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Racconti Erotici

Zora

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Il solito tavolino, nell’angolo vicino alla grande vetrina dalla quale si scorgevano, indaffarati, pizzaioli e i cuochi intenti a preparare quanto chiesto dai clienti.

La sera una parte di quella specie di piazzetta veniva occupata dai tavolini del ‘Vesuvio’, una delle più antiche pizzerie della città, e recintata con delle grosse fioriere presto accerchiate da motorini, motociclette e qualche auto, in genere utilitarie. Poco distante, il traffico incessante della grande strada che costeggiava i più famosi ruderi dell’antico Foro, e il profilo d’una antica chiesa cristiana, sorta sui resti d’un tempio ultramillenario.

Diana aveva ordinato una ‘margherita’ e Coca Cola, Paolo attendeva la sua ‘capricciosa’ e un ‘medio’ di birra alla spina, tamburellando lentamente sul bianco foglio di carta che copriva il tavolino.

Diana posa la sua mano su quella di lui.

‘Così, ti sei tolto il grosso peso! Ti resta soltanto di discutere la tesi. Vedrai che sarà un successo. Mi sembra che il relatore ne sia più che soddisfatto, e la discussione &egrave solo una formalità, specie con la tua media. Vedrai che ti daranno almeno la lode.’

‘Come ‘almeno’, che altro potrebbero darmi?’

‘La pubblicazione. Lo meriterebbe.’

‘Non &egrave che mi stai prendendo per’?’

‘L’ho letta, e anche se ho solo superato gli esami del primo anno, so comprendere la logica profondità delle argomentazioni e la pregevole stesura. Molto meglio di tanti testi sfornati a caro prezzo dai baroni incattedrati.’

‘Forse mi giudichi con particolare favore. Comunque, grazie.’

‘Particolare favore? Naturalmente, sei il mio ‘favorito” Scherzi a parte, che farai in attesa della sessione finale?’

‘Ho in mente di guadagnare qualcosa per festeggiare la laurea.’

‘Festeggiare come, con chi, dove?’

‘Calma, e vediamo di rispondere in ordine. Festeggiare con un viaggio, con te, ancora non so dove.’

‘Devo dedurre che non mi scaricherai subito, quando sarai ingegnere. Un giovanissimo ingegnere. Come hai fatto a finire tutto, e benissimo, in cinque anni? Non devo meravigliarmi, però, perché non avevi ancora diciotto anni quando hai conseguito la maturità, anche lì col massimo dei voti. E dire che noi sei un secchione, qualche minuto lo hai dedicato anche a me, in questi due anni che ci frequentiamo. Lo sai che mi spaventa un po’ il dover studiare ancora tanto. Speriamo che riesca a sbiennare nei termini. Mi aiuterai, vero?’

Gli carezzava la mano, guardandolo teneramente.

‘Certo, sono a disposizione della mia padrona, come non potrebbe farlo uno dei favoriti?’

‘Non ‘uno’, scemo, ‘il’.’

‘OK, padrona, OK. Dovrò anche vedere se il CNR manterrà l’offerta accennatami. Sarebbe una bellissima cosa, potrei restare a Roma e, in ogni caso, sarebbe sempre un ottimo trampolino di lancio.’

‘Vedrai che ti assumeranno e non ti lasceranno andar via. Il boss non vede l’ora di sfruttarti. Ma per il guadagno immediato hai già qualche idea?’

‘Mi &egrave stata segnalata un’importante società di progettazione che cerca personale a tempo determinato per sostituzioni temporanee. Devo andarci domani. Ecco pizze e beveraggi!’

Il cameriere mise tutto sul tavolino e si allontanò augurando buon appetito.

Gli uffici della Indeco, International Design Company, occupavano gli ultimi piani di quello che veniva chiamato il Palazzo di Cristallo, affacciato sul grande laghetto artificiale.

La receptionist informò Paolo che doveva andare all’ultimo piano. Ascensore E.

Era atteso da una elegante giovane donna.

‘Sono Gloria, la segretaria dell’ingegner Monti, lei sarà ricevuto fra cinque minuti. Si accomodi pure nella mia stanza.’

Paolo pensò che c’era uno sbaglio. Aveva inviato il suo curriculum per un incarico stagionale, disposto a qualsiasi mansione. A quanto sapeva, Monti era il Presidente Amministratore Delegato della Società. Forse non c’erano equivoci, perché sulla scrivania di Gloria stava la cartella col suo nome.

Dopo circa quattro minuti, Gloria prese la cartella e andò nella stanza a fianco. Ne uscì subito.

‘Si accomodi, signor Molino.’

Dietro il grande tavolo, di spalle all’ampia vetrata che dava sul laghetto, in piedi, una bella signora bruna, in un perfetto tailleur grigio scuro, gli tendeva la mano, sorridente.

‘Sono Zora Monti, prego, sieda.’

Una cordiale stretta di mano, e Paolo occupò la sedia dall’altra parte della scrivania.

‘Scusi se rimango qui, ma sono certa che qualche telefonata arriverà, benché abbia detto di non essere disturbata. Ho letto la sua domanda e il suo curriculum, lei, se ho capito bene, &egrave alla vigilia di laurearsi in ingegneria chimica, vero?’

‘Si, ingegnere.’

‘Ha progetti per il futuro?’

‘Appena abbozzati. Una mezza promessa dal CNR.’

‘Quali lingue conosce?’

‘Inglese e Francese.’

‘A quale livello?’

‘Ottima comprensione scritta, buona conversazione.’

‘Ha un’idea di come potremmo utilizzarla?’

‘Trattandosi di un impiego a termine, e data la mia inesperienza lavorativa, non mi attendo che livelli modesti. Sono pienamente disponibile per qualsiasi compito che fossi in grado di svolgere.’

‘Da quando sarebbe disponibile?’

‘Da adesso, ingegnere. Discuterò la tesi tra quattro mesi.’

‘Bene, Gloria l’accompagnerà dal responsabile delle Risorse Umane. Avrà una lettera che prevede l’assegnazione alla mia segreteria tecnica per quattro mesi. Una discreta retribuzione.’

‘Grazie, farò del mio meglio.’

‘Vorrei sapere qualcosa più di lei, torni qui alle tredici, mi farà compagnia, nel mio salotto privato, mentre consumo il mio semplice brunch. Può?’

‘Certamente, sarò qui all’ora indicatami.’

Zora gli tese la mano e lo salutò, sempre sorridente.

Una lettera tipo, assunzione a termine per quattro mesi, impiegato di concetto di primo livello, compiti tecnici presso la segreteria tecnica del Presidente, retribuzione lorda al di sopra della media di mercato.

Anche qui una vigorosa stretta rimano e un augurio di buon lavoro.

‘So che deve ancora incontrare l’ingegner Monti, sarà lei a dirle cosa dovrà fare.’

Filetto ai ferri e insalata, macedonia di frutta, caff&egrave. Da bere, acqua minerale.

L’ingegner Monti era seduta nella comoda poltrona, presso il basso tavolino dove erano stati serviti i caff&egrave, Paolo di fronte a lei.

‘Ha quasi 23 anni, Paolo, vero? Io ho un figlio di sedici e una ragazza di quattordici, Mario e Marta. Li vedo poco, però, specie dopo la morte di mio marito. Per fortuna gli ero molto vicino nella conduzione della società, così ho potuto prenderne le redini, ma &egrave un lavoro duro, mi creda, specie nel campo della progettazione e dell’assistenza ai clienti. Noi operiamo principalmente nel settore petrolifero e della chimica, soprattutto all’estero. Mi parli dei lei, &egrave fidanzato?’

‘Da un paio d’anni mi vedo, come usa dirsi, con Diana, che deve iniziare il secondo anno d’ingegneria. Sono figlio unico, mio padre e mia madre sono medici.’

‘Sintetico ed essenziale, bravo. Avrei in mente di farla viaggiare, può oppure &egrave occupato per la tesi?’

‘La tesi &egrave già consegnata e non devo fare altro che attendere. In quanto a viaggiare non ho nulla in contrario, anzi.’

‘Le piace viaggiare?’

‘Molto, anche se le occasioni di farlo sono state limitate.’

‘E’ in possesso di passaporto?’

‘Si.’

‘Ha obblighi militari?’

‘Per fortuna sono ‘fuori quota’.’

‘Sport praticati?’

‘Nuoto, tennis, sci.’

‘Il nuoto &egrave la mia passione, ma lo trascuro troppo. Io sono un po’ irrequieta, del resto, nelle mie vene scorre sangue che potrei definire vivace. Mio padre era Croato, per questo mi chiamo Zora, e discendeva da un popolo nomade, dai Kurdi. Mio marito diceva sempre che in me ci sono la caratteristiche del girovago. In effetti sono sempre a caccia di qualcosa di nuovo. Forse i miei antenati andavano alla ricerca di terre più ospitali, e questo unito all’irrequietezza slava spiega la mia ansia, la mia irrequietezza.

Mi scusi, non voglio annoiarla parlando di me.’

‘E’ molto interessante, mi creda. Devo confessarle che sono piacevolmente sorpreso per la sua accoglienza. La immaginavo inaccessibile, seduta su un trono, contornata da una moltitudine di gente indaffarata come tante formichine impegnate a lavorare per la loro regina.’

Sorrise in modo incantevole. Chissà quanti anni aveva, Paolo lo avrebbe chiesto a Gloria, descrivendogliela, così, per curiosità.

‘Come vede, sono più io formichina che gli altri. Del resto ho il compito di portare avanti la barca, e certe volte sono proprio stanca, poi prevale la caparbietà kurdo-croata, e stringo i denti.’

‘E’ molto orgogliosa delle sue origini.’

‘Vede, sono Italiana, di genitori italiani, nata in Italia, e mi sento orgogliosamente figlia di questa terra, ma un filo invisibile mi lega alle asperità del Kurdistan, all’incanto delle coste croate. C’&egrave sangue misto, in me. Ora prevale l’istinto d’indipendenza dei Kurdi, ora la gentilezza garbata della gente di San Marco. Mio marito mi aveva regalato un disco con una canzone che ebbe fortuna, e me lo dedicò con una semplice scritta: a Zora. Era ‘ghiaccio bollente’. Ma lei &egrave giovane, fa parte della moderna generazione che si annoia mortalmente a sentire i racconti patetici dei ‘matusa’. Mi scusi.’

‘Sarò fuori tempo, ingegnere, ma mi affascina quello che mi dice, e come lo dice. Mi porta a vivere in luoghi che non conosco, per me avvolti nel mistero, e le sono molto grato per questa sua cordialità. Spero di meritarla.’

‘Bene, Paolo. Ora torno al formicaio. L’attendo domani. Io sono qui dalle otto del mattino. Arrivederla.’

Si alzò, sorrise ancora, tendendo la mano.

Gloria disse che l’ingegner Monti stava per compiere quarant’anni. Il marito ne aveva venticinque più di lei, ed era stato suo professore all’Università.

Diana lo aveva ascoltato con la massima attenzione. Le aveva raccontato come era stato accolto, del brunch, della prospettiva di dover effettuare anche qualche viaggio, dell’ambiente di lavoro che giudicava serio e accogliente.

Erano a casa di Paolo, seduti su divano del salotto. Lui la teneva stretta a sé, lei gli poggiava la testa sulla spalla.

‘Sembri entusiasta dell’ingegner Monti.’

‘Non immaginavo di essere ricevuto a quel livello, di essere assunto con compiti che sono utili professionalmente. Anche i soldini non sono da buttar via. Mi attendevo molto meno, in tutti i sensi. Un’esperienza proficua anche ai fini del CNR. Ho fatto il conto che tra mensilità, ratei delle mensilità aggiuntive e liquidazione, potremo mettere insieme alcune migliaia di ‘uro. Dopo la laurea un viaggetto negli Stati Uniti non ce lo leva nessuno.’

