Eravamo arrivati in perfetto orario. L’aereo era sceso dolcemente, aveva toccato la pista senza scosse, era andato a fermarsi nella piazzola di sosta. Apertisi i portelloni, i passeggeri stavano sbarcando ed entravano nella moderna ed elegante aerostazione. Ronchi ci accoglieva con lo splendido ma non troppo caldo sole d’un azzurro mattino degli inizi di settembre
Andai al banco delle informazioni a chiedere l’orario di partenza dell’autobus diretto a Gorizia. La bella ragazza, in divisa azzurrina, mi disse che avrei dovuto attendere qualche minuto, il tragitto durava poco più di mezz’ora, il Terminal era in Via Diaz. Il mio Albergo, di cui le avevo detto il nome, non era molto lontano, in Corso Italia, il lungo viale che partiva dalla Stazione ferroviaria e proseguiva, con altro nome, fino a S. Ignazio. Sulla stessa strada v’era anche l’Agenzia dell’Alitalia.
‘Se vuole’ -disse la fanciulla dagli occhi azzurri- ‘può prendere un taxi, farà più presto e la porterà direttamente all’Hotel.’
Ringraziai e, ritirato il bagaglio, andai all’uscita. Non avevo alcuna fretta, ma decisi di prendere un taxi.
L’autista era un uomo di mezza età, simpatico, volto aperto e cordiale, occhi chiari, modi gentili.
Mi accolse con un sorriso, aprì lo sportello posteriore.
‘Si accomodi, prego. Dove vuole che l’accompagni?’
‘A Gorizia.’
‘Scusi se le domando se ha premura, ma si possono scegliere strade differenti: autostrada, la nazionale che passa per Gradisca o, addirittura, le provinciali che bordeggiano il confine con la Slovenia.’
‘A suo parere, qual’è la più interessante?’
‘Mì credo la nazionale.’
‘Allora vada per la nazionale.
Senta, per vedere meglio i luoghi e per poterle chiedere più facilmente qualche informazione, posso sedermi davanti, al suo fianco?’
Riaprì lo sportello.
‘Certo, siòr, venga pure davanti.’
Attese che salissi, chiuse lo sportello, girò dietro l’auto e sedette al posto di guida.
Uscimmo dal parcheggio, poco dopo voltammo a sinistra, verso Sagrado. Guidava con cautela, a velocità moderata. Si voltò verso me.
‘Va bene così o la vol che corra più forte?’
‘Va benissimo, grazie,’
Superata Sagrado e il ponte sul fiume, girammo a destra, per Gradisca.
Di quando in quando m’indicava i luoghi d’un certo interesse e anche dove si mangiava bene e si beveva meglio.
‘Scusi, sa’ -mi chiese- ‘è la prima volta che viene a Gorizia?’
‘Si, é la prima volta, ma la conosco attraverso i racconti di mio padre. Da ragazzo veniva tutti gli anni a trascorrere parte delle vacanze presso i suoi zii. Abitavano in Via Balilla. Mi diceva di un ponte sull’Isonzo sotto il quale, ogni tanto, sfrecciava un caccia partito da Merna, a rischio della vita dello spericolato pilota che, tra l’altro, sapeva che lo attendeva una severa punizione per aver trasgredito un preciso divieto. Ma la tentazione di passare sotto il ponte era troppo forte.’
‘Si, lo hanno raccontato anche a me. Ma adesso, sa, sono cambiate tante cose. Pensi che la Stazione Centrale è in Italia e quella di Gorizia Montesanto è in Slovenia.’
Stavamo per entrare in città.
L’autista rallentò ancora.
‘Vede’ -disse- ‘ci immettiamo nella Udine-Gorizia, attraversiamo l’Isonzo e dopo poco la lascerò dinanzi al suo Hotel.’
‘Com’é la vita a Gorizia?’
