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Racconti di Dominazione

Diario di prigionia

By 9 Maggio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

7 Maggio 2006 ‘ 1’ giorno
Comincio a scrivere questo mio diario di prigionia, cinque giorni dopo, perché prima di allora non ho avuto a disposizione carta e penna.
Credo almeno che il mio primo giorno sia stato il 7 Maggio 2006, perché sono stata rapita e narcotizzata sabato 6 Maggio, all’incirca alle 7,30 di sera.
Suppongo di aver dormito tutta la notte e parte del giorno successivo.
Quando mi sono risvegliata, l’orologio appeso al muro segnava le tre e quindici e, dalla luce che filtrava dalla piccola apertura, tra una parete ed il soffitto, ho dedotto che fosse giorno, quindi, sembrandomi strano aver dormito più di ventiquattro ore, ero ragionevolmente sicura che fossero le 15,15 del 7 Maggio 2006, ammesso che questo abbia importanza.
Non ho alcuno strumento per valutare il tempo, perché ogni elemento che faceva parte della mia vita normale, precedente al mio rapimento, è sparito.
Sono stata privata dei vestiti, delle scarpe e perfino della biancheria.
è sparita anche la mia borsetta, l’orologio da polso, il cellulare, gli anelli, il bracciale e addirittura la medaglietta con Santa Rita (si chiama come me), che portavo al collo da quando ho fatto la prima comunione.
Sono completamente nuda, chiusa in una stanza disadorna, che non avevo mai visto prima.
Veramente qualcosa ho indosso: degli anelli di ferro intorno a polsi e caviglie.
Me li devono aver messi quando non ero cosciente e ora sento il fastidio del metallo freddo stretto intorno alla mia carne.
Hanno una forma ovale e sono così serrati che è impossibile spostarli o farli ruotare.
Quello che mi cinge la caviglia destra ha un grosso gancio a cui è attaccata, tramite un lucchetto, una robusta catena.
Seguo con lo sguardo le sequenza di maglie saldate tra di loro e vedo che termina sulla parete opposta, fissata ad un robusto gancio chiuso, ancorato nel muro.
Sono su un letto piccolo, poco più che una brandina, e quando mi tiro su, mettendomi a sedere, devo puntellarmi con le braccia, perché mi gira la testa.
No, non è un sogno, sono sveglia, perfettamente sveglia, anche se stordita e con un forte mal di testa.
Ho fame, ma non vedo nella stanza nulla da mangiare, e così torno a sdraiarmi.
Il primo pomeriggio lo passo distesa sul letto, cercando di capire cosa mi sia accaduto e, soprattutto, cosa mi accadrà in seguito.
Sono mezza assopita, quando sento il rumore di una serratura che gira: la porta della stanza si è aperta ed è comparso un uomo.
Come colpita da una scossa elettrica, mi alzo in piedi, di colpo.
L’orologio segna le otto precise.
La catena alla caviglia sferraglia con un rumore lugubre e l’uomo si volta verso di me.
Ha in mano un vassoio con dentro un piatto pieno di cibo.
L’odore della roba cucinata mi colpisce forte allo stomaco e mi ricorda che sono più di ventiquattro ore che non metto nulla sotto i denti.
L’uomo posa il vassoio sul tavolino e viene verso di me, allora mi ricordo di essere nuda e, istintivamente, cerco di coprirmi con le mani.
Lui non sembra dare peso a questo mia atteggiamento e, dopo avermi fatto fare un passo di lato, mi costringe ad alzare le braccia sopra la testa.
Prima che io possa rendermi conto, le mie braccia, unite e tese verso l’alto, vengono bloccate a qualcosa che pende dal soffitto.
Poi si allontana e prende un oggetto in terra, sotto al lavandino che si trova in un angolo della stanza.
Quando torna verso di me vedo che ha in mano una lunga asta di ferro scuro.
Mi fa allargare le gambe, poi comincia ad armeggiare con l’asta intorno agli anelli delle caviglie.
Sento dei rumori metallici, mi accorgo che l’asta è ora fissata ad entrambi i ganci e le mie gambe sono costrette a rimanere fortemente divaricate, in una posizione scomoda ed innaturale, visto che i miei piedi toccano terra solo con le punte.
A questo punto ‘ mi violenta.
è avvenuto tutto in maniera semplice e rapida: si è aperto i pantaloni e lo ha tirato fuori, mi ha allargato la vagina con due dita e me lo ha infilato dentro.
Io ho gridato come grida una donna quando viene violentata, o almeno come penso che gridi, perché non mi è mai capitato prima, nei miei trent’anni di vita, ma lui non è sembrato impressionato.
Fa male, perché sono completamente secca, ma al mio carceriere non sembra importare, mi ha piazzato le mani sulle chiappe nude e mi sta scopando con notevole impegno.
Io, completamente bloccata ed immobilizzata, non posso fare nulla, e continuo ad oscillare leggermente, sotto le sue spinte, appesa per i polsi e con le punte delle dita dei piedi attaccate al pavimento.
Finisce tutto in pochi minuti, lo sento uscire dal mio corpo e guardo in basso, la mia vagina è arrossata ed imbrattata del suo sperma e sento un forte bruciore.
L’uomo mi libera dall’asta e poi mi slega i polsi.
Sento la porta richiudersi alle sue spalle e rimango semi sdraiata sul letto a piangere, per alcuni minuti, poi mi alzo e vado verso il lavandino.
Mi ero chiesta prima, perché mai l’avessero montato così in basso, ora capisco: stando in piedi mi ci posso mettere comodamente a cavalcioni.
Mi lavo con cura, come se l’acqua potesse cancellare la violenza appena subita.
Continuo a sciacquarmi dentro e fuori, eliminando ogni traccia di sperma, finché non sono costretta a fermarmi, perché l’acqua fredda mi sta letteralmente gelando, allora mi dirigo verso il tavolo, dove il mio carceriere ha lasciato la mia cena, la mia prima cena da reclusa. 11 Maggio 2006 ‘ 5’ giorno
Non ho scritto nulla dei giorni successivi al primo, perché non è successo nulla di interessante e diverso.
Ho trascorso le giornate senza fare nulla di particolare.
Ieri ho dato un’occhiata in giro per la stanza, veramente dovrei dire la mia cella, ma non è che ci sia molto da vedere, poi alle otto di sera è arrivata, puntuale, la cena.
Naturalmente, prima di farmi mangiare, il mio carceriere mi ha immobilizzata come il primo giorno e mi ha nuovamente violentata, cosa che aveva fatto anche nei giorni precedenti.
è andata sempre esattamente come la prima volta: mi ha fatto male come la prima volta e dopo mi sono lavata a lungo, come la prima volta.
Visto che non ci sono fatti salienti da raccontare, voglio provare a descrivere la mia stanza.
Misura tre metri per quattro, è stato facile rilevarlo perché le piastrelle sono 20 x 20, quindi mi è bastato contarle per ricavare le misure.
In un angolo c’è il lavandino, di cui ho già parlato, ed un water senza tavoletta. Odio i water senza tavoletta perché non mi piace appoggiare le cosce nude sulla ceramica, ma non credo di essere nella condizione di chiedere qualcosa al mio carceriere.
Comunque il water è dotato di scopettino e sul manico è infilato un rotolo nuovo di carta igienica, mentre sul bordo del lavandino c’è un contenitore di sapone liquido e sul muro, di lato, un gancio con un asciugamano.
L’acqua è solo fredda, d’inverno sarà dura, mi dico, poi penso con terrore che siamo ancora in primavera e non è possibile vivere qui per mesi e mesi.
Sul lavandino c’è anche un bicchiere di metallo, che ho usato spesso per bere. Potendo mangiare solo la sera, durante il giorno, quando mi vengono i crampi per la fame, bevo un bicchiere d’acqua, illudendomi che mi possa nutrire.
Il letto è dotato di materasso, lenzuola e cuscino ed è abbastanza confortevole, anche se non c’è neanche una luce sul comodino, veramente non c’è neanche il comodino.
Le uniche possibilità di illuminazione sono la lampadina che pende dal centro del soffitto (l’interruttore è vicino alla porta di ferro, che il carceriere tiene sempre chiusa) e l’apertura in alto, da cui passano un po’ d’aria e un po’ di luce, quando è giorno.
Mi trovo sicuramente in un sotterraneo, me lo fa supporre proprio questa unica apertura, a bocca di lupo e l’umidità che affiora sulle pareti, un tempo bianche.
Anche il pavimento, realizzato con piastrelle grezze e grigiastre, è umido, lo sento bene quando i miei piedi nudi ci si poggiano.
Completano l’arredamento della mia prigione un piccolo tavolo con una sedia ed un armadio di ferro.
Il tavolo lo uso, la sera, per mangiare ed anche per scrivere il mio diario, come sto facendo ora.
La prima volta che ho aperto l’armadio ho sperato di trovarci dentro i miei vestiti, ma sono rimasta delusa.
Ecco la lista del contenuto: un set di lenzuola di ricambio, un secondo asciugamano, una vecchia coperta, un filo per stendere i panni, un pacco di carta igienica iniziato, un grande flacone di sapone liquido, due pezzi di sapone da bucato e poi ancora, una scopa, una paletta, uno spazzolone, due strofinacci, della varechina ed un secchio di plastica.
Ora sono seduta sulla sedia di paglia ed il ruvido rivestimento mi pizzica fastidiosamente le cosce nude.
Guardo l’ora, le otto meno cinque.
Tra cinque minuti arriverà il mio carceriere, così potrò finalmente mangiare.
Ho una fame feroce e non mi basta quel poco che mi da una volta al giorno, ma prima dovrò sottopormi ‘
Beh, è meglio che mi prepari.
Mi alzo e mi dirigo verso il letto.
Mi guardo i piedi, lo smalto sulle unghie è andato via quasi completamente.
Il giorno del rapimento faceva parecchio caldo e così, dopo aver fatto la depilazione di primavera, avevo indossato una gonna corta, molto colorata, e dei sandali aperti.
Per gioco avevo passato, sulle unghie dei piedi, smalti di colori diversi, ogni dito un colore differente, scegliendo tinte forti e contrastanti.
L’effetto era molto carino.
Ora sono rimaste solo poche scaglie di colore, una chiazza verde, due pezzettini rossi e sul mignolo una piccola traccia di blu.
Tra un giorno o due saranno spariti anche gli ultimi segni della mia vita precedente, come il trucco sul viso ed intorno agli occhi, ormai completamente eliminato dall’acqua e dal sapone, con cui ho continuato a lavarmi tutte le mattine.
Sono le otto e la porta si apre.
Il carceriere deposita il vassoio con la cena sul tavolo.
Petto di pollo con insalata, due fette di pane ed una mela.
Ancora petto di pollo.
Io sono già in posizione, in piedi in corrispondenza della catena con i ganci che pende dal soffitto.
Quando lui si mette di fronte a me, alzo spontaneamente le braccia e mi faccio legare.
Sono completamente sottomessa a lui.
Allargo le gambe alla misura giusta dell’asta di ferro ed aspetto che lui la fissi agli anelli.
Sono pronta.
Lui si apre i pantaloni, è già bello eretto, pronto ad entrarmi dentro.
Sono sicura che non griderò, anche se so che mi farà male, perché ho capito che è stupido ed inutile gridare.
Il suo pene mi entra dentro, rapido, ed io stringo i denti.
Il più è fatto, devo solo aspettare che venga dentro di me, sentirò lo sperma caldo che mi invade, poi sarà tutto finito, almeno fino a domani sera. 14 Maggio 2006 ‘ 8’ giorno
Ho deciso di ribellarmi. Non è possibile, sono una donna forte ed intelligente, occupo un posto importante nell’azienda in cui lavoro, sono stimata, rispettata ed anche temuta per la mia determinazione, e non può essere che debba sottostare alle angherie di questo sconosciuto.
Forse non riuscirò a fuggire, visto che non sono in grado di liberarmi della catena, ma non sono disposta a farmi violentare tutte le sere da quest’uomo, senza provare a reagire.
Fisicamente non sto bene, sono debole e frastornata, ma devo comunque provare.
Penso che la causa di tutta la mia debolezza sia il cibo.
Sicuramente mangio troppo poco, un secondo, un contorno ed una mela, per tutta la giornata non mi bastano.
Ho imparato a tenermi per il giorno dopo le due fette di pane. Ne mangio un pezzetto ogni tanto, bevendoci insieme un bicchiere d’acqua, quando sento più forti i morsi della fame.
Forse nel cibo ci mette qualche droga, perché, al di là del cibo scarso, la mia debolezza mi sembra strana ed eccessiva.
Quando, alle otto in punto, entra nella mia cella con il vassoio della cena, mi trova al centro della stanza, che brandisco l’asta di ferro, con aria bellicosa.
Ho fatto le prove davanti allo specchio del lavandino, per trovare la posizione e l’espressione più adatte, anche se devo ammettere che ho visto solo l’immagine riflessa di una giovane donna, nuda, magra e spettinata, dall’aria confusa e spaventata.
Lui mi guarda gelido ed impassibile e guadagna subito l’uscita, dicendomi qualcosa riguardo il fatto che mi devo guadagnare da mangiare.
Sento la serratura che viene nuovamente chiusa dall’esterno e subito dopo guardo il tavolo.
è vuoto, il mio carceriere si è portato via il vassoio.
Sono riuscita ad ottenere quello che volevo, ma rinunciando a mangiare.
Forse tornerà più tardi, intanto vado al lavandino e mi bevo due bicchieri d’acqua, ma la fame non mi passa.
Decido allora di lavarmi i capelli, tanto per fare qualcosa.
Non l’ho fatto finora perché l’idea di usare l’acqua fredda, il sapone liquido e senza avere un phon per asciugare la mia lunga chioma, mi ha scoraggiato.
L’acqua fredda, sulla testa, è molto più fredda, provare per credere, ed il sapone liquido fa poca schiuma, in compenso ci vuole un casino di tempo per il risciacquo.
Dopo aver terminato la seconda passata sono completamente intirizzita e, nonostante abbia strofinato a lungo con l’asciugamano, i miei capelli si ostinano a restare bagnati.
Mi guardo allo specchio, mi considero una trentenne niente male, attraente e con un bel fisico, ma una settimana di questa prigionia ha già lasciato i suoi segni sul mio viso e sul mio corpo.
La mia pelle non ha un bel colorito e due profonde occhiaie indicano chiaramente che non me la sto passando bene.
Penso ai miei capelli: in questi giorni dovevo andare dal parrucchiere per rifare la tinta.
Quel bel colore biondo ramato, sta cominciando a lasciare il passo al mio naturale e banale castano.
Nel giro di un paio di settimane i miei capelli diventeranno di due colori, una vera porcheria.
Alla fine mi metto a letto, con l’asciugamano avvolto intorno alla testa, come una specie di turbante.

