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Racconti di Dominazione

Fuori corso (Flaminia)

By 12 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Tutta colpa dell’università.
Flaminia a ventiquattro anni si era trovata davanti ad un bivio, quando suo padre aveva scoperto che aveva dato in tutto solo sei esami.
‘Sono stufo di mantenerti. Non voglio continuare in eterno a pagarti le tasse, la stanza in affitto e tutte le cazzate che ti compri.
Ti saresti già dovuta laureare e invece hai a malapena dato gli esami del primo anno.
Basta! Da oggi il rubinetto è chiuso definitivamente e te ne torni a casa.
A meno che non vuoi metterti a lavorare, ma ti dovrai mantenere da sola, perché da me non avrai più neanche un centesimo.’
Aveva provato a farlo desistere, piangendo, supplicando, promettendo che da domani sarebbe cambiato tutto. Niente da fare, se ne era andato sbattendo la porta e, naturalmente senza lasciarle un soldo.
A casa non ci sarebbe tornata, anche se sapeva benissimo che non aveva alcuna voglia di finire l’università.
Nella sua sfuriata, suo padre una cosa buona l’aveva detta: si sarebbe messa a lavorare, perché no?
Il primo tentativo l’aveva fatto con un fast food.
Cercavano gente part time e una ragazza, bionda, carina e formosa era l’ideale per loro.
Il primo giorno, dopo aver indossato la divisa gialla ed arancione ed il cappellino, tipo baseball, con scritto in grande il nome della catena di fast food, si sentì emozionata ed orgogliosa.
Guardò la targhetta con la scritta in stampatello FLAMINIA, che aveva appuntato, un po’ maliziosamente, sopra uno dei suoi seni, stampò sulle labbra il suo miglior sorriso, e si avvicinò al bancone.
Alla fine del suo turno aveva le caviglie gonfie ed i piedi indolenziti. Da domani scarpe basse e comode, pensò.
Il fritto. L’odore di fritto delle patatine, impregnava ogni cosa. Aveva l’impressione che avessero fritto anche lei, si sentiva come una enorme patata fritta.
Forse erano soltanto i suoi vestiti, oppure anche la sua pelle ed i suoi capelli erano rimasti intrisi di quell’odore grasso e disgustoso.
Il fast food durò due settimane. Non faceva per lei.
Rimase il tempo sufficiente per pagare l’affitto del mese successivo.
Il secondo tentativo lo fece con un negozio di abbigliamento, elegante, in pieno centro.
Il suo aspetto e la buona conoscenza di inglese e francese, la fecero preferire ad altre concorrenti con esperienza.
Il terzo giorno il principale le disse che si sarebbe dovuta trattenere una mezzora, dopo la chiusura, per fare le pulizie. Era una cosa che, a turno, tutte le commesse dovevano fare.
La mandò nel retrobottega a prendere l’aspirapolvere.
Mentre cercava di districare il tubo flessibile dal manico di uno scopettone, si aprì la porta.
Si trovò davanti il principale, con i pantaloni calati e l’uccello in mano.
Dal negozio a casa erano un paio di chilometri, ma Flaminia fece il tragitto di corsa, senza mai fermarsi.
Così aveva perso anche il suo secondo lavoro e, oltretutto, non era neanche stata pagata, ma non aveva proprio alcuna intenzione di tornare lì.
Qualche giorno dopo ebbe una proposta di lavoro molto particolare.
Marco era un compagno di università. Faceva il fotografo a tempo perso, per arrotondare qualcosa.
Era un ragazzo carino, a lei non dispiaceva ed era strasicura, da come a volte la guardava, che la cosa era abbondantemente ricambiata.
Però, in quel periodo, non aveva proprio voglia di legarsi, così ogni tanto si vedevano, ma aveva sempre evitato di incoraggiarlo.
Stavano sorseggiando una birra in un pub e lei pensava che la prossima settimana, non si sarebbe potuta permettere neanche questo.
Se non trovava qualcosa alla svelta, veramente alla svelta, sarebbe dovuta tornare a casa, con la coda tra le gambe.
‘Flaminia, senti, ho capito che sei veramente nei guai con i soldi.
Io una proposta da farti, ce l’avrei.
Certo, è una cosa un po’ particolare ‘ non so da dove cominciare.
Beh, io adesso te la dico, solo se prometti che, se non ti sta bene, non ti arrabbi.
Diciamo che se non ti va, è come se avessi scherzato. OK?’
Flaminia era un po’ insospettita dalla reticenza di Marco, però, data la sua pessima situazione, era disposta a sentirsi proporre qualsiasi cosa, e poi, se non le stava bene, avrebbe detto di no e la faccenda si sarebbe chiusa lì.
‘Tu sei una ragazza molto carina, anzi, ad essere sincero, sei proprio uno schianto: alta, bionda, con un corpo che fa girare tutti per strada e poi ‘ un paio di tette che ‘
Scusa non vorrei sembrarti volgare, ma è la verità.’
Flaminia sorrise, era perfettamente consapevole del suo corpo e dell’effetto che provocava nella testa dei maschietti, però il discorso che Marco aveva iniziato non le stava piacendo per niente.
‘Marco, chiariamo subito, se stai pensando che io possa andare a letto con qualcuno per soldi, la mia risposta è no. Non ho nessuna intenzione di fare la puttana.’
‘Ma no, che hai capito? Non ti chiederei mai una cosa simile, dovresti saperlo.
Si tratta solo di fare qualche foto, al massimo un filmino di cinque minuti mentre ti spogli. Una cosa soft, per niente volgare.
Niente orge con negroni iperdotati, solo qualche scatto con te più o meno spogliata.
In un paio di sedute puoi guadagnare il necessario per campare tranquillamente tutto il mese.
Senti, facciamo così, tu ora non mi dici nulla, ci pensi su qualche giorno e, se è sì mi richiami, se è no, amici come prima.’
Flaminia ci aveva pensato a lungo. I soldi erano finiti e il padrone di casa cominciava ad innervosirsi.
La bolletta della luce, in evidenza sulla mensolina dell’ingresso incombeva, con la sua scadenza, passata ormai da un pezzo, e l’idea di andare a dormire a lume di candela non l’allettava per niente.
In fin dei conti si trattava solo di qualche foto.
E se qualcuno l’avesse riconosciuta? Beh, poteva sempre dire che era una che le assomigliava.
Prese il telefono.
‘Ciao Marco, sono Flaminia.’
‘Sì, certo, ti ho riconosciuto, dimmi.’
‘… per quella faccenda ‘ per me va bene, ma solo se le cose stanno come mi hai detto l’altra volta al pub’.
Si videro il pomeriggio successivo.
Marco si era fatto dare le chiavi del piccolo ufficio di un suo amico, situato in un vecchio palazzo del centro.
Dovette aiutarlo a portare per le scale strette e ripide l’attrezzatura.
‘Dovrai impersonare una segretaria un po’ vogliosa, per questo motivo ti ho portata in questo ufficio e ti ho fatto mettere il tailleur blu’.
Odiava quel vestito. Lo aveva comprato per un ricevimento molto formale, a cui era stata costretta ad andare un anno fa, e da quella volta non era più uscito dall’armadio.
Marco dispose rapidamente gli stativi con le lampade e piazzò sul treppiede una grossa videocamera professionale.
Aveva anche una videocamera più piccola con cui, disse, avrebbe ripreso i ‘dettagli’, e poi, naturalmente, una grossa reflex digitale.
