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Racconti Erotici

Mastro Zeppetto

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Girava sempre con aria indaffarata, anche adesso, non più giovanissimo, preso da mille impegni, per lui sempre urgenti e inderogabili. Temeva di non poter disporre di sufficiente tempo per fare quello che più gli fosse piaciuto. Il fatto, é che a lui aggradavano mille cose, anzi, tutto. Fin da bambino.

Dava la sensazione di fiutare in continuazione qualche usta, e di seguirla tenacemente per identificarne la sorgente. Rimaneva, discreto e defilato, a guardare, ascoltare, con la mente in continuo lavorio alla ricerca di una soluzione, di un espediente, per assicurare stabilità a ciò che traballava, per colmare qualche lacuna. Solo alla morte non c’é rimedio, ripeteva sua nonna. Egli ne era convinto, e l’insegnante di lettere, a suo tempo, glielo aveva confermato, ricordando che, a volte, si osserva che per riempire un verso, anche per ragioni metriche, o per dare completezza ad un periodo, si aggiunga una parola o una frase, definita zeppa.

Quindi, basta trovare quella giusta, e si sistema tutto.

Il suo motto era ‘sempre e dovunque’.

Aveva l’abilità di non mostrarsi inopportuno, di non infastidire, di non irritare con intromissioni indelicate, sembrava sempre rispondere a interrogativi che gli erano stati rivolti, anche quando esprimeva opinioni non richieste. Riusciva a contrabbandare per lodevole interesse la sua insistente curiosità. Se qualcosa vacillava, era in pericolo, o stava per cadere, trovava sempre ciò che la rendeva stabile, la giusta zeppa.

Principio seguito e applicato nelle più diverse circostanze.

Per questo lo chiamavano Mastro Zeppetto.

Ancora adolescente, con pochi peli di barba, origliando alla porta di Franca, la rubiconda ragazza di paese che aveva lasciato campi, famiglia e moroso, per venire in città come collaboratrice familiare, avvertì lunghi sospiri. Sbirciò dal buco della serratura e capì subito di quale zeppa abbisognasse la ragazza. La sera, tardi, quando tutti già dormivano, la raggiunse nel letto, ed ebbe la conferma di non aver sbagliato. Tornando in camera sua, alle prime luci dell’alba, sorrideva pensando alla reciprocità del rimedio: zeppa giusta e opportuna fessura.

Da allora, chi fosse passato, in certe ore, dinanzi alla porta di Franca, ne avrebbe colto sommessi sospiri, ma non per i morsi di certa fame, per un vuoto smanioso. Anzi.

Spinto dalla convinzione che l’altra metà del cielo avesse una precisa e predominante esigenza di base, come amava definirla, dalla quale dipendeva ogni equilibrio, si prodigò sempre, per quanto poteva, allo scopo di assicurare al gentil sesso la sospirata serenità. Non poteva dirsi di bocca buona, ma la sua generosità lo portò a fornire la zeppa necessaria anche a qualche irrequieta amica della mamma. Aveva molto da imparare, da quelle frementi signore, e non trascurava di travasare l’esperienza delle abili e navigate nocchiere, nelle giovani principianti ansiose di apprendere e dimostrare.

Una carriera, quella di Mario, Mastro Zeppetto, iniziata, più o meno consapevolmente, in tenerissima età.

Se qualcosa era amara, bastava un po’ di zucchero per farla divenire gradevole. Il dolore provocato dallo spigolo contro il quale aveva urtato, era lenito da un bacetto della mamma, o di una sua amica, meglio ancora se di una delle loro graziose figliolette.

La giovane Norina, una delle più care compagne di classe della mamma, non allattava più il suo marmocchio.

‘Norina, perché Lillino non succhia più il tuo latte?’

‘Perché si é stancato, non lo vuole.’

‘Che stupido, a me piacerebbe ancora.’

Norina rimase un po’ a pensare.

Lillino stava riposando, la mamma di Mario era uscita per compere e lei fungeva da baby sitter.

‘Ne vuoi? Ma non so se ne troverai.’

‘Davvero mi fai provare?’

Norina sbottonò il vestito, slacciò il reggiseno e tirò fuori una soda e rigogliosa tetta con piccole venuzze azzurrine. Mario si avvicinò curioso, toccò il piccolo capezzolo rosa che s’inturgidì invitante, vi posò le labbra, cominciò a succhiare, lentamente, lungamente, nel rinverdito ricordo dei suoi primi mesi di vita. Norina lo carezzava dolcemente, stringendolo delicatamente a sé, accompagnando l’insolita poppata con un lieve dondolio del corpo, e un crescente sussulto del grembo. Non c’era più latte in quella mammella, o quasi. Quando Mario se ne staccò, Norina gli porse l’altra, accostandola alla bocca del bambino. Un rito che si rinnovò ogni volta che il luogo e la riservatezza lo consentivano, con tacita complicità, in un crescendo lento e inarrestabile, fino alla prima vera e liberatoria scopata, a casa di lei, nel grande letto, mentre Lillino era a spasso con la nonna. Splendida e rivelante iniziazione, origine dei convincimenti di Mario, preziosa per le sue successive, innumerevoli, storie, di cui Franca fu un piacevole capitolo.

La spigliata spontaneità di Mario era dovuta anche alle sue particolari esperienze, alla precoce conoscenza di uno dei fondamentali elementi della vita, il sesso. Non si stupiva mai di nulla, considerava sempre indulgentemente quanto accadeva, a lui o agli altri, ricordando la nonna che affermava esserci un rimedio per tutto, ad eccezione della morte. Questo, però, lo aveva condotto a concepire i rapporti tra le persone in modo meccanicistico, dove la realtà é governata unicamente da leggi fisiche e materiali, e l’amore, invertendo i termini della definizione, é attrazione sessuale che può anche comportare affetto, senza coinvolgimenti morali e intellettuali. La stessa attrazione che si verifica tra poli di segno opposto. Nessuna ostentazione di cinismo, anche perché la sua condotta era spesso contraddittoria, specie quando, mettendo da parte un certo materialismo, interveniva con zeppe morali, con parole che, tutto sommato, erano un invito all’amore, nel senso più elevato del termine.

Del resto, come può giudicarsi dettato dall’amore il comportamento di Norina, che ha trasformato un bambino, e poi un adolescente, in oggetto per appagare la sua cinica lussuria? Peccato che grida vendetta al cospetto di Dio.

Che ha a vedere con l’amore il piacere di Franca, che trova in Mario l’appagamento della sua bramosia sessuale?

