezza. Si, le sembrò notare, con tenerezza, non con passione.
Durante la cena, spesso le poggiò la mano sulla coscia. Forse, pensò Licia, per abitudine.
Fu, ad ogni modo, sempre premuroso e gentile. Ma era spontaneo?
Non parlarono molto, in motoscafo, mentre si dirigevano a San Marco.
Aveva chiesto di andare al Florian, dove si poteva ascoltare della musica.
Come quella sera.
Il caffè era abbastanza affollato, ma il cameriere trovò subito un tavolino libero, in ottima posizione.
‘Cosa gradisci, bella?’
‘Una mimosa.’
Marco si rivolse al cameriere.
‘Due mimose, per favore, e ben fredde.’
Strinse, amorevolmente, la mano a Licia.
‘Ci diamo agli alcolici, brava.’
‘Potrebbero servire.’
‘Perché?’
‘Marco, devo chiederti di essere limpidamente sincero, com’é tuo carattere.’
‘A proposito di ché?’
‘Da qualche giorno noto che sei un po’ diverso dal solito, da prima. Sembri rabbuiato, imbronciato, preoccupato.’
Lui respirò profondamente, e assunse un’espressione molto seria. Si voltò verso Licia.
‘Sono irritato verso me stesso, e a disagio, in difficoltà, verso te. Credo che tu mi conosca bene, al di la del tempo che abbiamo trascorso insieme, e, quindi, sai che tra i miei difetti c’é anche l’essere orgoglioso, fiero, con un eccessivo senso di dignità.’
‘Allora?’
‘Io non mi sono comportato dignitosamente nei tuoi confronti, non sono stato misurato, equilibrato, composto. Mi sono lasciato trascinare volgarmente dalla sensualità, dall’eccitazione del momento. Non ho rispettato il tuo volere, ho dimenticato che custodisci il braccialetto con le iniziali… Mi sento un essere meschino. Scusami. Mi perdoni?’
Licia tremava visibilmente, lo guardava con gli occhi lucidi. Lo prese per il mento, lo baciò sulla bocca.
‘Bambino mio. Perché tu sei un bambino, per me, il mio coccolo. Vien, puteo, vien da la mama, che te dà la teta, te fa far la nanna.’
Canticchiava sottovoce, come una ninna nanna, mentre gli carezzava dolcemente la mano che le poggiava sul grembo
‘Marco mio, come xe stà belo, go pianto de piazèr. Ho capito cosa significherà stare con te, essere tua. No, no te perdono, te ringrassio.’
‘Licia bella, vorrei baciarti. Adesso. Brindiamo.’
Licia prese la coppa con la mimosa, che il cameriere aveva messo sul tavolino. Marco le fermò la mano.
‘No, aspetta.’
Chiamò il cameriere, e ordinò due coppe di champagne.
Brindarono, guardandosi, frementi, negli occhi.
Marco appariva risorto a nuova vita, aveva ripreso quel suo aspetto d’uomo lieto e soddisfatto.
‘Che mi dici di Londra? La conferenza sarà tra due settimane.’
‘T’é andata male, tesoro mio, Olga ed io verremo con te.’
Le strinse con forza le coscia, con finta cattiveria.
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Marco passò a prendere le sue compagne di viaggio verso le otto e mezzo del mattino. Le ragazze erano sul pontile, con il loro non voluminoso bagaglio, accompagnate da Marietta. Il motoscafo s’avviò al Marco Polo, lasciando alle spalle spruzzi argentini. L’aereo era pronto sulla pista, i posti erano già stati prenotati: seconda fila, A,C,F.
‘Ho capito’ -disse Olga- ‘ voi due sarete insieme, e io sarò seduta dall’altra parte, vicina al finestrino. Speriamo che, almeno, mi capiti, a fianco, un bel tocco di marcantonio.’
Bevvero dei succhi di frutta, al bar. L’altoparlante annunciò la partenza, in orario. La solita trafila: controllo bagagli, bus, salita a bordo, sistemazione del bagaglio a mano, ai posti.
