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Racconti di Dominazione

Cambio della guardia (Loredana)

By 9 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

L’incubo, per Roberto ed i suoi colleghi era cominciato circa un anno prima, quando il loro vecchio capo era andato in pensione.
Piccolo rinfresco, qualche frase di circostanza e, infine, la consegna di un tv color lcd, comprato con una colletta dei circa cinquanta dipendenti del reparto.
Poi era cominciato il ‘toto nuovo capo’, protrattosi per circa una settimana.
Alla fine, tra i tre o quattro papabili, era spuntato un outsider inaspettato.
Si era addirittura scomodato l’Amministratore Delegato per presentare questa persona.
Roberto ricordava esattamente le poche parole che aveva pronunciato quel primo giorno, davanti a tutti.
‘buongiorno, sono Loredana Simoncini, il vostro nuovo dirigente, sono sicura che insieme lavoreremo benissimo ed otterremo grandi risultati.’
Le reazioni, alla scoperta che il nuovo capo era una donna giovane ed attraente era state molto variegate.
I commenti maschili andavano dal ‘è una gran bella donna’ al ‘è un pezzo di gnocca terrificante, me la scoperei di corsa’, passando per tutte le sfaccettature possibili delle espressioni usate dal sesso forte quando si trova davanti ad una femmina ben equipaggiata.
Quelli femminili, ovviamente, erano di tono molto diverso: ‘ha le tette troppo grandi, sicuramente se l’è rifatte’, ‘ha gli occhi sporgenti’, ‘i fianchi sono troppo stretti’, ‘le spalle sono troppo larghe per una donna’, ‘è troppo magra’ ecc…
Insomma tutto il repertorio che le donne sfoggiano quando si sentono messe a confronto con qualcuna messa meglio di loro.
Loredana aveva un po’ più di quaranta anni ma conservava un fisico invidiabilmente snello ed asciutto.
Ad esseri sinceri le sue tette erano un po’ grandi, rispetto al resto, e potevano anche aver conosciuto l’intervento del bisturi, ma, a detta di tutti, erano due gran belle tette.
Proprio a voler essere pignoli, aveva i fianchi un po’ stretti rispetto alle spalle, ma il suo culetto, era comunque oggetto di particolare apprezzamento.
Era alta, snella, con due gambe lunghe e ben fatte. La lunga chioma scura che incorniciava il suo viso e le scendeva sulle spalle e per la schiena, faceva il resto.
Se poi aggiungiamo che vestiva sempre elegante, con abiti attillati e non disdegnava le minigonne, è facile immaginare il piacere di tutti i maschietti quando, i primi giorni, la vedevano apparire nel corridoio.
Oltretutto pensavano che una donna giovane, sarebbe stata più indulgente con loro, piuttosto che con le colleghe donne.
La componente femminile del personale, invece, temeva esattamente l’opposto.
In realtà si sbagliavano, Loredana Simoncini, il loro nuovo dirigente, si sarebbe comportata in maniera assolutamente imparziale con tutti: sarebbe stata una carogna, una lurida bastarda, con tutti i suoi sottoposti, a prescindere dal sesso, dall’età o dall’aspetto fisico.
Ci vollero solo un paio di settimane per fugare ogni dubbio.
Quelle che a Napoli vengono chiamate ‘cazziate’, erano all’ordine del giorno, nei confronti di chiunque, in qualsiasi luogo: nella sua stanza, per il corridoio, perfino al bar.
Dopo un mese, il morale di tutti quanti, era finito sotto i tacchi e, per consolarsi, cominciarono a coniare soprannomi al nuovo capo.
Quando quella mattina Roberto sentì al telefono la voce di Laura, la segretaria della Simoncini che gli diceva:
‘De Biasi, ti vuole la iena, e subito’
pensò due cose, che quello era uno dei soprannomi più gentili che fossero stati finora pensati per lei e, soprattutto, che gli si preparava una mattinata di merda.
La sfuriata fu violentissima, e, nonostante la porta chiusa, era sicuro che l’avesse sentita mezzo ufficio.
Un assalto, violento ed ingiustificato, come al solito, per di più per una questione di poco conto.
Tornò nella sua stanza incazzato nero e frustrato.
Dopo una mezzora uscì per andare a fare delle fotocopie.
Lo stanzino delle fotocopiatrici era vicino alla sua stanza. Stava per entrare quando scoprì che quella belva feroce era proprio lì, intenta a fotocopiare qualcosa.
Sinceramente per quella mattina ne aveva abbastanza e, visto che gli voltava le spalle, se ne tornò quatto quatto nella sua stanza, senza farsi notare.
Ripassò dopo una decina di minuti e, proprio quando aveva finito, gli cadde un foglio dietro la fotocopiatrice. Quando lo raccolse si trovò in mano anche un altro documento, sicuramente caduto a qualcun altro, prima di lui.
Era una lettera, sulla carta intestata di una grossa società, concorrente di quella in cui lavorava, inviata proprio alla Dott.ssa Simoncini.
Ricollegò la presenza della donna lì, poco prima e realizzò anche che era strano che lei andasse di persona a fare fotocopie, in quanto mandava sempre Laura, la segretaria.
Questo fatto curioso, lo convinse a leggere con attenzione la lettera.
Mesi prima, questa società li aveva battuti, per pochissimo, ed in maniera sospetta, in un appalto molto importante, al punto che c’era stata una discreta maretta nel C.d.A.
Quel documento era la prova inequivocabile che la Simoncini aveva passato informazioni al ‘nemico’ e, per questo, aveva beccato ben 500.000 ‘.
Il motivo per cui era andata di persona a farsi le copie, era chiarissimo, come era altrettanto chiaro che quella lettera era una vera e propria bomba.
Istintivamente Roberto la prese e tornò nella sua stanza.
Una mezzora dopo vide che la donna era di nuovo nello stanzino delle fotocopie e stava frugando ovunque, in preda ad una evidente agitazione.
Una lampadina si accese nel cervello di Roberto: avrebbe potuto usare quella lettera per migliorare la situazione, sua e degli altri.
Era un’azione spregevole, ma fatta a fin di bene.
La mattina dopo portò in ufficio, dentro una borsa, il suo piccolo netbook, che usava quando era fuori città.
Vicino all’ufficio c’era un albergo che aveva la rete wireless per i clienti senza nessuna protezione, avrebbe così potuto mandare un messaggio alla stronza senza che questa potesse risalire all’autore.