15 Maggio 2006 ‘ 9’ giorno
Sono le otto e mezza di sera ed il mio carceriere non s’è visto.
La fame mi tormenta e sono spaventata.
Penso che mi lascerà morire.
Quanto tempo ci vuole per morire di fame? Senza bere si muore nel giro di pochi giorni, ma ho sentito di gente sopravvissuta per molte settimane senza mangiare.
Sono sicura che il mio cibo sia drogato, perché dopo due giorni che non mangio, la debolezza è passata, anzi, dovrei dire è cambiata.
Prima mi sentivo come se ci fosse un velo denso e vischioso che avvolgeva la mia mente, rallentando i miei pensieri, ora invece sono lucidissima, ma debilitata, al punto che fare i due metri dal letto al water, è un grande sforzo.
Alla fine mi tiro il lenzuolo quasi fino sugli occhi e mi metto a dormire.

16 Maggio 2006 ‘ 10’ giorno
Dopo tre giorni che non mangio sono allo stremo delle forze.
Mi alzo dal letto solo per bere e per usare il water.
Per una fetta di petto di pollo con un po’ d’insalata farei ‘ farei qualsiasi cosa.
Ripenso al mio carceriere. Non è male, un tipo sulla cinquantina, alto ed atletico, con capelli e baffi brizzolati.
Rita, se stessi per morire di fame, ti faresti una bella scopata con un tipo così?
Sto delirando.
Il mio carceriere mi ha abbandonata al mio destino, tra qualche anno troveranno il mio cadavere, chiuso in questa maledetta cantina.
Guardo di nuovo l’orologio, l’ho osservato per tutto il giorno, prima sperando che le lancette corressero e arrivassero subito le otto di sera, poi, quando l’ora fatidica si avvicinava, augurandomi che il tempo rallentasse, per evitarmi un’altra delusione.
Ma ormai sono quasi le nove, non verrà, e dovrò passare un’altra notte di digiuno.
Invece, all’improvviso, sento il rumore della serratura che gira.
è arrivato, vedo una specie di salvatore nell’uomo che mi ha stuprato tutte le sere.
L’odore delle polpette al sugo, con contorno di patate, arriva fortissimo alle mie narici. è come se fossi dentro una enorme pentola piena di polpette al sugo e mi precipito verso di lui.
Lo supplico di farmi mangiare prima ma su questo è deciso e categorico.
Mi dice che prima mi devo guadagnare il cibo, e dopo, solo dopo, potrò mangiare.
Capisco che il mio stupido e goffo tentativo di ribellione sia servito solo ad aumentare il mio stato di sottomissione.
Mi lascio legare senza fare storie, anzi, se potessi, mi legherei da sola, pur di fare più presto.
Non mi sembra neanche di sentire dolore quando il suo pene viola il mio sesso.
Lo sento sfregare, farsi strada dentro di me e penso solo alle polpette.
Mentre oscillo, avanti ed indietro, sospinta dal suo cazzo che entra ed esce dentro di me, ho quasi le vertigini, poi sento il suo orgasmo, le sue contrazioni che si susseguono, finché non cessa ogni movimento.
Come era entrato, se ne è andato e sono di nuovo sola nella stanza, questa volta, però, ha lasciato il vassoio con la cena.
Oggi non mi laverò prima di mangiare, non mi importa di sentirmi sporca ed appiccicosa, non faccio caso allo sperma che mi cola lungo le gambe, mi siedo davanti al vassoio e prendo una polpetta con le mani, sbrodolandomi il sugo sulle tette.
In un baleno ho divorato tutto, compresa la mela che ho mangiato a morsi e le fette di pane, che invece avrei fatto meglio a lasciare per il giorno successivo.
Quando mi alzo, sazia e soddisfatta, mi sento quasi felice.
A cavalcioni del lavandino, cercando di non poggiarmi troppo, per non correre il rischio di staccarlo dal muro, inizio i lavaggi del post scopata.
Devo insistere parecchio, perché lo sperma, appiccicato ai peli del pube, se è già seccato.
Sono sempre stata parecchio pelosa e quando si avvicina la stagione del costume da bagno, devo sempre effettuare un’accurata depilazione, per evitare di veder spuntare la pelliccia dallo slip del bikini.
Avevo fatto tutto proprio la mattina del giorno in cui sono stata rapita, ma ora stanno ricrescendo e non ho alcuna possibilità di rimediare. 20 Maggio 2006 ‘ 14’ giorno
Questa mattina ho sentito un odore sgradevole, come di sporco.
Eppure mi sto lavando molto. Non avendo a disposizione una doccia, mi lavo a pezzi, però mi muovo poco, non sudo particolarmente e, non indossando vestiti, l’unica cosa da tener pulita è la mia pelle.
Poi ho capito: solo le lenzuola.
Passo molte ore a letto e anche quando sono in piedi, siccome ho freddo, spesso mi avvolgo nel lenzuolo di sopra.
Così oggi ho preso le lenzuola di ricambio nell’armadio di ferro, poi ho pensato che avrei dovuto lavare quelle sporche.
Non ho mai fatto un bucato a mano, perché a casa ho la lavatrice, che tra l’altro neanche uso, visto che se ne occupa la mia domestica, che viene tutti i giorni.
Sono andata per tentativi, cercando di ricordare le immagini di qualche vecchio documentario in cui si vedevano delle lavandaie che facevano il bucato nel fiume.
è stata una cosa lunga e faticosa e alla fine aveva la schiena spezzata e le mani arrossate, ma le lenzuola erano stese in fondo alla stanza, oltre il tavolo.
Ho usato il pezzo di filo che c’era nell’armadio ed ho anche capito a cosa servivano i due ganci piantati nel muro, sulle pareti una opposta all’altra.
Il carceriere, quando è venuto a portarmi la cena, ha apprezzato questa mia iniziativa, ha detto che sto cominciando ad abituarmi.
Ho avuto l’impressione che mi abbia scopato meno brutalmente, ma forse è la mia fica che comincia ad abituarsi ad essere penetrata a freddo tutte le sere.
A proposito di questa faccenda mi è venuta in mente un’idea che voglio provare a mettere in atto nei prossimi giorni.

24 Maggio 2006 ‘ 18’ giorno
Il mio carceriere viene tutte le sere alle otto in punto, se io, cinque o dieci minuti prima, inizio a toccarmi, posso forse evitare che lo ficchi nel mio sesso completamente secco, facendomi male.
Il rischio è che non apprezzi e, accorgendosi, che mi sono masturbata, decida di lasciarmi di nuovo senza cena.
Non se se lui tutte le sere mi penetra completamente a secco solo perché non si preoccupa di me, oppure gode a vedermi soffrire.
Ho deciso di provare e, quando mancavano pochi minuti all’ora X, mi sono messa a letto e mi sono coperta con il lenzuolo.
Devo dire che è stata una cosa piacevole, quando le mie dita, dopo essere scivolate tra i peli del pube in ricrescita, hanno raggiunto la fessura completamente chiusa.
C’è voluto poco a farla aprire, perché ho sempre saputo dove e come toccarmi per provar piacere.
Piano piano le dita sono sprofondate dentro ed il massaggio si è fatto più deciso ed efficace.
Quando si è aperta la porta era pronta, anzi prontissima, calda, aperta e bagnata.
Lui non ha fatto una piega, ho visto, solo per un attimo, passare uno strano sorriso sul suo viso, poi mi ha legato come al solito e ‘
‘ questa volta è entrato liscio come l’olio.
Quando è venuto, anch’io ero prossima all’orgasmo, ma mi sono un po’ trattenuta, perché volevo evitare di venire davanti a lui, magari pure spruzzandolo.
Comunque ho provveduto dopo che lui se n’è andato, mi sono rimessa a letto e c’è voluto veramente un attimo.
Questa sera ho mangiato proprio di gusto e devo dire che il solito, insipido, petto di pollo, mi è sembrato più buono.

27 Maggio 2006 ‘ 21’ giorno
Il pavimento fa schifo.
Visto che ci cammino a piedi nudi, è sufficiente che mi guardi sotto la pianta, per capire che andrebbe lavato.
Beh, io, normalmente, non lavo pavimenti, o meglio non lo facevo nella mia vita precedente.
Provo a mettere a fuoco un vago e lontano ricordo di quando ero bambina.
Per prima cosa tolgo la polvere con la scopa, la raccolgo nella paletta e la butto nel water.
Secchio pieno d’acqua ed un po’ di varechina.
Puzza da morire, mi ha sempre dato fastidio, ma è l’unico prodotto presente nell’armadio.
Comincio a passare lo straccio con lo spazzolone ed il pavimento cambia colore, quando mi trovo davanti allo specchio del lavandino, ci vedo riflessa l’immagine di una donna giovane e magra, con i lunghi capelli, un po’ biondi ed un po’ castani, che coprono parzialmente il suo corpo nudo.