‘Cosa vuole, siamo una provincia di periferia, che vive tutti i giorni con negli occhi le cicatrici dovute alle mutilazioni subite per il trattato di Parigi. Chi é lontano da qui non può immaginare la realtà che ci circonda. Economicamente si tira avanti, siamo gente che si rimbocca le maniche e lavora. I cantieri di Monfalcone, comunque, non sono più quelli d’una volta. Grado é sempre un grosso richiamo. Insomma si fa quel che si può. Dobbiamo ricordare che tutta la provincia é ridotta a meno di 500 chilometri quadrati e conta, in tutto, di 140.000 abitanti.’
Eravamo dinanzi all’albergo.
Pagai la corsa, e lo ringraziai. Mi dette un biglietto col suo numero di telefono.
‘Se ha bisogno di un’auto per girare in provincia mi tenga presente, e se vuole, invece, guidare lei stesso, sappia che io e i miei amici noleggiamo ottime vetture.’
Entrai nell’Hotel.
Avevo prenotato in anticipo. Lasciai un documento alla reception e, accompagnato dal fattorino che prese il mio modesto bagaglio, andai nell’ottima camera che mi era stata riservata, al secondo piano.
* * *
Ammiravo il Castello e leggevo la pubblicazione che mi avevano dato in Hotel.
Un edificio di mille anni.
E’ del 1001, infatti, il documento col quale l’imperatore Ottone II ne donava metà, e parte del territorio di Salcano con la villa Gorizia (quae sclavonica lingua vocatur Goritia), al Patriarca Giovanni II. L’altra metà andò al Conte Verihen del Friuli.
Poco discosta, una giovane donna, seduta su un seggiolino pieghevole, ritraeva a carboncino un’ala dell’edificio, Con la mano mi indicò un punto delle mura.
‘E’ stato pesantemente bombardato durante la guerra 1915-18, e venti anni dopo é stato ricostruito cercando di riprodurne le strutture cinquecentesche, quelle del tempo di Leonardo, ultimo conte di Gorizia.’
Mi guardò e sorrise.
‘Turista ?’
‘Quasi. Ho un po’ di tempo e cerco di conoscere qualcosa della vostra bella città. E lei è pittrice?’
‘Disegnatrice dilettante. Mi piace raccogliere alcuni scorci per me interessanti, li interpreto in disegni, e li raccolgo senza una destinazione precisa.’
Alzò il cartone che aveva sulle ginocchia.
‘Le piace?’
‘Non vorrei sembrarle adulatore, ma lo ritengo molto bello e artistico. Potrebbe trasformarlo in ottima acquaforte.’
Allontanò il disegno guardandolo con attenzione.
‘Se ne intende?’
‘No, ma ho un debole per le acqueforti.’
Si alzò.
Era alta, snella, elegante nella semplicità del suo abito sportivo, con un viso perfetto, ovale, circondato da una cascata di capelli biondo scuri, impreziosito da occhi profondamente azzurri e rosse labbra deliziosamente tracciate da madre natura.
Chiuse il disegno in una cartella, ripose i carboncini in un astuccio.
‘Allora’ -disse- ‘arrivederla, io torno a casa.’
‘A piedi?’
‘Certo, non abito lontano.’
‘Vado via anch’io, posso accompagnarla ?’
‘Se vuole.’
‘Sono Roberto Masini. giornalista. Sono qui per raccogliere elementi che serviranno per una pubblicazione che sta curando il giornale per cui lavoro.’
‘Io sono Elena Blasi, insegno economia e diritto e, come vede, mi piace disegnare.’
Scendemmo lentamente verso Via Mazzini.
‘Sono quasi arrivata, abito in Via Cascino, e lei in quale Albergo alloggia?’
Le dissi il nome dell’Albergo.
‘Non è lontano. Si fermerà molto a Gorizia ?’
‘Alcuni giorni. Desidero dare uno sguardo anche a qualche angolo della provincia. Senta, scusi se sono invadente, se lei non ha impegni, perché non mi parla di Gorizia, questa sera, a cena?’
Mi guardò interrogativamente.
‘Vede, signor giornalista, non sono abituata ad andare a cena con una persona che ho incontrato da pochi minuti!