brutta bastarda, carogna infame, hai finito di rovinarci la vita, da questo momento dovrai essere il capo più gentile ed accondiscendente che esista, altrimenti ‘

la persona che ha trovato la tua lettera (v. allegato)

Allegò al breve messaggio una copia della lettera che aveva passato allo scanner, per toglierle ogni dubbio e lo inviò.
Dopo un paio di settimane, l’argomento del giorno era cosa fosse mai capitato alla Simoncini, che sembrava completamente trasformata in meglio.
C’era chi diceva che forse prima era malata di ulcera ed aveva degli sbalzi d’umore quando le venivano i dolori e magari adesso era miracolosamente guarita.
Qualcun altro sosteneva che avesse trovato finalmente uno che se la ingroppava per bene.
Roberto lasciava parlare i colleghi, appoggiando ora un’ipotesi, ora un’altra, ma non era affatto disposto a svelare il suo segreto.
Un giorno pensò che, oltre ad aver rimesso le cose a posto, avrebbe potuto levarsi qualche piccola soddisfazione, per ripagarsi di tutto quello che gli aveva fatto passare fino ad ora.
Il giorno dopo riportò in ufficio il netbook.

Cara Loredana,
credo che, ormai, possiamo darci del tu.
Ho visto che in questi ultimi giorni hai rigato dritto, d’altra parte la situazione e del tipo che, se tu fossi un uomo, si potrebbe dire che ti tengo per le palle.
Tu non hai la minima idea della mia identità, potrei essere chiunque tra i cinquanta impiegati che lavorano qui. Potrei essere un uomo, una donna, potrei essere giovane o vecchio/a.
Tu non lo scoprirai mai.
Ho pensato che potrei giocare un po’ con te, chiedendoti ogni tanto di fare qualcosa, così, tanto per divertirmi.
Questo significa che riceverai un mio messaggio dove ti dico di fare una cosa e, se non la esegui ‘ la lettera parte e ‘
‘ addio posto, addio bello stipendio e forse la bella Loredana finisce pure in galera.
Ecco il mio primo ordine: ora vai in bagno, ti togli il reggiseno e per tutta la settimana non te lo rimetti più.
Naturalmente voglio che tu vada parecchio in giro per l’ufficio, in questi giorni, perché devi farti vedere bene da tutti e da tutte.
Voglio vederti diverse volte, durante il giorno, percorrere i corridoi, impettita e con passo veloce, con quelle belle tettone che danzano libere dentro la camicetta.
E’ inutile che ti ricordi cosa succederà se non ubbidisci.