Che dire di Don Emidio, che gli aveva fatto, a pagamento, ripetizione di latino mentre intrufolava le dita nei pantaloncini corti e gli frugava il pisellino, guardandolo con occhio da pesce morto? Amore?

Anche sulla gratitudine aveva le sue idee.

L’insegnante di religione, una avvenente giovane catechista nipote del segretario della Diocesi, aveva detto che bisognava essere grati ai genitori che hanno dato la vita ai figli che il Signore ha voluto mandare loro.

Mario era pieno di riconoscenza per l’affetto dei genitori, per le loro premure, per le cure che gli prodigavano cercando di farlo crescere sano e forte, di prepararlo per la vita, ma grato per averlo fatto nascere non riusciva ad esserlo.

‘Signorina, se i figli sono dono del Signore, perché si devono ringraziare i genitori per averli messi al mondo?’

‘Perché i genitori sono il tramite di cui Dio si é servito per far nascere i figli.’

Mario serrava le labbra, dubbioso.

Chissà se s’erano messi d’accordo col Signore, prima di abbandonarsi alla scopata per la quale lui era stato concepito.

Inoltre, i figli delle nubili dovevano anche loro esprimere gratitudine alla madre?

E i frutti degli stupri?

Almeno per l’uomo, pensava Mario, il presunto istinto della procreazione era soprattutto desiderio irrefrenabile di appagare i sensi col piacere dell’accoppiamento.

Franca aveva il terrore di essere ingravidata, ma non sapeva resistere al godimento che le dava Mario, anche perché tutto era avvolto dalla massima discrezione. Guai se i genitori avessero saputo che il proprio figlio era sistematicamente posseduto dalla serva.

A Mario, tutto questo faceva comodo.

^^^

Laura Moppa, splendida fanciulla dai lunghi capelli biondi e occhi color cielo sereno, non godeva, e non poteva godere, molte simpatie tra i compagni dell’ultimo anno di liceo scientifico. Sempre vestita inappuntabilmente, alquanto ricercata, a volte fino alla sofisticazione, manteneva un contegno altero, al limite della superbia, e si esprimeva con proprietà di linguaggio, ricercatezza, dando la sensazione che le sue opinioni fossero giudizi indiscutibili.

I compagni l’avevano battezzata Lady Oil, Nostra Signora del Petrolio, dato che il padre lavorava nel mondo degli idrocarburi, per la nobile e distaccata dolcezza del volto, e la ostentata insensibilità agli apprezzamenti, spesso molto pesanti e volgari, che le venivano rivolti. La chiamavano anche Goldencunt, ficadoro, concludendo che ‘sta fanatica, se crede d’aveccela solo lei!

Per le ragazze, era sputazzella, sputasentenze, e, non sapendo come offenderla, anche sputtanella.

Il problema era che i banchi erano doppi e in numero appena sufficiente, e nessuno voleva sedere vicino a lei.

Sostavano tutti nel corridoio, Laura, invece, era entrata ed era seduta nel secondo banco della fila di centro, sola, leggendo la prefazione del Purgatorio. Col volto splendido, ma non completamente sereno. Le giungeva il parlottare dei compagni e delle compagne.

Sulla porta apparve Mario, le andò vicino.

‘Posso sedere accanto a te, Laura?’

La ragazza accennò a un sorriso di cortesia.

‘Certo.’

Mario sistemò le sue cose, dette uno sguardo al libro che leggeva Laura, tornò in corridoio. Fu accolto da un coro di voci incomprensibili. Lo circondarono, Guglielmo sembrava il più acceso.

‘Zeppa, la dobbiamo lasciare sola, deve capire con chi ha a che fare. Se ti sei messo in testa qualche cosa, scordatela, quella non te la fa nemmeno sniffare.’

Mario annuì in silenzio, poi, vedendo giungere l’insegnante, rientrò in classe, seguito dagli altri. Nessuno rivolse parola a Laura.

La professoressa, una nuova, rivolse agli allievi un breve saluto e l’augurio di trascorrere un proficuo anno scolastico, avvertendo che ce la dovevano mettere tutta, in quanto era un anno di particolare impegno. Fece l’appello, e invitò ad aprire il volume della Divina Commedia, al Purgatorio, per darvi una scorsa, prima di passare al Paradiso.

‘Laura, scusa, non immaginavo di doverlo portare, posso leggere dal tuo libro, insieme a te?’

‘Se ti accontenti del mio Purgatorio.’

Arrossì un po’, e mise il volume al centro del banco. Mario le si accostò.

‘Tu sei il Paradiso, Laura.’

Il volto di lei divenne ancora più colorito.

A mano a mano che procedeva la lettura e la spiegazione, Mario prendeva appunti sul quaderno, riempiendo rapidamente le pagine, con chiara grafia, senza abbandonare, nel contempo, di scorrere i versi.

Il tempo passava. Per qualcuno piacevolmente, per altri con esasperante lentezza.

La professoressa chiuse il libro.

‘Per oggi ci fermiamo qui:

Ma se donna del ciel ti move e regge…

Il resto leggetelo voi, a casa, e preparatevi a commentarlo. Non sarebbe male, in questi casi, studiare in due o più persone, per approfondire la materia e scambiarsi idee. Mi propongo una ripetizione generale dei Canti studiati lo scorso anno. E’ materia d’esame.’

Ci fu un lungo brusio, dopo tanto silenzio.

Laura guardò, interessata, gli appunti di Mario.

‘Hai scritto molto. Mi sembra che tu faccia sempre così. Ma non conservi quelli dello scorso anno?’

‘Certo, ma la prof ha commentato a suo modo, e voglio tenerne conto. Prendo sempre note perché, di solito, basta rileggerle per ricordare quasi tutto. Vuoi copiare?’

‘Grazie, ma non c’é il tempo necessario. Fra qualche minuto entrerà chi parlerà per tutta l’ora. Per lui la storia é la materia più importante, maestra della vita. Per me insegna poco, gli uomini fanno quasi sempre gli stessi errori. Prendi appunti anche di storia?’

‘Si, studio su quelli, e consulto il libro solo saltuariamente.’

‘Mi piacerebbe farlo anch’io, ma bisogna esserci allenati.’

‘Che ne diresti di leggere insieme i versi che ancora rimangono? Potremmo completare le annotazioni e tu copiarle.’

Lo guardò titubante.

‘Si, ma quando, come, dove?’

‘Nel pomeriggio. Oggi… domani. A casa mia… a casa tua.’

Laura strinse le labbra.

‘Per me sarebbe la prima volta. Ho studiato sempre da sola. Non credo che mi lascino andare da un compagno.’