‘Quando devi presentarti?’

‘Domattina. L’ingegnere va prestissimo, prima degli stessi collaboratori. Non devo farmi attendere, logicamente.’

‘Che tipo &egrave l’ingegner Monti?’

‘Una simpatica ed elegante signora sui quarant’anni, vedova con due figli. Ha ereditato la Indeco dal marito, che &egrave stato suo docente all’Università. La segretaria mi ha detto che era molto più anziano di lei”

Diana si staccò bruscamente da Paolo, si voltò verso di lui, lo guardò fissamente negli occhi.

‘Ora capisco tutto, la tardona punta sul giovane prestante che deve riempire il suo vuoto!’

‘Ma che ti balza in mente, potrebbe essere quasi mia madre.’

‘Si, ma non lo é. E poi, prima &egrave stata con uno che poteva essere suo padre e ora passa a chi potrebbe essere suo figlio. Certe tendenze sono chiare, alternanza di complessi, ora &egrave il turno di Giocasta.’

‘Non &egrave che anche tu hai un complesso?’

‘Quale?’

‘Non so come si chiama, ma ce ne deve essere uno che si riferisce a donna fantasiosa e’ gelosa.’

‘Che c’entra la gelosia. Ci sei o ci fai? Sei credulone o ipocrita?’

‘Nulla di tutto ciò, non sono malpensante.’

‘Povero pupo, aspetta d’essere allattato!’

Paolo l’attirò a sé, le infilò una mano nella scollatura del vestito.

‘Si, da queste belle tette!’

‘Non fare lo scemo, apri gli occhi!’

‘Si, padrona!’

La baciò con slancio, corrisposto con voluttà.

Fu una rappacificazione piacevolissima, sensuale, appagante.

Diana era ancora eccitata, le sue piccole nari fremevano, gli occhi splendevano, la voce era alquanto affannata.

‘Ti impedirò di tradirmi, sta sicuro.’

‘Come?’

‘Come faceva la moglie di Bismarck, il ‘tigre’. Per impedirgli di’ graffiare le altre donne’ gli’ tagliava in continuità le unghie’!’

‘Taglia, piccola, taglia. La tua forbice &egrave deliziosa, sei una manicure incantevole.’

‘Inaffidabile dongiovanni.’

‘Meravigliosa dea, la mia Diana, irresistibile cacciatrice e seducente’ domatrice.’

La segreteria tecnica era sullo stesso piano della presidenza. Quattro stanze, la prima con la targhetta dell’Assistente Sr, le altre con due scrivanie ognuna. In quella accanto al Senior, su una scrivania, c’era già un ‘cavalierino’ in plastica con scritto ‘Paolo Molino’.

Trillò il telefono di Paolo, la voce dell’ingegner Monti dette il buongiorno e lo invitò a recarsi da lei.

‘Benvenuto, Paolo, segga. Che ne sa del Kuwait?’

‘Le poche cognizioni acquisite durante la guerra del Golfo, quella del 1992.’

‘Qui c’&egrave un ‘file’ che le spiegherà la nostra presenza in quel paese e le fornirà alcune notizie sulle caratteristiche geografiche, etiche, politiche ed economiche del Kuwait. Le legga bene. Se ha qualcosa da chiedere venga da me, dopo mezzogiorno. Buon lavoro.’

Paolo tornò al suo posto, aprì la cartella.

L’Indeco aveva tra i propri clienti le compagnie petrolifere, le raffineria, e altri impianti industriali, tra cui quelli di dissalazione delle acque marine. Forniva progetti, assisteva nella fase di realizzazione, offriva consulenza in materia di desolforazione e rettifica del grezzo, di processo di raffinazione, di trattamento delle acque industriali, ecc.

In allegato alcune note sul Paese:

Al-Kuwait, all’estremità nordoccidentale del Golfo Persico, a sud dello Shatt al-‘Arab, tra l’Iraq e l’Arabia Saudita; 17.818 km’; meno di 2.000.000 di abitanti.

La popolazione, era di soli 75.000 abitanti nel 1937.

Le riserve note di petrolio del Kuwait pari a oltre il 13% delle riserve mondiali; considerevoli sono anche le riserve di gas naturale.

Estratto principalmente nelle zone di Burghan, Magwa, Ahmadi, Raudhatain, Sabriyya e in quelle di Wafra e Fuwaris, sfruttate insieme, con l’Arabia Saudita, nell’area meridionale del paese (nei cui limiti rientrano anche ricchi giacimenti sottomarini), il petrolio viene convogliato mediante oleodotti alla capitale e al porto d’imbarco di Mina al-Ahmadi, dove &egrave in funzione una raffineria; altre raffinerie sono attive a Shuaiba, a Mina ‘Abdallah e a Mina Sa’ud (nella zona neutrale). Nell’industria predomina il settore legato al petrolio e comprende impianti petrolchimici e per la produzione di fertilizzanti, ci sono anche industrie del cemento e dei laterizi, stabilimenti metallurgici e tessili, costruzioni elettriche, ecc.,

Il Giappone &egrave al primo posto sia tra i fornitori del Kuwait, seguito da Stati Uniti Germania, Gran Bretagna e Italia (5,8%); sia tra i suoi clienti, seguito da Italia (11,2%).

Cenni storici e militari completavano il tutto.

A Paolo non sembrò necessario chiedere altro. Era passato da poco mezzogiorno quando Zora Monti l’invitò a raggiungerla.

‘S’&egrave fatta un’idea del Kuwait?’

‘Credo di si, ingegnere.’

‘Bene, si prepari a partire domani. Mi accompagnerà. A Kuwait City ci attende Najib Saad al-Koury, petrol engineer, e nostro Area Manager per il Kuwait e gli Emirati del Golfo. E’ un tipo in gamba, legatissimo al locale clan dei Palestinesi, lui &egrave originario di Ramallah. Ha studiato negli Stati Uniti. Torneremo domenica prossima. Per qualsiasi motivo urgente la sua famiglia può raggiungerlo tramite il satellitare di Koury o il mio. Le darò i numeri. Che ne dice se andiamo a mangiare qualcosa? Le mostro la nostra mensa.’

A Diana dissi che sarei andato in Kuwait con un altro ingegnere, per prendere visione degli impianti dei nostri clienti locali. Ai miei avrei lasciato il recapito dell’Area Manager. Contavo di tornare la domenica successiva.

Il grande albergo internazionale, a cinque stelle, era molto lussuoso, il servizio ottimo, quasi tutto il personale, gentilissimo, parlava l’inglese.

L’ingegner Monti aveva consigliato Paolo di essere sempre molto riservato nel parlare, di dire la Società di appartenenza, ma di non fornire indicazione alcuna sui clienti, sui programmi, neppure sulla propria famiglia. Nel Kuwait c’erano infinite persone che vivevano sull’informazione, una sorta di spionaggio industriale a favore di chi pagava meglio. Non v’era luogo senza orecchie tese a carpire una notizia che, se pur apparentemente insignificante, unita ad altre poteva condurre a conclusioni vantaggiose per gli uni e dannose per altri. Parlare sempre sottovoce, anche in camera. Essere cordiali, con Najib, ma ricordarsi che apparteneva alla categoria di chi, per il proprio tornaconto, &egrave sempre pronto a cambiare padrone. Ecco perché Koury veniva messo al corrente solo di cose indispensabili per il compito da svolgere nell’area assegnatagli.

La camera era una minisuite, dotata di televisione satellitare, di computer collegato a internet. Nessuna simulazione al computer, e massima cautela nell’invio di e-mail.

‘Io, Paolo, sono nella suite adiacente alla sua camera. Adesso, credo, sarà bene una bella doccia, e ci vediamo nella hall tra un’ora. Koury, che ha conosciuta all’aeroporto, verrà a prenderci domattina alle nove. A più tardi.’

Paolo era già pronto dopo mezz’ora, pensò di inviare una e-mail a Diana, pregandola di comunicare ai suoi genitori che tutto andava bene. Il volo era stato perfetto, l’albergo lussuoso.

Scese nella hall, e curiosò nelle vetrine dei negozi che esponevano cose veramente belle, alcune anche molto preziose, altre decisamente realizzate ad uso dei clienti, in genere uomini d’affari, con portafogli ben forniti. C’era gente d’ogni parte del mondo, dalla vicina Arabia Saudita, agli Stati Uniti, al Giappone. Senza parlare di Tedeschi e Inglesi.

Paolo era proprio di fronte all’ascensore quando arrivò Zora Monti, col volto riposato, sorridente, in un elegante chemisier avana, che la faceva sembrare ben più giovane di quanto fosse.

Paolo le andò incontro.

‘Sta benissimo, ingegnere, fa pienamente onore al suo nome, Zora. Se non sbaglio significa ‘aurora”

Lo guardò ironicamente.

‘Essere adulate da un bel ragazzo fa sempre piacere, Paolo, pur sapendo che si tratta di un gentile complimento. Forse dovrei chiamarmi più Zalazak che Zora.’

‘Cio&egrave?’

‘Zalazak, tramonto.’

‘Non &egrave adulazione, ingegnere, ma credo che moltissime ragazze vorrebbero essere come lei. Mi scusi, ma non &egrave nel mio carattere incensare i miei superiori. Le ho detto quello che, vedendola, ho pensato.’

‘OK, adesso andiamo a bere qualcosa, e poi, in attesa della cena ho pensato di fare una visita in piscina. Forse una nuotata, anche se sono fuori allenamento, mi farà bene. Viene anche lei?’

‘Volentieri, ma non ho costume da bagno, non ho proprio pensato a portarlo.’

‘Nessun problema, vede quello stand? Swimming suits and trunks. Ci fornirà quello che ci serve, a parte il fatto che, credo, volendo i costumi sono forniti anche dall’albergo. Andiamo’

Lo stand aveva tutto per il mare o la piscina, costumi di tutte le marche, pinne, cuffie, balsami solari, occhiali, accappatoi’

Zora ne scelse uno verde smeraldo, con cuffia dello stesso colore, si appartò in camerino per misurarlo, uscì dopo poco, portando in mano solo la cuffia, evidentemente lo aveva indossato. Paolo preferì il classico nero.

Zora fece mettere tutto sul suo conto, facendo cenno con la mano, a Paolo, che andava bene così.

Scesero con l’ascensore. Il locale era grandissimo, con al centro una vasca delle misure delle Olimpiadi, ai lati molte sedie a sdraio, in un angolo il bar, e tutto intorno, lungo una specie di balconata, le cabine.

Un addetto andò loro incontro, chiedendo se desiderassero una cabina.

Paolo si volse a Zora.

‘Due, ingegnere?’

‘Credo che basti una, sono molto comode. Piuttosto vorrei un accappatoio.’

L’addetto comprese e assicurò che ne avrebbero trovati due in cabina, unitamente a pantofole usa e getta, in busta sigillata per garantirne l’igiene, le nostre sdraie erano quelle il cui tavolo portava lo stesso numero della cabina. Dette la chiave e augurò buona nuotata.

Salirono verso la cabina.

‘Forse &egrave meglio che vada io per prima, Paolo, devo solo togliere pochissime cose.’

Lo lasciò, col suo solito sorriso sulle labbra, entrò, e uscì dopo qualche istante.

Paolo la guardò piacevolmente sorpreso. Un corpo magnifico, gambe snelle, senza il minimo accenno di cellulite, fianchi e fondo schiena deliziosamente modellati, il seno prepotente e sodo. L’ovale del volto impreziosito dai lunghi capelli che scendevano sulle spalle.