Le fece fare due trecce con i suoi lunghi capelli biondi e le poggiò su naso un paio di occhiali da lettura leziosi ed un po’ demodé.
Flaminia si guardò allo specchio. Era uno strano connubio tra una ragazzina, per via delle trecce, ed una bibliotecaria zitella con occhiali e tailleur.
Manifestò queste perplessità a Marco e lui si mise a ridere.
‘Brava, hai capito tutto. Chi vedrà le foto ed il film si farà quest’idea, poi, mano mano che si scoprirà il tuo corpo, capirà che non sei né una ragazzina ne una zitella, ma un pezzo di gnocca da far paura.’
‘Chi vedrà ‘ quanta gente mi vedrà?’
‘Non penserai mica che i soldi li metta io per divertirmi a fotografarti nuda?
Spero proprio che ti veda un mucchio di gente, così il prossimo servizio me lo pagheranno anche meglio’.
Fu un lavoro lungo e faticoso.
Marco era pignolo e, se non gli piaceva qualcosa, faceva ripetere la scena.
La segretaria, dapprima rigida ed abbottonata, piano piano si sciolse e, gradualmente, si liberò del suo abbigliamento.
Quando posò il reggiseno sulla scrivania, liberando due tette grandi e rotonde, Marco per un attimo perse l’espressione di professionalità che aveva tenuto fino a quel momento e Flaminia temette che le sarebbe saltato addosso, certo, meglio lui che il padrone del negozio.
Non successe nulla, perché lui respirò profondamente, riassunse a fatica l’atteggiamento ‘professionale’, tenuto fino a quel momento, e riprese a scattare foto.
Il servizio terminò con lei, completamente nuda, a cosce larghe, sulla scrivania, che si masturbava con le dita.
Marcò documentò per bene anche questo ultimo atto, riprendendo a lungo, da vicino, la sua vagina bagnata ed eccitata.
Flaminia si rivestì. Era allo stesso tempo elettrizzata e preoccupata.
Marco le mise in mano una busta. Dentro c’erano cinquecento euro.
‘Tutti questi soldi?’
‘Certo, ti avevo detto che pagano bene questi lavori.
Se ti va, tra qualche giorno ne facciamo un altro.’
Flaminia fece cenno di sì con la testa.
Era contenta, con un paio di pomeriggi di lavoro al mese avrebbe potuto pagare le sue spese e, chissà, lavorando di più, avrebbe anche potuto rifarsi il guardaroba.
E poi, tutto sommato, non le dispiaceva spogliarsi davanti a Marco. Le sue espressioni di desiderio, stuzzicavano la sua vanità femminile. Chissà, prima o poi lo avrebbe accontentato.
Il secondo servizio fu di tutt’altro tipo.
Marco le aveva spiegato che ci sarebbe stato anche un altro ‘attore’, un uomo, che sarebbe rimasto vestito e non le avrebbe fatto nulla di male, ma si era mantenuto sul vago.
Il ‘set’, questa volta era completamente diverso: si trattava di un magazzino in cui, in un angolo, era stato disposto un tavolaccio di legno.
L’altro personaggio della storia era un tipo grosso di mezz’età e con una discreta pancia, completamente vestito di nero.
A lei aveva fatto indossare un completo bianco, camicetta e gonna a pieghe, e delle scarpe rosse con il tacco alto.
Flaminia pensò che loro due potevano rappresentare il male ed il bene, dato il contrasto di colori.
L’uomo si infilò un passamontagna e lei ebbe un moto di paura.
‘Tranquilla’ disse Marco ‘non ti farà niente, è solo una messa in scena, dovrai solo far finta di aver paura.’
Fecero il loro ingresso nella scena. Lei avanti e l’uomo dietro, che le teneva le braccia bloccate dietro la schiena.
Flaminia doveva gridare e dimenarsi, come se fosse veramente stata rapita da un maniaco che si apprestava a violentarla.
Non era del tutto tranquilla e si chiedeva se stava veramente facendo finta o se, in fondo in fondo, in lei non ci fosse un po’ di paura vera.
‘stop’ disse Marco.
Nella seconda scena lei doveva trovarsi sdraiata sul tavolo di legno.
L’aiutarono a salire, servendosi di uno sgabello, poi Marco le sistemò bene le gambe e la gonna, facendo in modo che si vedesse il bordo delle autoreggenti scure, che le aveva fatto indossare.
Prese delle cinghie di cuoio nero e le legò le braccia dietro la schiena.
‘stai tranquilla, va tutto bene.’
Dopo aver fatto diversi scatti, facendole cambiare posizione, l’uomo con il passamontagna si avvicinò ed iniziò a strattonarla mentre lei si dibatteva.
Marco filmava, spostandosi ogni tanto per cambiare inquadratura.
L’uomo in nero le strappò la camicetta mettendo in mostra un succinto reggiseno nero.
‘stop’
Una serie di scatti della camicia strappata, con i suoi grandi seni, coperti parzialmente dal reggiseno.
Marco le abbassò una spallina facendo fuoriuscire completamente un seno e riprese a fotografare.
L’altro si rifece sotto e le tagliò il reggiseno con un coltellaccio.
‘Stai tranquilla, Flaminia, ci sarà un extra per ricomprarti i vestiti rovinati.’
Quel tizio vestito di nero le stava palpando le tette. No, questo non andava bene.
‘Marco!’
‘Dai non ti farà niente. Deve solo entrare un po’ nella parte, e poi ‘ lo capisco, sai.’
L’uomo vestito di nero le alzò la gonna e Flaminia gridò.
Questa volta stava gridando veramente. Aveva la netta impressione che l’avrebbe violentata sul serio.
Lui sembrava metterci troppo impegno e lei cominciava a provare un misto di paura ed eccitazione.
Cercò di tirarle via le mutandine e Flaminia, d’istinto lo colpì con un calcio in piena faccia.
‘porca puttana ‘ ma che cazzo combina questa?’
Si era tolto il passamontagna e si stava massaggiando vigorosamente lo zigomo colpito dalla pedata di Flaminia.
‘OK. Pausa. Cinque minuti di pausa.’ disse Marco.
Quando ripresero erano tutti più calmi e il servizio poté procedere tranquillamente fino alla fine, con Flaminia, completamente nuda, sdraiata sulla scura tavola di legno, con le braccia dietro la schiena e le gambe divaricate, legate con delle catene alle zampe del tavolo.
Marco aveva insistito affinché lasciasse le scarpe rosse e le calze, perché gli piaceva l’effetto cromatico, e poi accresceva l’atmosfera un po’ torbida.
L’ultimo scatto fu una specie di foto ricordo con lei avvolta in un accappatoio e l’altro senza passamontagna, vicini, che si sorridevano a vicenda.
Era per eliminare la possibilità che qualcuno potesse pensare che c’era stata veramente una qualche forma di violenza nei suoi confronti.
Flaminia quella volta, alla fine, era molto stanca e cominciava anche a preoccuparsi dell’andamento di questo suo nuovo lavoro: le sensazioni che aveva provato, durante le scene e l’atteggiamento dell’altro, le facevano temere che in futuro la situazione sarebbe potuta sfuggire di mano, con sviluppi imprevedibili.
Quando però Marco le mise in mano ottocento euro, le passò ogni preoccupazione.
Aveva così cominciato questo nuovo lavoro, strano ma assai redditizio.
Ora aveva un mucchio di tempo libero, perché lavorando tre o quattro pomeriggi al mese, avrebbe avuto soldi a sufficienza, anche per togliersi diversi sfizi.
Era cominciata esattamente così, la storia di Flaminia.