Licia andò a sedere accanto al finestrino, Marco vicino a lei.
Indossava un elegante abito, di tessuto fresco ingualcibile, color panna, con sottili bordature più scure. Le braccia scoperte. Scarpe e borsa dello steso colore della bordatura.
Si chinò per poggiare la borsa sul pavimento. La scollatura s’aprì generosamente.
‘Fantastica visione, bambina, meravigliosa, seducente.’
‘Thank you, darling.’
‘Siamo già in piena atmosfera britannica.’
‘Yes, Marc, I do love you, sweetheart.’
I portelloni erano stati chiusi, i reattori avviati. L’assistente di volo pregò di allacciare le cinture di sicurezza, di non fumare, di rettificare la posizione delle poltrone, e informò che il volo sarebbe durato due ore e cinque minuti.
L’aereo rullò sulla pista, si staccò con una decisa impennata, puntò verso nord ovest.
Licia guardava fuori del finestrino. Marco era poggiato su lei, con la bocca tra i lunghi capelli, e la mano che le carezzava il grembo. Lei seguitò a restare con la fronte sul vetro, muovendo impercettibilmente il bacino, stringendo istintivamente le gambe. La carezza di Marco diveniva sempre più insistente. Licia girò il volto verso di lui, con le nari dilatate, e si girò, lentamente, sulla poltrona, tornando a sedere normalmente, con il giornale sulle ginocchia.
‘Marco, ci vedono.’
Le sorrise e le sfiorò il volto con la mano che, prima, la carezzava.
Licia gli poggiò capo sulla spalla, chiuse gli occhi. Restò così a lungo. Non si mosse neppure quando l’Hostess chiese se gradiva qualcosa.
Marco le prese la mano, carezzandola teneramente.
All’Aeroporto erano attesi da James, collega di Marco e suo buon amico, molto meno giovane di lui, che parlucchiava un discreto italiano. Alto, grigio-biondo, occhialuto, molto professorale nell’aspetto, e molto allegro. Chiese se dovessero ritirare altro bagaglio. Ricevutane risposta negativa, fece cenno al giovane che era con lui, e che già aveva messo su un carrello valige e borse, di andare all’auto. Loro avrebbero atteso all’uscita.
Dopo poco il giovane tornò, alla guida di una comoda limousine. Tutti salirono, e si avviarono verso Londra.
James informò che, dato l’altissimo numero d’adesioni, la conferenza si sarebbe tenuta nella Royal Albert Hall. Marco, però, era atteso, nel pomeriggio ai Lloyd’s. I graditi ospiti avrebbero alloggiato al Meridien, a Piccadilly, dov’era anche il raffinato Marco-Pierre White Restaurant. Una berlina, con autista e guida parlate italiano, sarebbe stata a disposizione delle gentili signorine durante tutto il soggiorno.
Licia, s’accostò all’orecchio di Marco.
‘Io voglio stare sempre vicina a te.’
Marco annuì.
James comunicò il programma.
Piccola sosta in Hotel, poi rapido snack. A 2,30 p.m., -disse, usando la tipica fraseologia britannica-, ai Lloyd’s. Mentre Marco sarà in meeting col management, Licia potrà visitare, logicamente accompagnata da una guida, la nuova sfavillante sede della società, fatta costruire nel 1986 da Richard Rogers, e costata quasi 500 miliardi di lire. A 5.00 p.m., incontro, anche con Licia, al top floor del building, per un tè.
Olga, intanto, dalle 2,30 p.m., avrà a disposizione auto, e un accompagnatore che parla un ottimo italiano, per una rapida visita della città. E’ un mio giovane e simpatico assistente, Willy Bucher,
Intorno alle 6,00, sempre p.m., rientro al Meridien. Alle 8,00, cena al Marco-Pierre White e dopo…
Licia s’interpose, sorridendo.
‘Dopo, tenendo conto della giornata trascorsa, una buona dormita.’
Olga, non era dello stesso parere.