‘Potrei venire io, da te. Non abitiamo lontani, i nostri genitori si conoscono, si sono incontrati più volte al ricevimento degli insegnanti.’

‘Non so… facciamo così, ne parlo a casa e domani ti dico qualcosa.’

All’uscita, forse per la prima volta, Laura salutò il suo compagno di banco, anche abbozzando un sorriso. I ragazzi circondarono Mario, battendogli forti pacche sulle spalle.

‘E bravo zeppa, ha ingranato la marcia d’avvicinamento. Hai visto come stavano? Testa a testa. Sei riuscito a sentirne l’odore? Furbo lui, lascia il libro a casa e si fionda. Non illuderti, resterai con l’acquolina in bocca.’

‘Il libro ce l’ho nella cartella! Andate a….’

^^^

‘Mamma, questo é Mario Desati, tu l’hai visto altre volte, gli anni passati, e hai anche incontrato i suoi genitori.’

‘Lo ricordo benissimo. Come stai, Mario, e i tuoi genitori?’

‘Tutti bene, signora, grazie. Mi auguro di non arrecarle disturbo.’

‘Nessun disturbo, caro. Laura ritiene che per quest’anno, particolarmente impegnativo, sia opportuno avere frequenti scambi di idee e consigliarsi reciprocamente. Mi ha anche detto che tu sei quello delle soluzioni intelligenti e che hai una notevole abilità nel prendere appunti, certamente preziosi.’

‘La ringrazio, signora, e spero di non deludere le sue attese. Laura ed io, anche se non ci siamo trattati molto, ci conosciamo da anni, e non abbiamo mai avuto motivi di disaccordo.’

‘Laura non ha mai frequentato nessuno che non sia della sua famiglia. Forse non é stato un bene, ma anche io ho sempre avuto un certo distacco dai compagni di scuola. Saremo fatti male, ma ricerchiamo un qualche garbo in tutto, e questo, spesso, ci fa apparire scostanti. Comunque, inutile parlarne. Benvenuto, e buon lavoro. Vi accompagno nello studiolo che abbiamo realizzato in un angolo della camera di Laura. Andiamo.’

La donna, ancora giovane, alta, elegante, molto bella, li precedette, attese che fossero seduti, uno di fronte all’altro, all’ampio scrittoio, disse che sarebbe tornata dopo, con qualcosa da bere, si allontanò, uscì, chiuse la porta.

Laura sorrideva, divertita.

‘C’é voluto qualche giorno per convincere i miei dell’utilità di non studiare da sola. Scusa, ma siamo tutti un po’ strani, in questa casa. Avrai modo di constatarlo. Ti ringrazio per gli appunti. Ho fatto bene a copiali io, in tal modo li ho quasi imparati a memoria. Ho visto che li hai riscritti in bella copia, con diversi colori.’

‘Si. In nero quello che ha detto la professoressa, in rosso alcune note colte qua e là, in verde poche considerazioni personali.

‘L’ho capito, e ho fatto lo stesso, ma le considerazioni personali sono le tue.’

‘Prima o poi ti chiederò i diritti d’autore.’

‘Da cosa cominciamo, Mario?’

‘Domani, prima ora, Italiano, Petrarca. Ho con me l’Antologia da Petrarca all’Umanesimo. Apriamo a caso?’

‘D’accordo.’

Mario prese il volume dalla cartella, lo poggiò sul tavolo, aprendolo a caso.

‘Leggo io?’

‘Si, ti prego, se ascolto mi concentro meglio. Cos’&egrave?’

Mario dette un’occhiata alla pagina del libro.

‘Il Canzoniere, numero 291.

Quand’io veggio dal ciel scender l’Aurora

Co’ la fronte di rose e co’ crin d’oro…

Nella nota, il commento di Francesco De Sanctis spiega: Laura dai capelli biondi, dal collo di latte, dalle guance infocate, dai sereni occhi, dolce viso.’

Si fermò, guardò la ragazza che lo ascoltava attenta, con la chioma dorata sparsa sulle braccia, la fissò intensamente.

‘Sei tu, Laura. In una sua rima extravagante Petrarca ti vede simile alla Venere descritta da Virgilio. E le parole di De Sanctis completano il tutto. E’ come ti vedo io, adesso.’

‘Ti ringrazio, ma questo non possiamo dirlo all’insegnante.’

‘Perché no? Se mi interrogherà, domani, lo spiegherò a tutti. Laura dai capelli d’oro, simile a Venere, é la nostra Laura, Laura Moppa. Qui ci sarà uno scroscio d’applausi.’

‘E Mario Desati, sarà espulso dall’aula e mandato dal Preside.’

‘Al quale chiederò gentilmente di chiamarti. Lui ti vedrà e mi dirà, bravo Desati, é proprio così. Ancora applausi…’

‘E fine del sogno.’

‘Inizio della realtà.’

‘Torniamo alla nostra realtà. Aspetta, mi siedo a fianco a te, così posso seguire meglio la lettura.’

Spostò la sedia, gli fu accanto, coi capelli che gli carezzavano il viso, le ginocchia che si sfioravano.

Mario leggeva, lentamente, con sentimento, gli occhi di lei, pur fissi sul libro, s’erano riempiti di spazio immenso, di cielo, di prati, di acque limpide che zampillavano. La voce, calda, suadente, era dolce melodia che accompagnava il suo librarsi, più leggera di piuma, cullata dal tepore che sortiva dalle labbra di lui. Labbra rosse, come fiore che attrae il goloso volare dell’ape promettendo l’incanto che si trasforma in miele.

La lettura era finita, non l’incanto di Laura.

Mario si voltò verso lei, toccandole leggermente la mano.

Laura ebbe un lieve sobbalzo, come se uscisse da un’ipnosi, respirò profondamente.

‘E’ magnifico, Mario. Tu leggi divinamente bene.’

La maniglia della porta s’abbassò, entrò la mamma di Laura con un vassoio.

‘Ciao, Wedgy, é vero che je puzza di petrolio?’

Guglielmo si compiaceva di mostrarsi sempre beffardo.

‘Salve Willy, hai indovinato, ma é sempre meglio di tua sorella che je puzza di merda.’

Scambiatisi i complimenti di rito, si misero a chiacchierare cordialmente.

‘Zeppa. Sei riuscito a far sorridere Goldy. Che le hai fatto? Non dirmi che l’hai inzeppata.’

‘Piantala, é una ragazza come tante altre, anche meglio. Ognuno ha il proprio carattere, e quello di Laura non é dei peggiori. E’ dolcissima.’

‘L’hai leccata?’

Mario si fermò, lo prese per un braccio, lo guardò diritto negli occhi, parlò in tono deciso.