Era un dispetto piccolo e meschino, pensò Roberto, però, il fatto di poter umiliare a piacimento quella stronza, lo divertiva, e poi doveva ammettere che era molto attratto da quella donna, gli piaceva molto fisicamente e non sarebbe stato affatto un brutto spettacolo.
Naturalmente si parlava sempre più di lei, ora che alla sua improvvisa e provvidenziale conversione, si era aggiunta questa nuova strana abitudine.
Stava ubbidendo bene al suo ordine e gli capitava di incontrarla spesso per il corridoio. Aveva un’aria triste e furiosa allo stesso tempo, mentre camminava a passo svelto, con i suoi grandi seni che si muovevano ritmicamente. Sicuramente non era contenta dello spettacolo che stava dando.
Il terzo giorno Roberto si accorse che lei aveva messo un gilè sopra la camicia. Fece passare un’ora, poi le mandò un messaggio.

stai facendo la furba.
Togli immediatamente il gilè.
Per punizione, gli ultimi due giorni, domani e dopodomani, dovrai indossare una camicetta trasparente.

Ora l’ufficio era tutto un mormorio e, al suo passaggio, molti si fermavano a guardarla senza alcun timore.
Lei, in compenso, sembrava sempre più abbattuta, aveva l’espressione pallida e disperata di una che sta per scoppiare a piangere da un momento all’altro.
Il lunedì successivo tornò vestita normalmente, con il reggiseno ed una camicia assolutamente non trasparente. Sembrava aver recuperato un po’ di colore in viso, anche se la grinta dei primi giorni era totalmente sparita.
Roberto stava già pensando ad una nuova punizione, quando, con grande sorpresa, si accorse che era stata lei ad inviargli un messaggio.

chiunque tu sia, non puoi continuare così.
Dimmi cosa vuoi. Soldi? Una promozione?
Cercherò di farti avere qualsiasi cosa mi chiederai, ma lasciami in pace.
Ti prego.

Roberto sorrise. Stava perdendo il controllo, la stronza.
Ora, addirittura, diceva ‘ti prego’, lei che aveva sempre calpestato tutti, senza nessun riguardo.
Se la sarebbe lavorata per bene.

Carissima Loredana,
non mi interessano i soldi, né tanto meno una promozione.
Voglio solo giocare un poco con te.
E poi sono una persona che ama fare del bene al prossimo: la vista delle tue belle tettone ha allietato decine di maschietti tristi e frustrati.
Ora sto studiando qualche altro giochino. Ti farò sapere quando sarà il momento.
Solo una cosa ti deve preoccupare: che io mi stufi di giocare, perché allora partirebbe la lettera e …

La lasciò tranquilla qualche giorno, poi gli venne un’idea.
La prima volta aveva fatto divertire i maschietti, che avevano passato ore a guardare le sue tette andare in giro, avanti e indietro per il corridoio.
Questa volta avrebbe fatto felici le donne dell’ufficio, che non vedevano certo di buon occhio quella persona molto più dotata fisicamente di loro e sempre elegante, truccata, in tiro.

Mia splendida Loredana,
ho un altro giochino da farti fare.
Vai nella stanza delle fotocopiatrici; per terra, dietro una delle macchine, proprio dove ti è caduta la lettera che ha dato inizio a tutto, troverai un borsone con dentro una tuta ed un paio di scarpe da ginnastica.
Questa sera, prima di uscire, ti dovrai cambiare. Dovrai metterti la tuta e le scarpe, solo queste cose, lasciando tutti i tuoi vestiti in ufficio. Per tutti intendo anche mutandine reggiseno e calze.
La mattina dopo tornerai con la tuta indosso e, appena arrivata, ti rimetterai i vestiti di ieri.
Fino a mio nuovo ordine, dovrai stare in ufficio sempre con gli stessi vestiti, inclusa la biancheria intima. Ti faccio anche espresso divieto di truccarti, di pettinarti, di lavarti i capelli e di usare profumi, deodoranti o altre sostanze che possano mascherare la puzza che emanerai con il passare dei giorni.
Naturalmente, come l’altra volta, dovrai cercare di ‘socializzare’ con noi, in modo che io possa controllare, annusandoti quando mi passi vicino, se stai eseguendo tutto per bene.
Non sapendo chi io sia realmente, dovrai farti annusare da tutti.
Naturalmente, se ti viene prurito e ti verrà sicuramente, sei autorizzata a grattarti.