Certo, se avesse saputo la piega che avrebbe preso, dopo qualche mese, avrebbe preferito dodici ore al giorno al fast food, tra hamburger e patatine fritte puzzolenti, piuttosto che il ‘cavalletto’ su cui ora si trovava.
Il cavalletto, come le era stato spiegato la prima volta che aveva dovuto sperimentarlo, era un antico strumento di tortura usato dall’inquisizione, in genere riservato alle donne accusate di stregoneria o di adulterio.
Consisteva in una struttura in legno a forma di prisma triangolare, con uno spigolo, abbastanza appuntito, rivolto verso l’alto. Le zampe, regolabili, permettevano di adattarlo all’altezza della donna, che veniva disposta a cavalcioni, nuda, facendo in modo che i suoi piedi non potessero toccare terra, così che lo spigolo potesse penetrare gradualmente nella vagina.
Per aumentarne l’effetto, in aggiunta al peso della persona, spesso venivano legati alle caviglie della sventurata, dei pesi via via più grandi, con il procedere del supplizio.
La tortura garantiva sofferenze atroci e, presumibilmente, le adultere sottoposte a quel trattamento, qualora fossero uscite vive dalle mani degli inquisitori, non avrebbero mai più potuto riprendere le loro abitudini peccaminose.
Naturalmente lei, ora, non era sottoposta ad un tribunale dell’inquisizione, e quindi la tortura non era applicata con quel rigore, infatti i suoi piedi nudi riuscivano a poggiare a terra, appena sulle punte.
Anche volendo, non avrebbe però potuto spostarli, perché le caviglie erano incatenate alla base del cavalletto.
In questa maniera, lo spigolo aguzzo le entrava appena nella vagina, divaricandone leggermente le labbra.
Per ora, era solo un fastidio, ma sapeva che quando, stanca di stare sulle punte, avrebbe dovuto poggiare a terra le piante dei piedi, avrebbe cominciato a gridare, e le sue urla, registrate dalla videocamera, sarebbero state credibilissime, perché assolutamente genuine.
Non era la prima volta che la sottoponevano a questo servizio e sapeva bene che era un’esperienza decisamente dolorosa, anche se i suoi effetti si esaurivano nell’arco di qualche giorno.
Con le braccia ammanettate dietro la nuca, poi, non aveva alcuna possibilità di sottrarsi a quel terribile strumento. Doveva restare lì, completamente nuda, cercando di mantenere l’equilibrio finché stanca, avrebbe ceduto, scegliendo il dolore, ma anche una posizione più comoda.
Guardò in basso. Le labbra della sua vagina erano arrossate ed aderivano perfettamente al cavalletto. Osservò i suoi seni con gli anelli. Quasi subito le avevano applicato quella specie di piercing alle tette. Due robusti anelli d’acciaio, di qualche centimetro di diametro, conficcati profondamente nella carne, proprio all’altezza dei capezzoli. Nonostante l’operazione fosse stata eseguita con tutte le precauzioni, era stata una cosa parecchio fastidiosa, e per giorni aveva avuto delle forti fitte al seno.
All’inizio aveva creduto che si trattasse di un dettaglio puramente estetico, una trovata per accrescere l’effetto ‘dark’ delle sue performance, finché il ‘master’ non l’aveva legata al palo.
Era completamente nuda, come sempre, quando lui, improvvisamente, aveva agganciato un pezzo di catena ad un seno e l’aveva fatto passare dietro al collo. Poi li aveva sollevati entrambi spingendoli da sotto con un avambraccio, mentre con la mano libera agganciava la catena all’altro anello.
In un attimo, senza quasi rendersene conto, si era trovata le tette tirate fortemente verso l’alto, al punto che i capezzoli quasi sfioravano il suo viso.
A quel punto aveva preso un frustino, tipo quello dei cavalli ed aveva cominciato a colpirla.
Mano mano che procedeva, la pelle bianca e morbida dei suoi seni, che contrastava in maniera decisa con il resto del suo corpo abbronzato, si era riempita di segni violacei, che avrebbero impiegato molti giorni per sparire completamente.
Era stata la peggior esperienza subita con la frusta e, per fortuna, fino ad ora, l’aveva dovuta subire solo altre due volte.
Comparve il master. Non era certo quel tipo con la pancia che lei aveva preso a calci mesi prima.
Era cambiata ogni cosa. Questo era giovane, atletico e terribilmente spietato.
Anche Marco era scomparso, sostituito da un tipo biondo, dallo sguardo sinistro, che, quando poteva, non esitava a metterle le mani addosso.
Marco lo aveva sentito solo una volta prima che sparisse. Era nei guai, perché doveva dei soldi a certa gente e le aveva detto che avrebbe fatto bene a tagliare la corda anche lei.
L’aveva supplicata di andare via insieme, ma Flaminia, stupidamente, non l’aveva fatto e si era così trovata nelle mani di queste persone.
Ormai erano mesi che la costringevano a certe ‘rappresentazioni’.
Veniva regolarmente legata, incatenata e poi torturata. In maniera morbida, certo, però le frustate che le infliggevano, per quanto leggere, facevano molto male e le lasciavano sul corpo dei segni veri, che scomparivano solo dopo parecchi giorni.
Naturalmente, alla fine del trattamento, il master se la scopava più volte, ed anche queste scene venivano riprese con cura.
Tutto sommato, quest’ultima parte non le dispiaceva troppo.
Mancava solo la scena finale, di lei con il master mentre sorridevano.
Infatti non aveva mai molto da sorridere quando, dopo averle medicato i segni delle scudisciate, la riaccompagnavano a casa dolorante e lei saliva a fatica le scale, per poi buttarsi sul letto, distrutta.
Il master si avvicinò con un frustino in mano. Vide che il biondo con la telecamera si era spostato e stava inquadrando il suo sedere.
Ora l’avrebbe frustata e lei, come era già accaduto, dopo qualche colpo, avrebbe poggiato i piedi a terra.
‘Allora, bella bionda, oggi stai durando un bel po’, vero?’
Poi assunse l’aria professionale dell’attore che, entrato nella parte, si accinge ad iniziare la scena.
‘ora ti frusterò. Sei pronta?’
‘sì’
‘come si risponde al tuo signore?’ La voce si era fatta aspra e minacciosa.
‘sì, mio signore, sono pronta’
‘bene. Accetterai con gioia la tua punizione e cercherai di resistere il più possibile prima di lasciarti andare sul cavalletto?’
‘sì, mio signore, accetterò con gioia tutte le punizioni che tu vorrai infliggermi e resisterò finché avrò la forza di farlo’
La colpì tre volte in rapida successione e Flaminia vacillò, ma riuscì a tenere la posizione.
Si muoveva leggermente cercando di mantenere l’equilibrio mentre l’altro, con la telecamera, riprendeva da vicino la sua vagina arrossata che sfregava contro lo spigolo del cavalletto, poi si spostò per riprendere le natiche di Flaminia, dove erano comparse tre profonde strisce rosse.
Era fermo, in silenzio, dietro di lei. Passavano i minuti ma non passava il dolore delle frustate.
Aspettava sempre tra una serie e l’altra, come per farle assaporare fino in fondo il dolore dei colpi.
Flaminia sapeva che non avrebbe resistito all’infinito.
La colpì, di nuovo, più forte e lei gridò, questa volta.
Si vedeva che stava facendo uno sforzo enorme per restare sulle punte.