‘Paolo?’

Si scosse.

‘Si, ingegnere.’

‘Tocca a lei. Cos’&egrave, &egrave distratto?’

‘Direi piuttosto incantato.’

‘Che fa, seguita a prendermi in giro? Vada, l’aspetto qui.’

Non ci mise molto a indossare i calzoncini.

Era veramente un bel giovane, proporzionato, atletico senza gli squilibri che eccessivi allenamenti sportivi spesso producono.

Questa volta fu Zora a restare senza respiro, a sentire qualcosa che l’afferrava dentro, che la turbava. Doveva affrettarsi a entrare in acqua.

Presero gli accappatoi e le pantofole, scesero sul piano della vasca, depositarono le loro cose sulle sdraie assegnate. Zora entrò in acqua, Paolo salì sul trampolino e si tuffò.

Dopo non molto, Paolo uscì dall’acqua e restò ai bordi a guardare Zora che nuotava lentamente, sul dorso, con gli occhi socchiusi, facendosi cullare dal liquido che le pareti verdi tingevano di smeraldo, come il colore del costume della donna.

Zora si avviò alla scaletta. Il costume bagnato sembrava sparito, aderiva come una vernice cangiante. Paolo le andò incontro con l’accappatoio, la aiutò a indossarlo.

‘Grazie, molto gentile. E lei?’

‘Sono quasi asciutto.’

‘Il cloro dell’acqua le darà fastidio, no?’

‘Farò la doccia, in camera.’

‘Può farla qui. Sono laggiù.’

Indicò un angolo.

‘Non voglio lasciarla sola.’

‘La farò anche io. Andiamo.’

‘Ormai ha bagnato l’accappatoio. Non si preoccupi, può usare l’altro. E’ ancora nella busta.’

‘Lei?’

‘Io sarò asciutto in pochissimi minuti, sono abituato, e poi qui la temperatura &egrave ottima.’

Si avviarono alle docce.

Su un cavalletto, all’ingresso della sala da pranzo, un cartello informava che quella sera, dalle 10 p.m., l’orchestra ‘Fairy Tale’ avrebbe suonato musiche d’ogni tempo, nel Dancing Club dell’albergo.

‘Non credo che a lei piaccia tale genere di musica, Paolo.’

Era fasciata in un elegante abito di seta leggera, quasi dello stesso colore del costume che aveva acquistato. Scarpe e pochette intonate. Un leggero tocco di trucco sul volto, piccolo orologio e grazioso collier d’oro bianco, i capelli sulle spalle.

Lui era in abito del tipo ‘fresco’, scuro, con candida camicia. ‘Promettono musica d’ogni tempo, deve essere piacevole. Desidera che prenoti un tavolo?’

‘Lo chiederò al maitre. Sempre che lei non si annoi. Comunque, potremo sempre andarcene quando vorrà.’

Una cena un po’ anonima, servita con eccessiva lentezza. Forse volutamente, per attendere l’ora del dancing.

‘Io prenderei un caff&egrave americano, Paolo, lei lo vuole?’

‘Volentieri.’

‘Andiamo al bar?’

‘Benissimo.’

Gli sorrise.

‘Non mi dica che va tutto bene quello che propongo io, mi fa sentire a disagio. Mi contraddica quando non &egrave s’accordo.’

‘Stia sicura che lo farò.’

I due caff&egrave erano dinanzi a loro. Zora lo centellinava con evidente piacere. Paolo accostava la tazza alle labbra, ma il livello del liquido nero era sempre lo stesso.

‘Vado a ritoccare il trucco, Paolo, mi aspetta?’

Lui si alzò.

‘Certo.’

Non appena la donna si allontanò, Paolo prese la tazza e la vuotò quasi del tutto nella pianta che era a fianco alla sua poltroncina. Poi la rimise sul piattino. Si guardò intorno. Forse era il più giovane di tutta quella gente che sembrava sempre intenta a chissà quali seri discorsi.

Zora riapparve poco dopo, più splendente che mai. Lui si alzò di nuovo.

‘Sono quasi le undici, credo che possiamo andare ad ascoltare la musica.’

***

Il locale era molto accogliente, luci attenuate, candele rosse sui tavolini che erano disposti tutto intorno. Loro erano quasi di fronte all’orchestra, formata da soli uomini. La musica era dolce, non assordante, e in quel momento suonavano una nota melodia da un film americano, l’amore &egrave una cosa meravigliosa.

Alcune coppie danzavano al centro della sala, sulla bassa pedana.

Zora si chinò verso Paolo.

‘Che ne dice di prendere dello champagne?’

‘Non bevo molto, ma mi piace.’

‘Anche io sono una modesta bevitrice di vini e alcolici, berremo quello che vorremo.’

Al cameriere chiese ‘french champagne, the best’.

Era deliziosamente fresco, e scendeva piacevolmente.

Paolo non sapeva se dovesse o meno proporle di ballare. Pensò che, al massimo, avrebbe avuto un rifiuto. Non voleva, però, che l’invito potesse apparire come un gesto doveroso verso il capo. Scrollò appena le spalle. Si volse a Zora.

‘Gradisce ballare, ingegnere?’

‘Non ballo da anni. A mio marito non piaceva il ballo. Ma se perdonerà i miei pestatoni, farei volentieri un giretto. Queste musiche sono molto gradevoli e invitanti.’

Lo precedette sulla pista. Lui la cinse con un certo disagio. Troppo distante, sembrava volesse allontanarla. Le altre coppie, in genere erano avvinghiate. Fu presto tratto dall’imbarazzo. Zora si strinse a lui, quasi abbracciandolo, con entrambe le mani dietro il suo collo.

Come era tiepido quel corpo, il ventre che premeva, il seno stretto al suo petto. Le movenze eccitanti. Ora gli aveva poggiato la testa sulla spalla, con parte dei capelli che gli carezzavano il volto. Paolo non aveva mai ballato uno slow, e non aveva mai sentito il corpo d’una donna aderire al suo, durante il ballo, come quello di Zora, che aveva tra le braccia. Era tentato di stringerla ancora di più. Sentiva aumentare la sua eccitazione, e certamente anche Zora l’aveva chiaramente avvertita, e col suo ancheggiare sembrava profittarne. Paolo aveva la sensazione che una ventosa si fosse impadronita del suo sesso. Quando la musica terminò, la donna si staccò lentamente da lui. Lo prese per la mano, e s’avviò al tavolino. Senza parlare, gli fece cenno di versare ancora dello champagne, lo bevve avidamente. Rimase in silenzio, guardando l’orchestra.

‘Lei balla molto bene, Paolo. Mi meraviglia che un giovane sappia ballare ritmi che erano già considerati ‘out’ dalla mia generazione.’

‘Preferisco le melodie a quello che spesso &egrave più rumore che musica. Questa &egrave una canzone italiana, se non sbaglio.’

‘Certo, mia madre la canticchiava spesso, le ricordava il cantante del suo cuore, &egrave ‘silenzioso slow’. Credo di ricordarne ancora le parole. Balliamo?’

Senza attendere risposta si diresse al centro della sala. Paolo la seguì.

Riprese ad ondulare, incollata a lui. Quasi nell’orecchio canticchiava la vecchia canzone’ se vuoi sentiri i palpiti del mio cuore. Soprattutto era il grembo a palpitarle.

***

Zora era in vestaglia, seduta all’ampia toletta, e passava sul volto, lentamente, i batuffoli di cotone sui quali aveva versato la crema detergente e idratante. Si guardava con attenzione. Spazzolò i capelli, e s’avviò verso il letto per indossare la camicia da notte. Tolse la vestaglia. Scorse, nel grande specchio, la sua nudità. Accese tutte le luci della camera, si avvicinò allo specchio. Si osservò attentamente, vi accostò il volto, scrutò gli angoli degli occhi, il collo, si mise di profilo e si girò per esaminare il seno, era sodo, eretto. Il pensiero che le attraversava la mente fece inturgidire i capezzoli, guardò i glutei, alti, consistenti. Le cosce, le gambe, meravigliose, senza alcun accenno di cellulite, senza la minima smagliatura, come il ventre. Divaricò appena le gambe. Tutto le sembrava tanto perfetto da credere che fosse solo la sua impressione.

Non ricordava di essersi mai esaminata con tanta accuratezza. Rifletteva sulla sua età, che tra qualche mese avrebbe festeggiato quaranta anni. Scosse il capo come per scacciare ciò che le frullava in testa. Quel benedetto ragazzo l’aveva turbata, quel ballo, le aveva provocato sensazioni che non ricordava di aver provato prima di adesso. Forse anche perché non era stata mai tra le braccia di un uomo così giovane. Mai. Da studentessa qualche ballo moderno, di quelli che ognuno si agita per conto proprio. Poi qualche raro ballo col suo carissimo consorte, unico uomo che aveva avuto. Era un essere delizioso, il caro Mariano, tutto gentilezze e attenzioni, parole dolci, carezze lievi. Nulla di quello che, a quanto aveva sentito dire, aveva a che fare con la passione.

Paolo l’aveva sconvolta. Si, era stata lei ad attaccarsi a lui come una sanguisuga, ma era stato qualcosa d’istintivo, d’irrefrenabile. Ne aveva sentito la virile e vigorosa eccitazione, s’era eccitata a sua volta. Per questo aveva voluto ancora ballare, Le sembrava quasi di possederlo. Forse lui ne stava ridendo tra sé e sé.

Indossò la camicia da notte ed entrò nel letto. Chiuse gli occhi e cercò di non pensare a nulla. Senza rendersene conto, scese con la piccola mano tra le gambe, e cominciò a carezzarsi lievemente. S’assopì, con la luce accesa, e sognò la mano di Paolo che la sfiorava deliziosamente.

***

Quando Paolo scese nella hall erano poco più delle otto del mattino.

Zora era seduta in una poltrona, in un angolo, e leggeva un giornale locale.

Si avvicinò a lei che, senza farsene accorgere, lo aveva già visto.

Ogni promessa che aveva fatto a sé stessa si rivelò inutile. Qualcosa le attraversava il ventre, una contrazione che chiedeva di distendersi, come il polpaccio preso dal crampo anela il magico tocco d’un sapiente massaggio. Forse, pensava, con una scusa qualunque, dovrei rispedire questo giovane in Italia. Fu solo un attimo. Il volto le s’illuminò d’uno splendente sorriso, gli occhi luccicavano.

‘Buon giorno, ingegnere, già in piedi.’

‘Buon giorno, Paolo, sieda. E’ la mia solita ora per la lettura dei giornali, anche se in Italia si comincia intravedere la luce del giorno. Ha fatto colazione?’

‘Non ancora. Ha dormito bene?’

Lo guardò in modo misterioso, senza rispondere.

Paolo la fissava come per inviarle un messaggio: sei proprio un gran bel pezzo di donna, ieri sera mi hai eccitato da morire. Già ti avevo visto in costume, quando sei uscita dalla cabina, quando sei uscita dall’acqua. Hai un corpo statuario, e un monte di Venere che promette ascensioni voluttuose. Se non fossi il mio gran capo ci farei proprio un pensierino.

Si scosse appena.

‘Qualche pensiero particolare, Paolo?’

‘Un piccolo sogno ad occhi aperti, ingegnere, mi scusi.’

‘Le auguro che si realizzi, se lo gradisce.’

‘Sogni assurdi, ingegnere. Fantasie. Presuntuose velleità. Come voler raggiungere la vetta dell’Himalaia.’

‘Per un giovane come lei non dovrebbe essere impossibile.’

‘Grazie per la fiducia.’