Non è che abbia impegni, perché sono single e abito con mia madre, ma mi sembra un modo un po’ aggressivo, il suo.’
‘Le chiedo ancora scusa, prof, ma é come se avessi incontrato una collega, alla quale si dice: che fà, ne parliamo a cena? A proposito, sono single anche io.’
‘Grazie per avermi promossa giornalista e grazie per l’invito a cena. Vengo a prenderla io. Alle diciannove e trenta, bene?’
Mi rivolse uno sguardo di allegra sfida ed entrò nel portone dove abitava.
* * *
L’attesi nella Hall, guardando le figure d’un giornale illustrato.
Fu puntualissima. Indossava un tailleur color nocciola, che esaltava l’armoniosa eleganza del suo personale slanciato. Un tenue trucco ravvivava le guance e le labbra.
Le andai incontro.
‘Gradisce qualcosa al bar o…’
‘O.’ Non credo che ceneremo qui, vero?’
‘No certo.’
‘Dove, allora?’
‘Dove ha deciso lei!’
Sorrise divertita.
‘Scusi, ma a me questi ambienti non piacciono troppo.’
‘Allora?’
‘Che ne direbbe di andare a San Floriano? Si sta tranquilli e hanno un’ottima cucina.’
‘D’accordo, faccio chiamare un taxi?’
‘Non serve, sono con la mia auto.’
Si accostò a una vettura sportiva, lucidissima, parcheggiata vicino al marciapiede.
‘Splendida’ -dissi- ‘é fiammante.’
‘Grazie, ma é già qualche mese che l’ho comprata. Capricci di zitella, aiutata dalla cassa materna!’
‘Auto stupenda, per padrona ancor più stupenda.’
Mi lanciò uno sguardo ironico.
‘Grazie ancora, ma salga e risparmi le bugie galanti.’
‘Né bugie né galanteria, cara professoressa, solo una constatazione.’
‘Parere soggettivo, in ogni caso. Ma la prego di chiamarmi Elena.’
‘Questa volta sono io a ringraziare. Se non lo ricorda, il mio nome é Roberto.’
Mise in moto, si avviò lentamente. Attraversammo l’Isonzo, prendemmo la strada che conduce a Oslavia, poi quella per San Floriano
* * *
Iniustis petitionibus surda clementia.
Si fermò e m’indicò le parole scolpite nella grossa lapide che sovrastava l’arco d’entrata al castello.
‘Per le richieste ingiuste non c’é clemenza, non sono ascoltate. E’ un nostro vecchio principio che Vinciguerra Formentini ha eternato nella pietra da oltre quattro secoli.’
Il posto era bellissimo, ma non era così modesto come m’era sembrato di comprendere quando di aveva parlato d’un luogo dove si poteva stare tranquilli.
Nel seminterrato del castello, fummo accolti con squisita e cordiale ospitalità e ci consigliarono un angolo discretamente appartato, dal quale si potevano ammirare i bei mobili antichi, le ampie volte, le pareti con pietre a vista.
Elena scorse la gradevole sorpresa nei miei occhi.
‘Allora, ti piace?’
Mi parlava col tu.
‘Si, è bellissimo, grazie di aver scelto questo locale.’
‘E adesso, se permetti, vorrei anche suggerirti la cena.’
Cercavo di non rivolgermi direttamente a lei per tema che quel tu le fosse sfuggito involontariamente.
‘Non avrei mai sperato di avere una tale consigliera.’
Mi guardò sorniona.
‘Ti ho dato del tu, Roberto, ma vedo che non lo ricambi.’
Sorrisi a mia volta.
Il Ma’tre s’era avvicinato con la lista, salutò, ma Elena gli fece cenno che non serviva.
‘Senta Nane, il signore xé foresto, quindi deve assaggiare cose nostre. Direi di cominciare con Prosciutto di San Floriano, poi biechi alla goriziana, anatra al cabernet e strudel. Per i vini faccia lei, e che siano del Collio.’
Nane fece un lieve inchino con la testa e si allontanò.