Doveva resistere, ricordava ancora quella volta che aveva ceduto troppo presto, pensando che, se doveva succedere, era meglio farlo accadere subito, senza soffrire tanto in punta di piedi a beccarsi, nel frattempo, le frustate sul culo.
Lui si era arrabbiato e l’aveva colpita così a lungo e così duramente che, quella volta, avevano dovuto accompagnarla a casa fin dentro al letto.
Era rimasta a casa tre giorni interi ed aveva giurato che, d’ora in poi, avrebbe resistito fino alle stremo delle forze, prima di appoggiarsi allo spigolo del cavalletto.
Erano passati altri minuti. Sentiva sempre più dolori ed i muscoli in tensione non la sostenevano più.
Quando riprese a colpirla, Flaminia cedette quasi subito e si abbandonò sul cavalletto.
Cominciò immediatamente a gridare e cercò di rialzarsi, ma ci riuscì solo per un attimo, poi ricadde pesantemente a sedere, sopraffatta dalla fatica e dal dolore.
Quello con la telecamera sorrideva. Aveva ripreso prima la sua smorfia di dolore ed ora si stava dedicando alla sua povera vagina tesa e mantenuta dilatata da quel maledetto spigolo.
Il master la lasciò ancora qualche minuto in quella dolorosa posizione, poi le liberò le braccia.
Flaminia, immediatamente portò le mani unite davanti a sé, sul cavalletto e, spingendo, si tirò su.
La prima parte era finita.
Il master le sciolse le caviglie e l’aiutò a scavalcare il cavalletto.
Quando la fece accomodare su una specie di basso tavolo con anelli, catene e lucchetti sapeva già come sarebbe proseguito lo spettacolo.
La fece mettere a pecoroni e le bloccò polsi e caviglie.
Tutto sommato la seconda parte non le dispiaceva. Si era abituata e poi il master non era affatto male, era robusto, ben dotato e le piaceva come la scopava.
Era di fronte a lei. Abbassò la lampo della tuta di pelle nera e lo tirò fuori.
Ora si sarebbe posizionato alle sue spalle. C’era ancora qualche secondo da aspettare, perché si doveva mettere il preservativo, poi lo avrebbe infilato dentro, senza tanti complimenti, mentre l’altro, con la telecamera, riprendeva la scena.
Glie lo avrebbe messo dritto nel culo ed avrebbe cominciato ad andare avanti ed indietro, incurante del dolore che lei provava quando la tuta di pelle sfregava sulle sue povere chiappe colpite dalla frusta. Avrebbe continuato, con le mani che affondavano nelle sue tette, mentre lei gridava.
Di gioia o di dolore?
Si era posta questa domanda diverse volte e non aveva mai trovato una risposta, o meglio, aveva paura di trovarla, perché sapeva che le due cose erano legate insieme da un filo sottile.
Una volta finito, avrebbe cambiato il preservativo e l’avrebbe penetrata, entrandole sempre da dietro, nella vagina, così a lungo tormentata dal cavalletto.
Andò esattamente così.
Se non altro, questa volta non l’aveva frustata sulle tette, pensò.
A casa si buttò sul letto. A pancia in giù.
Anche se le avevano medicato con cura le frustate, non avrebbe potuto star seduta per parecchi giorni.
Nella borsetta aveva la busta di carta con i soldi. Pagavano bene questi servizi ‘veri’.
Sul tavolo della cucina c’era invece la busta di plastica con la cena, che aveva comprato prima da arrivare a casa.
Fuori, un logo giallo ed arancione. Dentro il pacco, hamburger e patatine fritte.

Erano passati più di due anni dal primo servizio fotografico.
Il tempo scorreva lentamente in quella piccola città di provincia, dove Flaminia era rimasta impantanata, dopo il suo fallimento universitario.
D’inverno c’era quasi sempre la nebbia, ma quello che più la infastidiva, era un altro tipo di foschia, invisibile, che l’avvolgeva completamente e le impediva di dare una svolta alla sua vita.
Aveva la spiacevole sensazione, giorno dopo giorno, di scivolare in un enorme mare di merda puzzolente, che prima o poi l’avrebbe inghiottita completamente.
Nel frattempo, aveva aperto un piccolo negozio di scarpe ed articoli in pelle.
Le serviva come copertura con suo padre, per giustificare il suo auto mantenimento.
E poi, sperava di tirarsi fuori da quell’altro lavoro, prima o poi.
Il negozio non andava affatto bene, diciamo che non ci rimetteva soldi, ma neanche guadagnava qualcosa.
Viveva, tutto sommato abbastanza bene dal punto di vista economico, perché, in media una volta a settimana, c’era uno che la frustava e la scopava davanti ad una telecamera.
Se, anni prima, qualcuno le avesse proposto una cosa simile, si sarebbe messa a ridere e gli avrebbe detto che era matto.
Ora si era abituata, anche se può sembrare strano immaginare di abituarsi ad una cosa del genere.
Il lato positivo era che, lavorando solo poche ore, riusciva a guadagnare parecchi soldi.
Certo, specialmente la prima parte dell’esibizione, quando il master le rifilava una discreta razione di frustate, era parecchio dolorosa. Si era accorta però, che, tutto sommato, non le dispiaceva così tanto essere legata e frustata. Evidentemente c’era in lei una componente di masochismo, rimasta allo stato latente per molti anni.
Il dolore della tortura, leggera certo, ma pur sempre tortura, serviva ad accrescere il piacere del rapporto sessuale finale, praticato anche questo con una certa dose di violenza.
Il fatto che tutto sommato provasse piacere ad essere legata, frustata e violentata, a volte la dava una certa angoscia. Si diceva: ‘Flaminia, c’è qualcosa che non va, qualcosa di sbagliato, in te.’
L’unica cosa di cui aveva veramente paura, era che le potessero rimanere i segni delle frustate, perché aveva sempre tenuto, in maniera quasi ossessiva, alla cura del proprio corpo.
Il master l’aveva dovuta rassicurare più volte: ‘guarda che io so fare il mio lavoro, non uso mai fruste troppo potenti e so bene come colpire. Non ho nessun interesse a rovinarti, tu per me sei una preziosa fonte di lavoro.’
Un paio di volte aveva sentito, per telefono, Marco, il suo vecchio amico che l’aveva iniziata a questa strana professione.
Era dovuto fuggire lontano, all’estero, e non le aveva mai voluto dire dove si trovasse.
Aveva un po’ di rimorsi perché era per causa sua, se ora Flaminia si trovava in quella situazione.
Negli ultimi mesi le cose, da un punto di vista economico, non erano andate bene: forse era la crisi, ne parlavano tutti.
Per la prima volta, aveva dovuto finanziare il negozio con i proventi dell’altra attività.
Contemporaneamente, era calata anche la cifra che le davano per i servizi.
‘Sai, la crisi colpisce anche questo settore, e poi, ci sono quelle dell’est che lo fanno per molto meno.’
Lei aveva l’impressione che la stessero fregando e, dopo averla allettata con grosse cifre, all’inizio, piano piano la stessero strangolando, tanto sapevano benissimo che non aveva alternative.
Una veramente, ce l’aveva.
Provò ad immaginarsi a capo chino, che diceva: ‘papà, perdonami, ho sbagliato tutto, in questi ultimi tempi mi sono mantenuta non con il negozio, come tu hai sempre creduto, ma girando film porno. Se vai su internet, ti puoi scaricare a pagamento tutta la collezione. In certi ambienti sono un personaggio famoso.
Sì papà, tua figlia Flaminia è una troia, che si fa prima frustare e poi scopare, per soldi.
