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Non parlare al conducente

By 4 Marzo 2016Aprile 2nd, 2021No Comments

Capitolo 1: Si parte!
Odio l’estate e odio gli autobus. Va da sé che gli spostamenti ad agosto siano, per me, una vera tortura.
Non l’ultimo, però.
La prima avvisaglia che sarebbe stato un viaggio quantomeno gradevole la ebbi appena trovato posto in terza fila, vicino al finestrino sul lato destro del mezzo. Passarono solo poche decine di secondi prima che una ragazzina dall’aria agitata sedesse accanto a me.
‘Tutto bene?’, mi sincerai, preoccupato.
‘Si, tutto ok. Ma è la prima volta che mi sposto da sola fuori città, e avevo paura di perdere il bus o sbagliare corsa!’.
La sua aria smarrita mi suscitò tenerezza e simpatia. Continuammo a parlare per un po’. L’ansia che l’attanagliava era resa evidente dalla sua eccessiva loquacità. Mi disse di avere da poco compiuto diciott’anni, poco più della metà dei miei, e di aver passato la giornata al mare da un’amica. Mi raccontò dei suoi genitori iperprotettivi e delle mille raccomandazioni che le avevano riservato. Mi parlò del liceo, dei suoi hobby, della vita tranquilla di un’adolescente con la testa sulle spalle.
L’ascoltavo con interesse, era una piacevole compagnia. E, in più, chiacchierare aiutava lei a distrarsi, rilassarsi.
Durante il dialogo mi sorpresi più d’una volta ad osservarla con particolare attenzione. I suoi lunghi capelli ondeggiavano ad ogni movimento; le sue labbra carnose calamitavano spesso il mio sguardo; il suo corpo dalle forme appena accennate emanava una delicata sensualità. Il suo vestitino lasciava quasi completamente scoperte le gambe e parte del busto, mostrando una pelle dall’incarnato pallido arrossata dal sole intenso di quell’afosa giornata.
A colpirmi in modo particolare furono, però, i suoi occhi, castani come i capelli. Quando i nostri sguardi si incrociavano, dopo alcuni secondi tendeva ad abbassare il suo. Ma, ciò che mi sembrava di scorgervi prima che questo accadesse, era ben altro che non la sua apparente timidezza. Più che ingenua, sembrava timorosa di esporsi. La percezione dell’esistenza di un lato nascosto del suo carattere mi stuzzicò al punto di invogliarmi a giocare con lei.
Feci in modo di farmi cogliere più volte nell’atto di sbirciare le sue gambe nude, il suo accenno di scollatura o anche, semplicemente, il suo volto mentre era assorta in chissà quali pensieri. Nell’accorgersi del mio interesse nei suoi confronti arrossiva leggermente, o distoglieva lo sguardo con un sorriso. Nessuna reazione che lasciasse trapelare fastidio, anzi.
Dopo un’oretta, a circa metà del tragitto, la conversazione iniziò a farsi meno serrata. Lei appariva ormai completamente a suo agio, mentre la vettura, in principio piena di gente, cominciava a svuotarsi man mano che dalla costa s’inoltrava nell’entroterra. Anche l’atmosfera si fece più intima e tranquilla, grazie anche al sole che, tramontando, cedeva il passo alle luci soffuse della sera.
‘Hai detto che è la prima volta che prendi questo autobus, vero?’, le chiesi.
‘Si’, rispose, ‘Perché?’.
‘Io, invece, viaggio spesso su questa linea. Vedi l’autista? Lo chiamano guardia svizzera’, replicai, a voce forse un po’ troppo alta, dato che il diretto interessato mi guardò per un istante con la coda dell’occhio.
‘Ah, si? Come mai?’.
‘Perché, in pratica, è un automa. Si dice che, se anche dovesse esplodere l’autobus, resterebbe impassibile alla guida. Prova a fargli una boccaccia’, le sussurrai.