‘Ti prego di non usare tale linguaggio, quando parli di Laura. E avverti anche gli altri.’

Ripresero a camminare.

Guglielmo sembrava strabiliato.

‘Allora é una cosa seria?’

‘Non lo so, ma é diversa dalle altre volte.’

‘E… i tuoi principi?’

‘Valgono sempre, ma per le altre.’

‘Non capisco.’

‘C’é poco da capire. Laura mi piace, moltissimo, e le voglio bene. E’ la prima volta che mi capita. Fino adesso si trattava solo di mettere la zeppa al posto giusto. Ti ricordi, dicevo che a me bastava lo stretto necessario. Adesso voglio qualcosa di diverso.’

‘E lei che dice?’

‘A me sembra che stia peggio di me, ma non si sbilancia.’

‘L’hai baciata?’

‘Fine del film, Guglié, parliamo d’altro.’

Erano giunti alla scuola. Laura era assente, gli aveva telefonato. Qualche linea di febbre la costringeva a casa. Gli aveva chiesto di informarla su quanto si sarebbe svolto in aula e sui compiti assegnati. Per telefono, per favore, non voleva, eventualmente, trasmettergli i germi causa del suo malessere. Mario aveva insistito, aveva assicurato che lui era refrattario alle malattie, desiderava assicurarsi sullo stato di salute di lei, ma la ragazza fu irremovibile. Sperava di rivederlo domani, a scuola.

Rosetta si avvicinò al banco di Mario.

‘Posso sedere al posto di Laura? So che non viene.’

‘Siedi pure.’

‘Ti disturbo?’

‘Tutt’altro, mi fai compagnia.’

‘Che effetto fa cambiare una bionda con una raven-haired come me? Ti piacciono i capelli ala di corvo?’

‘Sono bellissimi.’

‘Più dei biondi?’

‘Come.’

‘Sono più lunghi i capelli miei o quelli di Laura?’

‘Credo i tuoi.’

‘Ti piacciono?’

‘Te l’ho detto, sono molto belli.’

‘Toccali, Mario. Dimmi se sono più sottili i miei o quelli di Laura.’

Il ragazzo prese tra le dita i nerissimi capelli di Rosetta, e li strofinò leggermente.

‘Non saprei dirti, Rosy, ma ho letto da qualche parte che i capelli neri hanno un diametro lievemente maggiore di quelli chiari.’

‘Credo sia così. Allora sai anche che i peli del pube sono più grossi dei capelli. Io l’ho constatato al microscopio. Se vieni a casa mia te li faccio vedere. Perché non vieni, oggi, ad aiutarmi a studiare?’

‘Ci penserò.’

‘Potresti venire a pranzo da me. A Laura puoi telefonare da li.’

‘Ci penserò.’

‘Non fare il prezioso, é da tanto che non studiamo insieme.’

Mario annuì, senza rispondere.

Durante l’intervallo, Mario telefonò a casa, informò che era stato invitato a pranzo da Rosetta. Assicurò che sarebbe rientrato in tempo per la cena. Rientrato in aula, disse alla ragazza che era ben lieto di accettare il suo invito. Rosetta gli prese la mano e gliela strinse calorosamente.

All’uscita, Rosetta era attesa dall’auto del padre, con Romolo, l’autista.

‘Signorina, l’ingegnere mi ha mandato a prenderla, per portarla a casa, poi tornerò da lui.’

Mario e Rosetta salirono nella vettura, e Romolo, districandosi nel piccolo caos delle auto che attendevano gli alunni, s’avviò verso la Cassia, dove i Cardini avevano la villetta. Li lasciò dinanzi al cancello, come aveva detto la ragazza. Percorsero il breve vialetto che conduceva all’edificio, bussarono. Aprì Violetta, la cameriera.

‘C’é un ospite, Violetta. Mario resta a pranzo con noi.’

‘Con Lei, signorina. I suoi genitori sono fuori, fino a domani, come lei sa, e in casa ci sono solo io. Dopo che li avrò serviti, andrò a trovare mia sorella, in ospedale. La signora mi ha dato il permesso. Sa, sono divenuta zia per la prima volta. Se vuole, però, resto a sua disposizione.’

‘No, va pure. Anzi, prepara tutto sul carrello, tra dieci minuti, e penserò io al resto. Tu puoi andare.’

‘Si rivolse a Mario.

‘Vieni, ci diamo una rinfrescata, prima di andare a tavola.’

Lo prese per mano e lo condusse nella sua camera, al primo piano.

Un vano molto vasto, con al centro un arco schiacciato che lo divideva dallo studio. Una porta pieghevole separava i due ambienti. Un uscio, non lontano dal letto, conduceva nel bagno.

‘Quello é il bagno. Troverai quanto ti occorre. Poi vi andrò io.’

‘Vacci prima.’

‘No, preferisco dopo.’

Mentre Mario stava lavandosi le mani, Rosetta bussò.

‘Posso entrare?’

‘Certo.’

Si avvicinò al lavandino.

‘Che belle mani che hai. Te le lavo io.’

Prese il sapone e cominciò a insaponarle, lentamente, carezzandole, poi le passò sotto il getto del rubinetto. Le asciugò delicatamente, e prima di lasciarle, le baciò sulla punta delle dita. Poi posò le sue labbra sulla guancia di Mario.

‘Il signore é servito.’

Andò verso la tazza del cesso, mentre Mario s’affrettava ad uscire.

^^^

Trovarono già in tavola, accuratamente coperto, un appetitoso sartù, che fu molto apprezzato, poi Rosetta, perfetta, attenta, premurosa padrona di casa, prese dal carrello la carne in galantina, con ricco contorno, e servì Mario. L’insalata di frutta completò il pasto. Bevvero solo acqua, lasciando intatta la bottiglia di fresco vino del Collio.

‘Gradisci un cognac, un whisky?’

‘No, grazie.’

‘Andiamo in cucina, a farci il caff&egrave.’

Rosetta lo prese per mano e lo condusse verso la porta, sul fondo, che comunicava con la cucina, dove tutto era in ordine e luccicante.

‘Siedi vicino al tavolo, farò in un momento.’

Preparò tutto sollecitamente, in attesa della fuoriuscita del liquido, preparò, sul tavolo, le tazzine con i cucchiaini, la zuccheriera, il piccolo bricco per il latte. Quando tutto fu pronto, si avvicinò a Mario, con la caffettiera fumante, gli si sedette sulle ginocchia, riempì le tazzine.

‘Quanto zucchero?’

‘Un solo cucchiaino, grazie.’

Mise lo zucchero nella tazzina, lo girò lentamente.