Ormai in ufficio si parlava solo delle stranezze della Simoncini. Era una settimana che non si cambiava, i capelli erano una massa incolta ed arruffata e cominciava ed emanare un olezzo poco piacevole.
Un giorno a pranzo qualcuno per sbaglio le versò della salsa sulla camicia, e lei, imperterrita, continuò ad andare in giro piena di patacche.
Roberto la osservava spesso, mentre camminava con aria triste per il corridoio.
Nonostante la sporcizia e la trascuratezza di quegli ultimi giorni, era sempre una gran bella donna.
Fisicamente gli piaceva moltissimo.
I capelli scuri, raccolti in una specie di grande treccia, le arrivavano fin quasi sul sedere.
Veramente un gran bel culo, pensò. E non è vero che è troppo piccolo.
Anche il viso, nonostante l’espressione triste e l’assenza di trucco, lo trovava molto bello, con quel naso delicato, la bocca piccola ma carnosa e gli occhi scuri e vivaci.
Alla fine della seconda settimana sembrava più una barbona che una manager in carriera.
Decise di insistere per una ulteriore terza settimana.
Ora puzzava veramente da fare schifo e si accorse che si grattava sempre più spesso in testa ed addosso.
Il terzo venerdì, finalmente le mandò un messaggio.

mia odorosissima principessa,
ho il piacere di comunicarti che il giochino è finito.
Questa sera puoi tornare a casa con i tuoi vestiti e potrai lavarti ed profumarti a piacimento.
Da lunedì puoi vestirti come vuoi ‘
… fino a che non mi viene in mente qualche altra cosa

Il lunedì successivo, forse per reazione, era venuta elegantissima, con un vestito turchese, corto e scollato, che metteva in evidenza il suo corpo.
Si era truccata con molta cura ed era anche stata dal parrucchiere che aveva un po’ ordinato la gran massa dei suoi capelli.
Roberto da tempo ormai aveva un chiodo fisso in testa.
In quelle ultime settimane, nonostante lei si fosse mostrata nelle condizioni peggiori, aveva sentito crescere in lui un desiderio sempre meno controllabile.
Avrebbe voluto toglierle quel vestito sudicio e pieno di macchie e poi toccare liberamente le sue tette.
Se la sarebbe scopata così, sporca e puzzolente, senza trucco e spettinata.
In ogni caso sapeva benissimo che prima o poi sarebbe arrivato a prenderla e lei non si sarebbe potuta opporre.
Avrebbe voluto aspettare ancora un po’, era un piano che non aveva ancora messo a punto nei minimi dettagli, ma quella mattina, l’immagine di lei che camminava sculettando leggermente con addosso quel vestito, non lo abbandonava e decise di forzare i tempi.
Lei quel giorno si sarebbe trattenuta in ufficio fino a tardi.
Si attardò anche lui in modo da essere sicuro che dentro fossero rimasti solo lei e la segretaria, poi uscì.
Si mise in macchina ed apri il netbook.

Cara Loredana,
avrei voluto darti qualche giorno di riposo, ma la splendida vista del tuo corpo dentro il vestito che hai indossato oggi, mi ha fatto cambiare idea.
Questa sera farai la mia conoscenza.
Ho pensato che non è prudente che tu mi veda in faccia, quindi, nello stesso posto dove hai trovato la tuta, troverai un cappuccio di stoffa nera.
Ora hai cinque minuti per mandare a casa la segretaria.
Ti do altri cinque minuti per sdraiarti sulla tua scrivania e metterti il cappuccio.
Se non esegui tutto alla lettera, (scusa il gioco di parole) la lettera che tu ben sai ‘