‘Io, veramente, vorrei conoscere un po’ Londra by night. Ci saranno locali da vedere, no?’
James chinò leggermente la testa.
‘A Londra c’é solo da scegliere. Il venerdì e il sabato, inoltre, c’é il Party Express, un bus per le discoteche. Sono sicuro che Willy sarà lieto di farle visitare qualcuno dei nostri più tipici locali notturni. Si metta d’accordo con lui, durante l’afternoon sightseeing. Do you agree?’
Tutti si dichiararono d’accordo.
Ecco Piccadilly, il Meridien. Solite formalità, alla Reception. L’impiegato assicurò che era stata loro riservata l’Imperial Suite, una delle più belle, dove avrebbero trovato il bagaglio.
James disse che li avrebbe attesi nel lounge, per lo snack.
Un commesso li accompagnò, mostrò l’appartamento, composto di ampie camere da letto, ognuna con due letti e servizi, e di un salotto-studio che fungeva anche da ingresso.
Olga fischiettò, ammirata, dette un’occhiata alle due camere.
‘Noi’ ‘concluse- ‘prendiamo quella col balcone ad angolo. Ti dispiace, Marco?’
Marco alzò le spalle, sorridendo, prese la sua valigia e si avviò verso la stanza che Olga gli aveva assegnato.
Licia gli andò appresso.
‘Voglio vedere come ti sistemi, ti aiuto a disfare la valigia.’
Appena furono entrati, lo abbracciò con impeto, cercandone, golosa, le labbra, senza attendere che lui ebbe lasciato la valigia.
‘Non potevo attendere più, Marco. E’ da quando eravamo in aereo che lo desidero, da quando ti ho detto che… ci vedevano.’
E riprese a baciarlo, furiosamente.
Le carezzò la schiena, sul vestito, e la strinse a sé, con le dita artigliate sui glutei, solidi e contratti. Le passò le mani sul volto, scese nella scollatura, s’intrufolò nel reggiseno, lo scostò, si chinò a baciare il capezzolo turgido e ardente.
Licia gli passava la mano sui capelli.
‘Amore bellissimo, quante coccole avrai da Licia.’
Trillò il telefono. Si staccarono. Marcò prese l’apparecchio. Ascoltò un momento.
‘Hallo, John, how are you?’
Licia gli fece cenno che andava nella sua camera.
Olga era sotto la doccia, dopo poco entrò avvolta nell’accappatoio. Guardò la sorella.
‘Già fatto?’
‘Fatto cosa?’
‘Quello per cui sei andata nella camera di Marco.’
‘Vale a dire?’
‘Sbrigargli la valigia, sistemate le sue cose.’
Licia scosse la testa, senza rispondere, e aprì il suo bagaglio togliendo quando conteneva per sistemarlo nei mobili. Poi andò nel bagno.
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La cena, il dinner, fu al di sopra d’ogni aspettativa. Squisita e leggera. Willy vi prese parte. Dopo avrebbe accompagnato Olga in qualche locale caratteristico.
Le aveva detto che avrebbe dovuto cambiarsi d’abito, indossare qualcosa di casual.
Erano da poco trascorse le 10,00, p.m.
James disse che, se non occorreva altro, lui sarebbe andato a casa. Si sarebbero rivisti l’indomani, dopo il breakfast.
Olga, pregò Willy di attenderla un momento, saliva in camera, ma sarebbe tornata entro pochi minuti.
Licia chiese a Willy se avrebbero fatto tardi.
‘Credo che Olga voglia vedere il più possibile. Prevedo di finire il giro al Ministry of Sound, é un locale di grande effetto scenografico, con musica house e rap. Probabilmente torneremo mentre voi farete colazione…’
Licia lo fissò, in silenzio,
Olga era tornata. I due salutarono e si avviarono all’uscita.
‘Bimba, una coppa di champagne?’
‘Qui?’
Lui la guardò interrogativamente.
‘Saremo più comodi nella suite. Non ti sembra, professore?’
Marco si avvicinò al banco del portiere e chiese che gli portassero, nell’appartamento, dello champagne. Della migliore marca e annata.’
