‘De Santis Investigazioni’
Lo spazio attorno al corpo della ragazza esplodeva per i flash delle macchine fotografiche. La pioggia disperdeva i raggi luminosi, creando fugaci arabeschi di luce nel sottobosco. La giovane era morta alcune ore prima; il sangue che ne macchiava il vestito scollato non era ancora coagulato. I suoi capelli avevano il colore della liquirizia. Fluttuavano nell’aria satura d’umidità della notte come i tentacoli di una medusa.
Il commissario Antoni era un uomo robusto, poco avvezzo alle formalità e alla tolleranza. Entro il suo campo di competenze non ammetteva repliche, manchevolezze, insubordinazioni. Aveva ordinato ai fotografi di andarsene già una volta. Al prossimo richiamo, sospettava l’ispettore Polini, avrebbe iniziato ad alzare le voce. E quello, sapeva, non sarebbe stato un buon segno.
‘Abbiamo qualche testimone?’ chiese Antoni cercando di mascherare l’insopprimibile accento della bassa padana.
‘Nessuno’ rispose l’ispettore.
‘Chi l’ha trovato?’
‘L’autista’.
Indicò l’autista dell’autobus, immobile, illuminato dai fari delle auto della polizia.
‘Lo interrogheremo’
‘Non ci dirà nulla più di quanto ci abbia già detto. Non è stato lui’
‘Non ho detto questo’
‘E’ un brutto caso’ sospirò Polini. Il primo caso di omicidio in città da dieci anni a quella parte, da quanto riusciva a ricordare. L’ultimo delitto passionale si era risolto in dieci minuti. L’assassino si era fatto trovare a fianco del corpo della vittima, coltello insanguinato ancora stretto in pugno e lineamenti del volto sconvolti. Aveva confessato il crimine due volte, sul luogo del delitto e in centrale. Questa volta sarebbe stato diverso. La passione non c’entrava, la donna non era stata uccisa in un momentaneo attacco di furore. Lo si capiva dal numero e dalla profondità delle ferite. Era stata uccisa con freddezza. Metodicamente.
Polini sospirò ancora.
La brezza, in quel punto del bosco, era appena accennata. Portava gli odori cattivi della provinciale e quelli neutri dei campi incolti. Una lunga notte li aspettava.
Elisa si destò lentamente. La camera era sprofondata nel silenzio. Rette di luce albina trafiggevano la penombra, proiettando ideogrammi privi di significato sulla moquette. Stirò le gambe e strofinò i piedi sul fondo del materasso. Le sopracciglia si corrugarono impercettibilmente sopra gli occhi ancora chiusi. Dov’era la testa di quella stupida? Perché i suoi piedi non l’avevano trovata?
Aprì le palpebre e sollevò un poco la testa. La camera era vuota.
‘Michi?’
Non ricevette risposta. Il suo sguardo andò alla sveglia sul comodino.
Le nove meno un quarto. Tardissimo.
I ricordi invasero la sua mente in un crescendo di suoni e immagini che parevano provenire da un luogo immensamente lontano. Rammentò la festa della sera precedente: la villa e le amiche; le invitate ricorrenti e quelle che aveva incontrato per la prima volta; la propria immagine riflessa in uno dei grandi specchi nel bagno e quella smagliatura nelle calze.
Calze che erano ancora lì, gettate senza cura in un angolo del pavimento. Sì, adesso ricordava. Non le aveva neppure dato il tempo di riporre gli abiti e le scarpe al loro posto, la punizione era stata immediata, furibonda, spontanea. Ed era ancora in corso.
Si alzò dal comodo giaciglio, infilò la vestaglia di seta e uscì dalla camera. Michela era sul balcone del soggiorno, le braccia legate dietro la schiena e le caviglie strette da una morsa di corda. Il guinzaglio era lungo appena un metro, troppo poco per consentirle di alzarsi in piedi. Era seminuda nonostante il freddo.
Elisa aprì la porta scorrevole che dava sul balcone e la vide rannicchiata in posizione fetale per trattenere il poco calore che il suo corpo riusciva a recuperare dall’impianto dell’aria condizionata posto in basso sul muro.