E ci prova pure gusto.’
il padre era ricco, sicuramente, se avesse voluto, un posto, nel suo grande studio notarile, lo avrebbe trovato anche per lei.
Naturalmente sapeva benissimo che non avrebbe mai trovato il coraggio per fare una cosa del genere e decise di tirare avanti sperando di riuscire a superare il momento difficile.
Il giorno dopo il master le telefonò e le disse che c’era una novità.
Una persona importante, molto importante, avrebbe voluto assistere, come spettatore, al prossimo lavoro. Naturalmente ci sarebbe stato un extra per lei.
L’idea che altre persone, altre al master ed all’operatore, fossero presenti sul set, non le piaceva, poi si ricordò che aveva un po’ di fatture in arretrato ed accettò.
Giravano sempre in un magazzino in periferia, in cui era stata allestita una specie di stanza delle torture.
Gran parte degli attrezzi erano finti, e lei sapeva bene che non l’avrebbero mai fatta sedere su una poltrona irta di punte terribili e preventivamente arroventata, però quando entrava, un po’ di apprensione l’aveva sempre, anche ora che si era abituata, e considerava il suo lavoro come una routine.
A qualche metro dalla parete di fondo era stato disposto un grande telo nero, sicuramente lì dietro si trovava lo spettatore, così importante da potersi pagare lo spettacolo, ma evidentemente troppo importante per potersi mostrare.
Il cavalletto era stato disposto al centro della sala, ben illuminato dai riflettori.
Flaminia era sempre informata prima dello strumento a cui sarebbe stata sottoposta, ma non veniva mai messa a conoscenza di tutti i dettagli.
Fece il suo ingresso scalza, con addosso soltanto una camicia da notte bianca, con le bretelline ricamate.
Aveva i polsi legati con una corda ed il master la tirava, mentre lei doveva fingere una debole resistenza.
Le sciolse i polsi, le sollevò le braccia e le legò ad una anello attaccato ad una catena che pendeva dal soffitto.
La sollevò, di poco, in modo che riuscisse a toccare il pavimento appena con le punte dei piedi.
Ora le avrebbe strappato la camicia da notte. Era di stoffa molto leggera e si sarebbe rotta subito.
Il leggero rumore del tessuto che si lacerava, sembrò fortissimo, nel silenzio del capannone.
Era un bel colpo ad effetto, l’improvvisa comparsa delle sue grandi tette trapassate dagli anelli d’acciaio.
Per rendere più efficace la finzione scenica, il master aveva agganciato agli anelli due pezzi di catena che penzolavano fino alla sua pancia.
Sentì una espressione di meraviglia, provenire da dietro il drappo nero e si ricordò del misterioso spettatore.
Il master tirò ancora e la stoffa si aprì completamente.
Ora, dietro ad un buco nel telo, avrebbe potuto osservarla per bene.
Flaminia si guardò in mezzo alle gambe. Aveva un bel ciuffo di peli appena un po’ più scuri dei capelli. Il master non voleva che si depilasse: ‘lo sguardo degli spettatori verrà attratto dalla pelliccia, in modo che poi possa soffermarsi meglio sulla tua fica.’
La lasciò un po’ così, mentre lei si dibatteva, con la camicia da notte, completamente aperta sul davanti, poi recise le bretelline e la stoffa bianca scivolò ai suoi piedi.
Andò verso il fondo e scelse la frusta dalla rastrelliera.
Aveva preso quella lunga, quindi l’avrebbe frustata sulla gambe.
Prima la fece schioccare un paio di volte in aria, poi colpì il pavimento con forza, facendo sollevare una nuvoletta di polvere.
Flaminia sapeva benissimo che dopo, su di lei, ci sarebbe andato molto più leggero.
Quando la colpì alle caviglie lei gridò ed alzò una gamba, come per sottrarsi, ed il master ne approfittò per colpirla sulla coscia.
Gridò ancora. Questa volta non aveva neanche dovuto fingere, perché le aveva fatto parecchio male.
La colpì qualche altra volta, sempre sulle gambe, poi la sollevò a mezz’aria.
Ora l’avrebbe fatta scorrere, perché la catena che la teneva sospesa era attaccata al soffitto ad un sistema di carrucole, fino a metterla sopra al cavalletto.
Era un’operazione dolorosa, faceva molto male all’articolazione delle braccia e sperava sempre che il master si sbrigasse a rimetterla giù, ma lui sembrava divertirsi a lasciarla appesa più del necessario.
Quando la poggiò sul cavalletto, si rese conto che l’aveva disposta con la schiena rivolta allo spettatore. Evidentemente voleva fargli vedere bene la sequenza della fustigazione finale.
La colpì sul sedere con il frustino. Le sembrò di sentire un commento provenire da dietro il drappo nero.
La colpì ancora, più forte. Flaminia, istintivamente, aveva spinto il bacino leggermente all’indietro, come per offrire le natiche alla frusta del suo master.
Ora si era fermato. Aveva terminato la prima serie e l’avrebbe lasciata un po’ tranquilla.
Le gambe, colpite prima, quando era appesa, le bruciavano terribilmente.
Riprese a colpirla dietro alle cosce, sui muscoli tesi nello sforzo.
Cominciava ad essere veramente stanca, alla prossima serie di colpi sarebbe andata giù.
Gli ultimi colpi li diede di nuovo con la frusta lunga, sulla schiena.
All’ultimo, la striscia di cuoio si arrotolò e la colpì anche davanti, prendendo in pieno i suoi seni, e Flaminia, questa volta, cedette.
Sopportò con pazienza i cinque minuti che la lasciò sul cavalletto.
Ecco, ora l’avrebbe liberata. Mancava solo il gran finale.
Inaspettatamente, la sollevò a la fece scorrere di una paio di metri, poi la mise giù di nuovo.
A questo punto le sollevò le gambe e le passò un asse di legno sotto le ginocchia, poi lo fissò con delle corde all’anello che la teneva sospesa.
Ora si trovava appesa al soffitto con le gambe larghe e le ginocchia sollevate, in attesa che il suo master la penetrasse.
Passarono dei minuti interminabili. Era eccitata ma anche stanca, per quella posizione scomodissima.
Sentì dei passi alle sue spalle, eccolo, sta arrivando.
Quando avvertì due mani che le allargavano a forza le chiappe, ebbe per un attimo la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava.
Le entrò dentro di colpo, con una certa brutalità, tanto che, nonostante l’abitudine, le fece male.
Poi si accorse che il master era davanti a lei. Allora capì.
No. questi non erano i patti. Lei aveva accettato che ci fosse uno spettatore e nient’altro.
‘master, questo no!’
Aveva gridato. Poteva solo gridare, perché legata in quella posizione, non poteva far nulla.
Non poteva neanche provare a dibattersi, ammesso che potesse servire a qualcosa.
‘zitta troia. Ho pagato, ho pagato bene, anche per scoparti, e lo farò finché mi va’.
Aveva una voce sottile, ma allo stesso tempo inquietante, di una persona debole fisicamente, ma cattiva.
Quando ebbe finito ed uscì dal suo corpo, Flaminia sentì lo sperma dell’uomo che defluiva lentamente dall’ano. Maledetto, lo aveva fatto pure senza preservativo.
Guardò il master, ancora immobile davanti a lei, voleva dire qualcosa, ma lui le fece cenno di tacere.
Lo spettatore tornò alla carica, sempre da dietro per non farsi riconoscere, ma questa volta le entrò nella vagina.
Lo fece brutalmente, come prima e sempre senza preservativo.