Elena mi guardò negli occhi, col suo sguardo indagatore.
‘Molto bene’ -dissi- ‘sono sicuro che sarà una cena squisita.
In attesa, volevo chiederti qualche informazione.’
‘Giornalista sempre in agguato, eh?’
‘Curiosità impastata con deformazione professionale.
Ho visto che siamo passati vicino a Oslavia, vorrei visitare il Sacrario. Che ne dici?’
‘Ci potremmo andare domani.
Tutto il Goriziano, però, può essere considerato un grande Sacrario. Non é sentimentalismo, é storia.
Monte Santo, Sabotino, San Gabriele, San Michele, Oslavia, la stessa Gorizia, sono i primi nomi che mi vengono in mente.
Chi é lontano da qui può aver letto, ascoltato, ma non ha vissuto gli eventi che hanno lasciato nelle nostre carni segni incancellabili. E’ stata una guerra terribile, ancor oggi molto celebrata, ma poco conosciuta.
Gorizia è stata sempre oggetto di contrasti territoriali.
Alla vigilia della prima Guerra mondiale, nell’aprile del 1915, il Patto di Londra riconobbe che la città era italiana.
Mio nonno mi prendeva per mano e, guardando l’Isonzo, cominciava i suoi racconti ricordando sempre quell’accordo. Lui era a Milano, a quel tempo, all’università, ospite di certi suoi parenti, e quando l’Italia entrò in guerra, anche in forza del Patto, si arruolò nell’esercito italiano.
Ma te ne parlerò domani. Se vuoi, possiamo dedicarci a un pellegrinaggio storico.’
Il suo volto era serio, malinconico.
Mi venne spontaneo tenderle la mano, sul tavolo. La strinse commossa.
‘Si, Elena, grazie.’
Mi guardai intorno.
‘L’austerità di questo Castello, anche se ingentilita dall’accogliente eleganza della sala dove siamo, mi fa vivere una sorta di vigilia. E’ facile essere accusati di retorica, ma camminamenti, trincee, cavalli di frisia, distruzioni, lutti, non possono essere cancellati dalla storia.’
Mi sorrise con dolcezza.
‘Anche i nostri Castelli sono tanti.
Non lontano da qui, sempre nel Collio, a Daleggio, c’é Trussio, del XIII secolo, appartenente ai Signori di Spilimbergo, e la Torre del Marquardo di Ruttas, il Castello di Lonzano detto ‘Zorutti’, senza parlare della Rocca di Monfalcone, del Castello di Gradisca, e tanti altri.’
* * *
II
Era molto presto quando, come d’accordo, venne a prendermi in Albergo.
Non volle sedere, bevemmo un caffè, al bar, in piedi.
Era più bella e attraente del giorno prima.
Indossava un tailleur di ottimo taglio, color pesca, con una camicetta di seta, molto intonata. Scarpe e borsa di cuoio antico. ‘Senti, Roberto, credo che sarà meglio pernottare fuori, questa sera, così sulla via del ritorno potremo vedere altre cose interessantissime. Almeno per me.’
‘Allora, scusami, ma devo andare un momento in camera a prendere qualcosa. Vuoi salire con me?’
‘No, ti aspetto qui, sfoglio il giornale.’
Fui di ritorno in pochissimi minuti.
‘Andiamo.’
Disse. E si avviò all’auto.
Guidava senza fretta. Il traffico non era molto intenso.
‘La nostra prima visita la faremo a Oslavia.
Anche al di là del confine ci sono Sacrari con nostri Caduti. Sul Colle Sant’Antonio, nella conca di Caporetto sono accolte oltre settemila spoglie. Vi si giunge percorrendo un ombroso e panoramico viale lungo il quale si ergono le stazioni della Via Crucis.’
Eravamo, intanto, giunti ai piedi dell’imponente gradinata di accesso al Sacrario di Oslavia, a quota 153.
Oltre 57.000 salme, 539 di austro-ungarici, di cui poco più di 20.000 hanno un nome.