Giugno 2006
Ho fatto una grossa cazzata. Per un po’ di giorni non ho scritto sul diario. Avrei almeno dovuto segnarmi i giorni. So che siamo all’inizio di Giugno, ma non sono in grado di risalire al giorno esatto.
Mi sembra una cosa importante anche se non aiuta a risolvere il problema della mia prigionia.
Sono abbattuta ed incazzata con me stessa, passo la giornata a cercare di ricordare, ma mi è assolutamente impossibile sapere che giorno è oggi.
Potrei chiederlo al mio carceriere?
Non credo, le poche volte che gli ho chiesto qualcosa, mi ha letteralmente ignorato.
Sono così confusa che, la sera, comincio a toccarmi troppo presto e, quando lui entra nella cella con il vassoio, sono praticamente ad un passo dall’orgasmo, al punto che devo stare attenta a come cammino.
Non può non essersene accorto perché ho i peli così bagnati e la fica così aperta, che lo noterebbe chiunque.
Vengo subito, come lui lo infila dentro.
Mi guarda con un sorriso beffardo mentre gemo e mi contorco, dicendo frasi sconclusionate, con lui che va e viene dentro di me.
Ho l’impressione che sia durata di più, comunque faccio in tempo a venire un’altra volta, prima che lui mi riempia di sperma per l’ennesima volta.
Questa sera, per la prima volta, non mi lavo.
Dopo aver cenato, mi ficco di nuovo a letto e riprendo a toccarmi, le mie dita affondano ancora nella carne aperta e bagnata alla ricerca dell’ultimo piacere, prima di addormentarmi, stordita dall’odore del suo sperma e dei miei umori. fine Giugno 2006?
Sono incinta?
Oggi mi sono svegliata con questo dubbio terribile nella mente.
Forse perché mi sento strana.
Mi gira la testa ed ho una nausea curiosa, mai provata prima.
Sono in ritardo?
Cerco di pensare all’ultima volta che ho avuto le mestruazioni.
Ma come posso ricordarmi la data precisa dell’ultimo ciclo se non so neanche che giorno è oggi?
Anzi, sono indecisa addirittura sul mese. Fine Giugno, ho scritto, ma potrebbero essere anche i primi di Luglio.
Quella data che non riesco a ricostruire è segnata con una crocetta sul calendario che tengo in bagno, dietro la porta, a casa mia.
Casa mia. Mi sembra lontana mille chilometri e mille anni.
Poi comincio a riflettere.
Sono più o meno due mesi che un uomo tutto le sere, mi riempie con il suo sperma, io ho trent’anni e sono una donna sana e perfettamente fertile.
Quante possibilità ci sono che neanche uno, tra i milioni di spermatozoi che sono finiti dentro di me, non sia riuscito a compiere il suo tragitto fino in fondo?
Pochissime, quindi al 99,99% sono incinta.
Finisco questo ragionamento piegata in due sul water.
Sto vomitando la cena di ieri sera e sono incinta.
Mi guardo la pancia nuda, cercando di individuare la presenza di un qualche rigonfiamento.
Stupida, Rita sei una stupida, è troppo presto per vedersi, la pancia verrà dopo.
Mi immagino nuda, nella mia cella, mentre cammino a fatica con una pancia enorme, poi mi vedo sempre nuda, seduta sulla brandina, mentre allatto un bambino, nudo pure lui.
Ho paura, non voglio essere incinta in questa cella, non voglio partorire in queste condizioni, ma mi rendo conto che non posso fare nulla per impedirlo.
Ho passato tutta la giornata a piangere e quando alle otto, puntuale come sempre, entra il mio carceriere, per un attimo penso di dirglielo.
Ora vado da lui e gli dico: ‘sono incinta, non è più necessario che mi scopi.’
Non so perché, ma mi sono convinta che tutta la mia prigionia sia legata al fatto che io debba restare incinta.
Alla fine non trovo il coraggio per parlare e lo lascio fare come al solito.
Mi fa male, perché oggi non mi sono toccata prima del suo arrivo.
Non posso più farlo da diversi giorni, perché si è incazzato con me.
Mi ha detto, con tono duro, che ho tutto il giorno per sditalinarmi a piacimento e che quando lui mi scopa io debbo stare tranquilla.
Così resto ferma, mentre il suo cazzo, dopo essersi fatto strada dentro di me, inizia la sua danza, avanti e indietro, avanti e indietro.
Rimango immobile per tutto il tempo, in attesa del gran finale, che arriva rapido e puntuale.

Luglio 2006?
Fa caldo, ormai è estate piena e mi dedico maggiormente alla pulizia del mio corpo e del piccolo mondo in cui sono rinchiusa.
Mi lavo spesso e, con questa temperatura, l’acqua fredda che esce dal rubinetto è piacevole.
Faccio regolarmente il bucato delle lenzuola, due volte a settimana lavo il pavimento e, quando l’asciugamano è sporco, prima di lavarlo lo uso come straccio per spolverare.
Delle mestruazioni nessuna traccia, ormai sono sicura che non verranno.
Le nausee ora si sono attenuate, ma mi hanno tormentato per molti giorni.
Mi guardo allo specchio, il mio aspetto è decisamente cambiato rispetto al giorno che sono entrata qui.
I capelli, ormai senza più traccia di tintura, sono un ammasso disordinato di colore marrone, si sono allungati molto, crescendo in maniera irregolare e mi arrivano quasi al seno.
Il mio viso, senza più la magia del trucco, appare grigio e sciupato, solcato da profonde occhiaie e dall’accenno di due rughe ai lati della bocca.
Le mie mani hanno la pelle screpolata e le nocche rosse, a causa del contatto prolungato con l’acqua fredda. Mi ci vorrebbe una bella crema per le mani, ma qui, dove manca tutto, perfino un pettine o una spazzola per i capelli, una simile raffinatezza risulta impensabile.
Una volta ho provato a chiedergli se mi poteva far avere un pettine, mi ha guardato con aria severa e se ne è andato.
Non risponde mai alle mie domande, i nostri rapporti sono limitati al minimo.
è perfettamente inutile chiedergli qualcosa, perché non mi risponde.
Solo una volta, che doveva essere in vena di fare conversazione, mi ha detto che nella stanza c’era tutto il necessario per la mia permanenza.
Io allora ho provato a chiedergli perché ero lì e quanto tempo sarei dovuta rimanere.
La risposta è stata sibillina: ‘il perché lo vedrai presto, riguardo al tempo, tutto il necessario, non un minuto di più.’
Questo mi ha convinto ancora di più che il motivo della mia prigionia sia proprio la mia ormai certa gravidanza: presto comparirà la pancia, voleva dire. E dopo? Dopo, cioè quando avrò partorito, la mia detenzione finirà.
Non posso sapere se mi libererà, oppure ‘
Non insisto con le domande, ha già parlato troppo, secondo i suoi gusti, e mi lascia sola, dopo aver recuperato il vassoio con il piatto vuoto.

Luglio 2006?
La cosa che più mi pesa è farmi scopare a secco. Si è fatto rigido ed attento, quando sono già in posizione davanti a lui, legata e con le gambe aperte, mi passa un dito sulla fessura e se sente appena un po’ bagnato, niente cena.
è successo un paio di volte ed è stato veramente spiacevole, così ora faccio molta attenzione che la mia fica sia assolutamente asciutta per le otto di sera.
Tra il digiuno e sentire il suo cazzo che mi allarga e mi penetra brutalmente, lasciandomi alla fine arrossata ed indolenzita, preferisco la seconda.
Le nausee sono solo un lontano ricordo ed io continuo a guardarmi il ventre, che si è fatto flaccido, a causa della ridotta attività fisica a cui mi costringe la prigionia, cercando di individuare un rigonfiamento che non c’è, almeno per il momento.
In compenso, nonostante il mio generale dimagrimento, mi è cresciuto il seno.
Ho sempre avuto le tette piccole, con i capezzoli chiari e poco sporgenti, ora si sono gonfiate, le sento più dure e quei due cosini che appena si notavano, sono divenuti scuri e sporgenti.
Se n’è accorto anche lui, ieri sera, quando stavo già con le braccia sollevate, legate al gancio, mi ha preso i capezzoli tra pollice ed indice, li ha strizzati e poi li ha mossi in su ed in giù.
‘Bene, bene’, ha aggiunto, sorridendo. Agosto 2006?
Ieri, guardandomi di profilo allo specchio, l’ho vista.
Ancora è piccola, ma un leggero accenno di pancia inizia a vedersi.
Nel generale dimagrimento del mio corpo, sottoposto a questo duro regime di prigionia, è l’unica cosa che è cresciuta.
La sera l’ha notata anche lui. Era un po’ di tempo che, prima di scoparmi, osservava con attenzione il mio ventre.
Ieri sera, dopo il consueto esame visivo, ha passato soddisfatto il palmo della mano sulla mia pancia.
Non mi ha detto nulla ma la sua espressione era chiarissima.
La successiva penetrazione mi è sembrata più dolorosa del solito, ma forse era solo un’impressione dovuta al mio particolare stato d’animo.
La vita di tutti i giorni, in questa cella dove praticamente manca tutto, comincia ad essere difficile.
All’inizio pensavo che l’impossibilità di leggere un libro, accendere la televisione o sentire un po’ di musica, sarebbero state le privazioni più grandi, invece mi rendo conto che i maggiori problemi vengono da cose più piccole e banali.
Le unghie.
Prima andavo una volta ogni quindici giorni dal manicure ed una volta al mese dal pedicure.
Le mie unghie sono cresciute e non ho nulla per tagliarle e limarle.
Quando si è spezzata la prima unghia, mentre lavavo il lenzuolo nel lavandino, non ho potuto far altro che rifilarla con i denti.
Ormai sono diventata brava a tenerle corte usando i denti come delle cesoie.
Per quelle dei piedi è stato più difficile, perché non potevo certo arrivarci con la bocca, poi mi sono accorta che l’unghia del pollice, se tenuta molto corta, poteva essere utile per scalfire quelle dei piedi. Una volta praticata la prima incisione, tirando con le dita, riuscivo a togliere tutta la striscia di unghia,
Il risultato non è molto bello esteticamente, ma perfettamente in linea con il mio aspetto attuale.
I peli.
Qui non posso proprio farci nulla.
Sono sempre stata parecchio pelosa e mi sono dovuta sottoporre a lunghe e fastidiose sedute di depilazione, ma ora sta crescendo tutto liberamente, da diversi mesi.
Sulle mie braccia sono comparsi tanti peli, mentre sotto le ascelle ho due ciuffi lunghi e scuri.
Quando mi passo le mani sulle gambe, sento al tatto la presenza dei peli, lunghi e duri, ma non è certo necessario toccarmi per scoprirli, perché basta guardare, per vedere come mi stia rapidamente ricoprendo di peli.
Chissà, forse gli scompensi ormonali della gravidanza, stanno accentuando questo processo.