Prima di andarsene la toccò con insistenza in mezzo alle gambe, poi, sempre da dietro, le tastò a lungo le tette, con l’evidente intenzione di pulirsi le mani.
Quando il master e l’altro la misero giù, lo spettatore era già andato via.
Flaminia scoppiò a piangere.
‘questo no. Questo non dovevate farmelo. Io non voglio farmi scopare da chiunque sia disposto a pagare. Se quello lo desidera, che si comprasse tutti i miei film e se li guardasse mentre si tira una sega. Io non voglio fare la puttana, a questo proprio non voglio arrivare.’
Quella sera, a casa sua, Flaminia ebbe l’impressione che il mare di merda, che la tormentava come incubo ricorrente, fosse salito notevolmente di livello.
Gli affari al negozio continuarono ad andare male, aveva anche dovuto licenziare la commessa e così era costretta ad andare al lavoro anche quando aveva appena girato uno di quei servizi.
Naturalmente di pubblico non se ne era più parlato. Aveva fatto giurare al master ed a quell’altro che non le avrebbero fatto più uno scherzo del genere.
Aveva chiesto se era possibile fare qualche lavoretto in più, per compensare le sue entrate in discesa, visto, che da un po’ di tempo la pagavano di meno, ma il master scuotendo la testa, le aveva risposto che era un momento difficile per tutti.
Con il passare del tempo si era anche indebitata con la banca. Quando aveva cominciato, era convinta che avrebbe potuto guadagnare quello che voleva, ora invece si rendeva conto che era possibile andare a fondo anche con un lavoro in apparenza così facile.
Una sera, stranamente, il master venne a trovarla a casa.
Al di fuori dei pomeriggi passati a girare nel magazzino, in genere non avevano alcun tipo di rapporto, quindi si doveva trattare di qualcosa di importante.
‘Flaminia, ti ricordi di quel tizio, lo spettatore? Dai, non fare quella faccia. Prima che ti arrabbi ti voglio dire che gli sei sempre piaciuta molto.
So benissimo che questo è un momento difficile, molto difficile.
Insomma, ieri mi ha chiamato e mi ha detto che vorrebbe tornare al magazzino. Questa volta però non da spettatore. Vorrebbe essere al posto mio. Per una volta vorrebbe fare il master.
Aspetta a dire di no.’
Flaminia era rimasta stupefatta, però passato il momento di sorpresa, trovò la forza di parlare:
‘non voglio che quel viscido pezzo di merda posi un solo dito su di me, non sarei disposta a farmi sfiorare neanche per 5000 ‘, figuriamoci poi farmi prendere a frustate e tutto il resto. Adesso apri quella porta e …’
‘aspetta Flaminia. Non stiamo parlando di qualche migliaio di euro, ma di molto di più, solo per te. Prima di cominciare tu fai la cifra e lui firma l’assegno, qualsiasi cifra, purché non gli chiedi dei milioni. Dammi retta, prenditi qualche giorno per pensarci, non dire subito di no.’
Flaminia ci aveva pensato su per una settimana, ed aveva concluso che era già immersa a sufficienza in quel mare di merda che popolava i suoi incubi, e che non l’avrebbe fatto neanche per 50.000 euro.
L’aveva detto a brutto muso al suo master, quando era tornato a trovarla, per sapere se aveva deciso.
‘credo che glie ne puoi scucire anche il doppio, pensaci ancora.’
Non aveva aggiunto altro a se ne era andato.
Certo, centomila euro potevano rappresentare una svolta nella sua vita: avrebbe potuto sistemare parecchie cose.
Però, la cifra così alta le faceva anche paura, pensava che se era disposto a spendere così tanti soldi avrebbe voluto spingersi molto in là, insomma avrebbe potuto veramente farle molto male. Temeva quell’uomo, perché durante quel loro breve primo incontro, aveva avuto l’impressione di trovarsi davanti ad un essere sadico e perfido.
Avrebbe rifiutato.
Il giorno dopo arrivò una lettera della banca in cui le comunicavano che le avevano revocato il fido.
A questo punto il negozio era andato, nulla avrebbe più potuto salvarlo. Restava soltanto l’altro lavoro. Ma per quanto tempo avrebbe potuto farlo ancora?
Che fine avrebbe fatto?
Questa volta il master si fece vivo per telefono e Flaminia disse di sì.
Dopo un paio d’ore venne a casa sua. Le diede un assegno circolare da 75.000 euro.
‘Più di questo non è disposto a dare, ma penso che ci puoi stare, è per giovedì prossimo, al magazzino.
Stai attenta, ha pagato in anticipo ma non è tipo da farsi fregare, quindi, se tu ora prendi questo assegno, non puoi più ripensarci. OK?’
Flaminia andò subito in banca a sistemare il suo conto in rosso.
Quella notte dormì malissimo e si svegliò verso le tre, sudata e spaventata, in preda ad un incubo terribile: un uomo deforme e vestito di nero, con la faccia di suo padre, la spingeva sopra la testa con un piede, cercando di affogarla in una grande vasca piena di merda, in cui lei si dibatteva.
Il giorno fatidico il master ed il cameraman vennero a prenderla a casa. Forse avevano paura che, all’ultimo momento, lei decidesse di scappare.
Prima di uscire insistettero parecchio per farle bere qualcosa.
Durante il tragitto in macchina, Flaminia cominciò a sentirsi intorpidita e capì che le avevano mischiato qualche sonnifero all’acqua, per addormentarla, ma ormai era troppo tardi per rimediare in qualche maniera, e si addormentò sulla spalla del master dopo un paio di isolati.
Quando si risvegliò le sembrò di aver dormito per giorni ed impiegò un po’ a capire dove si trovava.
Sì, certo, era nel magazzino, conosceva benissimo quel posto, ma non riusciva a capire bene la sua posizione.
Il fastidio in mezzo alle gambe fu come un flash: il cavalletto.
Non stava in mezzo, a cavalcioni di quell’arnese che ben conosceva, ma sdraiata sopra. Sentiva lo spigolo che le premeva sulla pancia e sullo sterno e si rese conto di avere braccia e gambe legate alla struttura del cavalletto.
I suoi arti non toccavano terra ma il fastidio dello spigolo contro la vagina non era così forte, perché il peso era ripartito su tutto il suo tronco.
Aprì gli occhi e vide che, agli anelli che trapassavano i suoi seni, erano stati attaccati due grossi pesi, come quelli delle bilance di una volta. Le sue tette, tenute distanziate dalle pareti del cavalletto, erano protese verso il pavimento, tirate e deformate da quei due blocchi di ferro nero.
L’uomo era davanti a lei. Per la prima volta poteva vederlo, non in faccia naturalmente.
Il viso, infatti, era coperto da una strana maschera di cuoio che lasciava intravedere solo occhi e bocca.
Due ciuffi di capelli grigiastri spuntavano sopra la maschera, ai lati della testa.
Era basso di statura, con le spalle piccole e curve ed un accenno di pancia sopra le sue gambe magre e storte.
Indossava soltanto una tuta nera ed una paio di mocassini dello stesso colore.
Se non fosse stato per la situazione particolare, lo avrebbe definito un omino brutto e vagamente ridicolo.
‘buongiorno, finalmente ti sei svegliata’
Flaminia, risentendo quella vocetta orribile, ripensò all’altra volta. Ora era molto peggio, perché avrebbe potuto fare tutto quello che desiderava. Pensò che forse era stata imprudente ad accettare. L’aveva comprata, 75.000 euro per un pomeriggio, in cui avrebbe potuto farne la sua schiava, sottoponendola a tutto quello che avrebbe voluto.