Un severo e robusto fortilizio, costituito da un torrione centrale, sotto la quale é la Cripta, e tre torri laterali, situate ai vertici di un triangolo, il tutto collegato internamente con gallerie sotterranee.
Nel mezzo della torre centrale si erge una grande croce in marmo scuro.
Nella Cripta sottostante, un sarcofago di marmo custodisce le Salme di 13 Caduti decorati di Medaglia d’Oro al Valor Militare. Accanto, un artistico sarcofago di bronzo sorregge una pietra del Monte Santo e la Lampada della Fraternità che arde perennemente.
Fuori della torre, a sinistra, Chiara, la campana votiva, suona ogni vespro per chiamare i viventi alla preghiera per i Caduti.
Ero più commosso di quanto avessi potuto immaginare.
Elena m’indicò il nord.
‘Quello é il Sabotino, sulla linea di confine, poco oltre il Monte Santo, adesso si chiama Skalnica, spostando lo sguardo verso oriente il San Gabriele.
Luoghi legati alla guerra 1915-1918, testimoni del supremo sacrificio di decine di migliaia di Italiani.
Ma delle battaglie dell’Isonzo ti accenneò quando saremo sul San Michele
tragico monte dalle quattro cime
tomba d’innumeri eroi
Sono i versi di D’Annunzio che mio nonno ricordava quando mi conduceva lassù.’
Tormammo all’auto.
Costeggiammo l’Isonzo, poi lo attraversammo e giungemmo al parcheggio.
Mi guardai intorno.
Eccole le quattro cime. Dinanzi a me la 4, a sinistra, una dietro l’altra, la 3 la 2 la 1, ed ecco gli imbocchi delle gallerie scavate nella roccia.
Andammo nel Piazzale, balconata naturale verso l’Isonzo. Pennoni per le bandiere, l’elenco delle 21 Brigate che parteciparono alle sei battaglie del San Michele, la colonna dei Volontari Giuliani caduti sul Carso, la motivazione della Medaglia d’Oro conferita al Milite Ignoto, e tanti altri ricordi. L’imbocco della Galleria della 3^ Armata.
Elena mi era accanto, in silenzio.
Ci avvicinammo al parapetto dove la raggiera indica i luoghi dei più duri combattimenti.
Mi parlò sottovoce.
‘Sei battaglie costate 112.000 uomini tra morti, dispersi e feriti. Qui, il 29 giugno del 1916, poco prima dell’alba, il nemico attaccò. I gas sorpresero nel sonno gran parte degli uomini, 2700 morirono, molti degli asfissiati furono finiti con le mazze ferrate. La successiva battaglia, la sesta, ebbe luogo il successivo agosto e si sviluppò luongo due direttive: dal Sabotino al Podgora, e da qui, dal San Michele, a Doberdò.
L’8 agosto la Brigata casale lanciò l’attacco.
Pronta, Dodicesima !
Divisione di bronzo, é l’ora !
Brigata Casale,
Brigata Pavia !
Undicesimo, Dodicesimo,
Ventisettesimo,
Ventottesimo fanteria :
…. attenti al segno,
attenti al segno !
Ancora tre minuti,
due minuti,
uno: Alla baionetta !
Mio nonno iniziava a declamare con voce bassa, poi l’alzava sempre più la voce, e finiva con un grido roco, lacerante: alla baionetta !
Mi sentivo pervasa da brividi.
Io l’ho conosciuto Vittorio Locchi, mi diceva nonno, era un toscanaccio. E tornava a ripetere i versi.
Il mattino del 9 agosto, reparti della 3^ Armata entrarono in Gorizia.’
Ci aggirammo a lungo, leggendo i nomi scolpiti: Pannilunghi, Capasso, Rismondo, Pellizzari…
Tanti, ma infinitamente più le tombe senza nome.
Il nostro viaggio proseguì, tra suggestive e toccanti testimonianze del passato, e non ci si accorgeva del trascorrere del tempo.
Fummo di nuovo dove avevamo lasciato l’auto.
Una breve sosta per un frugale pasto, e riprendemmo la via.