Dopo un po’ vide la segretaria uscire dall’ufficio.
Aspettò ancora qualche minuto, poi rientrò nell’ufficio deserto.
Aprì piano la porta della sua stanza. Era una sala abbastanza grande.
Loredana stava sdraiata sulla sua grande scrivania. Aveva scansato le carte da una parte e teneva il cappuccio in testa.
‘c’è nessuno? Sei tu? Per favore non tormentarmi’
Dalla voce sembrava spaventata.
Le sfiorò le gambe e lei si ritrasse.
Aveva bene in testa cosa fare ed aveva portato con sé tutto l’occorrente.
Le prese le braccia e glie le distese all’indietro.
Aveva con sé un rotolo di scotch da pacchi e lo fece passare più volte, rapidamente, intorno ai polsi uniti.
Tornò di fronte a lei e, con un paio di lunghe forbici, iniziò a tagliarle il vestito in mezzo alle gambe.
‘no, che stai facendo?’
La voce di Loredana ora era terrorizzata.
Continuò, stando attento a non ferirla con le punte delle forbici, a tagliare il vestito.
Quando ebbe finito allargò i due lembi e rimase a guardarla.
Veramente un gran bel corpo. Quel pomeriggio non avrebbe certo scoperto la sua identità, ma avrebbe sicuramente indovinato il suo sesso.
Infilò le forbici in mezzo al reggiseno, proprio tra le due coppe.
Al contatto del metallo freddo lei gridò. Sicuramente il non poter vedere nulla accresceva le sue paure. Dovette far forza per tagliare la stoffa, che era resistente, ma alla fine si trovò davanti ai suoi seni nudi.
Non seppe resistere e cominciò ad accarezzarle i capezzoli.
Poi si spostò e tagliò il collant dal bordo fino all’inguine.
Tagliò le mutandine su entrambi i lati, infilò una mano davanti, prese la stoffa saldamente e tirò.
Ora era completamente nuda.
Solo un folto ciuffo di peli scuri e ricci riparava la sua vagina.
Prese a carezzarla delicatamente mentre la donna cominciava ad agitarsi.
Avvertiva chiaramente che si stava eccitando.
Non sapeva minimamente chi la stesse toccando, ma si stava eccitando. Chissà, forse si eccitava proprio per quello.
‘dai ancora, toccami meglio, più dentro. Tanto lo so chi sei’
Roberto si fermò un attimo. Come poteva saperlo? Guardò il cappuccio, era calato fino in fondo e ben chiuso, non poteva assolutamente vederlo.
‘prendi qualcosa. Lì sul tavolo. La penna’
Sicuramente alludeva alla grossa stilografica che teneva sulla scrivania.
Lui aveva sempre pensato che era un oggetto assurdo, troppo grande per essere impugnato, poteva servire solo a mostrare il potere di chi lo possedeva, ed aveva anche un vago significato fallico. Non c’era quindi nulla di strano se glie lo avesse infilato proprio lì.
‘dai, che aspetti ancora. Laura, lo so che sei tu.
Lo sanno tutti che sei lesbica. Mi sono sempre accorta come mi guardavi, che ti credi. è un pezzo che ho capito che sei tu. Prendi questa maledetta penna e ficcamela dentro.’
Roberto fu sul punto di scoppiare a ridere.
Era completamente fuori strada, era convinta di avere davanti una donna cinquantenne, bruttina e cicciottella, armata di penna stilografica, invece di un uomo giovane e robusto, munito di ben altro arnese.
La prese per le gambe e la tirò verso di sé fino a farla arrivare con l’inguine al bordo del tavolo, poi riprese a toccarla.
Aveva aspettato anche troppo.
Al rumore che fece la lampo dei pantaloni mentre scendeva, la donna ebbe un sussulto, forse stava capendo qualcosa, ma ormai non c’era più tempo.
Quando glie lo infilò dentro lei emise un grido di sorpresa, poi cercò di divincolarsi.
Era forte fisicamente, ma le braccia immobilizzate dallo scotch le impedivano i movimenti, mentre le sue gambe, divaricate, non potevano far nulla per staccare da lei quel corpo che le premeva contro.
Roberto le salì sopra e la bloccò contro il tavolo premendo con le mani sulle spalle.
‘maledetto, lasciami, vieni fuori, no, non puoi fare questo!’
Roberto trovò una posizione migliore e cominciò a muoversi. Se la sarebbe scopata per bene e lei non avrebbe potuto dire o fare nulla.
Quando sentì che la sua resistenza si era affievolita, tolse le mani dalle spalle e le mise sulle tette.
Ora sembrava rassegnata, o forse non le stava dispiacendo così tanto.
Aveva stretto le sue cosce lunghe e magre contro il suo corpo, come per trattenerlo e ansimava leggermente.
Roberto vedeva la stoffa del cappuccio muoversi sotto la spinta del suo respiro che si faceva sempre più pesante.
Ebbe solo un attimo di ripensamento quando si rese conto che l’uomo sopra di lei stava per venire e cercò di scrollarlo di dosso spingendo con la schiena.
‘no, no, dentro no’
Roberto era troppo pesante per lei e continuò imperterrito fino alla fine.
Le rimase a lungo sopra, finché il suo pene, ormai tornato ‘in posizione di riposo’ non uscì dal corpo di lei.
La osservò per l’ultima volta: era veramente una creatura affascinante, poi le liberò i polsi ed uscì velocemente.
Rimase in macchina, al buio, finché non la vide uscire dal portone dell’ufficio.
Era avvolta in un impermeabile rosso a quadri, da cui spuntavano le sue gambe nude, la cui pelle chiara contrastava con lo scuro dell’asfalto del marciapiede. L’impermeabile era completamente chiuso e teneva anche le braccia strette intorno al corpo, come se temesse di perderlo.
Lui sapeva perché: sotto era nuda, visto che gli aveva tagliato con le forbici tutti i vestiti.
Pensò che era come un bignè, un rotondo e profumato bignè, che lui aveva appena riempito di crema.
Gli passò accanto senza vederlo. Aveva un’aria stanca e profondamente turbata.
Seguì con lo sguardo la sua figura snella che si allontanava nella strada semibuia, finché riuscì a distinguere il suo culetto che ondeggiava leggermente, spinto dalla camminata veloce di lei.
Per qualche giorno non fece nulla.
La incontrò in ufficio solo un paio di volte. Ebbe l’impressione che lo guardasse in maniera strana. Aveva capito? Probabilmente no. Certo, era uno dei papabili, perché quello che era accaduto qualche giorno prima, aveva escluso tutte le donne dell’ufficio.
Dopo una settimana pensò che era giunto il momento. Ora non era più un gioco.