‘Prendi solo la tazzina, con la sinistra, l’altra mano continua a tenerla sul mio fianco, anche più su o più giù, se vuoi.’

Operazione non facilissima, perché si muoveva continuamente, strofinando il suo grazioso sederino sulle cosce di Mario che dimostrava sempre più di non essere insensibile a quel provocante sfregamento prolungato.

Gli passò un braccio intorno al collo. Gli sussurrò, stuzzicante ed eccitata:

‘Ti piace?’

‘Si.’

‘Il caff&egrave?’

‘Anche il caff&egrave.’

‘Ti ricordi la scorsa estate, a Fregene?’

E continuava a dimenarsi. Lui la baciò sul collo.

‘Indimenticabile.’

‘Non l’abbiamo fatto più, perché?’

‘Non ce n’é stata occasione.’

‘Le opportunità si fanno nascere.’

‘Rosetta, dobbiamo controllarci. Così usiamo male il nostro tempo.’

Lei si alzò, malvolentieri, lo baciò lungamente sulle labbra.

‘Vuoi vedere il microscopio, Mario?’

‘D’accordo.’

‘E’ nel mio studiolo, andiamo.’

Salirono nella camera. Dalla scansia, prese il microscopio, lo mise sul tavolo, lo collegò all’elettricità, cercò la scatoletta dei vetrini, ne estrasse un paio, li pulì accuratamente. Andarono a sedersi alla scrivania

Strappò un capello dalla testa di Mario e uno dalla sua, li sistemò tra i vetrini, che posizionò sul microscopio, accese la luce, accostò l’occhio all’oculare, mise a fuoco.

‘Vieni a vedere, il mio capello é più grosso del tuo.’

Mario guardò attentamente.

‘E’ vero, anche se non di molto, ha un diametro maggiore. Sei forte anche nei capelli.’

‘Adesso dobbiamo osservare anche altre differenze. Io non me la sento di farlo da sola. Tu fa piano. Prendi un pelo dal mio pube.’

‘Ma che dici?’

‘Cos’&egrave, hai paura questa volta?’

‘Quando mai ho fatto una cosa del genere.’

‘Strappare i peli da li, no, ma baciarli, diciamo così, non sembra che ti dispiacesse. Adesso mi rimetto sulle tue ginocchia, tu infili la mano sotto la gonna, come sai ben fare, e procuri il materiale per l’esame microscopico. Non preoccuparti, non troverai ostacoli, non indosso nulla.’

Con un gesto inaspettato, alzò la gonna e poggiò le chiappette nude sui pantaloni di Mario. Lui le carezzò il ginocchio, la coscia, salì sempre più.

‘Cerca con calma, scegli con attenzione, non affrettarti. Va dove più rigogliosa é la vegetazione. Così… così… esplora la foresta… cerca… Sulla collina, lungo la valle… sfiora l’albero del piacere… così… soffermati nel solco della voluttà… così…’

Gli prese la testa tra le mani e gli lambì golosamente le labbra, cercandogli la lingua.

‘Ahi!’

La mano di Mario uscì da sotto la gonna, trattenendo tra le dita un piccolo cespuglio nero.

‘Ora tocca a me, ma lo farò restando così, seduta sulle tue gambe.’

‘Lascia stare.’

‘Non ci penso nemmeno. Vedrai come sono brava.’

Allargò le gambe e sbottonò rapidamente i pantaloni di Mario, scostò le mutandine. Ne emerse, prepotente, vigoroso, turgido, il grosso fallo. Rosetta lo strinse tra le sue gambe.

‘Voglio vedere come farai a farlo rientrare al suo posto.’

Gli sorrise con aria di sfida.

‘Ogni cosa al momento giusto.’

Si mosse, per sentirlo premere, gagliardo, tra le natiche.

‘Hai mai inchiappettato qualcuna, Mario?’

‘Cosa?’

‘Ma va, che hai perfettamente capito. Questa zeppa… Insomma, hai mai sodomizzato qualcuna?’

Intanto si muoveva stringendo e allargando ritmicamente le natiche.

‘Come ti salta in mente una cosa del genere?’

‘Sono curiosa, vorrei sapere cosa si prova a sentirlo entrare dietro, mentre una mano deliziosa ti carezza davanti. Proviamo?’

‘E l’esame microscopico?’

‘Con questo coso che mi sembra un palo?’

‘Scendi, che ci penso io. Ahi!’

‘Anch’io ho il mio raccolto.’

Ed esibì il ciuffo strappato al ragazzo.

I pantaloni di Mario rimasero sbottonati.

Questa volta, il microscopio rivelò una notevole differenza, a favore di lui.

‘Lo sapevo, che laggiù eri grosso. Ma io so come ridimensionarti.’

Con destrezza, tirò fuori del tutto il sesso di Mario, che occhieggiava, gli si sedette a cavalcioni, e lo accolse con palpitante voluttà.

Poi fu la volta del letto, spogliandosi e spogliandolo frettolosamente.

Ora, deliziosamente sfinita, giaceva col capo sul petto di Mario, coprendolo col nero mantello dei capelli.

‘Sei una favola, zeppa, io come sono?’

‘Uno schianto, Rosé.’

‘Meglio di Laura?’

‘Che c’entra Laura?’

‘Non mi dirai che non te la sei fatta.’

‘Lasciala perdere. Vedi come stiamo bene insieme? E’ stato bellissimo.’

‘Meglio del paradiso. Però, mi devi accontentare.’

‘Che vuoi?’

‘Se mi volto…’

‘Ancora!’

‘Voglio provare tutto. L’ho baciato, carezzato, stretto tra le zinne. Adesso devo sapere cosa si prova.’

‘Scusa, ma che ne diresti di lasciare qualcosa per tuo marito?’

‘Che ne so se ne avrò uno? Per ora il mio uomo sei tu, come se fossi mio marito. Lo facciamo? Ho qui quello che serve.’

‘Cio&egrave?’

‘Mi hanno detto che serve un lubrificante.’

‘Chi te l’ha detto?’

‘Il manuale del sesso.’

‘Dove l’hai pescato?’

‘Su una bancarella.’

‘Istruttivo?’

‘Nulla di eccezionale. Allora, lo facciamo?’

‘Non credo di essere in forma.’

‘Posso pure aspettare, ma me lo prometti?’

‘Promesso.’

‘Quando?’

‘Vedremo.’

‘No, devi prendere un impegno. Domenica nella mia villa di Fregene?’

‘Ci devo pensare.’

‘Se non prometti ti graffio il viso, e poi devi trovare il modo di giustificarlo, a parte che ti posso anche mordere dove dico io.’