Non ci volle molto per raggiungere il luogo dove sono custoditi i resti di oltre centomila Caduti, di cui 60.000 ignoti: Redipuglia.
Non curiosità di vedere,
ma proposito d’ispirarvi
vi conduca
Sono le parole che ci accolsero, incise nella pietra carsica.
Attraversato il ponte sul fiume, percorremmo la Via Eroica dove le lapidi ricordano le sanguinose tappe della tragica guerra sul Carso.
Poi, la grande scalinata.
Due rampe, ed ecco il colossale blocco di marmo rosso della tomba di Emanuele Filiberto, Duca d’Aosta, Comandante della 3^ Armata, sulla cui base sono incise le parole del suo testamento spirituale: ….in mezzo agli eroi della Terza Armata, sarò con essi, vigile e sicura scolta alle frontiere d’Italia, al cospetto di quel Carso che vide epiche gesta ed innumeri sacrifici….
Dietro, cinque monoliti di granito con le urne dei suoi generali.
Alle spalle, 22 gradoni, sui cui architravi marmorei é ripetuto PRESENTE PRESENTE PRESENTE PRESENTE PRESENTE
Al centro del XXII gradone, l’ingresso della Cappella, sormontato da tre croci.
Victoria Nobis Vita, é il motto dell’Armata, la Terza, che ha lasciato sul terreno 140.000 Caduti identificati, e conta circa 450.000 uomini tra caduti non identificati e dispersi, 680.000 tra feriti e mutilati. Armata che vanta 13 Ordini Militare di Savoia, 274 Medaglie d’Oro, 18.467 d’Argento, 28.860 di Bronzo.
Tornammo sui nostri passi per salire il Colle Sant’Elia, dov’era il vecchio Cimitero degli Invitti, con sulla vetta il Faro tricolore.
Il sole al tramonto, arrossava la lapide del commiato.
O viventi che uscite,
se non vi sentite più sereno
e più gagliardo l’animo
Voi sarete qui venuti invano.
O viventi che uscite
se per voi non duri e non cresca
la gloria della Patria
noi saremo morti invano.
In auto restammo in silenzio, non sapevamo cosa dire. Le parole avrebbero infranta la magia di quel momento.
A Monfalcone imboccammo una strada secondaria, scavalcammo di nuovo l’Isonzo, quasi alla foce. Ancora alcuni chilometri e fummo a Grado, l’Isola d’Oro.
Prima di entrare nel lussuoso albergo avemmo un momento di esitazione, come se stessimo cancellando un’immagine sacra dalla nostra mente.
La voce di Elena era sommessa.
‘Lo so, fa un certo effetto, ma il ricordo di quello che oggi abbiamo visto, che abbiamo vissuto, rimarrà per sempre in noi.’
L’impiegato della reception ci salutò gentilmente.
Elena mi prese la mano, la strinse. Senza guardarmi, si rivolse a lui.
‘Sono Elena Blasi, ho prenotato telefonicamente.’
L’uomo digitò qualcosa sulla tastiera del computer, guardò sul monutor.
‘Si, una matrimoniale, vero signora Blasi?’
Elena mi guardò con timorosa apprensione, stringendo ancor più la mia mano. Mi lesse negli occhi, sorrise.
‘Si’ -disse- ‘matrimoniale.’
III
Ci facemmo servire la colazione in camera.
Gli occhi di Elena erano incantevolmente splendenti e languidi, come assorti in un sogno. La voce carezzevole, come nel suo sussurrare appassionato tra le mie braccia.
‘Ci prepariamo ?’
Annuii con la testa.
Riponemmo in auto il nostro piccolobagaglio, in gran parte rivelatosi superfluo.
Mi prese sottobraccio.
‘Il nostro peregrinare oggi diviene mariano, dal Sacrario al Santuario.
Qui, a Grado, ad aquas gradatas per il dolcissimo declivio della spiaggia, sul Campo dei Patriarchi si affaccia Santa Maria delle Grazie, che con la Basilica di Santa Eufemia, antica Cattedrale, e al Battistero, forma un prezioso insieme di edifici vivacemente incastonati nel cuore della città vecchia, il castrum.