Beh, forse proprio tutto no, se avesse cominciato ad esagerare, il suo master l’avrebbe fermato.
Poteva esserne sicura? Marco, il suo vecchio amico, non l’avrebbe permesso di certo, ma di quest’uomo non si era mai fidata fino in fondo.
‘stai comoda?’
‘sì’ rispose, mentendo.
‘cosa? Come si risponde al tuo signore, troia?’
Accidenti, aveva dimenticato che ora era il master, e doveva fare tutta la messinscena.
‘sì, mio signore, sto comoda, molto comoda.’
‘ora comincerò a frustarti. Sei contenta?’
‘sì, mio signore. Aspetto con impazienza la mia punizione.’
‘bene. Ora sceglierò la frusta.’
Si era diretto verso la rastrelliera e stava esaminando con cura gli attrezzi.
Presa la seconda da sinistra e Flaminia ebbe un sussulto. Le fruste che stavano da quella parte erano messe lì solo per bellezza. Facevano parte di una vecchia collezione, che il master si era procurato chissà come; ricordava che le aveva detto che erano attrezzi terribili, in grado di strappar via la pelle e procurare ferite dolorosissime, i cui segni sarebbero rimasti per sempre. Lui, infatti, ne usava soltanto alcune, disposte dall’altro lato della rastrelliera, che erano decisamente più leggere.
‘questa andrà benissimo, per cominciare’.
‘nooo! Quella no ti prego! Master, aiuto!’
‘zitta troia. Il master sono io. Soltanto io. I tuoi amici se ne sono andati. Ho pagato, e bene, anche loro. Torneranno a riprenderti, quando avrò finito.’
Le aveva lasciato addosso soltanto la gonna e, quando sentì la stoffa che si sollevava dal suo sedere e veniva arrotolata fino alla vita, non ebbe dubbi su dove l’avrebbe colpita.
L’aveva legata proprio in pizzo al cavalletto e, la fine dello spigolo era esattamente in corrispondenza della vagina, mentre le sue natiche sporgevano in fuori, pronte ad essere frustate.
Se l’avesse colpita con quell’arnese, le avrebbe massacrato il sedere. Non poteva permettergli una cosa del genere, neanche per 75.000 euro.
‘aiuto! No, non puoi frustarmi con quella! Mi rovinerai per sempre. Ti prego, farò tutto quello che vuoi. Ti restituisco pure i soldi, ma non colpirmi con quella. Prendine un’altra ‘ ti dirò io …’
‘la troia vuole forse dirmi quale frusta devo usare?
Troia e stupida! Dovevi pensarci prima. Non mi interessano i soldi. Ho pagato per frustarti e poi scoparti, e ti frusterò a sangue, finché ne avrò voglia, con tutte le fruste che mi verrà in mente di usare, e poi, quando avrò finito te lo ficcherò per bene nel culo, e, quando non ne potrai più, mi divertirò con la tua bella fichetta.’
Quando la prima frustata arrivò a segno, Flaminia capì che quello sarebbe stato il pomeriggio più terribile della sua vita.
Era stato come se le avessero passato un ferro rovente sulla carne. Un dolore lancinante, una striscia di fuoco che partiva dal fianco sinistro per finire a quello destro e che sembrava volesse spaccarle in due le chiappe.
‘te ne volevo dare solo dieci, per cominciare, ma visto che hai fatto un po’ di storie, per punizione, subirai venti frustate.
Bada bene, ogni parola che dirai, senza che io ti abbia dato il permesso, ne aggiungerò altre dieci’.
Cominciò a colpirla lentamente e con metodo. Diceva sempre ad alta voce il numero, ed aspettava parecchio tempo tra una frustata e l’altra, sicuramente per farla soffrire di più.
Ad ogni colpo lei gridava, però, a differenza di quando era sotto i colpi del suo master, le sue urla erano assolutamente spontanee.
Pensò che sarebbe morta per il dolore.
Quando finalmente lo senti pronunciare la parola venti, scoppiò a piangere.
‘allora, sei contenta della punizione?’
Flaminia non rispose.
‘troia. Sto parlando con te. Devi rispondere al tuo signore.’
‘sì’
‘sì e basta? Così si risponde?’
le diede un’ulteriore frustata, più forte delle altre.
‘Sì, sì ‘ mio signore, sono felice per la punizione che mi hai inflitto.’
Andò alla rastrelliera e posò la frusta. Flaminia si accorse con orrore, che era completamente insanguinata.
Ora si era tolto i pantaloni della tuta e si era piazzato di fronte a lei, vicinissimo, per mostrarle bene con cosa avrebbe proseguito.
Il suo membro, dritto e lungo, contrastava vivacemente con il corpo esile e deforme.
Come l’altra volta, le entrò dentro brutalmente e senza usare il preservativo e cominciò subito a muoversi avanti e indietro.
Le spinte violente causavano delle fitte dolorose alla sua vagina infilzata nello spigolo di legno del cavalletto.
Nonostante tutto quello che stava passando, si accorse che era completamente bagnata.
Infatti il clitoride le si era gonfiato ed il legno ruvido, che sfregava l’interno del suo sesso le stava provocando un’eccitazione sempre più incontrollabile.
Anche lui doveva essersene accorto ed aveva aumentato il ritmo.
‘bene, vedo che ti piace. Brava troia. Vedrai che dopo sarà anche meglio.’
Così raggiunse l’orgasmo praticamente in contemporanea a quell’essere orribile che la stava violentando.
Lui si scostò e la lasciò lì, legata sul cavalletto, con il sedere martoriato dalle frustate e con l’ano, da cui uscivano fiotti di sperma, indolenzito e dilatato.
‘oh, a quanto pare, la troia ha gradito molto il trattamento, vero?’
Questa volta Flaminia fu pronta a rispondere.
‘sì, mio signore. è stato per me un grande piacere.’
Pensò che, per quanto riguardava l’ultima parte, era stata abbastanza sincera.
Accidenti, forse aveva ragione lui: era proprio una troia.
‘bene. Ora proseguiamo con il resto.’
Le liberò le braccia, le passò le mani sotto la pancia e la fece scorrere lungo il cavalletto, mettendola a cavalcioni quasi in mezzo.
Subito dopo le liberò anche le gambe.
In un sol colpo Flaminia aveva scoperto due cose.
Per primo si era accorta che l’uomo era molto più forte di quanto il suo corpo esile potesse far credere, visto che l’aveva sollevata di peso con estrema facilità.
La seconda, molto più preoccupante e fastidiosa, era che il cavalletto era stato alzato dalla sua posizione solita, infatti, nonostante lei si sforzasse di allungarsi per toccare terra, i suoi piedi distavano dal pavimento un palmo buono.
Le stava facendo provare le gioie del cavalletto nella versione originale, quella dell’inquisizione.
Veramente non ancora, perché le sue mani erano libere e, per ora, puntellandosi sullo spigolo di legno, riusciva ad alleggerire la pressione.
Aveva ripreso in mano la frusta, quella di prima.
‘allora, troia, sei pronta per essere frustata ancora?’
‘sì, signore, sono pronta.’
‘bene. Verrai frustata dieci volte sulla schiena ed altrettante sui seni.
Se sentirò una sola parola, raddoppierò la tua punizione.
Hai capito?’
‘sì. Mio signore. Ho capito.’
Arrivò la prima frustata sulla schiena e l’uomo disse ‘uno’.