‘Andiamo a colazione, fra poco giungerà Koury, e ci attende la raffineria.’

***

Malgrado l’ottimo condizionamento dell’auto, il giorno era stato abbastanza pesante. L’intervallo per il pasto molto breve, il sopralluogo sugli impianti non scevro di impegno. Era pomeriggio avanzato quando tornarono all’albergo. Koury li invitò a cena, ma Zora rispose che forse era meglio rinviare la cosa all’indomani. Ora ci voleva una bella doccia e, potendo, una nuotata distensiva.

‘Mi fermo ad acquistare una crema per il corpo, il cloro della piscina non fa bene alla mia pelle. Se vuole, Paolo, salga pure.’

‘L’attendo, ingegnere. Non ho alcuna fretta.’

Zora uscì poco dopo dallo stand e, con Paolo, s’avviò all’ascensore.

‘Come ha sentito, vorrei andare in piscina. Lei faccia pure quello che vuole. Potremmo incontrarci per la cena.’

‘Se non la disturbo verrei in piscina con lei, ingegnere.’

Lo guardò con evidente piacere.

‘Ci vediamo tra mezz’ora. L’avverto per telefono.’

‘OK, ingegnere, buona doccia.’

***

Avevano nuotato l’uno accanto all’altro. Stile libero, sul dorso, lentamente. Al momento di uscire dalla vasca Paolo le porse la mano, lei la prese e la mantenne anche mentre, lungo i bordi, si avviavano alle sedie. Paolo sentì che si appoggiava a lui mentre l’aiutava a indossare l’accappatoio, ne avvertì il solco tra i glutei. I pensieri del mattino lo riassalirono: un fondo schiena da Oscar’ chiappe prensili’ E vi si strofinò intenzionalmente.

Fuori della cabina, dove si sarebbero rivestiti, Paolo chiese gentilmente se Zora sarebbe riuscita a spalmarsi agevolmente la crema acquistata.

‘ Non sulla schiena, certo”

Lo guardò. Proseguì.

‘Se non la disturba, potrebbe aiutarmi.’

‘Con piacere.’

‘Venga.’

Entrarono nella cabina.

Zora mise l’accappatoio sul lettino e vi si distese, a pancia sotto. Sfilò le spalline dalle braccia e abbassò il costume. Il seno nudo poggiava sul lettino.

‘La crema &egrave sulla mensola, quel flacone bianco. Può versarla direttamente sulla pelle o metterla prima sulla sua mano.’

Veramente una donna eccezionale, un posteriore perfetto, due gambe stupende.

Paolo prese il flacone, lo aprì, ne versò un po’ del contenuto nel palmo della mano, cominciò a spalmarla dolcemente sulla pelle liscia come una preziosa seta. Zora teneva gli occhi socchiusi. Cominciò dalle spalle, passò alle braccia, scese fin dove iniziava il costume abbassato, lunghe carezze, interrotte ogni tanto dal prendere dell’altra crema. Con indifferenza intrufolò la mano. Gli sembrò che ci fosse un leggero irrigidimento dei muscoli dorsali. Null’altro. Seguitò il lieve massaggio, ancora più giù. Ecco le natiche sode e affascinanti. Non riusciva a restare insensibile, si sentiva a infastidito per l’eccitazione sempre più evidente. Meno male che Zora aveva gli occhi chiusi. Proseguì con lievi movimenti circolatori, impastando con i polpastrelli che saggiavano ogni millimetro, che scivolavano nel solco. Tolse la mano. Più che un invito sembrò un comando:

‘Si volti.’

Lei obbedì senza parlare, come un automa, sempre con gli occhi chiusi, un’espressione incantata sul volto.

Il seno s’ergeva stupendo, le braccia lungo il corpo, le gambe appena dischiuse.

Crema sul seno, sulle gambe. Sulle cosce.

Deglutendo a fatica, Paolo cominciava a lasciarsi prendere dai sensi. Si spostò sul ventre. Duro, dapprima, poi si rilassò sotto il tocco di quella mano curiosa e invadente. Ecco, quello era il monte di Venere, il monte del paradiso, col suo incantevole boschetto che fremeva al tocco leggero di quelle dita.

Questa volta non era sogno, per Zora. D’un tratto si riebbe. Si alzò di scatto, a sedere sul lettino.

‘Grazie, Paolo, &egrave stato molto gentile. Grazie. Ci vediamo per la cena.’

***

Zora era seduta di fronte allo specchio. Nel volto si avvertivano confusione e incertezza. Era perplessa. Lo aveva lasciato fare. Era stata una sensazione nuova, dita frementi che carezzavano, esploravano, facendole accapponare la pelle. Quanto tempo era che non provava una simile sensazione. Anzi, non ricordava d’aver mai sentito turbamenti del genere perché non aveva mai ricevuto siffatti inebrianti stimoli. Mariano aveva vissuto la vita di coppia senza passionalità, senza entusiasmo, in modo piatto, uniforme, consuetudinario. Le voleva bene, certamente, era gentile, premuroso, pieno di attenzioni. Nessuna coccola, però, nessun gesto potesse infiammarla, eccitarla. Sesso ordinario e di tutto riposo. Sorrise ricordando i maldestri tentativi di Carletto, il suo compagno d’università, quando goffamente aveva accennato a timidi palpeggiamenti. Forse era l’esplosione d’un desiderio sempre esistito, mai appagato. O solamente l’insoddisfatta cupidigia d’una donna sulla via del tramonto. Non poteva stabilirlo, era la prima volta che il suo corpo era stato accarezzato da un uomo giovane. E in che modo!

Non sapeva cosa fare, come comportarsi. Pensò che era stata lei a dar corpo e significato a gesti del tutto innocenti.

No, quelle dita non erano prive di malizia. L’avevano volutamente esplorata per accendere in lei sensazioni voluttuose. E se l’avesse fatto per poi riderci sopra?

Era stata sul punto di abbandonarsi a lui, implorante, desiderosa di sentirsi conquistata, invasa, di godere d’un piacere sconosciuto.

Fece un lungo sospiro.

Alzò il telefono e formò il numero della camera di Paolo.

Non dovette attendere a lungo.

‘Pronto, Paolo? Sono Zora. Volevo dirle che non scenderò per la cena, questa sera non mi fa piacere essere contornata da tanta gente alquanto chiassosa. Mi farò portare qualcosa nella suite. Lei si ritenga libero.’

Ascoltò attentamente quello che l’altro le diceva.

‘No, nessun problema. Stranezza di donna. Capita a tutte le età fare capricci incomprensibili. Lei si consideri completamente libero di fare ciò che le aggrada.’

Si guardava nello specchio, mentre parlava.

‘Grazie, ma non si disturbi. Sarò sola, certo, non c’&egrave bisogno che lei si sacrifichi per farmi compagnia. Molto gentile, da parte sua, ma sarei una pessima compagna di tavola. Grazie ancora, e’buonanotte.’

Abbassò il ricevitore, si alzò, si svestì, ripose tutto nell’armadio, indossò una leggera vestaglia, andò nel bagno, aprì l’acqua e mise tanti sali profumati nella vasca. Di solite le davano una sensazione rilassante.

Rimase distesa nell’acqua tiepida, con gli occhi che guardavano il soffitto. Si alzò, si avvolse nel lenzuolo di spugna, tornò a sedere di fronte alla toletta. Si pettinò accuratamente, s’accorse che stava truccandosi leggermente, senza volerlo. Non era il caso, visto come si presentava la serata. Tornò nel bagno, prese la vestaglia, vi si avvolse. Si sdraiò sul letto. Cercò di sfogliare una rivista che aveva preso nella hall. Voltava le pagine meccanicamente, senza vedere le foto, o leggere almeno i titoli degli articoli. Rimase pensosa per qualche istante. Prese ancora il telefono, formò di nuovo il numero di prima. Forse non c’era nessuno, lui, finalmente libero, chissà dov’era andato.

Sentì subito la voce di Paolo.

‘Sono sempre io, mi scusi. Ho pensato alla sua generosa offerta. Se vuole ancora fare il buon Samaritano, e sacrificarsi, l’aspetterei per la cena. Qui, però, senza il brusio fastidioso della sala da pranzo.’

Cominciò a distendere i tratti del volto, ascoltando quanto le veniva detto.

‘OK, l’attendo alle venti. Nessuna etichetta, mi raccomando. Tenga presente che io la riceverò in vestaglia. A più tardi.

Canticchiava mentre riprendeva a pettinarsi i lunghi capelli.

Tolse la vestaglia, indossò reggiseno e mutandine. Andò a guardare nell’armadio, prese un vestito rosa shocking a portafoglio, tenuto fermo in vita da un grosso fermaglio metallico. Gambe nude in scarpe dello stesso colore del vestito.

***

Nel momento in cui iniziava il notiziario in arabo, alla televisione, mentre il raggio del faro che girava in cima all’alto edificio del KAC, Kuwaitian Airlines Centre, entrava dal balcone di Zora, Paolo picchiò alla porta.

Zora andò ad aprire. Il giovane le parve più attraente e desiderabile che mai. Sentì il cuore galoppare, e lo strano, ma ora piacevole, contrarsi del suo grembo.

‘Si accomodi, Paolo, andiamo a sedere nel salotto. E’ molto gentile, da parte sua, sciupare una serata per far compagnia alla sua presidente.’

‘Essere con lei, ingegnere, &egrave un immeritato e insperato premio. Sono sicuro che sono infiniti gli uomini che ambirebbero a cenare con una così deliziosa e seducente signora. L’essere la mia presidente &egrave un dettaglio che, se me lo permette, vorrei considerare marginale.’

‘A parte le sue espressioni lusinghiere, sempre gradite a una donna, a qualsiasi età, mi fa piacere che lei non consideri un ‘servizio’, quasi un dovere, farmi un po’ di compagnia. Avrà certamente compreso che sto attraversando, senza ben capirne la ragione, un momento di particolare’ stranezza. Chiamiamola così, stranezza, perché non saprei come definirla altrimenti. Le sono veramente grata per la sua presenza.’

‘Grazie a lei per avermi consentito di non lasciarla sola e’ per darmi l’occasione di conoscerla al di fuori del suo ruolo ufficiale. E’ sempre piacevole cenare con una bella ed elegante signora. Il suo bel vestito consente di ammirare la sua incantevole grazia.’

‘Basta con i complimenti, Paolo, mi fa arrossire. Non sono abituata a parole del genere. Si segga, prego. Fra poco verranno a servire la cena. Se lo gradisce c’é qualcosa che può servire da aperitivo.’

‘Veramente preferirei non prendere nulla.’

‘Come vuole. Allora, che ne pensa di questo suo primo incontro con la realtà nella quale la nostra società opera?’

‘E’ un lavoro molto interessante che spinge alla ricerca e arricchisce professionalmente. E’ impegnativo, certo, anche fisicamente, ma quando si può riposare in un ambiente come questo, il riposo &egrave pienamente assicurato. Una buona nuotata e si &egrave più freschi di prima. A proposito, la crema ha attenuato l’irritazione del cloro?’

Il volto di Zora avvampò improvvisamente, pur senza tradire alcuna emozione.

‘Si, l’effetto dell’applicazione &egrave stato particolarmente gradevole. Devo esserle grata per la sua premurosa cortesia.’

Il viso della donna stava riacquistando il colorito normale.

Zora scrutava Paolo cercando di capire se nelle parole del giovane vi fosse dell’ironia allusiva. Non le sembrava. Lei, comunque, credeva di aver risposto a tono. Solo che quell’accenno tornava a farle sentire il magico tocco di quelle dita che s’intrufolavano dappertutto. Non quanto e come le sarebbe piaciuto. Ma era stata lei a balzare di colpo sul lettino. Meglio così.