Settembre 2006?
Ora si vede proprio nettamente, una bella protuberanza, tonda e sporgente, appiccicata al mio corpo magro e sciupato.
Molte donne, durante la gravidanza ingrassano, a me per ora non è accaduto.
Il mio carceriere, curioso, ignoro il suo nome, continua a scoparmi regolarmente, tutte le sere.
Penso che non mi abituerò mai al suo cazzo che entra brutalmente dentro di me.
La mia pancia sporgente sbatte contro il suo corpo, quando mi penetra, ma lui non sembra minimamente preoccuparsene.
Cerco di immaginare la mia pancia tra qualche mese e mi rendo conto che non potrà ficcarmelo dentro in questa posizione, non credo certo che vorrà rinunciare, quindi cercherà un’altra maniera.
Continuo a guardarmi allo specchio e mi sembra di vederla crescere, giorno dopo giorno.
In compenso io sto andando giù, ed il mio aspetto peggiora di continuo.
I capelli ormai sono lunghissimi ed arrivano a coprirmi completamente il seno, ma non essendo stati sistemati da troppo tempo, mi finiscono sempre davanti al viso. Dovrei legarli, con un nastro, oppure tenerli sollevati con una fascia, ma nella mia cella non esiste nulla di tutto ciò.
Mi sento una donna primitiva, che vive in una caverna, coperta solo dai suoi peli, come un animale e come un animale mangio, con le mani, ogni sera, il mio pasto.
Il mio carceriere non mi ha mai dato le posate, perché non vuole che io maneggi attrezzi pericolosi, così sono costretta a prendere il cibo con le mani e, quando il boccone è troppo grande, non posso far altro che portarlo alla bocca e strappare.
A forza di fare così, mi è pure saltato un dente. Era un incisivo spezzato mesi fa in un incidente d’auto. Quando sono stata rapita avevo una capsula provvisoria, che avrei dovuto sostituire dopo un mese. Ieri sera la colla ha ceduto ed il dente finto è rimasto conficcato in una bistecca.
Ora il mio sorriso, ammesso che abbia voglia di sorridere, ha un buco proprio in mezzo alla mia bocca. Autunno 2006
Sto perdendo sempre più il senso del tempo.
La temperatura dell’aria più fresca mi da l’indicazione che deve essere finita l’estate, ma oltre questo non riesco ad andare.
La mia pancia ora è bella grande, una specie di pallone, tondo, gonfio e sporgente, che comincia ad impacciarmi nei movimenti.
Il mio corpo, invece, si sta sgonfiando, come se tutta l’energia vitale venisse convogliata sulla pancia.
Il mio viso si è scavato ed i solchi ai lati della bocca si sono fatti più profondi, non sembro proprio una donna di trenta anni. Scanso i capelli che continuano a finirmi davanti agli occhi e mi vedo vecchia e stanca.
Le tette dopo quel periodo di gonfiore, dovuto a qualche scompenso ormonale, sono tornate alle loro dimensione normale, ma si sono ammosciate, forse per la mancanza del reggiseno, o, molto più probabilmente, perché stanno seguendo il progressivo deperimento del mio corpo. Se mi chino leggermente in avanti sento i capezzoli sbattere contro il ventre e penso che andando avanti ci si poggeranno direttamente sul mio pancione.
Per vedermela, poi, devo scansare e sollevare la pancia e sporgermi un po’ in fuori.
La mia cosina, una volta curata e depilata è diventata una vera schifezza, arrossata e circondata da una foresta di peli scuri e ricci.
Sto diventando un cesso e a volte mi chiedo come lui, il mio implacabile carceriere, abbia ancora voglia di scoparmi.
Da qualche giorno ha smesso di appendermi al gancio che viene dal soffitto, perché non riesce più a penetrarmi in quella posizione, a causa della pancia.
è così sicuro che la mia volontà sia stata completamente annientata, che mi fa mettere sul letto a pecorina, senza legarmi.
La prima volta ho temuto che volesse ficcarmelo di dietro, poi invece ho sentito il suo cazzo che si infilava nel solito posto e mi sono tranquillizzata.
Una volta non avrei mai potuto pensare che avrei considerato tranquillizzante una simile esperienza.
L’appetito mi è aumentato e quando ho trovato il coraggio di chiedergli più cibo, ha accettato di aumentare leggermente le porzioni.
Sono sicura che non l’ha fatto per me, ma soltanto per il bambino che sta crescendo dentro di me.
Ci sto cominciando a pensare, prima o poi dovrà succedere.
Ho paura. Ho paura di partorire in questa cella, ho paura che qualcosa vada storta, ho paura di soffrire, e poi ho paura del dopo. Che sarà di me quando mi sarò liberata di questa pancia e del suo contenuto?

Autunno 2006
Comincia a fare freddo. Questo notte, per la prima volta ho messo la coperta sopra il lenzuolo.
Penso all’inverno, che dovrò affrontare completamente nuda e mi prende lo sconforto.
Dovrò anche partorire d’inverno.
La mia pancia ora mi sembra enorme, quanto manca? Due mesi, forse tre.
Quando questa mattina mi sono alzata per andare in bagno (che sarebbe una frase un po’ impropria visto che dovrei dire ‘sono scesa dal letto e mi sono seduta sulla tazza che sta ad un metro di distanza’) avevo freddo, così ho preso la coperta e me la sono messa sulle spalle.
è fatta di lana ruvida e il contatto con la mia pelle nuda non è stato piacevole, ma è pur sempre meglio che battere i denti dal freddo.
Quando una persona è costretta a passare ore ed ore senza far nulla, ha molto tempo per pensare, nel mio caso penso al perché di quello che mi sta accadendo.
Il mio carceriere desidera così tanto avere un figlio, al punto da catturare una donna, metterla incinta e tenerla segregata per tutto il periodo della sua gravidanza?
Mi sembra una cosa folle e rischiosa.
Poi mi torna in mente una storia letta su un giornale tempo fa. Una banda di albanesi riduceva in schiavitù delle giovani donne, venute in Italia in cerca di lavoro, e faceva far loro dei figli che poi venivano venduti a coppie che non erano in grado di procreare.
Era sufficiente per la falsa madre sparire dalla circolazione per un po’ di tempo e poi far dichiarare ad un medico compiacente, che il bambino era figlio suo ed era nato in casa.
Quanto può valere un bambino? Può valere la pena mettere in piedi una cosa simile?
E se fosse questo il vero scopo di quell’uomo, chi mi garantisce che partorito il primo figlio, lui non continui a tenermi segregata, usandomi come una bestia da riproduzione, finché ne vale la pena?
Questa sera, quando mi ha scopata, ho cercato di pensarlo come il padre del bambino che porto dentro di me, ma la cosa non mi ha convinto per niente, e sono sempre più propensa ad immaginarlo come uno spietato mercanti di neonati.
Chissà, magari a fianco alla mia cella, ce ne sono altre identiche, occupate da sventurate nelle mie stesse condizioni.

Inverno 2006-2007
Fa freddo e non mi muovo quasi più, un po’ per evitare di camminare a piedi nudi sulle piastrelle gelide e sempre umide, ma anche perché la mia pancia, diventata spropositata, mi affatica e mi sbilancia.
Mi lavo poco e puzzo, specie in testa perché è un mucchio di tempo che non oso lavarmi i capelli, a causa del freddo.
La coperta, che tengo sempre addosso, emana un pessimo odore, ma non posso lavarla, perché non ne ho una di ricambio. Ho provato a chiedere, ma mi ha risposto che non ne ha altre.
Anche il pavimento è lurido perché non ho più la forza di passare lo scopettone con lo straccio.
Mi faccio schifo per come sono ridotta.
Solo il mio carceriere non sembra accorgersi delle mie condizioni e continua a scoparmi tutte le sere, con grande impegno.
Ormai manca poco, ma cerco di non pensarci, poi, una volta partorito, scoprirò quale sarà il mio destino.