Ci misi un bel po’ a convincerla ma, alla fine, complice anche l’assenza di altre persone sedute nelle vicinanze, si decise ad allargarsi la bocca con gli indici e incrociare gli occhi all’indirizzo del conducente. Lui non ebbe alcuna reazione, forse neppure notò quel rapido gesto. Ma lei divenne rossa come un peperone e rise a lungo per l’imbarazzo di essersi esposta in quel modo.
Preso coraggio, si prodigò altre tre o quattro volte in boccacce o linguacce, ogni volta afferrandomi il braccio sinistro per richiamare la mia attenzione o cercare la mia complicità.
‘E’ vero, non fa una piega’ mi disse, avvicinando la bocca al mio orecchio.
‘Te l’ho detto’, incalzai, voltandomi verso di lei.
I nostri sorrisi si spensero mentre ci guardavamo negli occhi a pochi centimetri di distanza. Stavolta sostenne il mio sguardo per un po’, poi lo vidi scivolare sul mio corpo fino a posarsi sulle sue mani strette a me.
La sua indole remissiva mi spinse ad osare. Le posai una mano sulla gamba, poco sopra il ginocchio. Mi guardò senza dire nulla. ‘Potremmo provare in un altro modo’, dissi, accarezzandole la pelle nuda. ‘Cosa intendi?’, chiese con voce spezzata. Senza smettere di guardarla negli occhi, portai la mia mano libera sulla sua spalla sinistra, facendo scivolare giù la spallina del vestito. In questo modo, una coppa del suo bikini venne quasi completamente esposta. La ragazzina non accennò a ricoprirsi, ma si rannicchiò fin quasi a sprofondare nel sedile. ‘Ehi, ma che fai?’, obiettò senza troppa convinzione. ‘Le boccacce non servono a distrarlo, vediamo se le grazie di una bella ragazza danno un risultato diverso’. Un sorriso imbarazzato le si dipinse sul volto paonazzo. ‘Davvero pensi sia bella?’. Le accarezzai una guancia. ‘Altroché. Bella e molto attraente. Ma ora, da brava, mettiti seduta composta’. Appariva frastornata ma, per un attimo, riacquistò un barlume di lucidità. ‘No dai, ci vedono tutti’. ‘Guardati intorno’, la rassicurai, ‘Non c’è più nessuno sul bus. Ci siamo solo io, te e l’autista’. Per una manciata di secondi, la sua testa si innalzò oltre lo schienale del sedile osservando la vettura deserta. Poi si sedette, rinfrancata dall’assenza di sguardi indiscreti. ‘Hai ragione, non c’è più nessuno’, confermò.
Non aveva ancora avuto la forza, o la voglia, di sottrarsi alle mie manovre, ma ora volevo qualcosa di più da lei. Non mi bastava fosse semplicemente passiva. ‘Tira giù l’altra spallina, voglio vedere di più’. ‘Tu? Ma’ non era un gioco per distrarre l’autista?’, chiese con aria imbarazzata e sguardo malizioso. ‘Anche. Che male c’è ad unire l’utile al dilettevole? Cerchi di distrarre lui e, allo stesso tempo, ti fai ammirare da me. Sono sicuro che non ti dispiaccia’. Le sue labbra si schiusero, ma non ne uscì alcun suono. Continuai a fissarla mentre le sue dita scostavano anche la spallina destra dell’abitino. Portò il busto appena in avanti, affinché il vestito scivolasse arricciandosi in vita. In quel modo, le spalline le si strinsero attorno ai polsi, quasi imprigionandoli come fossero intrappolati in sottili manette di cotone.
Con le dita le accarezzai le linee del viso, dalle guance al mento e poi lungo il collo. Seguii il tessuto del reggiseno, senza insinuarmi sotto di esso. Sospirò mentre sfioravo la sua pelle morbida. Inerme, lasciò che spostassi appena il suo busto in avanti, così da poterle sganciarle il reggiseno. Dopodiché, poggiò nuovamente la sua spalla nuda contro lo schienale.