Bussarono alla porta, entrarono due camerieri con un tavolino montato su rotelle, perfettamente apparecchiato per la cena, e un carrello, in parte termico, con i cibi, l’acqua minerale, dell’ottimo vino francese, bianco.

Zora disse di preparare tutto, lì, dove erano loro, nel salotto, e di lasciare così. Avrebbe pensato lei a servire. Li avrebbe richiamati dopo la cena.

Un menù raffinato, leggero e gradevole, consumato tra una chiacchiera e l’altra, parlando di piccole cose del passato, ricordi insignificanti, salottieri, non impegnativi. Zora aveva preteso di servire lei. Del resto, aveva detto, era lei ad averlo invitato. Un aromatico caff&egrave arabo e dal frigobar Zora trasse una bottiglia di champagne, unitamente a due coppe.

‘Che ne dice, Paolo, di un sorso di champagne. Possiamo sedere sul divano, di fronte alla televisione e, forse, troveremo, tra i tanti canali esterni e interni, qualcosa che può interessarci.’

Si fermò un attimo, lo guardò.

‘Forse lei si annoia, preferisce trascorrere diversamente e altrove il resto della serata.’

‘Assolutamente no, Benissimo per lo champagne e ottima idea quella della televisione. Anche se lontani dalla nostra terra ci sentiremo, o almeno mi sentirò, in un clima di cordialità familiare.’

‘Allora, sul divano. Venga.’

Mise bottiglia e coppe sul tavolino, si accomodò sul morbido e basso divano e, con la mano, fece cenno a Paolo di sedersi al suo fianco.

‘Tolga pure la giacca, Paolo, starà più comodo, proprio come a casa. Apra lei, per favore.’

Paolo stappò la bottiglia, riempì le coppe, gliene porse una e, tenendo l’altra, sedette accanto a lei. Brindarono ai propri desideri. Zora accese la televisione e cominciò a cercare qualcosa di gradevole, tra i vari canali. Si fermò su quello dove stava iniziando un film, in tedesco con sottotitoli in inglese, doveva trattarsi di una commedia, o qualcosa del genere.

Si voltò verso Paolo.

‘Va bene qui?’

‘Benissimo, del resto se non ci piacerà potremo sempre cambiare.’

‘Le dispiace, Paolo, se abbasso un po’ le luci. Si rifrangono sullo schermo.’

‘Ci penso io, stia comoda.’

Si alzò, accese un piccolo abatjour che era dietro la televisione, spense tutte le altre luci. L’ambiente era in penombra. Tornò a sederle vicino, molto vicino.

Le scene si susseguivano senza suscitare particolare interesse. Paolo poggiò il braccio sullo schienale del divano. Zora si distese un po’, appoggiò la schiena sulla spalliera, sentì il braccio dell’uomo. Non si ritrasse. Il suo sguardo era fisso sul televisore. Avvertiva il tepore della gamba di lui che, movendosi al ritmo della musica, la sfiorava lievemente. La mano di Paolo scese dallo schienale sul braccio di Zora, con leggerezza, come distrattamente. Lei deglutì con difficoltà, prese la coppa dal tavolino, chinandosi in avanti, e la portò alle labbra, la vuotò. Paolo s’affrettò a prendere la bottiglia dal secchiello e la riempì di nuovo. Lei fece col capo un cenno di ringraziamento, sorridendogli. Tornò a poggiarsi sulla spalliera. Il braccio di Paolo era sceso, ora le circondava il fianco, e la mano si posò sulla coscia, sul sottile tessuto del vestito. Ancora quelle dita, e non erano immobili. Ecco, ora la mano saliva, sfiorava il seno, lo carezzava, stuzzicava il capezzolo sodo, riscendeva.

‘Devo far portar via il tavolino della cena e il carrello, Paolo, le dispiace se prendo il telefono?’

Era dall’altra parte del divano. Si sporse, col petto all’altezza del volto del giovane, e si sostenne, con la mano, sulla coscia di lui, avvertendone l’eccitazione. La scollatura offrì a Paolo la vista, sia pure nel reggiseno, di un petto incantevole. Fu tentato di ghermirlo. Lei, intanto, premendosi a lui, chiamava il servizio per il ritiro del tavolo.

Bussarono alla porta. Il cameriere aveva la chiave universale, ma Zora si alzò lo stesso per andare ad aprire. I due uomini presero il tutto e uscirono.

Zora tornò verso il divano, restò in piedi, di fronte a lui. Gli poggiò le mani sulle spalle.

‘Come la mettiamo, Paolo. Sto certamente sbagliando, sto mostrandomi quella che non sono. E’ difficile credermi, da come mi sto comportando, ma non ho mai conosciuto un uomo all’infuori di mio marito, di Mariano. Si vede che la vecchiaia mi sta facendo perdere il senso della misura, il controllo. Come la mettiamo?’

Lui l’attrasse dolcemente sulle sue ginocchia. Lei proseguì.

‘Vattene, fino a quando sei in tempo, non roviniamo tutto. Torna nella tua camera, lasciami sola.’

Lui le carezzò il volto, la baciò sugli occhi, ne cercò, avido, le labbra, sentì che veniva accolto e ricambiato con passione, con trasporto. Le sue mani la cercavano, la frugavano sotto il vestito. Lei ansimava.

‘Vattene, Paolo, vattene. Per favore.’

Si alzò di scatto. Lo guardò piangendo.

‘Vattene, lasciami. Forse ti telefonerò. Per favore.’

Paolo riprese la giacca, le sfiorò ancora il volto, si avviò alla porta.

***

Il tumulto dei sensi la tormentava.

Paolo era giovanissimo, per lei. Quella eccitazione era solo la spontanea risposta agli impulsi naturali in un uomo nel pieno della sua vigoria. Lei sarebbe stata l’avventura d’un momento, l’appagamento provvisorio della sessualità. Ma che sarebbe successo in lei?

Le ore sembravano eterne, lo spasmo la torturava.

Ricordò di aver avuto tra le mani un vecchio manuale di comportamento ad uso delle donne arruolate nell’esercito britannico durante la seconda guerra mondiale. Si riferiva agli uomini italiani, al loro fascino, alla loro attrattiva, alle loro insistenza. Suggerivano di non cedere, ma se si veniva assaliti da certa irrefrenabile bramosia, diceva l libretto: than, relax and enjoy!

Allora, rilasciati e’ godi!

Il telefono era lì, sul comodino.

Rispose immediatamente.

‘Paolo, vieni.’

***

Era stato qualcosa d’inenarrabile. Dolcezza e impeto, estasi paradisiache, piacere sconosciuto. Tutto un mondo ignorato. La prima volta che s’era sentita donna. Non aveva mai vissuto sessualmente, non aveva mai raggiunto le vette del godimento che Paolo le aveva procurato, non credeva che potessero esistere. Ora poteva capire che era possibile perdere la testa per un uomo. Essere presa, deliziosamente e voluttuosamente invasa, sentirlo distillarsi in lei l’aveva inebriata. Gli giaceva accanto, incantevolmente sfinita. Poggiata su un gomito lo ammirava incantata, mentre lui dormiva. Guardò l’orologio. Era tardi. Si adagiò col seno sul suo petto, e con la lingua, lievemente, gli sfiorò le labbra. Insisté, fino a quando lui non aprì gli occhi.

‘E’ tardi, tesoro, fra poco vengono a prenderci.’

Lui la rovesciò, le baciò il ventre, scese giù, piano.

Lei gli carezzò i capelli.

‘Alziamoci. E’ tardi.’

***

Guardava, incantata, fuori dal finestrino dell’auto, il deserto che correva a fianco alla larga autostrada. Pensava con sgomento che, forse, tutto sarebbe presto finito. Si aggrappava alla speranza che il sogno sarebbe ancora durato

Paolo le era a fianco, silenzioso, guardandola sorridendo di quando in quando.

Gli strinse, di nascosto, la mano.

Scosse il capo, pensando che non aveva mai fatto uso della pillola, non conosceva profilattici, che, infine, non era stata adottata alcuna cautela in quel travolgente incontro. Era stato bellissimo. Chiuse gli occhi, rapita, pregustando di accoglierlo ancora nel suo letto, in lei.

***

Fu lucida e professionale, come sempre, durante la laboriosa giornata di lavoro. Il progetto ero impegnativo, assorbiva una buona parte dell’attività dell’Indeco.

Cortese e affabile come sempre. Ascoltava il parere di tutti, lo accettava o esprimeva il proprio eventuale diverso punto di vista, spiegandone le ragioni. Al termine, era sempre la sua soluzione ad essere riconosciuta come la migliore. Paolo era sempre accanto a lei, attento, diligente, pronto a dire la propria opinione, sempre premettendo la sua modesta esperienza in materia. Zora non lo guardava, per tema che l’espressione del volto tradisse la sua adorazione. Si limitava a piccoli cenni di assenso. Doveva allontanare da sé il turbamento interiore. Sentiva le tempie pulsare, il cuore palpitare, il grembo sussultare. Avvertiva in sé come un torrente impetuoso che la travolgeva e che non riusciva ad arginare. Era innervosita per quella sua eccitazione quasi adolescenziale. Forse era proprio così, non aveva mai vissuto la sua adolescenza, in quel senso. Seguitava a ripetersi che solo ora aveva scoperto cosa significa sentirsi donna, femmina.

Tornando in albergo, in auto, premeva la sua coscia contro quella di Paolo. Guardava la strada con indifferenza, celando l’ansia di giungere a destinazione, di trovarsi ancora sola con lui.

Paolo la guardava di sfuggita, di quando in quando, ricordando ogni particolare della notte precedente. Era una bella donna, Zora, ma l’aveva inizialmente considerata una donna un po’ ‘matura’ per lui, poi, seguitando a scoprirne il fascino, l’avvenenza, se ne era sentito attratto. La vicinanza, il contatto, la perfezione statuaria del corpo, in costume da bagno, lo aveva eccitato, moltissimo. Il poterla carezzare, col pretesto della crema balsamica, gliela aveva fatta desiderare, bramare. Sarebbe stata una nuova esperienza, per lui, l’avventura con una donna splendida, che aveva considerata irraggiungibile, avrebbe soddisfatto la sua sessualità, ma non immaginava che Zora nascondesse in sé tanto ardore, tanto trasporto e, nel contempo, tanta tenerezza. Non credeva che esistesse una donna del genere, che si sentisse così appagato. Il problema era il seguito. Zora s’era tolta un capriccio e se ne sarebbe sbarazzata? Perché, però, gli aveva detto che nella sua vita aveva conosciuto solo il placido Mariano? Lo aveva provocato per semplice soddisfacimento dei sensi? C’erano decine di uomini che la concupivano, lo sapeva. Lo aveva invitato in Kuwait con lei per andare lontana da occhi indiscreti? A Roma avrebbe avuto infinite possibilità di relazioni discrete. Tra l’altro, non sapeva come rivolgersi a lei, come chiamarla. Si accorgeva di esserne conquistato.

Erano in albergo. Mentre si avviavano all’ascensore, Paolo le si rivolse sorridendo appena.

‘Una nuotata?’

Domanda impersonale, senza ‘lei’ o ‘tu’, senza appellarla ‘ingegnere’ o altro.

L’ascensore era arrivato, s’erano aperte le porte. Entrarono.

‘Relax in vasca, Paolo. Che ne dici?’

‘Ci vediamo per la cena?’

Lo guardò, maliziosa.

‘Già stanco di mettermi il balsamo sulla schiena?’

Erano al piano, vicini alla porta della suite, Zora gli prese la mano.

‘Vieni.’