‘Promesso.’

‘Domenica?’

‘Domenica. Ma adesso ci alziamo?’

‘Ho ancora fame…’

Gli si gettò sopra, e tanto si affaccendò che riuscì a farlo di nuovo.

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Era stata una bella saziata, ma Mario pensò che non era il caso di accontentarsi di sostitutivi, per quanto pregevoli. Lui voleva Laura. Doveva trovare il modo di dirglielo, farglielo comprendere.

La ragazza aveva deciso di restare a casa ancora un giorno. Mario le telefonò, le disse che volentieri le avrebbe fatto compagnia, invece di andare a scuola.

Lo accolse avvolta in una incantevole vestaglia rosa, lunga.

‘Non ho febbre, ma qualcosa mi rende pigra, come non mai.’

Si misero a studiare. Ma non ci riuscirono, avevano mille cose da raccontarsi.

‘Ho saputo che Rosetta si é seduta al mio posto.’

‘Si.’

‘Glielo hai detto tu?’

‘E’ stata una sua iniziativa… non potevo impedirglielo.’

‘E’ una bella ragazza, Rosetta. E’ vero che i ragazzi la chiamano Blacky… e non so cos’altro?’

‘E’ vero.’

‘Blacky cosa?’

Mario fece un profondo respiro.

‘Blacky mouse.’

‘Che buffo, topo nero.’

‘Laura, é incredibile il tuo candore.’

‘Sono stupida, un’oca giuliva? Candore, perché?’

‘Blacky mouse dovrebbe essere la traduzione di sorca nera. Lo sai cosa significa, a Roma?’

Laura avvampò e strinse le labbra.

‘Hai ragione, faccio proprio la figura di un’ipocrita. Dovevo pensarci subito. Non credere che non sappia anch’io un linguaggio un po’, come dire, rude. Allora, io come sono soprannominata? Applicando la stessa regola dovrebbe cambiare solo il colore. Non sono, poi, tanto ingenua. Che mi dici?’

‘Che per me sei la fata dai capelli d’oro, fair fairy.’

‘Devi fare il diplomatico, ci riesci benissimo. In effetti, Rosetta é un gran bel tocco di figliola, con seno e fianchi floridi che non lasciano indifferenti chi li ammira. Non sei d’accordo?’

‘Tu, in ogni caso, mi batti in raffinatezza diplomatica.’

‘Perché, non ti piace Rosetta?’

‘E’ una bella ragazza, certo, ma non é il mio tipo.’

‘Se dessi ascolto a certe voci, forse alimentate da Rosetta stessa, sarei indotta a dubitare di quanto dici. Si mormora di qualcosa accaduta a Fregene. Tu che ne sai?’

‘In questo momento non ricordo nulla, di Fregene.’

‘Come sei discreto. Eppure c’é chi si vanta di averti circuito, di aver simulato di essere abbattuta, insicura, vacillante, per sollecitare la tua attitudine al samaritanesimo, per stimolare la zeppa che Mario ha sempre pronta per ristabilire equilibri incerti.’

‘Calunnie e millanterie.’

Laura era seduta in poltrona, Mario, di fronte, su una sedia.

‘Giura che non hai fatto l’amore con Rosetta.’

Le prese le mani, l’attirò lentamente a se, e sentì che gli si avvicinava, docile, dolcissima. La baciò sulle labbra che si dischiusero tremanti.

‘Laura, voglio fare l’amore con te.’

Si pentì subito per la frase così realista, così diretta, impertinente, certamente non prevedibile da Laura, per l’assoluta assenza di comportamenti che, in qualche modo, potessero renderla scusabile. Attese la reazione della ragazza, forse offesa, turbata. Quasi non osava sollevare lo sguardo su lei. Gli giunse la sua voce, sommessa, calda.

‘Anch’io.’

S’alzarono, insieme, abbracciati, pazzi di gioia, incuranti d’essere sorpresi. Le carezzò il volto, il collo, scese nella sciallatura della vestaglia, sul seno palpitante.

‘Non l’ho fatto mai, Mario.’

‘Aspettavi me, tesoro.’

‘Ho paura.’

‘Tra le mie braccia sarai al sicuro.’

‘Chissà quando.’

‘Sono impaziente.’

‘Anch’io.’

‘Ti desidero, amore.’

‘Anch’io, tanto.’

^^^

‘Abbiamo visto così tante cose belle, che non mi é facile esprimere una preferenza, e ancor meno spiegarne le ragioni.’

Laura aveva il foglio completamente bianco. Guardò Mario, seduto dall’altra parte della scrivania, interrogativamente.

‘Intanto, comincia a stabilire cosa ti attira di più, pittura o scultura?’

‘Dillo prima tu.’

‘Va bene, padrona. La pittura mi attrae per i colori, per le prospettive, per la ricchezza dei vestimenti.’

‘Ad esempio? Dimmi un quadro che ricordi per primo, di quelli che abbiamo visto con la classe.’

‘Bellissimo Tiziano, Amor sacro e amor profano.’

‘Quale dei due ti ha colpito di più?’

Mario assunse un’espressione maliziosa.

‘Quello profano, logicamente.’

‘Già, per…. la ricchezza degli abiti?’

‘In effetti, la donna di destra, guardando, quella che ha i capelli lunghi come i tuoi, poteva anche coprirsi meno.’

‘Voyeur.’

‘Senti, oltre che per i capelli, le somigli anche per il resto?’

‘Non sono così cicciottella, dovresti saperlo.’

‘Me ne accerterò meglio.’

‘Voyeur e pomicione.’

‘Proseguendo, devo dire che la scultura mi attrae per la sua trimensionalità. Venere vincitrice capisco come abbia ammaliato quel ruffianone del Canova.’

‘Perché ruffiano?’

‘Per il suo lecchinismo verso Bonaparte. Hai visto la statua di bronzo di Napoleone, fatta da Canova, che sta a Brera?’

‘No, ma ho visto Ebe, a Forlì, e soprattutto Amore e Psiche, al Louvre. Mi ha impressionato la mano che poggia sul seno, come una carezza, ma anche simbolo di conquista. Io sono molto attenta alle mani delle statue. E… anche alle tue… Vigorosa la mano di Plutone, che afferra, possessivo, la coscia di Proserpina, ed anche quelle della donna che respingono il capo del rapitore e sembrano invocare aiuto, o forse é solo un saluto prima di divenire regina dell’Oltretomba?. Ricordi? Abbiamo visto insieme, con la classe, il magnifico gruppo del Bernini. E le mani di Apollo e Dafne, dello stesso artista? Ancora la sinistra, di Apollo, a stringere la ninfa, e quelle di Dafne, al cielo, implorante Zeus di trasformarla in alloro, per sfuggire alla brama del suo assalitore. Magnifiche le mani di David, sempre del Bernini, intento a lanciare la pietra che abbatterà il gigante. Sicuro e deciso, come sei tu. Ma tu, che dici di quelle di Paolina, la tua ammaliatrice?’