Capitolo 2: Fine dei giochi
L’autobus, intanto, procedeva a velocità moderata e costante. L’autista sembrava non accorgersi neppure della nostra presenza.
La ragazzina mi guardava dritto negli occhi, in febbrile attesa della mia prossima mossa. Feci scivolare anche il reggiseno lungo il suo corpo, fino in grembo. I miei occhi vagarono dal suo volto al suo piccolo seno, acerbo ma invitante. Sussultò mentre ne disegnavo il contorno. ‘Hai una pelle così morbida’, le sussurrai. Il suo fiato si era fatto corto. Strinsi fra le dita i suoi capezzoli, turgidi e sporgenti. Fremette nel subire quel contatto deciso. Mi spostai attraversando l’addome fin quasi al suo ginocchio, per poi risalire lungo l’interno coscia. ‘Apri le gambe’, le imposi, sfiorando le sue labbra con le mie. Quando lo fece, la mia mano continuò a spostarsi verso la sua intimità, mentre con la bocca assaporavo la pelle del suo collo.
Tra le gambe, la sua carne era rovente. Già accarezzando il tessuto elastico delle mutandine percepii l’umido del suo sesso. Mi impossessai della sua bocca nello stesso momento in cui la mia mano si faceva strada al di sotto del suo ultimo indumento, a diretto contatto con la sua pelle glabra. La mia lingua andò a cercare la sua intanto che le mie dita accarezzavano decise le sue labbra fradicie. I suoi gemiti si perdevano nella mia bocca; io, intanto, percorrevo la sua apertura impregnandomi le dita dei suoi umori e del suo odore. Giocavo con il clitoride, premendolo, tirandolo, poi lo abbandonavo per qualche secondo, lasciando che il mio dito medio sprofondasse dentro di lei. I miei movimenti erano lenti, misurati, eppure decisi. La sua lingua saettava nella mia bocca, mentre aveva ormai abbassato il suo baricentro e allargato oscenamente le gambe per sentirmi più a fondo possibile. Presi a masturbarla anche con l’indice e smisi di baciarla. Guardavo il suo volto arrossato e sudato, la sua espressione stravolta, le sue labbra schiuse dalle quali emetteva continui mugolii intanto che le mie dita entravano ed uscivano da lei sempre più rapidamente. Quando fu a un passo dall’orgasmo, mi fermai di colpo. Sgranò gli occhi, provò ad afferrarmi il braccio per riportare la mia mano lì dove la stava facendo godere, ma non poté muoversi, bloccata dal suo vestitino ormai ridotto a una fascia. Mi guardò con aria supplichevole, occhi languidi persi nei miei. Ansante, riuscì a pronunciare solo un ‘Ti prego”. Strinse le cosce, sfregandole tra loro per tentare di darsi piacere, ma quell’atto servì unicamente ad accrescere il suo desiderio, la sua insoddisfazione.
Sotto i suoi occhi, liberai il mio membro completamente eretto. Lo fissò per qualche secondo, poi la strattonai per i capelli, attirandola a me per baciarla nuovamente. Un bacio umido, feroce. Lingue intrecciate a scambiarsi sapori, morsi e saliva.
Subito dopo la sollevai per i fianchi, facendola salire a cavalcioni su di me, di schiena. Era rivolta verso l’autista, ma, ormai, non prestava più attenzione alle reazioni della guardia svizzera. Una delle sue mani, non più imprigionate da un abito ormai sgualcito e pregno del suo odore, impugnò il mio membro, dirigendolo verso il suo sesso aperto; l’altra arpionò il poggiatesta del sedile di fronte. Sempre tenendola per i fianchi, l’accompagnai ad impalarsi sulla mia erezione. Non trattenne un urlo mentre le sue pareti interne si dilatavano al mio passaggio. In breve fu completamente piena di me. Trascorsi una manciata di secondi per abituarsi alle mie dimensioni, iniziò un frenetico su e giù, godendosi anche le mie dita a tormentare nuovamente il suo clitoride. Venne quasi subito, accasciandosi sopra di me intanto che i suoi abbondanti umori colavano sulle mie gambe.