***

La larga vasca circolare era piena d’acqua, nella quale Zora aveva abbondantemente versato i suoi sali profumati preferiti. Vi entrò dolcemente, splendida nella sua seducente nudità, vi sdraiò languidamente. Paolo era in piedi, con un asciugamano intorno alla vita. Gli tese la mano, lo attrasse a sé, fece cadere il tessuto che lo avvolgeva, lo fece entrare nella vasca. Quella vista, il tepore dell’acqua, l’essenza inebriante dei sali lo fecero visibilmente eccitare. Sedette sul fondo. Gli si pose a cavalcioni, guidandone il sesso gonfio a penetrarla lentamente. Cominciò a dondolare, con la testa lievemente rovesciata e i capelli che lambivano l’acqua.

Non fu che il preludio di quello che avvenne sull’ampio letto, con una bramosia che rivelava antichi e presenti appetiti, mai saziati.

Una avidità che metteva a dura prova la pur balda ed esuberante vigoria del giovane.

Zora sembrava volersi rifare del tempo perduto ed era come se temesse che l’occasione potesse sfuggirle da un momento all’altro.

Quando sembrò placata, almeno per quella volta, si sdraiò, mentre con la mano esplorava il corpo di Paolo.

‘M’&egrave venuta fame. Che ne dici se ci prepariamo per la cena e poi andiamo a ballare?’

Rimase alquanto in silenzio. Pensosa. Un lungo e profondo sospiro.

‘Domani rientreremo.’

Lui giaceva con gli occhi al soffitto, ancora stupito per quanto s’era ripetuto. Questa sì ‘pensava- che ti faceva sentire maschio.

Zora seguitò, con voce esitante, come se chiedesse ma temesse la risposta.

‘Credi che finirà tutto così?’

Paolo si voltò verso lei, le carezzò il seno.

‘Non dipenderà certo da me.’

Zora lo baciò con passione, con gli occhi lustri.

‘Come puoi immaginare che io possa rinunciare a questo incanto?’

Ancora un sospiro.

‘Alziamoci, Paolo. Va a prepararti per la cena. Mi farò bella per te.’

Paolo si mise a sedere sul letto.

‘Impossibile.’

Lei lo guardò preoccupata.

‘Come impossibile?’

‘Perché più bella non si può.’

Gli sorrise, radiosa.

‘Va, altrimenti non ti lascerò più.’

***

Seduto in poltrona, Paolo riandava con la mente a quanto era accaduto in quei giorni.

Non aveva telefonato, né a casa né a Diana, pur essendo possibile chiamare l’Italia in teleselezione. In effetti, non vi aveva proprio pensato. Avrebbe voluto dare la colpa al lavoro, ma non era possibile. Era stato adescato da qual corpo. Forse ‘adescato’ non era il termine esatto, non era stato attratto con lusinghe ingannevoli. Il fondo schiena seducente era stato il punto di partenza. Il modo di guardare Zora, doveva ammetterlo, era stato più che eloquente. Si era trattato di vera concupiscenza o solo per mettere alla prova il proprio sex appeal? No, quelle forme, quel seno, lo attraevano, quella femmina lo turbava. Non aveva mai pensato di andare a letto con una donna matura. Ma non era curiosità del nuovo, qualcosa lo invischiava. Eppure, avrebbe dovuto ben tenersi lontano dalla sua datrice di lavoro. Sarebbe stato opportuno. Alla sua età, con la sua esuberanza giovanile, certe considerazioni non si fanno. Eppure lui non era di quelli che andavano sempre a caccia di, come dire, una botta e via. Adesso stava cercando una attenuante sentimentale. Lasciamo andare, quel sedere lo desiderava sulle proprie ginocchia, la carezza di quel grembo lo inebriava. Del resto, ne era valso la pena. Un piacere così non lo aveva mai provato, e credeva di poter affermare che non la aveva mai dato.

Alzò il telefono. Diana gli disse che era stata in pensiero per lui. Comprendeva il lavoro, la necessità di far bella figura, ma un minuto, un solo minuto, lo avrebbe potuto dedicare a lei.

Paolo le disse che le avrebbe raccontato tutto al suo ritorno, le assicurò che aveva pienamente soddisfatto le aspettative dell’ingegnere che aveva accompagnato. La pregò di avvertire i suoi genitori che contava di rientrare presto.

***

Erano al dancing.

‘Paolo, non mi hai mai detto cosa provi per me, non mi hai mai chiamato Zora. Mi parli in modo impersonale. Sei rammaricato per quanto sta accadendo tra noi?’

‘No, sono perplesso per il futuro. Ho paura che tutto si concluda qui. Non so come esprimermi, non trovo il modo, soffoco le espressioni che mi salgono dal cuore, non comprendo se sono infinitamente invaghito, posso dire innamorato, di una donna ammaliante, o se sono stato nel letto dell’ingegner Monti. Non so se riesco a spiegarmi. Ecco la mia difficoltà, a chi devo dire quello che provo?’

Lo guardò con occhi splendenti, un’espressione appassionata sul volto, malgrado il luogo, gli prese la mano.

‘Sono Zora, solamente Zora, la matura signora che ha incontrato, sul viale del tramonto, l’uomo che ha sempre sognato, che adora ardentemente, ed &egrave innamorata come un’adolescente del suo principe azzurro. Solo che il mio uomo esiste, &egrave stato mio come io sono stata sua, perdutamente. Per quanto mi riguarda, domani non finisce nulla, ma può essere un inizio. Come, ancora non so. Sono io che temo di perderti.’

‘Zora, ti amo. Sei bellissima, vorrei averti per me, solo per me, per sempre.’

‘Sarà così, se lo vorrai.’

‘E’ la prima volta che mi chiami così, bambino mio, &egrave bellissimo. Non speravo che tu mi dicessi che mi ami. Sono stordita, mi sembra di sognare, ho paura di svegliarmi da un momento all’altro. La cosa più bella che potesse darmi la vita. Palpito come quando sei in me, ho la sensazione di venir meno. Non lasciarmi.’

‘Non ti lascio, amore. Andiamo?’

‘Si, fammi ancora essere felice. Andiamo.’

***

Durante il viaggio di ritorno, Zora non riusciva a leggere, a distrarsi.

Era seduta vicino a Paolo, ma cercava di vincere l’impulso di accostarsi ancor più, di prendergli la mano, di sentirne il calore. Pensava ai problemi che doveva affrontare e superare. Nessuno, né all’Indeco né altrove doveva accorgersi della loro storia. Ne andava di mezzo la sua autorità, la sua dignità, lo comprendeva. Doveva anche decidere se farlo restare o meno nello staff tecnico a quotidiano contatto con lei. Poteva anche sistemarlo presso una consociata, ma non ne avrebbe sentito la voce, non lo avrebbe visto con la frequenza che l’attuale incarico le permetteva. C’era, poi, come, dove, quando poterlo incontrare privatamente. Di troncare tutto non ci pensava nemmeno. Aveva persino fantasticato di portarlo a vivere con lei, alla luce del sole, incurante di tutto e di tutti. Rifletté che erano fantasie. C’erano i figli, lui era fidanzato, lo aveva capito, stava coi genitori. La villetta di Fregane, quello poteva essere il loro nido. Era anche facile raggiungerla, dall’Indeco che stava all’EUR. Niente da fare, la famiglia del custode sarebbe venuta a conoscenza di tutto. Durante l’estate, inoltre, figli e amici erano ospiti abituali. Ricordò che verso il mare, sulla Colombo, erano state costruite delle graziose villette, circondate da giardino, realizzate in modo che discrezione e privacy fossero salvaguardate al massimo. Avrebbe dovuto prenderne una in fitto. Veramente, sapeva che le vendevano. Non era questione di soldi, ma qualcuno poteva venire a sapere dell’acquisto e chiedersene la ragione. La pulizia, il rifornimento del frigo, e ogni altra cosa sarebbero state affidate a una persona che non li avrebbe mai visto insieme. Comunque, era Paolo che avrebbe dovuto preoccuparsi di tutto ciò. Lei avrebbe visitato la villetta per conto proprio, Paolo avrebbe concluso la compravendita. A nome suo, la somma necessaria gliela avrebbe data lei. Non la sfiorò nemmeno per un istante il pensiero che il giovane, divenuto proprietario, potesse appropriarsi della casa, estrometterla e abbandonarla. Era troppo innamorata di Paolo, qualsiasi sacrificio pur di averlo ancora, pur non conoscendo quanto sarebbe durato l’amore che lui le aveva dichiarato.

Cominciò a parlarne con Paolo, gli disse cosa aveva in mente di fare.

‘Per me va quasi tutto bene.’

‘Perché quasi?’

‘Non puoi intestare a me un immobile che acquisti tu. Come lo spiegherei agli altri?’

‘A chi lo dovresti spiegare?’

‘Un immobile comporta registrazione, imposte da pagare, tutte cose che necessitano una domiciliazione, che fa, dico di inviare tutto a casa dei miei?’

‘No, alla casa che compreremo.’

‘Mi sembra un po’ troppo semplicistica la cosa. Forse &egrave meglio affittare un residence, di quelli molto riservati. Potrei perfino giustificarlo: non essere costretto ad attraversare Roma da casa mia all’Indeco.’

‘E il custode che mi vedrebbe entrare e uscire?’

‘Credo che ce ne siano anche con ingresso autonomo, ai quali si accede direttamente dalla rimessa o da un portoncino indipendente.’

‘Interessatene subito. Domani stesso, per favore.’

Paolo sorrise, promettendo un sollecito intervento. Ciò che desiderava di più era poter essere con lei. Come fino a quel mattino.

Restò in silenzio, guardando fuori del finestrino il biancore delle nuvole sorvolate dall’aereo, meditabondo. Avrebbe incontrato Diana! Cosa le avrebbe detto? Non voleva, certo, troncare con lei. Le voleva molto bene, la considerava la donna della sua vita. Stavano bene, insieme, a parte le solite scaramucce della coppia. C’era una profonda intesa, in tutto. Era una gran bella ragazza, sportiva, allegra, appassionata. Non era un problema di facile soluzione. Oppure tagliare ogni rapporto con Zora. Si sentiva affascinato da lei, ammaliato, preso da una attrazione irresistibile. In quei brevissimi giorni era sorta una sorta di dipendenza fisica e sentimentale. L’amava? Chissà, certamente la desiderava, la bramava, ne era perdutamente preso. Infatuazione passeggera di un giovane? Non era nel suo carattere. Gli sembrava di aver scoperto il paradiso dei sensi e non comprendeva perché sfuggirlo. Destreggiarsi tra le due donne lo riteneva non realizzabile, e ancor meno onesto. Cercava di analizzare le ragioni che lo legavano alle due donne, per stabilire quali prevalessero. Sul piano dell’avvenenza fisica non riusciva a stabilire una superiorità. Affettivamente guadagnava Diana, sessualmente anteponeva Zora. Pensava, però, che l’età avesse, in materia, un’influenza determinante.

Si avvicinava l’atterraggio.

‘Paolo, dobbiamo dividerci. Io sento che domani dovrò dedicarlo alla famiglia. Lunedì ho il Consiglio della Confindustria, purtroppo mi occuperà l’intera giornata. Due giorni senza nemmeno vederti. Né, credo, potrò raggiungerti sul cellulare. Non voglio destare sospetti o chiacchiere. Spero di resistere. Ci vedremo martedì, in ufficio.’

‘Vorrei profittarne per andare dal relatore e concludere la presentazione della tesi. Ormai manca poco.’

‘OK. Ma non dimenticarmi del tutto.’

‘Neppure per un istante.’