Cara Loredana,
l’altra volta sono stato molto bene, spero che sia piaciuto anche a te.
Domani si replica.
Ho pensato che il cappuccio sia troppo scomodo, e poi mi piacerebbe vedere il tuo bel musetto mentre scopi con me.
Al solito posto troverai una bella mascherina, che ti coprirà soltanto gli occhi.
Quando sei pronta, manda via la segretaria e aspettami, con la maschera addosso, mi raccomando.

Loredana gli rispose dopo pochi minuti.


No, per favore, questa volta no. Ho il ciclo

Roberto replicò subito. Praticamente stavano usando la posta elettronica come una chat.


Nessun problema. Mettiti un assorbente interno. Vorrà dire che proverò il tuo bel culetto

Il giorno dopo, quando entrò nella stanza lei era seduta sulla poltrona davanti alla scrivania e teneva in mano uno slip nero.
Sul viso portava una maschera di cuoio nero che le copriva completamente gli occhi e la parte superiore del naso.
Trasalì sentendo la porta aprirsi.
‘per favore fammi togliere quest’accidente di maschera. Non succederà niente se ti vedo in faccia, con quello che sai di me. Parla, dì qualcosa, almeno’
Roberto la fece alzare e la mise davanti al lato corto della scrivania, poi la fece piegare a novanta gradi. Sotto la gonna portava delle autoreggenti e tra le gambe spuntava il filo del Tampax.
Roberto sorrise. Bene, si era preparata.
Ripensò all’immagine del bignè dell’altra volta. Il suo culetto sodo e morbido allo stesso tempo, si adattava anche meglio a questa sua fantasia da pasticcere.
Questa volta non tentò minimamente si sottrarsi, quando lui, dopo averle legato con lo scotch le braccia dietro la schiena, le allargò delicatamente le chiappe e cominciò a spingerlo dentro, anzi, dopo qualche minuto cominciò a collaborare, assecondando, con i fianchi, il suo movimento.
Quando ebbe finito le slegò le braccia e la fece sedere nuovamente sulla poltroncina della scrivania.
Aveva una bocca deliziosa, non seppe resistere e le passò delicatamente un dito sulle labbra.
Andò anche meglio quando le prese la testa a la fece chinare verso il basso.
Lei sapeva perfettamente cosa avrebbe trovato e cosa avrebbe dovuto fare.
Chiuse delicatamente le sue labbra su quella che sapeva bene non essere una grossa stilografica e cominciò a muoversi in su ed in giù.
Per il futuro, entrambi, spesso, si sarebbero trattenuti in ufficio.

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