Santa Maria delle Grazie risale al IV secolo e nel suo interno una iconostasi ricostruita con parti dell’antica pergula, recinge l’altare. Al livello inferiore si scorge il mosaico pavimentale originale della prima chiesa e l’abside centrale.
Ma noi vi daremo solo un rapido sguardo, la nostra mèta é Barbana.’
Eravamo a piedi, avevamo lasciato l’auto nel parcheggio dell’albergo.
Lentamente raggiungemmo il pontile, quasi all’inizio della strada che congiunge la città alla terra ferma.
Il motoscafo si staccò lentamente dalla riva.
Sedemmo sul sedile di poppa. Elena poggiò la testa sulla mia spalla.
Costeggiammo un giardino, passammo sotto un ponte, poi tra due isolotti, e dopo pochi minuti fummo a Santa Maria di Barbana. Il motoscafista ci disse di far tutto con comodo, ci avrebbe attesi.
Il Santuario ha più di 14 secoli.
150 anni dopo il suo inizio, San Gregorio III, Papa, assegnò l’edificio e i suoi beni alla Chiesa di Grado. Il nome deriverebbe da Barbano, che viveva qui, con pochi altri eremiti, e sembra che il luogo servisse anche per la quarantena di chi proveniva dall’ oriente.
Entrammo nella Chiesa,
Elena bagnò le sue dita nell’acquasantiera di pietra e me le porse.
Si fece il segno di croce.
La imitai.
Mi parlò sottovoce.
‘Il Santuario fu voluto da Elia, Patriarca di Grado. E’ stato oggetto di numerosi rifacimenti, specie per i danni inferti dal mare. Si sono alternati Barnabiti, Benedettini, Francescani Conventuali.
Vieni.’
Mi prese per mano e andammo verso l’altare maggiore, in marmo policromo.
Le labbra di Elena erano vicine al mio orecchio, ne sentivo il tepore.
‘La statua della Madonna col Bambino, di grandezza naturale, é in legno dipinto. Non si conosce l’autore. Vedi, é incoronata, é Maria Regina e Madre della Chiesa.
Nel 582, durante una furiosa tempesta, la Madonna venne galleggiando sulle acque sedò gli elementi della natura, salvando Grado e Barbano, e andò a fermarsi tra i rami di un albero. Quella pianta fu portata via a pezzetti, come reliquie. Sul luogo, a ricordo, fu costruita un’edicola, successivamente sostituita dall’attuale Cappella dell’Apparizione.
Famoso é il Perdon di Barbana, che si celebra dal 1237 la prima domenica di luglio.
La processione parte da Grado. Un grandioso corteo d’imbarcazioni guidato dal Vescovo. Nel santuario si celebra la Messa solenne, e poi si ritorna a Grado. E’ un gesto di ringraziamento per la liberazione di Grado dalla pestilenza del 1237.
Altre manifestazioni analoghe si ripetono il 15 Agosto e l’8 Settembre, tra pochi giorni.’
Fuori del Santuario andammo alla Domus Mariae, a bere qualcosa al bar della foresteria, la casa del Pellegrino.
‘Ora’ -disse Elena- ‘torniamo a Grado e in auto andiamo ad Aquileia. Non é in provincia di Gorizia, appartiene a Udine, ma non possiamo ignorarla, dal momento che l’attraversiamo.’
La Via Giulia Augusta ci portò ad Aquileia omnium sub occidente urbium maxima, come la chiamò Giustiniano, fondata intorno al 180 a.C., e già Capoluogo della Venetia et Histria.
Città ricca di vestigia del tempo antico: l’anfiteatro, il foro, il sepolcreto, gli oratori paleocristiani, il circo, la Via Sacra lungo gli scavi del porto….
Giungemmo al Cimitero dei Caduti, tomba di 10 Militi Ignoti fra i quali fu scelto quello deposto sull’Altare della Patria, a Roma.