‘Che preferisco mille volte le tue.’

Le prese le mani e la guardò con profonda tenerezza.

‘Devo confessarti una cosa, Mario.’

‘Confessati pure, ti assicuro che ti assolverò.’

‘E’ una cosa seria.’

‘Non ne dubito.’

‘Da quando mi hai detto che mi vuoi bene…’

‘Che ti amo, ti desidero.’

‘Va bene…’

‘E tu mi hai detto la stessa cosa.’

‘La confermo, ma lasciami parlare. Mi sto chiedendo cosa significhi, effettivamente, to be really in love with a boy.’

‘With Mario…’

‘OK, with Mario, in a deep soul-to-soul sense.’

‘Perché tutto questo inglese?’

‘Perché sto consultando delle pubblicazioni inglesi.’

‘Addirittura!’

‘E’ bene sondare i propri sentimenti, accertarsi che si é nella normalità. Per questo é necessario decidere quale scegliamo tra gli infiniti significati della parola ‘amore’. Credo che gran parte dei fallimenti di coppia derivi da una certa superficialità.

‘Amore’. Per Platone, si incentra su un ideale di bellezza, il Cristianesimo ha introdotto il concetto di comunione tra due individui, per la Bibbia é il divenire una sola carne, per altri é accettarsi in toto, reciprocamente, senza riserve.’

‘Tu, cosa hai scelto?’

‘Non so se riuscirò a spiegarmi. Non é esatto affermare che ho scelto, credo sia meglio dire che sono giunta a una conclusione.’

‘Posso saperla?’

‘Devi saperla. Mi sono anche chiesta se il piacere che provo a sentirti vicino, a carezzarti, ad essere carezzata, sia solo la risposta fisiologica di una giovane femmina, pubere, alle sollecitazioni del maschio. Per essere rude, anch’io ho cercato il confine tra amore e sesso.’

‘L’hai trovato?’

‘Non in me, per fortuna, perché quando amore e sesso sono delimitati da una netta linea di demarcazione, vuol dire che può esserci sesso senza amore, e amore senza sesso. Io, invece, non approvo il sesso senza amore e non accetto amore senza sesso. Ti voglio perché ti amo, perché sento il desiderio di accoglierti, di farti dono di me ed esigere il dono di te, in una sorta di sinallagmaticità, di reciprocità e contestualità che sono la vera essenza del piacere, di quel piacere, come dice Aristotele, che é la più schietta ed elevata espressione del nostro essere. Io ti amo con la mente, col cervello, e il corpo é il mezzo per far giungere al cervello le sensazioni. Le mie dita che ti carezzano, le mie labbra che ti sfiorano, la mia lingua che ti lambisce, il mio grembo vergine bramoso di dissetarsi alla tua fonte.’

Mario le strinse forte le mani.

‘Io sarò tua, Mario, ed é mio fermo proposito che tu devi essere il mio solo e unico uomo, per tutta la vita. Non spaventarti, siamo troppo giovani, lo so, per usare termini così impegnativi, solenni, ma la decisione é solo mia, forse estremistica, e vincola solo me.’

Mario aveva chinato gli occhi, seguitando a stringere le mani della ragazza, assalito da mille pensieri, che gli attraversavano la mente come un film veloce nel quale si succedevano immagini ossessive: Laura che gli si offriva trepida e incantevole, Rosetta che lo aggrediva lascivamente, Franca che lo cavalcava ardente e impetuosa, Norina che lo piluccava con raffinata golosità, quindi lui, con collare e museruola, tenuto al guinzaglio da Laura, mentre Guglielmo lo irrideva, ghignando, e Rosetta gli mostrava il sedere nudo, ridendo beffardamente, al centro di una ridda sfrenata, di tette e culi, di cespugliosi, policromi pubi dai peli stormenti, e lui, con la bava alla bocca, agitato ed eccitato, a guardare Laura, tutta d’oro, intoccabile, impenetrabile. Valeva la pena divenire lo schiavetto di Goldencunt? In fondo, era una gran bella ragazza, fine, attraente, ma quel suo totale ed esclusivo volersi donare comportava, lo aveva detto lei, il pretendere uguale fedeltà. Parigi val bene una messa, d’accordo, ma qui temeva per la sua indipendenza. Gennarino gli avrebbe detto che si doveva valutare se la libertà valeva una fessa, sia pure quella di Laura. Stava cadendo nel pecoreccio, mentre la ragazza volava alto. Almeno in parte. Che fare? Fingere? Allontanarsi subito? Staccarsi lentamente? Lui voleva bene a Laura, non capiva se l’amava o meno, dopo la disquisizione di Laura su sesso e amore. Si, la desiderava come mai aveva desiderato un’altra donna. La sua teoria era che, col passar del tempo, le cose avrebbero assunto un andamento meno radicale, e lui, pragmatico, desiderava accertare la validità di tale tesi affidandosi alla sua verifica.

Alzò lo sguardo, sorridente, sulla ragazza.

‘Vieni qui, in braccio a me.’

Laura s’alzò, titubante.

‘Cos’&egrave, temi che venga tua madre?’

‘No, mia madre é uscita. Leggo uno strano bagliore nei tuoi occhi.’

‘Ti faccio paura?’

Gli si andò a sedere sulle ginocchia.

‘Mi sento come ipnotizzata, in tuo potere.’

Le intrufolò la mano sotto la gonna, scostò delicatamente le mutandine, e iniziò a carezzarla, lentamente, delicatamente. Laura aveva appena spinto in avanti il bacino e, stringendogli le braccia al collo, lo baciava languidamente.

‘Mario, che fai?’

‘E’ una pranoterapia particolare. Non senti un flusso benefico?’

Non riusciva a frenare il palpitare del ventre, il tremolio delle gambe. Il respiro divenne affannoso, gli occhi semichiusi, estatici. La voce sommessa, roca.

‘Lo sento, amore, lo sento, é qualcosa che non ho mai provato, nemmeno immaginato. Dobbiamo fare l’amore, dobbiamo farlo…’

^^^

Camminava con la sua solita aria affaccendata, a passi svelti.