Inverno 2006-2007
La mia pancia è cresciuta ancora, non credevo potesse raggiungere una simile dimensione.
Ieri lui ha installato una piccola telecamera nella mia cella. L’ha messa in alto, in un angolo, in modo che possa inquadrarmi sempre, ovunque io mi trovi.
Dice che ci siamo quasi e vuole essere sicuro di poter intervenire quando sarà al momento.
Mi sento pesante, quando scendo dal letto mi fanno male i piedi per il peso che ci grava sopra, ma ormai mi alzo il meno possibile.
Oggi è successa una cosa diversa.
Quando si è presentato alle otto con la cena, come al solito, mi ha fatta sdraiare sul letto, per un controllo.
Io stavo a gambe larghe lui si è infilato in mezzo, sotto la sporgenza della pancia, con una torcia elettrica.
Mi ha osservato e toccato a lungo, sembrava un meccanico dentro al cofano di una macchina, poi ha sentenziato che non si poteva fare.
‘Sei già un po’ dilatata, sta per succedere da un momento all’altro, e rischiamo di rovinare il lavoro di mesi.’
Chissà, forse, per la prima volta, da quando sono prigioniera, non dovrò barattare la cena con una scopata.
Mi ha tolto di dosso la coperta e mi ha costretta a scendere dal letto.
Quando mi ha fatto inginocchiare per terra e si è aperto i pantaloni, ho capito.
Mi sono lamentata per il freddo, l’ho supplicato di restituirmi la coperta, ma lui ha ribattuto di sbrigarmi: ‘prima finisci e prima ti copri, comincia a succhiarlo e cerca di fare un buon lavoro’.
Allora mi sono avvicinata, l’ho preso delicatamente tra le labbra ed ho iniziato a succhiarlo come lui mi chiedeva, poi mi sono sentita stringere le guance tra le sue mani ed ha cominciato a farmi muovere la testa sopra il suo cazzo.
Penso di aver fatto un buon lavoro, perché mi ha riempito la bocca di sperma e se n’è andato soddisfatto.
Addirittura, prima di allontanarsi, mi ha rimesso sulle spalle la coperta.
Ci ho messo diversi minuti per riuscire a trovare le forze per rialzarmi.
Ha detto che sono un po’ dilatata, chissà, forse domani si compirà il mio destino. Inverno 2006-2007
Ieri mattina mi sono svegliata completamente bagnata.
Dopo un po’ si è aperta la porta ed è entrato. In quasi un anno di prigionia, è la prima volta che si presenta così presto.
‘Si sono rotte le acque’, mi dice, ‘oggi è il giorno’.
Mi prende una paura terribile, è praticamente dall’inizio che so di essere incinta e quello che mi accadrà, eppure solo ora me ne rendo conto.
Sono sola, dopo quel breve controllo se n’è andato, sicuramente mi osserva da un monitor collegato alla telecamera, sento il ronzio del motore che fa girare l’apparecchio verso il mio letto e poi vedo lo zoom che si sposta.
Arriva la prima contrazione e grido. Non pensavo facesse così male, e siamo solo all’inizio.
La sera prima mi ha dato dei consigli sui movimenti e le posizioni da assumere per rendere il parto più agevole, e provo a mettere in pratica le sue raccomandazioni.
Le contrazioni si susseguono, sempre più ravvicinate e sempre più dolorose, lentamente mi sto aprendo.
Il dolore mi avvolge e mi soffoca e, nonostante faccia molto freddo, mi accorgo di essere sudata.
Guardo l’orologio, segna le cinque, questo significa che sono passate già dieci ore da quando è iniziato tutto.
Una contrazione più forte delle altre mi fa gridare e sobbalzare. Vorrei che finisse subito, vorrei che questo maledetto bambino, che non ho voluto e che mi è stato imposto, a forza, uscisse al più presto dal mio corpo e mi lasciasse riposare.
Si apre nuovamente la porta.
Indossa un camice bianco e dei guanti da chirurgo e spinge un carrello con sopra degli attrezzi.
Sembra pratico e sicuro di quello che fa e così mi affido completamente a lui.
In un’ora è finito tutto, il bambino è tra le sue braccia ed io, tra il velo delle lacrime e dei capelli davanti agli occhi, cerco inutilmente di individuarne i lineamenti.
Sono stata madre solo per un minuto.
è uscito portandosi via il bambino avvolto in una coperta, sento il suo pianto che si allontana e so già che non lo rivedrò più.
Torna dopo qualche minuto, mi da una ripulita e mi dice che deve mettermi dei punti.
Sono così stanca e così distrutta dal dolore che sento l’ago che mi buca, il filo che scorre nella mia carne, ma non provo alcun fastidio.
Quando abbandona definitivamente la mia stanza, sono le diciotto e trenta, e mi addormento pensando che presto saprò come proseguirà la mia storia.
Vengo svegliata di soprassalto dalla porta che si apre.
Sono le otto e mi ha portato la cena.
Quando lo vedo dirigersi verso di me, mi prende un colpo.
‘No, maledizione! Non puoi farmi questo oggi, non puoi, ho appena partorito!’
Mi fa mettere a pecorina, come ha fatto sempre, negli ultimi tempi ed io ubbidisco, troppo stanca e troppo debilitata per oppormi.
Solo quando sento il suo dito che si incunea tra le mie chiappe e mi apre l’ano, capisco.
Sodomizzazione, rapporto anale, inculata, mi passano nella mente tutti i termini che conosco per descrivere una cosa che non ho mai voluto fare, mentre lui finisce di allargarmi l’orifizio.
Al primo dito se n’è aggiunto un altro, si sono addentrate in profondità e poi si sono divaricate come le lame delle forbici.
Il nuovo dolore si somma a quello del parto, poi, per un attimo sento l’orifizio libero.
è solo un attimo, perché ci ha già infilato dentro il suo cazzo e lo sta spingendo in profondità.
Grido, penso di aver gridato come quella prima sera di molti mesi fa, e come allora, lui continua imperterrito a fare quello che vuole.
Mi sento come se mi stesse spaccando in due, poi comincia a muoversi.
Io sono così debole che non riesco a sostenermi con le braccia e, dopo una spinta più forte delle altre, finisco con la faccia nel lenzuolo, mentre lui prosegue, spingendolo sempre più a fondo.
Mi sembra che il tutto duri un’eternità, vorrei riposare, solo dormire, sono troppo stanca, ma lui non mollerà finché non avrà riempito anche quel nuovo buco con il suo sperma.
Quando alla fine esce dal mio corpo, ho soltanto la forza di girarmi nel letto, di schiena, e tirarmi addosso la coperta, prima di addormentarmi.
Quando questa mattina mi sono svegliata, la prima cosa che ho avvertito è stato il dolore.
Ieri sera mi aveva fatto un’iniezione di antidolorifico e ora, passato l’effetto sento delle fitte terribili al ventre. Mi fanno anche male i punti di sutura che mi ha messo, poi per ultimo arriva il dolore dietro.
è normale: ho partorito e poi sono stata brutalmente sodomizzata. Ho il culo ancora pieno del suo sperma, mi sono addormentata così, senza neanche provare a ripulirmi.
Scosto la coperta per alzarmi.
Che è successo alle mie tette?
I miei seni, piccoli e flaccidi, si sono ingranditi a dismisura e sembrano due palloni gonfi quasi da scoppiare.
Ci passo sopra il palmo di una mano e scopro che sono bagnati.
Il latte!
Normale, ho appena partorito e mi è venuto il latte.
Sono gonfia di inutile latte, perché il bambino che ho partorito sarà magari a 100 chilometri di distanza e la sua falsa madre starà ora preparandogli il biberon, sciogliendo del latte in polvere.
Poi il mio sguardo scende verso la pancia.
è sparita, non c’è più, nel senso che è scomparsa quella specie di mongolfiera, che mi ha accompagnato negli ultimi tempi e, al suo posto, c’è un ventre gonfio, molle e grinzoso.
Alla fine riesco ad alzarmi, mi sento insolitamente leggera, ma allo stesso tempo stanca e debilitata.
Impiego un’enormità di tempo per lavarmi, ma non importa, in questa mia vita da reclusa, il tempo è l’unica cosa che ho in abbondanza, poi mi alzo dal lavandino e mi dirigo verso il tavolo dove mi aspetta la cena di ieri sera.
Mangio lentamente, ma non lascio nulla, poi mi rimetto a letto. Le lenzuola sono uno schifo, ma non ho la forza di cambiarle, se ne parlerà domani. Inverno 2006-2007
Lentamente miglioro e torno alla normalità, se si può considerare normale la mia vita in questi ultimi mesi.
Ho ripreso a lavarmi ed a curare la pulizia della mia cella.
Dopo un po’ di giorni mi ha tolto i punti, mentre il latte, visto che non c’era nessuno a succhiare i miei capezzoli, se n’è andato da solo.
Non capisco cosa lui voglia fare di me.
Dopo il parto non mi ha più scopato, però non mi lascia andare via.
Naturalmente tutte le sere, prima di permettermi di cenare, mi fa mettere sul letto a pecorina e me lo ficca dietro. Credo che rientri nei suoi principi etici, che io debba comunque guadagnarmi da mangiare in qualche maniera.
Ora mi fa meno male, ma i primi gironi è stata dura.
Quando cammino nella stanza ho l’impressione che le mie chiappe si siano allontanate tra di loro, non so bene, magari è solo un’impressione, ma mi sento come se qualcuno mi avesse ficcato un pezzo di tubo nell’ano, in modo che rimanga sempre dilatato.
La pancia si è riassorbita solo in parte, sembro una di quelle vecchie secche che, al mare, insistono a mettersi un bikini succinto, mostrando così tutte le grinze che il tempo ha lasciato sul loro corpo.
Anche le tette sembrano aver risentito della faccenda del latte.
Io non ho mai avuto un gran seno, ma almeno una volta si tenevano su, ora invece sembrano due sacchetti sgonfi e grinzosi.
Continuo a chiedermi perché sono ancora qui.

Inverno 2006-2007
Oggi sono (quasi) felice.
Sono tornate!
Questa mattina, quando ho visto la macchia sul lenzuolo ho capito subito che mi erano tornate le mestruazioni.
La ricomparsa del ciclo, a circa un mese dal parto, significa che sono di nuovo normale: sono una donna di trent’anni con la sua normale attività sessuale.
Poi si è presentato un nuovo problema logistico.
Gli assorbenti.
Quando sono in piedi nella stanza posso farne benissimo a meno, visto che sono nuda.
Le donne primitive non ne avevano certo bisogno e non si preoccupavano di macchiare il pavimento della caverna in cui vivevano.
Io, ogni tanto, prendo lo straccio e tolgo le macchie rosso scuro dalle piastrelle.
Ma quando sono a letto o seduta sulla sedia, devo assolutamente evitare di sporcare, così mi faccio dei tamponi con la carta igienica e ci metto sopra un asciugamano, cercando di trattenerlo tenendo le gambe il più possibile unite.
Anche lui se ne è accorto, mi ha fatto allargare le gambe e mi ha sorriso con aria soddisfatta, poi me lo ha ficcato dietro come il giorno prima ed il giorno prima ancora, ecc …

Inverno 2006-2007
Ho lavato l’asciugamano macchiato.
Mi sento come la ragazzina pre adolescente che ha avuto il suo primo ciclo.
Sto bene, mi sono ristabilita e non ho più dolori.
Si è presentato alle otto, preciso e puntuale come sempre ed io ho preso posizione sul letto, ma con mia grande sorpresa mi ha fatta alzare in piedi.
Quando mi ha bloccato le braccia in alto, al solito gancio, come ha fatto per gran parte del mio tempo trascorso qui, ho cominciato a gridare ed a scalciare.
Non può essere, non può ricominciare tutto da capo, come quasi un anno fa.
Ho cercato, dimenandomi, di impedirgli di fissare l’asta di ferro agli anelli delle caviglie, ma non c’è stato nulla da fare.
Quando si è aperto i pantaloni il suo cazzo mi è sembrato più grande di come lo ricordassi, ma era parecchio tempo che non lo vedevo, perché quando te lo infilano da dietro, non lo vedi mai, lo senti soltanto.
è entrato dentro di me con più facilità, probabilmente perché, dopo il parto, qualcosa è cambiata nella mia conformazione, però mi ha fatto male come una volta, anzi, la cicatrice suturata con i punti mi ha dato parecchio fastidio.
Non mi è rimasto che guardare il suo cazzo che entrava ed usciva nel mio corpo, aspettando che sputasse il suo contenuto.
Dopo essere uscito mi ha lasciato qualche minuto appesa.
Vedevo lo sperma che mi colava fuori, denso e appiccicoso e mi immaginavo un moltitudine di spermatozoi che si inoltravano nel mio corpo alla ricerca dell’uovo da fecondare.
Ho pianto a lungo mentre mi lavavo, operazione che sapevo perfettamente inutile ad evitare un’altra gravidanza.
Alla fine di questa estate compirò trentun anni.
La gravidanza dura nove mesi, se ci aggiungiamo uno o due mesi tra la precedente e la successiva, posso riuscire a produrre un figlio all’anno, anche più.
Fino a che età si possono fare figli? Quaranta, anche di più, ricordo la madre di una mia amica che ha avuto l’ultimo a quasi quarantacinque.
Quindi significa che il mio carceriere, se vuole sfruttarmi fino alla fine, può farmi fare dieci quindici figli.
Non oso immaginare come sarò a quarantacinque anni, dopo quindi anni di questa vita e quindici parti. Inverno 2006-2007
Ho deciso di ribellarmi di nuovo, probabilmente non servirà a nulla, ma devo tentare.
Devo, in qualsiasi maniera, impedire che lui continui a mettere sperma nel mio sesso, non posso e non voglio ricominciare l’esperienza appena terminata.
Cosa può farmi?
Mi ammazza? Forse è meglio così, piuttosto che sopravvivere in questa maniera.
Ieri mi ha scopata per la prima volta, dopo il parto. Il mio ciclo era appena terminato, quindi non dovrebbe essere successo niente, ma se continuerà a farlo nei prossimi giorni, resterò incinta di nuovo.
Quando è entrato nella cella l’ho aggredito subito, prendendolo di sorpresa.
Aveva le mani occupate dal vassoio e sono riuscito a colpirlo un paio di volte, prima che lui riuscisse ad immobilizzarmi.
Mi ha trascinata fino al punto dove c’è il gancio e mi ha di nuovo appeso per le braccia.
Io ho continuato a tirare calci per tenerlo lontano ed una volta l’ho anche colpito, sulle palle.
Si è tenuto fuori tiro per un po’, giusto il tempo per riprendere fiato, poi è tornato alla carica.
Alla fine ha rinunciato a bloccarmi le caviglie con la sbarra, perché mi muovevo troppo, mi ha sollevato le gambe da terra e me le ha allargate e il suo cazzo è di nuovo entrato nella mia fica.
è entrato subito perché ero bagnata. Sto diventando una specie di animale, nell’aspetto e nell’animo.
Lui se ne deve essere accorto ed ha rallentato la sua azione.
Ho capito, è una trappola, se io ora gli faccio capire che mi sono eccitata, mi punirà.
No, la cena no!
Ho sempre avuto molto appetito, il medico mi diceva che era il mio metabolismo.
Ora, in questa situazione terribile, in cui ho perso tutto, l’appetito non mi manca mai.
Alla fine è venuto.
Io sono rimasta lì, appesa, con le gambe allargate e le ginocchia piegate, con lo sperma che mi colava lungo le cosce.
Non si è portato via il vassoio con la cena, ma mi ha lasciato tutta la notte appesa, quindi è stato anche peggio.
Non pensavo fosse possibile, ma sono anche riuscita a dormire un po’, poi la mattina, visto che lui non veniva a slegarmi, quando non ce l’ho fatta più a resistere, ho fatto pipì per terra.
Non credo che si arrabbierà, visto che tocca a me pulire.