Salirono, tenendosi per mano.
Entrarono nel salotto. Sul tavolino c’era già lo champagne, nel ghiaccio, e due coppe.
Marco provò a rompere il silenzio surreale che li avvolgeva.
‘Ti piace quest’Albergo, Licia?’
‘Infinitamente.
Sono certa che non lo dimenticherò mai.
Meridien, chissà a quale concetto corrisponde. Meridiano, che indica le ore. Meriggio d’un giorno.
E’ più bella, però, l’alba, the down. Down, che s’unisce a infiniti significati: to lie down, then to cool down…’
‘Splendide divagazioni, amore.’
‘Non divago, anzi.’
‘Apro lo champagne?’
‘Sono ancora tutta in ghingheri. Vado a mettermi a mio agio.’
Lo guardò con immensa tenerezza, gli passò dolcemente le dita sulle labbra.
‘Mi piacerebbe bere lo champagne, seduta sui tuoi ginocchi. Nella tua camera c’é una comoda poltrona, accanto al tavolo basso, a fianco al letto morbido. Porta tutto la. Aspettami.’
Andò nella sua stanza, lasciando socchiusa la porta.
Marco prese il cestello col ghiaccio, nel quale era la bottiglia, lo portò dove aveva detto Licia. Tornò a prendere i calici. Tolse la stagnola dorata e allentò la chiusura che teneva il tappo. Si levò giacca e cravatta, andò a sedere in poltrona.
Licia apparve in una leggerissima e vaporosa vestaglia, celeste, dalla quale usciva il lembo d’una impalpabile e trasparente camicia da notte. S’avvicinò a Marco, lo baciò sulla bocca, gli si assise in grembo, trasmettendogli il calore del suo corpo.
Marco la strinse tra le braccia, la baciò sul collo, le carezzò i lunghi capelli. Stappò la bottiglia, riempì i calici, ne porse uno a Licia.
‘Bevi tu, io voglio bere dalle tue labbra.’
Lui si riempì la bocca col liquido frizzante, e lo lasciò cadere tra le labbra di lei, dischiuse, avide, golose.
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Le prime luci dell’alba, che filtravano dal balcone, sfiorarono la statuaria bellezza di Licia, nuda, riversa su Marco che giaceva, supino, con gli occhi aperti, coperto dai capelli corvini di lei.
‘Licia, é stato meraviglioso. Grazie, amore. Ma tutto é avvenuto così improvvisamente, inaspettatamente… senza alcuna precauzione…’
La ragazza lo baciò sul petto, alzò il capo verso di lui, lo baciò sulle labbra, sull’orecchio. Gli sussurrò, sospirando:
‘Sei fantastico, favoloso, indescrivibile. Una felicità inimmaginabile, un piacere delizioso, estasi voluttuosa, fremiti insuperabili. Ma nulla d’improvviso, amore, d’inaspettato, tesoro mio, puteo della mia vita. Sono dieci giorni che prendo la pillola.’
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Simone ed Elena attendevano il ritorno delle figlie e di Marco, a Tessera.
Olga li vide subito. Agitò la mano e le gridò che aveva per loro un piccolo souvenir, ed anche per Giorgio. All’uscita fu un allegro scambio di baci e abbracci.
Avviandosi al motoscafo, Elena notò che Licia aveva al polso il braccialetto regalatole da Marco, con le iniziali LG.
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Spero che oltre a peculiari li trovi anche piacevoli. Per quanto riguarda, sia Cali che Silente le anticipo che avranno…
Interessante. Mi piace come hai caratterizzato la MacGrannitt. Inoltre trovo molto bello che tu abbia voluto sfruttare il personaggio di…
sarebbe bello se Gianna continuasse a rimanere incinta di suo nonno portando alla luce una bella e numerosa famiglia. Come…
Sono d'accordo. Ninfadora ha potenzialità enormi. Prossimamente vedrò di dedicarle un altro racconto.
ci sono altri episodi ?