Indossava un impermeabile blu scuro, su un completo sportivo, più chiaro, e una polo granata. Al piede, grosse ‘Church’ nere, lucidissime. Entrò nella grande libreria, e si diresse al piano superiore, dov’erano piccoli dizionari e manuali di conversazione. Ne prese uno, e cominciò a sfogliarlo, soffermandosi a leggere qualche frase. Gli era vicino un frate, abbastanza giovane, con una fluente e sottile barba bionda, ben curata, che gli sorrise, e gli fece un cenno di saluto.

Mario gli ricambiò il gesto, e lo guardò con curiosità.

‘Scusi, padre, ci conosciamo?’

‘Forse non ci siamo mai incontrati di persona. Spero di non averla importunata, salutandola.’

‘Al contrario, la ringrazio, ma glielo ho chiesto perché il suo volto non mi é nuovo, mi richiama alla mente momenti ormai lontani, avvolti nella nebbia, coperti dalla spessa patina del tempo.’

‘Ricordi belli o brutti?’

‘Dolcissimi, teneri, purtroppo intristiti dalla realtà.’

‘Non voglio esserle causa di mestizia. Vedo che sfoglia un manuale di conversazione. Come mai di serbo-croato, deve fare un viaggio nelle terre dove si parla quell’idioma?’

‘Semplice curiosità. Forse anche un po’ di mania. Ho parecchi libretti del genere, ogni tanto ne consulto qualcuno, mi diverto a condurre piccole ricerche comparative. Senza alcuna pretesa. Non ne ho la competenza.’

‘Quale attività svolge, se non sono indiscreto?’

‘La mia vita ha seguito percorsi tortuosi, un po’ romanzeschi, pieni più di spine che di fiori.’

‘Perché non me la racconta?’

‘Qui, in piedi? Se ha tempo, la invito a bere qualcosa, al caff&egrave. Lei, padre, può sedere in un caff&egrave?’

‘Non vedo ragioni contrarie.’

Si avviarono alla cassa, ognuno col volume che aveva scelto. Pagarono, uscirono.

‘Padre, ho l’auto che mi attende. Venga, andiamo in un posto tranquillo.’

Poco distante, in una piccola piazza con una chiesetta barocca, una grossa automobile scura, con autista, era ad aspettarlo.

‘S’accomodi, padre…?’

‘Mario.’

‘Lei ha il mio stesso nome, &egrave quello di battesimo o quello che ha scelto in seminario?’

‘Ho mantenuto il mio nome di battesimo. E’ stato un privilegio speciale.’

‘Remo, per favore, ci porti al laghetto. E’ un posticino tranquillo.’

La vettura si mosse, silenziosa, voltò in una strada stretta e poi s’inserì nel traffico, avviandosi abbastanza velocemente verso il luogo indicato.

La ‘Casina del Lago’ era abbastanza silenziosa, a quell’ora, non molto affollata. Troppo cara per gli studentelli che avevano marinato la scuola. Sedettero in un angolo, da dove potevano ammirare l’acqua, i due ponti sui quali correvano, quasi ininterrotte, lunghe file che entravano in città, o ne uscivano, e l’alto edificio d’una nota società.

Ordinarono due aperitivi, non troppo alcolici.

‘Allora, padre, mi presento, sono Mario Desati.’

‘A lei non é nuovo il mio volto, a me pare di aver già sentito il suo nome. Si, ma attendo la sua storia.’

‘Io sono stato improvvisamente, e potrei dire brutalmente, staccato da tutte le mie cose e, con la famiglia, sbattuto nel Texas, dove mio padre era stato altrettanto bruscamente trasferito. Dottorato di ricerca in ingegneria degli idrocarburi, poi in Francia all’Ecole du Petrole, e quindi sono tornato in Italia, con la speranza di restarvi, ma neanche m’ero sistemato che hanno cominciato a farmi girare il mondo come una trottola: dall’Australia all’Alaska, dalla Cina al Venezuela, attraversando l’Africa. Ora sono qui, con la speranza di restarci, tranquillo, senza dover vivere tra un aereo e un elicottero. Un’esistenza vorticosa, che mi negato la gioia d’una famiglia, la dolcezza di ritrovare antiche amicizie quasi svanite nel caos delle città, delle vicende della vita. E lei?’

‘Un’esistenza calma, la mia. Una famiglia abbastanza compatta. I miei genitori, mio padre docente universitario e mia madre insegnante di matematica, mio fratello maggiore, fisico, a Pasadena, ed io chiamato subito al servizio del Signore e dei fratelli. Sono stato ordinato sacerdote l’anno scorso, e prima di un’assegnazione operativa, sto seguendo un corso all’Augustinianum. Come avrà compreso, sono dell’Ordine di Sant’Agostino.’

‘Dove vive?’

‘Nella mia comunità, accanto alla nostra Università. Ma ho molta libertà e spesso vado a pranzo dai miei genitori. Perché non viene anche lei, domani? Vorrei farglieli conoscere.’

‘Lo sa che lei é molto simpatico? Mi sento interessato, più che incuriosito, a conoscere la sua famiglia. Penso di accettare l’invito, ma non vorrei sembrare indiscreto.’

‘Nessuna indiscrezione. Vedrà che siamo gente alla buona. Ci sarà anche la cugina di mia madre, che io chiamo zia e che é la mia madrina. E’ chimica, e lavora anche lei nel petrolio. D’accordo?’

‘D’accordo. Ora dove posso accompagnarla?’

‘Non si disturbi, prenderò i mezzi pubblici. Sono vicino a San Pietro.’

‘Sarò lieto di accompagnarla, padre, così vedrò bene dove venirla a prendere, domani. Dov’é la casa dei suoi ?’

‘All’Aventino.’

‘Ora, forse, dobbiamo andare.’

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I genitori di padre Mario abitavano in un’elegante villetta, immersa nel verde, in una zona molto silenziosa. Era una coppia, ancora abbastanza giovane, cordialissima, simpatica. Desati fu accolto cordialmente. Come un vecchio amico.

La signora, Anna, una bella donna intorno alla cinquantina, era molto elegante e si vedeva chiaramente che il figliolo le somigliava in modo eccezionale.

‘Venga, ingegnere, desidero presentarle mia cugina. Un’adorabile zitella che, malgrado abbia già superato la quarantina e si mantenga in splendida forma, non ha ancora trovato il suo principe azzurro. Dice di attenderne il ritorno!’

Entrarono nel salotto dove, sorridente, gli andava incontro una donna che si fermò di colpo, al vederlo, impallidendo. Incantevole, meravigliosa, come se gli anni non fossero trascorsi, come se il tempo l’avesse ancor più resa attraente, di fronte a lui era Laura.

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