Era ancora in debito d’ossigeno quando afferrai nuovamente i suoi capelli per indurla a voltarsi a guardarmi. ‘Non fermarti’, le intimai. ‘Ma siamo quasi arrivati al capolinea”, obiettò con un filo di voce. ‘Non m’importa’, replicai muovendo il bacino col mio membro piantato completamente dentro di lei. ‘C’è mio padre che mi aspetta”, continuò tra i sospiri. Serrai le mani attorno alla sua vita, cominciando a dettare il ritmo di un amplesso furioso. ‘E allora sbrigati a farmi godere, non vorrai mica che veda la sua bambina scopata da uno sconosciuto’. Con la voglia che montava nuovamente dentro di lei, gemette rumorosamente e si strinse al poggiatesta, raccogliendo le sue residue energie per accompagnare i miei movimenti. Giunto ormai al limite, venni dopo poche spinte, riempiendola del mio seme proprio mentre l’autobus varcava il perimetro dell’autostazione. Per un istante si abbandonò a peso morto sul mio corpo, riprendendo fiato. Poi, realizzate le circostanze, si rivestì in fretta e balzò in piedi. Barcollò vistosamente. Io, pronto dietro di lei, la sorressi.
Nel percorrere il corridoio centrale dell’autobus, strinse le gambe, per evitare che il mio sperma le colasse lungo le cosce. ‘Sono piena’, mi disse con aria preoccupata. ‘Meglio’, le risposi, ‘Mi eccita da morire saperti col mio odore sulla pelle. Almeno quanto ti ha eccitata sentirmi esplodere dentro di te’. ‘Sei un fottuto bastardo’, rispose arrossendo.
Arrivati nei pressi del posto di guida, la trattenni per un braccio. ‘Aspetta’, le dissi, ‘Prima che tu vada, volevo presentarti mio fratello’. Era ancora frastornata, e quelle parole non fecero che accrescere la sua confusione. ‘E’ stato proprio un bello spettacolo’ disse lui, accarezzandole sfacciatamente le gambe. Al contempo, io facevo lo stesso con la sua schiena. ‘Eravate d’accordo?’, mi chiese con aria allarmata, lasciando anche trasparire una punta d’irritazione. ‘No’ le risposi, prima di stamparle un tenero bacio sulle labbra, ‘E’ stata una follia nata per caso’. L’avvertii rilassarsi tra le mie braccia, ricambiando il mio bacio. ‘Una follia alla quale non mi dispiacerebbe partecipare la prossima volta’, incalzò mio fratello, portando una mano tra le cosce della ragazza, che non trattenne un sospiro. ‘Dio mio, l’hai allagata’, mi disse con un ghigno. Prima di rispondere, accarezzai il suo sedere sodo, forzando con la punta del dito il suo secondo canale. Lei serrò la mascella, allargando appena le gambe e poggiando la sua nuca al mio torace. Le sfuggì un gemito. ‘La prossima volta potrai farlo tu’, dissi rivolto a mio fratello, ‘Io ho voglia di concentrarmi su qualcos’altro’.
Il suono di un clacson in lontananza ci riscosse da quel momento. ‘E’ mio padre’ devo’ devo andare”, sussurrò la ragazza, muovendosi sulle sue gambe tremanti. ‘A presto’, le dissi mentre, con passo malfermo, scendeva dall’autobus. ‘La prossima settimana cerca di andare di nuovo dalla tua amica’, aggiunsi. Mi guardò per un momento. Un accenno di sorriso le si dipinse sul viso ancora stravolto dal piacere e dalla fatica. Poi si voltò, diretta verso un’auto in sosta a poche decine di metri da noi.

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