***

Diana l’aveva accolto come se tornasse da una lunghissima assenza. Non gli nascose che era stata molto preoccupata. Viaggi in luoghi spesso teatro di spiacevoli avvenimenti, Aerei che sono dirottati. Insomma, aveva pensato di tutto e di peggio.

Gli aveva proposto, invitante, di trascorrere l’indomani, domenica, nella piccola casetta che la sua famiglia aveva sull’altopiano di Arcinazzo. V’erano anche delle graziose trattorie campestri, dove avrebbero mangiato benissimo.

Un rifiuto non sarebbe stato giustificabile. Paolo, del resto, non aveva alcuna intenzione di rifiutare.

Diana era giovane, bella, tenera, appassionata. Gli giaceva in grembo, rannicchiata, completamente nuda, con l’arco delle graziose e sode natiche che premevano sul pube e il solco tepido che accoglieva il sesso turgido , una mano sul seno, l’altra nel tepore della seta che ornava il congiungersi delle gambe. S’era appisolata, felice.

Arco dei glutei come l’arco della falce. Ricordava di aver letto qualcosa, in proposito, gli sembrava di D’Annunzio. Falce meravigliosa cui, diceva realisticamente il poeta, mancava l’impugnatura, e quella l’aveva lui, prepotente, in attesa di adattarla alla falce, perché fatta apposta per questo. Il pensiero lo eccitò, sentì il desiderio di porre il manico in quel solco stimolante, cercò di farlo, senza svegliare la ragazza, aiutandosi cautamente con le dita, fino a percepire il calore del piccolo bocciolo che fremeva. Forse era solo impressione, era quello che avrebbe voluto. Lo inumidì con la saliva, spinse piano. Diana ebbe un leggero movimento, come a mettersi più comoda. Intanto, lui aveva cominciato a carezzarla tra le gambe, sentendo aumentare il turgore delle incantevoli labbra che custodivano lo scrigno del piacere. Spingeva sempre più, con dolce insistenza, accompagnato e favorito dal lento movimento del bacino di Diana. Lei gli prese il sesso e lo guidò più in basso, facendosi penetrare, senza interrompere il dondolio sempre più frenetico, fin quando non raggiunse un godimento entusiasta. Voltò il capo tentando di raggiungere con la lingua le labbra di lui, si girò del tutto, stringendolo convulsamente, cercandolo ancora, avidamente.

***

Avevano deciso di andare a trascorrere la sera nella villa di Fregene. Era disabitata, i custodi stavano in ferie. Non li avrebbe disturbati nessuno. Doveva raccontargli tante cose, e voleva recuperare il tempo della, per lei, troppo lunga separazione. Avevano cenato in un piccolo ristorante, lungo la strada. Erano nel grande letto. Ora era Zora a giacergli in grembo, come Diana. Non c’era differenza tra le’ falci. Zora aveva accolto con maggior ardore la mano che la frugava tra le gambe. Era immobile, ma non dormiva. Anche questa volta l’eccitazione indusse a esplorare quel solco magico. Identica cauta tattica. L’estremità del sesso premeva insistente. Zora restava immobile, esitante sul come comportarsi. Non aveva mai avuto un rapporto del genere. Non riusciva a rendersi conto se lo desiderasse o meno. Non sapeva bene cosa avrebbe provato. La mano di Paolo l’infiammava, sentiva palpitare piacevolmente il suo grembo, e le contrazioni trasmettersi allo sfintere, spinse il bacino verso di lui, avvertì un senso di piacevole abbandono, lo sentì entrare lentamente, profondamente. Quel movimento continuo e il titillamento della mano la portarono a un godimento insuperabile, un orgasmo che prolungò col suo ondeggiare voluttuoso. Un’esperienza sconosciuta, che non avrebbe mai immaginato potesse essere così piacevole. Lo strinse in sé, per prolungare il delizioso possesso.

Anche per lui era la prima volta, e non pensava la cosa così semplice e incantevole.

***

Paolo era tormentato dall’indecisione. Comprendeva di essere dominato essenzialmente dai sensi, dalla sessualità. La ragione non riusciva a farsi strada. Non era, però, solamente sesso, perché, in tal caso, una delle due donne gli sarebbe stata più che sufficiente. La tenerezza di Diana, i suoi languidi abbandoni, lo ammaliavano. L’ardore di Zora, quel suo concedersi e pretendere con impeto, quel voler essere dominata e nel contempo possedere lo inebriavano. Era in preda a quello che avrebbe potuto definire un caotico equilibrio. Comunque, una situazione del genere non poteva perpetuarsi.

Zora gli aveva consegnato, con circospezione, degli opuscoli che descrivevano graziose ed eleganti villette nel tranquillo e appartato verde della periferia, verso il mare. Gli disse che il residence non sarebbe stato adatto, per loro. Lo informò che desiderava fornirgli un auto, un po’ più grande dell’utilitaria che aveva attualmente. Non poteva assegnargliene una aziendale per non turbare le politiche della società, avrebbe provveduto diversamente. L’avrebbe acquistata, in contanti, a nome di Paolo.

Lui rifiutò decisamente, e sollevò ancora eccezioni sul farsi intestare la villetta. Zora lo guardò sorridendo, con espressione adorante, ma non gli rispose.

La stessa di quando Paolo, sorpreso, quasi indignato, la informò sugli stratosferici prezzi che gli avevano chiesto per una delle villette, quella che lui riteneva, eventualmente, la più discreta e adatta.

‘Andremo a vederla domani, durante l’intervallo. La tua auto &egrave nella rimessa aziendale. Queste sono le chiavi. E’ tutto in regola. Non ho acquistato quella che desideravo per non sollevare inopportune chiacchiere qui, in società, &egrave solo una sportiva di media cilindrata, spero ti piaccia.’

La guardò sconcertato.

‘Cosa dirò ai miei?’

‘Dirai che &egrave dell’azienda, e spiegherai che era destinata a un dirigente che si &egrave dimesso.’

‘Si accorgeranno della bugia se leggeranno il libretto di circolazione.’

‘E tu, non farglielo trovare, portalo sempre con te. Ricordati domani, nell’intervallo. Dovremo, poi, pensare all’arredamento e a tutto il resto. Adesso vado all’Ambasciata Saudiana. A domani.’

Si alzò, gli sorrise, sognate, uscì.’

Diana era andata in Facoltà, a San Pietro in Vincoli, per informarsi sugli esami che avrebbe potuto fare subito. Aveva brillantemente superato tutti quelli del primo anno e intendeva ‘sbiennare’ nei termini. Stava tornando verso Via Cavour, scendendo lentamente le scale. Sentì trillare il telefonino. Era Paolo che la chiamava.

‘Diana, dove sei?’

‘Sto uscendo dalla facoltà e torno a casa. Prendo l’autobus. Perché?’

‘Che ne diresti di andare a Fiumicino?’

‘A fare che?’

‘Tanto per cominciare, un pranzetto in quel ristorante che sta sulla spiaggia, che ha una specie di rotonda interna e delle tranquille camere con i balconi che guardano sul mare. Ha un nome spagnolo, se non sbaglio.’

‘Non sei in ufficio?’

‘Si, ma posso uscire ed essere libero fino a domani.’

‘Allora?’

‘Passo a prenderti, avvisa i tuoi.’

‘Va bene, ti aspetto a Tor dei Conti. Non farmi attendere troppo. Ciao.’

Vedersi con Paolo era sempre bellissimo. Si fermò dinanzi alla vetrina d’un negozio per darsi una guardatina, per controllare se era in ordine. Arrivò presto al luogo dell’appuntamento. Telefonò alla mamma informandola che sarebbe andata a pranzo con Paolo, si mise a scorrere il fascicolo che aveva ritirato in segreteria. Dopo non molto si fermò accanto a lei una fiammante coupé blu elettrico. Doveva essere il solito figlio di papà, importuno e stupido. Si aprì lo sportello.

‘Diana, vieni?’

Era Paolo.

Lo guardò sbalordita, si avvicinò.

‘E tu cosa ci fai in questa macchina?’

‘Sali, ti dirò tutto, o quasi.’

Aveva un’aria sorniona.

Diana salì, si protese verso di lui baciandolo, chiuse lo sportello, indossò la cintura, guardò attentamente l’auto, il cruscotto.

‘Questa &egrave nuovissima, chi te l’ha prestata?’

‘E’ dell’Indeco, ma per ora posso utilizzarla io.’

Le raccontò la storiella del dirigente che si era dimesso.

‘Sta attento a non graffiarla. Credo che un ritocco del carrozziere, su questa macchina, costi più del tuo stipendio.’

‘Sarò attentissimo, non preoccuparti. Tu, piuttosto, cosa hai fatto?’

‘Ho ritirato l’elenco degli obbligatori e dei facoltativi che devo sostenere per superare questo difficile biennio.’

Si trovavano alla Piramide di Caio Cestio.

Il traffico era molto intenso, ma l’auto sembrava costruita proprio per tirarsi fuori agevolmente da quella confusione, era veramente comoda, silenziosa. Paolo accese la musica e furono avvolti da una vecchia melodia dell’immediato dopoguerra.

Diana lo guardò sorridendo, sentimentale.

‘E’ romantico tutto questo.’

Le mise una mano sulla gamba, stringendola teneramente.

Diana era dietro i vetri del balcone, guardando le onde che lambivano la rena con la loro candida schiuma. Nuda, i capelli le giungevano fino ai fianchi perfetti. Paolo, sul letto, la guardava compiaciuto, con un lieve sorriso sulle labbra. Era fantastico fare l’amore con lei. Gli tornò alla memoria Olga, la procace olandesina conosciuta durante il periodo di addestramento trascorso alla Shell, che girava per casa sempre senza nulla addosso. Era una giovane tutoress, con particolare tendenza ad approfondire la conoscenza dei giovani frequentatori dei corsi che si svolgevano continuamente nei laboratori della grande società. Venivano da tutte le parti del mondo, di ogni razza e colore. Era chiamata the naked fairy, per l’abitudine di non chiudere la porta della doccia, facendo sfoggio dei suoi lunghi capelli color fiamma e del boschetto splendente del pube. Per i molti che ne avevano apprezzato l’ardente e generosa esuberanza era golden bum.

La ricordava bene. Pensò, però, che se il fondoschiena di Olga meritava il titolo ‘golden’, a Diana spettava ‘diamond’. No, quello andava bene per Zora. Diana era certamente ‘the best’.

Si alzò senza fare il minimo rumore, scalzo andò alle spalle della ragazza, la cinse con le braccia, si riempì le mani con le turgide coppe del seno, la strinse a lui. Si, era ‘the best’.

Era da qualche giorno che Zora appariva più allegra che mai. Felice.

In un primo momento s’era preoccupata, ne era rimasta turbata. Se quello che credeva fosse stato vero, sorgevano enormi problemi. Certe situazioni non si possono nascondere a lungo. Aveva superato i quarant’anni, ma non era l’età che la impensieriva. Sapeva di donne che erano diventate madri in età ben più avanzata. Poi si sentì improvvisamente giovane. Le sembrava di essere tornata indietro nel tempo. Questa sua maternità la rendeva più felice delle precedenti. Un segno del destino. Sentiva in lei la vita che le aveva donato Paolo. Un figlio di Paolo! Le veniva voglia di saltare per la gioia, avrebbe voluto gridarlo a tutti. Forse era un bene, Paolo sarebbe uscito dall’oscurità, il suo amore avrebbe raggiunto il massimo del trionfo. I suoi figli avrebbero accettato con entusiasmo il nuovo fratellino. Ne era certa. Li conosceva bene. Qualche sorriso sarcastico e compassionevole non sarebbe mancato, ma non se ne curava.

Giorni di gioiosa attesa per la conferma.