Lasciammo l’auto nei pressi.
E fummo alla Basilica.
Elena si fermò dinanzi al grandioso edificio romanico.
‘La facciata, come vedi, é unita da un portico a quella che é detta la chiesa dei pagani e ai ruderi del Battistero, che é del V secolo. Il campanile è dell’XI secolo, e la parte superiore di 500 anni dopo.
La Basilica fu fatta costruire dal Patriarca Poppone ampliando una chiesa preesistente che, a sua volta, era sorta su un edificio cristiano del IV secolo.
Vieni, entriamo.’
Ripetè il gesto di Barbana: mi porse le sue dita bagnate nell’acquasantiera.
Si avvicinò a me.
La sua voce era dolce e suadente.
‘Queste tre navate hanno archi acuti che appartengono al restauro gotico. Il soffitto, a carena, é del 1526.
Guarda il pavimento a mosaico con le belle figurazioni allegoriche, e l’altrettanto bella tribuna.
Sotto al presbiterio v’é la cripta, con affreschi del XII secolo.
Sono tanti i Padri della Chiesa che sono stati in questa Chiesa, da Sant’Ambrogio a San Gerolamo.’
Sostammo a lungo, ammirando la ricchezza delle opere, in un’atmosfera di austero e mistico raccoglimento.
Scendevano le prime ombre del tramonto quando uscimmo dalla Basilica.
Elena mi guardò sorridendo.
‘Allora ? Che ne dici ?’
‘Tutto interessante, bellissimo, indimenticabile. L’essere stato qui vale una vita, soprattutto per…’
Non proseguii.
‘Per…?’
‘Per averti incontrata.’
Si strinse a me.
‘Lo dici a tutte le tue…. guide ?’
‘Ho cominciato oggi.’
‘Lo ripeterai spesso ? ‘
‘Dipenderà da te.’
Fece un profondo respiro.
‘Andiamo, si fa sera.’
Prese la Via Giulia Augusta, ma dopo poco girò a destra. La targa indicava che era la strada per Monfalcone. Al piccolo paese di San Valentino voltò ancora.
‘San Valentino’ -disse- ‘il Santo degli innamorati.’
‘E’ il tuo ?’
‘Oggi si.’
‘Solo per oggi ?’
‘Dipenderà da te. ‘
E mi guardò.
Dopo l’Isonzo la targa indicava Gorizia.
Traversammo Turriaco, Fogliano, Gradisca.
Improvvisamente lasciò la strada e prese quella che, come diceva la segnaletica, portava a Cormòns.
‘Non torniamo a Gorizia ?’
‘No’ -rispose- ‘A Cormòns c’é il santuario di Maria Santissima Rosa Mistica.’
‘ Ma a quest’ora sarà chiuso.’
‘Certo.’
‘E allora ?’
‘Domattina sarà aperto.’
‘E’ lontana da Gorizia ?’
‘Si, più di dieci chilometri !’
Si accostò al lato della strada, frenò.
‘Vuoi tornare subito a Gorizia ?’
Mi avvicinai e le sfiorai le labbra con un bacio.
Ripartì.
* * *
L’Albergo, non grande, era comodo e ospitale.
La cena era stata deliziosa.
Poltrivamo deliziosamente, più beati che in paradiso.
‘Sai, Roberto, ho sempre desiderato trasferirmi nella tua città, ma mi hanno detto che é difficilissimo trovare una bella casa in fitto. E’ vero ?’
‘Niente di più falso.’
‘Perchè, tu ne conosci qualcuna ?’
‘Si, comoda e accogliente, in una delle zone più belle e silenziose di Roma.’
‘Potrei mettere i miei disegni alle pareti?’
‘Certamente.’
‘Chiedono molto come fitto ?’
‘Si, moltissimo.’
‘Credi che sarei in grado di permettermelo ?’
‘Si.’
‘Conosci il proprietario ?’
‘Si, lui ci abita in quella casa.’
‘Come si chiama ?’
‘Roberto
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…