Inverno 2006-2007
Sto contando i giorni. Sono partita dalle mie mestruazioni e, ogni mattina, faccio una crocetta su un foglio.
Ne ho fatte tante: quindici, venti, venticinque, trenta ‘ a quaranta mi sono fermata ed ho stracciato il foglio.
Non verranno, sono incinta di nuovo, ne sono sicura.
Questa mattina mi sono svegliata con la nausea, come l’altra volta.
Sta ricominciando tutto da capo, come in quelle favole terribili dove un incantesimo fa accadere sempre la stessa cosa.

Inverno 2006-2007
Ho pensato di ammazzarmi, ma non ho niente per farlo.
Se mi avesse lasciato almeno le posate, avrei potuto tagliarmi le vene dei polsi con il coltello.
Potrei bere la varechina.
No, mi fa troppo schifo. Ho sempre detestato il suo odore e ora, la uso di rado, per pulire il pavimento, mettendone appena un goccio.
Forse la realtà è che non ho neanche la forza di uccidermi.
Non mi guardo più allo specchio, cioè, tutte le mattine mi vedo nello specchio sopra il lavandino, quando mi lavo, ma cerco di non guardarmi.
Quasi non ricordo più come ero prima. Il mio viso è grigio e pieno di rughe ed ho perso un altro dente: un canino è saltato nel tentativo di strappare un brandello di bistecca dall’osso.
Lo sentivo ballare da diversi giorni e me lo aspettavo.
Ogni tanto mi metto le dita in bocca per sentire se i miei denti sono saldi, mi immagino tra un po’ sdentata ed incapace di mangiare.
I miei capelli sono lunghissimi,, sporchi, intrecciati ed arruffati.
Ora mi arrivano quasi al sedere e penso che per lavarli dovrò aspettare la stagione calda.
Guardo le mie mani, al pari dei piedi sono rosse, screpolate e con la pelle spaccata in più punti, a causa del freddo e dell’umidità di questa maledetta cantina.
A distanza di parecchio tempo dal parto, la mia pancia ha perso ogni gonfiore, ma non ho più il ventre liscio e piatto di prima: ora due grinze ben visibili l’attraversano in orizzontale, da parte a parte.

Primavera 2007
Più o meno, in base alla temperatura, credo sia passato un anno da quando sono stata rinchiusa qui.
La mia pancia è tornata, prima sono sparite le grinze, poi ha cominciato a crescere.
Un altro bambino da vendere per il mio carceriere. Chissà quanto ci guadagna?
Oggi mi sono fatta coraggio ed ho provato a lavare i capelli.
Li ho insaponati e sciacquati quattro volte e alla fine sono venuti abbastanza bene, se solo avessi la possibilità di tagliarli. Primavera 2007
Ora la temperatura è salita ed ho deciso di lavare la coperta, perché il suo odore mi faceva vomitare.
Ci ha impiegato dieci giorni per asciugarsi e si è anche un po’ indurita, ma almeno sono a posto per l’inverno.
Oddio! L’inverno.
Se penso di dover trascorrere un altro inverno, al freddo ed all’umidità, chiusa qua dentro e senza vestiti, mi sento male, eppure non ho alternative.
Ho fatto un po’ di conti, dovrei partorire alla fine dell’autunno, quindi affronterò la parte più fredda dell’anno dopo, e questo mi sembra un po’ meglio.
Lui è un uomo estremamente metodico, ma a volte fa delle piccole variazioni.
Oggi, per esempio, è venuto sempre alle otto in punto a portarmi la cena, ma ha deciso di ficcarmelo di dietro.
Non mi ha dato spiegazioni, lui non ne fornisce mai ed io non posso chiedere.
Mi ha fatto parecchio male, perché era da tempo che non me lo infilava lì.
Quando se n’è andato, ero troppo avvilita per reagire in una qualche maniera e sono rimasta sdraiata sul letto a lungo, incapace di muovermi.
Continuo a chiedermi perché seguiti a farmi questo tutte le sere, visto che ormai ha raggiunto il suo scopo. Potrebbe benissimo lasciarmi in pace per il resto della gravidanza, visto anche che sono diventata così brutta da fare schifo.
Mi sono fatta un’idea in proposito: penetrarmi brutalmente tutte le sere, gli assicura il controllo su di me, mantenendomi totalmente sottomessa.

Primavera 2007
Il clima primaverile ha un po’ migliorato il mio umore, non che sia allegra, ma l’inverno è stato veramente terribile.
La pelle delle mani e dei piedi è meno rossa e le spaccature si sono rimarginate, in compenso sono comparsi dei dolori.
Temo si tratti di reumatismi, come mia nonna, però lei ha quasi novant’anni ed io neanche trentuno.
Sono riuscita a sistemare i capelli: uno dei due asciugamani, particolarmente consumato, perde dei fili di stoffa e così ho preparato una specie di cordoncino.
Ci ho messo parecchio tempo ma è l’unica cosa di cui dispongo in abbondanza, quindi non me ne sono certo preoccupata.
Questa mattina, finalmente, mi sono fatta la treccia e l’ho bloccata all’estremità, legandola con il cordoncino.
Non è molto bella da vedersi, ma almeno non ho più i capelli davanti agli occhi.
Spero solo che lui non abbia qualcosa da ridire.
Ora sto lavando il pavimento e la punta della treccia mi fa il solletico in mezzo alle chiappe, proprio dove me lo ha ficcato negli ultimi giorni.

Primavera 2007
Adesso è diventata un bel palloncino, tondo e teso, mi sembra l’unica parte di me che abbia un aspetto gradevole, per il resto sono un corpo secco, flaccido e grinzoso, dalla pelle grigia e piena di peli.
Sto cercando di fare un po’ di ginnastica, per recuperare un minimo di tono muscolare, ma non mi sembra di vedere risultati apprezzabili.

Primavera-Estate 2007
Tutto regolare: la mia pancia cresce, il mio carceriere mi scopa (o mi incula) regolarmente tutte le sere, mangio, mi lavo, spazzo e lavo il pavimento e faccio anche il bucato.
La vita di tutti i giorni, insomma.
Gli anelli stretti intorno a polsi e caviglie mi impediscono di lavare la pelle che si trova lì sotto, e, se ci avvicino il naso, sento un cattivo odore di sporco.
A parte questo, non mi danno alcun fastidio, mi sono talmente abituata che la mia pelle non li sente.
All’inizio mi hanno causato diverse scalfitture, ora invece si è anche formato un callo che ha ridotto la mia sensibilità.
Sono anche diventata bravissima con la catena che mi lega la caviglia destra al muro.
è molto lunga e mi permette di muovermi agevolmente in tutto il mio regno (che sarebbe la cella in cui sono rinchiusa), a patto di non farla impicciare da qualche parte.
I primi tempi si aggrovigliava dappertutto, intorno alle zampe del letto e del tavolo, a volte mi capitava di trascinarmi appresso la sedia, ora invece mi muovo come se fossi completamente libera.
Non mi fa più male quando mi scopa a secco, mi sono abituata, cioè mi devo essere allargata al punto che mi entra dentro senza alcuno sforzo.
Dietro, invece, temo che non mi abituerò mai. Mi fa male ma cerco di non farglielo capire perché allora me lo spinge dentro ancora più brutalmente.
Da qualche giorno ha preso a ficcarmelo regolarmente dietro e la sensazione spiacevole di sentirmi sfondata si è fatta più forte.
Lo ho fatto anche questa sera e sono stata costretta a dormire su un fianco, perché mi faceva troppo male.

Primavera-Estate 2007
In questo periodo, se solo sapessi che giorno e che mese è, dovrebbe cadere il mio compleanno. Certo avrei ben poco da festeggiare in queste condizioni.
La mia è una vita non vita, ogni giorno è esattamente uguale a quelle che lo precede e sarà identico a quello che segue. Solo una cosa si modifica: la mia pancia.
Lei cresce inesorabile e mi ricorda che tra qualche mese ‘
Poi ricomincerà di nuovo. Per quante volte ancora?
Finché lo vorrà lui, il mio carceriere e finché io potrò. Estate 2007
Il caldo si fa sentire e mi sto lavando più spesso, approfitto di questa stagione perché il contatto con l’acqua fredda, ora, non è per niente spiacevole.
Oggi è accaduto un fatto nuovo: è venuta un’altra persona a portarmi la cena.
Mi stavo già preoccupando, perché erano le otto e dieci e lui ancora non si vedeva, quando ho sentito armeggiare sulla serratura.
Mi sono trovata davanti un giovane stempiato e grassottello.
‘Mio zio ha da fare e per qualche giorno mi occuperò io di te.’
Lo ha detto sorridendo malignamente e temo che suo zio gli abbia dato tutte le istruzioni in proposito.
Con mia grande sorpresa, mi ha fatto mangiare prima.
Mentre io divoro la cena lui mi guarda, sento i suoi occhi che fanno una specie di radiografia al mio corpo malridotto, si sofferma sulle mie tette flaccide, che si poggiano sulla pancia gonfia e tesa, poi guarda le mie gambe sempre più ricoperte di lunghi peli neri.
La sua espressione è chiarissima: faccio schifo.
Chissà, magari mi risparmio il resto.
Previsione sbagliata, perché non faccio in tempo a finire l’ultimo boccone, che mi trascina vicino al letto.
Ormai sono così abituata che sono io stessa a fare i movimenti giusti, così alzo le braccia e lui mi blocca i polsi, poi, divarico le gambe e mi faccio mettere docilmente l’asta di ferro.
Il ragazzo si sbottona i pantaloni e se li abbassa insieme alle mutande.
Ha un po’ di pancia ed il cazzo piccolo e dall’aria molliccia.
Si masturba a lungo nel tentativo di farlo crescere e, quando gli sembra che possa andare bene me lo ficca dentro.
Abituata alle dimensioni ragguardevoli dell’arnese dello zio, questo mi sembra quasi un giocattolino, ed aspetto paziente che finisca.
Tutto si risolve in pochi minuti, e mi libera dopo essersi ripulito la punta del cazzo sulla mia pancia prominente.
Sento chiudersi la porta, di nuovo sola, ora mi mangio la cena, mi do una lavata e me ne vado a dormire.