Non voleva fare ancora nessun test.

Paolo si domandava perché Zora, ogni tanto, gli prendesse la mano e la portava sul suo ventre, come a volergli far sentire qualcosa.

Era più espansiva che mai, e nel contempo tenerissima.

Il sogno, però, era presto svanito.

Il ginecologo le spiegò che erano manifestazioni normali, del tutto slegate ad eventuali concepimenti.

Ne rimase amareggiata, poi il suo intimo fatalismo la portò a concludere: così &egrave scritto.

*** *** ***

Il tempo trascorre in fretta.

Gli avvenimenti s’erano succeduti senza scosse, anche se non erano mancate alcune difficoltà, che divenivano, anzi, sempre più delicate e di non facile risoluzione.

L’ingegner Paolo Molino guidava lentamente la sua elegante auto, assegnatagli dall’azienda, e ripercorreva il cammino di quegli anni.

Aveva trascorso un’incantevole notte con Diana.

Zora era stata inaspettatamente e improvvisamente costretta a partire personalmente per Abadan, con l’aereo dello Sceicco proprietario di pozzi e raffinerie.

Lui aveva accompagnato la sua deliziosa fidanzata, che lo ammaliava sempre più, all’ingresso del palazzo di vetro, sede della più impostante holding d’Italia. Diana si era brillantemente laureata, non gli era stato difficile presentarla ad alcuni amici che lo apprezzavano moltissimo per le sue indubbie capacità professionali.

Aveva fatto molta strada, Paolo, riuscendo a farsi accettare e stimare dai più autorevoli manager dell’Indeco, senza sollevare le invidie che solitamente provocano certe rapide carriere. Riteneva che nessuno avesse scoperto la sua relazione con Zora. Del resto, lui era disponibilissimo con tutti, pronto ad ascoltare e a dare il proprio contributo, senza risparmiarsi. Preparazione, prontezza, zelo misurato, serenità, equilibrio, generosità avevano fatto sì che l’incarico di coordinatore tecnico e l’ingresso nel consiglio direttivo fossero stati sollecitati a Zora e non proposti da lei.

La villa dove lui e Zora si rifugiavano non appena possibile, era veramente un paradiso, luogo di delizia, come lei l’aveva voluto chiamare: ‘Eden’. E il loro segreto durava magnificamente. O gli altri lo facevano credere. La donna, che sembrava ringiovanire giorno per giorno, diceva che così era scritto, loro ‘dovevano’ incontrarsi, e lei doveva recuperare il tempo perduto.

Quella specie di bigamia, però, gli pesava, lo faceva sentire inquieto, lo metteva a disagio. Cercava di distrarsi soprattutto intensificando il lavoro. Zora gli aveva detto che pensava di intestargli alcune quote del capitale e di farlo entrare nel consiglio d’amministrazione. Non voleva ascoltare obiezioni. Lei era l’unica proprietaria e, salva la parte che avrebbe giustamente destinata ai figli, poteva fare ciò che più le piaceva del proprio patrimonio. Del resto, Paolo li aveva conosciuti, i suoi ragazzi e loro lo avevano preso in simpatia, confidandosi con lui, interpellandolo per mille piccoli dubbi, accogliendo il giovane collaboratore della madre come essere che si collocava fra il padre e il fratello maggiore. Mario frequentava medicina, Marta aveva preferito architettura. Zora aveva taciuto, però, che tutto era già stato fatto e che la cosa era al termine del percorso burocratico.

Era arrivato nel suo ampio e luminoso studio, s’era messo ad esaminare le cartelline che gli avevano fatto trovare sul tavolo.

Senza bussare, stranamente, entrò improvvisamente Peretti, il vice presidente, un uomo intorno ai settanta, che godeva la fiducia di Zora e di tutti. Pallidissimo, con gli occhi stravolti.

‘Paolo, ho chiamato Abadan, dopo molto mi ha risposto il centralino, Mi ha detto che non poteva collegarmi con nessuno, c’&egrave stato un grave incidente, parte della raffineria &egrave in fiamme. I maggiori tecnici, con lo stesso Sceicco e alcuni visitatori stranieri, erano andati proprio dove &egrave avvenuta la deflagrazione. Non riesco ad avere notizie di Zora. Cosa facciamo?’

Paolo sobbalzò, cercò di dominarsi.

‘Ha provato sul satellitare dell’ingegner Monti?’

‘Nessuna risposta.’

‘C’&egrave del personale italiano, ad Abadan, nella raffineria della nostra compagnia nazionale. Conosco il direttore. Lo chiamo subito.’

Riuscì ad ottener subito il collegamento.

L’ingegnere Colarossi, disse che erano in allarme gravissimo, per tema che le fiamme giungessero fino a loro. Era una cosa infernale. Sì, aveva incontrato la sera precedente Zora Monti. Sapeva che questa mattina sarebbe stata proprio in quella raffineria. Cercava subito di avere notizie, lo avrebbe richiamato non appena possibile.’

Peretti aveva seguito la conversazione attraverso il ‘viva voce’.

Chiamarono la sede di Roma della compagnia petrolifera arabo-iraniana proprietaria della raffineria di Abadan.

Avevano saputo dello scoppio e dell’incendio, ma ancora nessuna notizia dello Sceicco. Erano in costante contatto con Abadan. Il più grave incidente del mondo petrolifero iraniano. Il loro district manager Italia era partito con l’ingegnere Monti. No, nessuna notizia. Dissero di attendere, Abadan era in linea. Si sentì una conversazione in arabo. Dopo poco, la voce dell’assistente riprese a parlare. Tremava.

‘Nessuna notizia precisa, amico, ma ci hanno detto che non nutrono molte speranze sulla sorte del gruppo che stava dove ora divampano le fiamme. Sembra che abbiano trovato dei corpi orrendamente ustionati, o scaraventati lontano dall’esplosione. Mi dispiace, vi informerò appena avrò dettagli. Salàm.’

Il telefono trillò di nuovo. Colarossi disse che mancava all’appello tutto il personale del settore devastato dove era in corso un sopralluogo dello staff tecnico guidato dallo Sceicco. Se Zora Monti era con loro, proseguì, mancava anche lei.

Le cattive notizie volano, la stanza s’era riempita di gente e molti impiegati erano fuori, in anticamera, sconvolti.

Peretti aveva un aspetto preoccupante. Guardò Paolo.

‘Senta, caro Molino, io sto molto male, lei lo sa, e non sarei di nessun aiuto, posto che riuscissi a sopravvivere al viaggio. Credo che lei e Lolli dobbiate partire subito. Provvedo a noleggiare un aereo che possa raggiungere Abadan velocemente e senza scali intermedi.’

*** *** ***

Il ritratto di Zora Monti campeggiava nella sala delle riunioni, dove si svolgeva il consiglio d’amministrazione al quale erano stati tutti invitati a esser presenti. Era dietro la scrivania, sorridente, come se volesse parlare, ricordare che, in ogni caso, sarebbe stata sempre presente.

Paolo ne aveva riportato in Italia quelle che le autorità iraniane asserivano essere le sue spoglie. A lui sembrava aver riconosciuto il bracciale dell’orologio che portava al polso.

Peretti, commosso, interrompendosi spesso con un nodo alla gola, ne aveva ricordato la figura. Era stato testimone alle nozze di Nora con Mariano. Ora si sentiva vecchio e stanco come non mai. L’Indeco seguitava a vivere, sempre sotto il nome della famiglia Monti, Mario e Marta avevano la maggioranza del capitale, e una volta completati gli studi sarebbero entrati a farne parte operativa. Lui, Peretti, si rendeva conto di non essere in grado di assumere le redini della società. Ringraziava tutti per la fiducia e accettava disciplinatamente la presidenza ma solo attribuendole un contenuto onorario, di rappresentanza. La sua esperienza era a disposizione dell’Indeco, certamente, ma si univa entusiasticamente agli altri componenti del consiglio nell’affidarne la guida nelle capaci e salde mani del giovane amministratore delegato, l’ingegnere Paolo Molino.

Il commosso silenzio fu interrotto da un caloroso applauso di tutti i presenti che s’erano alzati in piedi, rivolti al ritratto di Zora.

Mario e Marta andarono ad abbracciare affettuosamente Paolo. Molti avevano le lacrime agli occhi.

Paolo era con la testa bassa, cereo in volto. Deglutì più volte. Fece segno di sedere.

‘Non posso fare altro che ringraziarvi. Sono profondamente turbato. In attesa che Mario e Marta possano occupare i posti che loro competono, in questa società, metterò tutte le mie forze per tentare di seguire la strada tracciata dall’indimenticabile nostra presidente, e prego tutti di sostenermi con la loro preziosa e determinante opera. Grazie.’

Era trascorso poco più d’un mese dalla tragedia di Abadan.

I genitori di Paolo erano riusciti a convincerlo che dovevano brindare al suo nuovo e importante incarico. Era sicuramente il più giovane Amministratore Delegato d’una società così importante, a parte quelli che vi divenivano per merito dinastico.

Nell’elegante saletta riservata del grande albergo, dalla quale si dominava tutta Roma, erano riunite le due famiglie, quella di Paolo e quella di Diana. Vi era anche Nadia, la sorella di Diana, che studiava chimica industriale. Al momento dell’aperitivo, Diana aveva consegnato al fidanzato un astuccio, con una elegante penna stilografica, opera della più costosa griffe del settore. Paolo l’aveva baciata teneramente e la teneva stretta a sé, tenendola alla vita.

Tutto era andato benissimo. Solite chiacchiere di circostanza. Richiesta di notizie sull’Indeco, risposte molto controllate da parte di Paolo. Il padre di Diana domandò, con aria indifferente, cosa desiderasse il giovane Amministratore dal futuro.

Paolo prese la mano di Diana e la tenne nella sua, sulla tavola, visibilmente.

‘Vorrei prima dire qualcosa sul presente. L’affetto materno dell’ingegnere Monti era molto maggiore di quanto immaginassi. Ha destinato a me un quinto del capitale societario, trattandomi, quindi, come un figlio. Ma non basta. Questa mattina sono andato a visitare, su richiesta dell’esecutore testamentario, una splendida villetta, anzi una villa, con tanto di vasto giardino, immersa nel verde che unisce Roma al mare. E’ un ulteriore legato a mio favore. Ho già disposto che gli effetti trovati nella villa siano messi a disposizione di Mario e Marta. Il presente, quindi, era per me imprevedibile, impensabile. Devo fare del tutto per rendermene degno.

Il compenso annuale per l’Amministratore Delegato &egrave di tutto rispetto, uno dei più alti per posizioni analoghe. E ciò oltre la remunerazione della quota capitale. Una fortuna mai sognata, nata, purtroppo, da una tragedia piombata sulla famiglia, sulla società, come una folgore.

Ora passiamo al futuro.

Desidero andare ad abitare in quella villa con mia moglie, con Diana, alla quale chiedo, ora e dinanzi a voi tutti, se vuole sposarmi.’

Diana sobbalzò, guardò Paolo sbalordita, incredula. Gli occhi si empirono di lacrime, non seppe fare altro che portare alle labbra la mano del fidanzato e baciarla lungamente.

Paolo proseguì, con freddezza.

‘Intendo sposarmi entro il più breve tempo possibile, sempre che Diana sia d’accordo. E fra un anno, vorrei che fossimo qui riuniti, con la nostra bambina, Aurora, il nome dell’ingegnere Monti, in italiano, che sarà anche quello della villa.’

Diana non riusciva a trattenere le lacrime, lo abbracciò teneramente.

Paolo la strinse, con le labbra serrate, lo sguardo, fiso, vagava sul panorama della città.

*** *** **

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