I numeri scorrevano lentamente mentre il dolore alla schiena aumentava. Aveva la sensazione che la pelle, in più punti si stesse staccando, ma era troppo preoccupata a tenere a distanza la spigolo del cavalletto, mantenendo le braccia tese davanti a sé.
Quando arrivò a dieci, si avvicinò a lei.
‘allora, troia, sei soddisfatta della tua punizione?’
‘sì, mio signore sono soddisfatta.’
‘ora togli le mani e lasciale cadere libere lungo i fianchi, in modo che lo spigolo del cavalletto possa entrare bene nel tuo sesso.’
‘mio signore ‘ per favore …’
‘troia. Forse ho compreso male? Forse vuoi dire con non gradisci la punizione del cavalletto e preferisci essere appesa a testa in giù e frustata in mezzo alle gambe?’
‘no, mio signore, accetterò con gioia la punizione del cavalletto.’
Flaminia staccò le mani e si lasciò andare.
Il legno duro e ruvido si conficcò immediatamente nella sua carne.
Un’impressione orribile, come di qualcosa che, lentamente, avesse cominciato a spaccarla.
Guardò in basso, ma la gonna le impediva di vedere cosa stesse accadendo.
Cercò di stringere il cavalletto con le cosce, sperando che un minimo di attrito potesse alleggerire la pressione.
Ti prego fa presto, pensava Flaminia, prima che quest’affare mi spacchi completamente.
Il primo colpo si abbatté sui suoi seni, lasciando una profonda striscia rossa.
Le era sfuggito un grido. L’avrebbe punita perché aveva parlato, oppure questo le era permesso?
L’uomo disse ‘uno’.
Meglio così, non aveva avuto nulla da ridire.
Continuò a frustarla, e, al terzo colpo, la pelle, tenuta tesa dai pesi attaccati agli anelli si spaccò.
Flaminia gridò più forte.
Intanto il dolore in mezzo alle gambe si era fatto insopportabile.
Lui continuava a colpirla, incurante delle urla e del sangue che le scorreva lungo i seni, proseguiva attraverso la pancia, per poi fermarsi sul bordo della gonna.
Quando sentì la parola magica ‘dieci’, istintivamente portò le mani avanti per cercare di risollevarsi.
‘non ti ho ancora detto che puoi scendere’
‘sì, signore, va bene’
‘ecco, ora hai il permesso di scendere dal cavalletto, la tua fustigazione è terminata.’
L’attrezzo era troppo alto perché la donna potesse scendere da sola, ma era talmente forte la voglia di sottrarsi a quel supplizio, che lei si buttò di lato, cadendo goffamente su una spalla, incurante del rischio di farsi male.
‘bene, molto bene, ora vai a sdraiarti su quel tavolo.’
Flaminia provò ad alzarsi, sentiva dolore dappertutto e non riusciva a stare in piedi, così lo raggiunse muovendosi, faticosamente, a quattro zampe.
Si issò a fatica sul tavolo, aiutandosi con una sedia.
Ormai non c’era più bisogno di legarla, per quanto era stremata.
L’uomo la prese per le gambe e, tenendole le cosce larghe, la tirò verso di sé, fino a portarla con la pancia al bordo del tavolo.
Lui le sollevò la gonna e lei vide, con orrore, il suo povero sesso dilatato ed insanguinato.
Quando l’uomo la penetrò era ormai in uno stato di semi incoscienza e visse quell’ultima violenza come se il suo corpo fosse un qualcosa di estraneo, che non le apparteneva più.
Avvertì appena lo sperma che le riempiva la vagina insanguinata.
Sentì bene soltanto le ultime parole di quell’uomo:
‘addio, troia, è stato molto divertente.’
Si risvegliò il pomeriggio successivo nel suo letto, con la bocca impastata ed un sordo mal di testa.
Sicuramente il master ed il suo aiutante l’avevano portata a casa e le avevano dato un forte sedativo, per farle superare le prime ore.
Scostò la coperta. Era nuda, a parte le bende, macchiate di sangue, che le avvolgevano il busto ed i fianchi.
Le fitte terribili che le arrivavano da tutte le parti, stavano a significare che non aveva sognato, ma aveva realmente vissuto quell’esperienza sconvolgente.
In cucina c’erano diverse buste di roba da mangiare ed un biglietto.

Cara Flaminia,
la nostra collaborazione finisce qui, per molti motivi.
Dopo quest’ultima esperienza credo che non vorrai continuare con questo lavoro.
Inoltre, se ti guardi allo specchio, capirai bene che dopo il trattamento che ti ha riservato il nostro amico, risulteresti poco fotogenica.
Io ed il mio amico, pensiamo che forse ci siamo spinti troppo in là, e che quindi, per un po’, sia meglio cambiare aria.
Naturalmente, quel simpatico signore, ha dato un bel po’ di soldi anche a noi.
Comunque, credo che con i 75.000 euro potrai fare parecchie cosette.

Buona fortuna

Master

P.S. Non tentare di rintracciare quel signore. è una persona potente, sarebbe molto pericoloso per te

Flaminia era rimasta una settimana in casa, prima di uscire.
Doveva riprendere le forze e, soprattutto, doveva abituarsi a guardare il suo corpo deturpato dalle frustate.
La prima volta che si era tolta le bende ed aveva guardato il suo seno, le era preso un colpo: le sue tette, tirate verso il basso dai pesi che lui aveva appeso agli anelli, avevano delle brutte piaghe, che sicuramente avrebbero lasciato un segno indelebile sulla sua pelle, e le sembrava che avessero in parte perso la bella forma originaria.
In compenso le avevano tolto gli anelli ed erano rimaste solo due brutte cicatrici, nel punto in cui il ferro aveva bucato la sua carne, tempo prima.
Così, quella mattina, di buon’ora, aveva fatto le valigie ed era andata in stazione.
Ora il treno correva nella campagna verde e si allontanava da quella maledetta città di provincia, dove lei era rimasta impantanata per troppo tempo.
Dopo sette anni, stava facendo lo stesso viaggio a ritroso, lasciandosi dietro un mucchio di cose: l’università che non aveva mai finito, il negozio che non era mai andato bene, ma, soprattutto, il magazzino, la frusta, il cavalletto, il master e tutto il resto.
In quell’ultima settimana, trascorsa in casa da sola, aveva avuto molto tempo per pensare al suo futuro, a cosa avrebbe fatto, una volta tornata nella sua città.
L’incubo, che l’aveva accompagnata negli ultimi tempi, non si era più ripresentato.
Evidentemente si era immersa completamente nel mare di merda senza però affogarci ed ora era finalmente riemersa.
Viva.
Lo scompartimento era vuoto e lei, così, si era potuta mettere vicino al finestrino, per guardare meglio fuori.
Il panorama, da un po’ di tempo, era cambiato: dopo la pianura verde e piatta, erano comparse le prime colline. Tra poco sarebbero arrivate le montagne e poi il treno si sarebbe infilato nella prima galleria.
Stava seduta su un fianco, perché, nonostante fossero passati diversi giorni, il dolore era ancora forte.
Il giorno prima si era fatta coraggio ed aveva telefonato ad una sua amica del liceo, dopo un mucchio di anni che non si sentivano.
Sarebbe andata a casa sua, per i primi giorni ed avrebbe affrontato più in là il problema di suo padre.
Una cosa per volta!
Il treno entrò in galleria e Flaminia spostò il peso sull’altro fianco, quello opposto al finestrino.
Per un po’ non ci sarebbe stato nulla da guardare.

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