Estate 2007
E’ passato solo un giorno.
Il nipote grassottello si fa vivo a metà pomeriggio e mi annuncia che questa sera sono invitata ad una festa.
Mi dice ridendo di darmi una ripulita e mettermi il vestito buono.
Fa anche lo spiritoso lo stronzetto.
Alle otto si presenta insieme ad altri due amici, si sono portati appresso due sedie ed una cassetta di legno piena di roba da mangiare e bottiglie di birra.
La cena è per loro, si accomodano intorno al tavolo ed iniziano a mangiare.
Il mio posto, invece, è per terra, sotto al tavolo, come un cane.
Mentre succhio il cazzo del primo, un tipo alto a magro, mi arrivano alle orecchie brandelli della loro conversazione:
‘… certo che è brutta da fare schifo …’
‘… non credevo fosse così incinta, non ho mai scopato una donna con la pancia così grande …’
‘ ‘ però succhia niente male …’
Io continuo, con la testa affondata in mezzo alle sue gambe mentre lui mi preme sulla nuca per impedirmi di allontanarmi.
Mi spara tutto in bocca ed aspetta che abbia ingoiato completamente, prima di togliermi la mano.
Prendendomi a calci nel sedere mi fanno spostare verso il secondo.
Mi muovo carponi, sotto il tavolo, a fatica, tenendomi la pancia con una mano e ricomincio.
Ingoio nuovamente e cerco di spostarmi subito ma un paio di calci mi arrivano comunque.
L’ultimo è proprio il nipote del mio carceriere, lo riconosco dalla pancia e dal cazzo piccolo.
Sono stanca, mi fanno male le ginocchia e spero tanto che non vogliano farmi fare un altro giro.
Per fortuna sembrano accontentarsi, mi sento tirare la caviglia dalla catena e vengo fuori da sotto il tavolo in retromarcia.
Provo ad alzarmi.
‘Che cazzo fai! Giù, a quattro zampe devi stare!’
Ubbidisco, mi stanno trattando come un animale.
‘Ora puoi mangiare.’
Mi indicano due ciotole di metallo, a terra, in un angolo.
Sono come quelle che si usano per i cani, in una ci sono gli avanzi della loro cena, mentre l’altra è piena d’acqua a metà.
‘Con la bocca, devi usare solo la bocca.’
Non è facile mangiare usando solo la bocca, e, ancora più difficile, è bere così, da una ciotola piena d’acqua, messa per terra, comunque faccio del mio meglio e, sporcandomi e sbrodolandomi, riesco in qualche maniera a sfamarmi e dissetarmi.
Mi ordinano di andare a mettermi sul letto ed io decido di spostarmi sempre a quattro zampe, perché nessuno mi ha detto di alzarmi.
Mi arrampico sulla brandina e rimango in attesa, ma so già come continuerà la loro festa.
Mi inculano subito, da quanto mi fa male, credo si tratti di quello magro, che aveva un affare di proporzioni ragguardevoli.
La mia pancia sbatte sul materasso mentre lui lo ficca sempre più in profondità, posso solo aspettare che finisca.
Il secondo non mi fa affatto male, perché ce l’ha più piccolo e poi il mio orifizio è rimasto dilatato e lubrificato dallo sperma che mi ha lasciato il primo.
Il nipote cicciottello passa il turno e decide di ficcarmelo direttamente nella fica.
Mi gira di schiena e poi mi trascina fino al bordo del letto.
Non lo vedo entrare, perché la mia pancia, rotonda e dilatata copre completamente la visuale, ma sento il suo cazzetto molliccio entrarmi dentro.
Gioca un po’ con le mie tette, tirandomi i capezzoli, evidentemente nel tentativo di eccitarsi, mentre gli altri protestano, dicendo che ci sta mettendo troppo tempo.
Alla fine per fortuna riesce a venire e gli altri due discutono su chi debba essere il primo.
Quando alla fine se ne vanno è notte fonda e sono stanca ed avvilita.
Spero che il mio carceriere solito torni presto.

Estate-Autunno 2007
Dopo la brutta esperienza con il nipote ed i suoi due amici, mi è passata la voglia di scrivere.
Mi sembra che sia una cosa inutile tenere questa specie di diario.
Comunque è tornato tutto come prima e quello stronzetto non si è più fatto vedere.
Ormai dovrebbe mancare poco, la mia pancia è enorme e fatico a muovermi.
L’ho capito anche dal fatto che lui ha preso a ficcarmelo solo dietro.
Ho paura, ho un terrore folle che qualcosa vada storto e poi non voglio soffrire, l’altra volta ho passato una giornata intera in preda a dolori terribili e non vorrei ripetere la stessa esperienza. Autunno 2007
Inaspettatamente e fortunatamente è andata molto meglio di quanto mi aspettavo.
Eppure me l’aveva detto: ‘Vedrai che dopo il primo, gli altri usciranno molto più facilmente.’
Lì per lì non ci ho neanche fatto caso, poi le parole gli altri, inserite tranquillamente nella sua frase, si sono incuneate nella mia mente come un ferro rovente.
Sono giorni che ci penso: sono destinata a rimanere rinchiusa finché sarò buona a fare figli, sono una bestia d’allevamento condannata a produrre finché sarò in grado di farlo.
Comunque si è risolto tutto in un paio d’ore.
Come l’altra volta lui si è portato via il bambino e mi ha lasciata sola, sdraiata sul letto, a guardarmi le pieghe e le grinze della mia pancia sgonfiata.
Questa sera si è ripresentato puntualissimo, alle otto.
Io ero ancora sdraiata sul letto, mi ha fatta girare e me lo ha ficcato dietro.
Mentre mi inculava, con le mani mi strizzava le tette.
Erano di nuovo gonfie di latte, come l’altra volta, e quando stringeva forte mi faceva male.
Sotto la sua pressione un po’ di liquido zampillava fuori e bagnava la coperta mentre lui continuava, perché io la cena me la devo guadagnare tutte le sere.

Inverno 2007-2008
Mi sono tornate le mestruazioni ma lui sta continuando a ficcarmelo dietro.
Non capisco, ma credo sia meglio così.
Chissà, magari ha pensato che due possono bastare.
Forse mi tiene ancora un po’ e poi mi libera.

Inverno 2007-2008
‘Il prossimo lo farai direttamente con il cliente.’
Ha esordito così. Parla poco con me ma quando lo fa, le sue parole raggiungono sempre il segno.
‘In genere sono contrario a far incontrare il cliente con la fattrice, ma lui ha insistito e mi ha offerto un extra molto allettante.
Oggi stesso comincerai con lui, ma prima ti devi dare un sistemata, perché, ridotta così, è facile che neanche gli si drizza a quello lì.’
Così mi sono lavata con cura, poi lui mi ha fatto sdraiare sul letto e mi ha depilata con un rasoio usa e getta.
Non è il metodo migliore, mi ha detto, ma non ha tempo per mandarmi dall’estetista.
Le mie gambe, senza peli, hanno un aspetto più decente, ma il freddo della cella senza riscaldamento e la lunga inattività hanno lasciato il segno.
Mi fa allargare le cosce e mi sfoltisce i peli pubici, poi, sempre usando il rasoio, effettua le operazioni di rifinitura, lasciando solo un folto triangolo sopra la fica.
Le forbici eliminano in un attimo i lunghi ciuffi sotto le ascelle e per ultimi asporta i peli sulla braccia.
Non sono più una creatura selvaggia, sono solo una donna malridotta.
Mi porge una scatola di plastica con dentro tutto il necessario e mi ordina di truccarmi.
Ho perso la mano e all’inizio pasticcio parecchio, e poi non sono i prodotti che sono (o meglio ero) abituata ad usare, ma alla fine il mio viso assume un aspetto quasi gradevole, anche se sembro molto più vecchia dei miei trentuno anni.
Per ultima cosa sistemo i capelli. Mi ha portato una spazzola, con la quale, dopo quasi due anni, provo a togliere i nodi che si sono formati.
Sempre con le forbici li pareggia un po’ e taglia quelli che sul davanti sono cresciuti troppo.
‘Perfetto, ora puoi vestirti, che ti porto da lui.’
Mi fa un effetto strano, dopo tutto questo tempo sentire il contatto della stoffa sulla mia pelle.
La gonna blu mi arriva a metà coscia e sotto spuntano le mie ginocchia ossute ed arrossate per effetto del freddo e dei reumatismi che mi tormentano da tempo, mentre il maglione bianco a collo alto mi prude sulle spalle e sui seni.
Solo queste due cose, nient’altro e, soprattutto, niente scarpe.
Per ultima cosa apre il lucchetto e mi libera della catena.
Esco dalla mia cella al suo fianco, tenuta forte per un braccio e ci incamminiamo per il corridoio.
è un tragitto breve, solo pochi metri, fino ad una porta identica a quella della mia prigione.
Il cliente, il futuro padre del mio prossimo bambino è lì che aspetta.
Un omino minuto, pelato, vestito con un abito grigio, è seduto su una poltrona e fuma con aria impaziente.
La stanza, più o meno, è grande come la mia cella ma è bene arredata: un tavolino basso con due poltrone e un grande letto matrimoniale. In fondo c’è anche un bagno, a giudicare da quello che si vede attraverso la porta semi aperta.
Mi lascia in piedi, davanti a questo sconosciuto che mi scoperà finché non rimango incinta e se ne va.
‘Quanti anni hai, non sarai troppo vecchia per fare figli?’
‘Trentuno e mezzo, più o meno.’
Mi solleva la gonna, come se stesse esaminando un animale da comprare.
Osserva la mia pancia piena di smagliature, il mio sesso deformato e dilatato e fa una smorfia.
‘Mi ha detto che hai partorito da poco, ma che sei già di nuovo pronta, è così?’
‘Sì ‘ sono di nuovo pronta.’
Non aggiunge altro, mi prende per una mano e mi conduce fino al letto.
Si è spogliato lentamente, deve essere un tipo metodico, perché ha disposto i suoi indumenti con cura, cercando di evitare che si sgualcissero, mettendo per ultimi i calzini dentro le scarpe.
E così siamo l’uno di fronte all’altra.
Ora che è nudo lo trovo anche meno attraente di prima, un uomo di mezz’età, piccolo ed insignificante, ma anche io non devo sembrargli particolarmente interessante, da come mi guarda.
Si scruta un po’ imbarazzato il suo cazzo che non vuole saperne di drizzarsi completamente e mi chiede un aiuto.
Ha detto proprio così, ma anche senza essere esplicito fino in fondo, è chiarissimo quello che vuole da me.
Sono talmente abituata ad obbedire, da quando sono prigioniera, che mi sembra una cosa naturale abbassarmi e fargli un pompino.
Ad un certo punto mi ferma, mi spinge sul letto e mi sale sopra.
Io allargo prontamente le gambe e lo faccio entrare.
Non piccolo e molliccio come quello del nipote, ma decisamente meno grande di quello dello zio, un cazzo normale insomma.
Finisce tutto nel giro di pochi minuti, lo sento aumentare il ritmo e poi arriva il calore dello sperma dentro di me.
Lui si toglie e se ne va subito in bagno, mentre io rimango a guardarmi la fica che erutta roba biancastra e penso che gli spermatozoi sono di nuovo al lavoro. Uno di loro troverà sicuramente la via giusta e ricomincerà tutto da capo.
Intanto la porta si apre, è il mio carceriere che mi riporta in cella, per oggi ho finito. Primavera 2010
Riprendo a scrivere dopo quasi un anno.
L’altro ieri è stato il quinto. Cinque in poco più di quattro anni.
Ieri sera, prima di andarsene ha lasciato una scatola da scarpe sul tavolo, accanto al vassoio con la cena.
‘Aprila domani mattina, non prima’, mi ha detto, ed io ho ubbidito, perché in tutto questo tempo di dura prigionia, ho imparato a non contraddirlo mai.
Questa mattina mi sono alzata molto presto perché ero curiosa di vedere il contenuto della scatola, dopo quattro anni di vita così, in cui non accade mai nulla, mi sarei emozionata anche a veder volare una mosca.
Così, poco dopo l’alba, ho posato a terra i miei piedi doloranti per i reumatismi che mi tormentano da tempo, mi sono puntellata con le mani sulla brandina e mi sono alzata.
Ho trascinato il mio corpo stanco, con i tessuti del ventre pieni di grinze per il parto ancora fresco, e mi sono diretta al tavolo.
La prima cosa che ho trovato nella scatola, è stato un foglio scritto a mano.
La tua prigionia finisce qui. Non mi servi più.
Sei libera.
Nella scatola troverai tre chiavi, quella piccola serve per liberarti dal lucchetto, quella grande è della porta della tua cella, mentre quella con il portachiavi è della porta di casa.
Ora passiamo agli anelli dei polsi e delle caviglie.
Nella scatola c’è anche una chiave a brugola della giusta misura per aprire le viti, però, visto che è molto tempo che sono al loro posto, ti consiglio di spruzzarci un po’ di sgrippante che troverai nella bomboletta.
Aspetta dieci minuti prima di provare a svitare.
Buona fortuna.

Preciso e conciso, come suo solito.
Ho provato subito la chiave del lucchetto, la serratura ha fatto un piccolo click e mi sono liberata della catena.
Mi sono messa sul letto con la bomboletta in mano ed ho spruzzato le teste delle viti.
Ho aspettato dieci minuti esatti ed ho provato la prima vite.
è molto dura e le mie mani, dopo quattro anni di questa vita hanno perso molta forza, ma alla fine si è aperta.
Ci ho messo un bel po’ di tempo e, ad ogni vite che provavo ad allentare, temevo di non riuscirci, ma alla fine i quattro anelli, ormai aperti, sono rimasti sul lenzuolo, ed io sono libera.
Libera dagli anelli ma ancora prigioniera di questa cella.
La serratura della porta di ferro scatta facilmente e mi affaccio sul corridoio che ho percorso tante volte, in compagnia del mio carceriere, quando mi conduceva dall’omino.
Ho quasi paura ad uscire, dopo tanto tempo passato qui dentro, poi mi faccio coraggio ed inizio a camminare nel corridoio.
In fondo c’è una porta, ma non è chiusa a chiave e da lì parte una ripida rampa di scale.
Non sono più abituata a fare le scale, tanto tempo rinchiusa in pochi metri quadri fa sì che salire dei gradini mi appaia come un’esperienza particolare.
Quando emergo dalla cantina in cui ho passato quattro terribili anni, mi ritrovo in un grande stanzone completamente deserto. I segni sui muri e sul pavimento, mi danno l’idea che da poco tempo qualcuno abbia fatto un trasloco, portando via i mobili ed ogni altro oggetto presente lì.
Nella stanza c’è solo una cosa, appesa ad un chiodo fissato al muro: una stampella con dei vestiti.
I miei vestiti di quando sono entrata qui.
Non manca nulla, neanche la borsetta, appesa di traverso intorno al gancio della stampella, e le scarpe, allineate a terra.
Ha custodito i miei vestiti per tutto questo tempo ed ora io non devo far altro che rimetterli e tornarmene a casa, come se non fosse successo nulla.
Mi rigiro tra le mani lo slip nero trasparente prima di trovare il coraggio di infilarlo.
Entra facilmente perché nel frattempo non sono certo ingrassata, poi guardo le grinze della mia pancia che coprono il bordo superiore con l’elastico e mi rendo conto quanto sia cambiato il mio corpo.
Infilo a forza le mie tette, irrimediabilmente ammosciate dentro le coppe del reggiseno, poi provo a mettermi il collant.
Appoggiata alla parete per non cadere, infilo le mie gambe dentro il nylon morbido e sottile, è una sensazione che avevo completamente dimenticato.
Indosso la camicetta e poi la gonna, ora restano solo le scarpe.
Mi sento come una selvaggia, vissuta sempre in un villaggio in mezzo alla foresta africana, davanti al suo primo paio di scarpe: i miei piedi callosi e massacrati dal freddo e dall’umidità di quattro inverni consecutivi passati in quella cella, non ne vogliono sapere di infilarsi nella morbida pelle delle mie calzature.
Alla fine, spingendo il piede fino in fondo e tirando forte il cinturino posteriore riesco a chiuderle e mi alzo in piedi.
Mi sembra di stare sui trampoli, non sono più capace di camminare con i tacchi e vago per lo stanzone vuoto appoggiandomi alle pareti, per non cadere.
Mi trovo davanti ad uno specchio, impolverato, sbeccato ed incrinato a metà. Dentro ci vedo una faccia che assomiglia lontanamente a me, quattro anni fa, poi faccio ritorno alla stampella appesa al chiodo, dove è rimasta solo la borsa.
Non manca nulla: chiavi, portafogli, fazzolettini, c’è proprio tutto, compreso il cellulare, ormai irrimediabilmente scarico e, in una bustina, l’orologio, gli anelli e gli orecchini che portavo quel giorno.
Mi rimetto tutte le mie cose, dopo quattro anni, incluso l’orologio, anche se non servirebbe, visto che è fermo da chissà quanto tempo.
Resta solo una cosa da fare: aprire l’ultima porta ed uscire fuori, tornare nel mondo.
Non è facile, non ho la minima idea di dove io mi trovi, o magari mi accorgo che la terza chiave non è quella giusta e che si tratta di uno scherzo atroce del mio carceriere.
Mi immagino già di trovarmelo davanti che mi dice ‘stupida, davvero hai creduto che ti avrei lasciato andare, sei ancora giovane, dovrai lavorare per me ancora un bel pezzo. Adesso torniamo giù, nella tua cella, mi ridai i vestiti, ti fai rimettere gli anelli, poi ti appendo al soffitto, ti rimetto la sbarra e ti scopo.’
Mi sembra di sentire il suo cazzo che mi penetra dolorosamente, a secco, poi lo sperma che mi riempie ed io non posso far altro che passarci dell’acqua fredda e del sapone, nel vano tentativo di arrestare la corsa degli spermatozoi, infine vedo la mia pancia che cresce irrimediabilmente un’altra volta.
Scaccio dalla mia mente questi pensieri, mi faccio coraggio, infilo la chiave e giro.
Sono fuori.
Il sole e l’aria fresca e profumata della primavera mi colpiscono il viso e respiro, dopo tanto tempo, a pieni polmoni.
Mi guardo intorno, riconosco il posto, non disterà neanche due chilometri da casa mia.
Che buffo, la mia prigione era nella mie stessa città, anzi nello stesso quartiere.
Mi incammino verso la fermata dell’autobus mentre frugo nella borsetta alla ricerca degli spiccioli per fare il biglietto.
Inverno 2007-2008
Il mio carceriere mi accompagna tutti i pomeriggi nell’altra stanza.
Il cliente mi scopa rapidamente e di mala voglia, poi torno di nuovo nella mia cella e mi tolgo la gonna ed il maglione.
Il click del lucchetto della catena che torna ad imprigionare la mia caviglia segna la fine della mia breve passeggiata, dopo devo solo aspettare le otto, per la cena e tutto il resto.
Naturalmente lui me lo ficca solo dietro, in questo periodo.

Inverno 2007-2008
Avevo ripreso a contare i giorni nella speranza, molto debole, di non restare nuovamente incinta, e questa mattina, è arrivata la sorpresa: ho di nuovo le mestruazioni.
Lui ci è rimasto male, ha bofonchiato che non ci voleva e l’appuntamento con il cliente è saltato per oggi e per i prossimi giorni, ma continuerà.
Intanto mi ha rifatto la depilazione con il rasoio e le forbici.

Primavera 2008
Riprendo a scrivere dopo qualche mese. Avevo sperato che il cliente, quell’omino piccolo ed insignificante, non riuscisse nel suo intento, invece non è andata come desideravo.
Ho contato, contato ancora i giorni e alla fine, quando ormai avevo capito che non era andata, sono arrivate le nausee, invece del ciclo.
Ho passato giorni e giorni a vomitare, mentre il mio carceriere, ormai sicuro del mio stato, aveva ripreso a scoparmi regolarmente.
Ora una bella pancia, tonda e prominente, che non lascia dubbi sul mio stato e sul logico epilogo.
Ieri ho visto di nuovo il cliente, perché voleva essere sicuro che tutto procedesse bene.
Lui mi ha fatto mettere una maglietta ed una gonna a pieghe.
La gonna tirava così tanto sul davanti che le pieghe erano completamente aperte.
Il cliente mi aspettava nell’altra stanza, seduto su una delle poltrone ed ha voluto controllare, così mi ha fatto avvicinare, mi ha sollevato la gonna ed ha toccato la mia pancia, chissà forse pensava che sotto avessi un cuscino.
Sembrava soddisfatto dell’esame ed ha pure appoggiato l’orecchio sul mio ventre, come se volesse sentire se da dentro provenivano dei rumori.

Estate 2008
Mi preparo ad affrontare la terza estate consecutiva e la terza gravidanza, chiusa in questa cella.
Mi guardo le gambe sempre più magre, di nuovo piene di peli e, passandoci la mano, mi sembra che siano più duri, chissà, forse la depilazione fatta con il rasoio li ha rinforzati.
La pancia è di nuovo grandissima, credo che più o meno manchi un mese.
Lui, proprio a causa dell’ingombro del mio ventre, mi scopa solo da dietro, io me ne sto buona buona, con le gambe allargate, aspettando che scelga in quale buco ficcarmelo.
Delle volte, poi, non soddisfatto, me lo mette davanti alla faccia ed io devo ripulirlo bene con la lingua, prima di prenderlo in bocca.
Ieri mi ha fatto un scherzo simpatico, così ha detto: sul più bello lo ha tirato fuori dalla mia bocca e mi ha schizzato lo sperma sul viso.
Quando, dopo che lui se n’è andato, ho potuto guardarmi allo specchio, avevo la faccia completamente impiastrata.

fine Estate 2008
E’ andato tutto bene, il bambino è nato in fretta, ormai sono diventata brava.
Sarà rimasto soddisfatto il cliente?
Il mio carceriere sembra contento.

Autunno 2008
Mi sono appena ripresa e lui mi comunica che il cliente ne vuole un altro, dopo la femmina, spera ora di avere un maschio e così ho ricominciato con l’omino, nella stanza a fianco.
L’unico vantaggio è che posso curare un pochino il mio corpo, almeno finché non resto nuovamente incinta.
Il cliente sembra anche essersi abituato al mio aspetto poco allettante, però devo sempre aiutarlo.
Sono diventata pratica anche del suo cazzo, ora conosco esattamente i punti in cui stuzzicarlo per farglielo diventare duro.
Ieri ho evidentemente esagerato e mi è quasi venuto in bocca, ha cercato precipitosamente di ficcarmelo dentro, quando ha visto che non riusciva più a controllare la situazione, ma è riuscito solo a sporcarmi la gonna.
Dopo è stato un bel problema farlo tornare in erezione, perché non è come lui, intendo il mio carceriere, e c’è voluta tutta la mia buona volontà, ma alla fine è riuscito nell’intento, ha fatto il suo bravo schizzetto di sperma nella mia fica ed è andato in bagno a lavarsi.

Inverno 2008-2009
Di nuovo, per la quarta volta.
Sono rimasta secca subito e come le altre volte sono arrivate, puntuali, le nausee, che mi hanno tormentato per giorni.
Non ho quasi più voglia di scrivere, non serve a niente tenere questo diario, in cui annoto sempre le stesse cose, un diario che non leggerà mai nessuno.

Primavera 2009
Più o meno sono passati tre anni da quando sono finita qui e se provo a fare un bilancio della situazione mi prende lo sconforto: violentata regolarmente tutti i giorni, tenuta in condizioni impossibili, nuda, al freddo l’inverno ed al caldo l’estate, e perennemente incinta.
Ho solo trentatré anni e sono ridotta ad un rottame.
Tra pochi mesi partorirò per la quarta volta, in tre anni e mezzo e continuerò ancora per anni, finché sarò in grado di farlo, ma sento che prima o poi qualcosa andrà storto e ci lascerò la pelle, per un’infezione o un’emorragia, perché lui non mi porterà certo in ospedale.

Estate 2009
E quattro. Spero che l’omino si accontenti di due figli, poi penso che se non è lui sarà un altro, anzi, molto probabilmente si tratterà proprio del mio carceriere.
Comunque ho deciso, smetto di scrivere e finisco qui il mio diario.
Per un attimo ho pensato di farlo in mille pezzi e di buttarlo nel cesso, ma è l’unica cosa che ho fatto in questi anni e l’ho messo via nell’armadio.

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