Avanzò. Michela non aveva dormito, il freddo era troppo intenso. Aveva trascorso le ultime ore della notte a combattere contro l’assideramento; oltretutto la posizione era troppo scomoda per permetterle di assopirsi. Fosse stato dicembre o gennaio probabilmente sarebbe morta prima dell’alba, ma era aprile e le temperature notturne, da qualche giorno a quella parte, erano tornate a salire con decisione.
Elisa si avvicinò alla serva, i suoi zoccoli dal tacco alto ticchettarono sulle mattonelle del pavimento, producendo piccole eco.
‘Ti sei svegliata?’ domandò, giungendo a pochi centimetri dal viso della ragazza.
Michela, dal basso, le rivolse uno sguardo mortificato. Non poteva parlare. Il grosso pezzo di nastro adesivo telato che le copriva la bocca le impediva di muovere le labbra. Si limitò, sfinita, a mugugnare la sua vergogna.
Elisa sollevò una gamba e con il tacco della calzatura andò a cercare un lembo sporgente del cerotto. Infilò la punta fra la guancia della servetta e il bordo del nastro adesivo, lo premette in profondità e spostò il piede in modo da liberare una metà della bocca di Michela.
‘E’ tardi. Spero tu riesca a recuperare il tempo perso, ‘ disse la padrona in tono di altezzosa indifferenza ‘ altrimenti mi costringerai ad impartirti una nuova punizione’.
Si chinò, sciolse brutalmente il nodo della corda che legava i polsi dell’altra e si alzò di nuovo. Michela avvertì una fitta dolorosa percorrere i tendini degli avambracci e delle spalle. La posizione che era stata costretta ad assumere durante le lunghe ore della notte le aveva intorpidito i muscoli. Massaggiò i polsi spellati dalla ruvida superficie dei lacci e gemette sommessamente.
‘Non si saluta?’ disse Elisa, troneggiando da quella posizione sulla ragazza dolorante.
‘Buongiorno Elisa’ mormorò Michela con timidezza.
Appoggiò i palmi delle mani sul freddo pavimento del balcone, si chinò di più e andò a baciare la punta dei piedi di Elisa.
‘Questa mattina non mi hai svegliata’
‘Non potevo’
‘Lo so, ‘ disse la bella tiranna ‘ ma tu conosci la mia politica. Nessuna scusante. Mai. Ti voglio in camera mia fra cinque minuti. Mi vestirò da sola, oggi. Ma bada bene che anche questo ti costerà una punizione. Questo e il fatto di non avermi svegliata per tempo’. Si voltò e tornò in soggiorno.
‘Comprendi da sola che se faccio questo non è per cattiveria, piccola mia’.
Si trovavano nel grande bagno del lussuoso appartamento di Elisa. Quest’ultima sedeva sulla sdraio, a fianco della vasca idromassaggio che occupava il lato della stanza opposto all’entrata. Indossava un accappatoio turchese che le giungeva a mezza coscia. La testa appoggiava comodamente sul piccolo cuscino imbottito alla sommità dello schienale. I capelli nerissimi erano raccolti sulla nuca in una coda di cavallo. Quando sono sciolti, pensava Michela, i capelli di Elisa paiono un mare calmo che fluttua sotto un vento placido. Un mare del colore della notte più buia.
Gli occhi erano due zaffiri brillanti, incorniciati da ciglia lunghe e sempre curate. La fisionomia del volto era morbida e aggraziata. Una volta la sua amica Sabrina l’aveva definito un volto da duchessa. Chissà cosa intendeva per volto da duchessa’
Michela era convinta che si riferisse a qualche imprecisata attrice cinematografica che aveva interpretato il ruolo di una nobile. E doveva trattarsi di una gran bella attrice, perché Elisa, manco a ribadirlo per la millesima volta, era davvero bella.
Il suo punto di forza però erano le gambe, lunghe, toniche, muscolose, ma non per questo meno aggraziate. Il suo fisico era scolpito da ore di palestra, saune e massaggi. Tutti trattamenti costosi, ma che Elisa poteva permettersi, essendo la figlia della proprietaria di uno dei più esclusivi centri benessere della città.
Si era laureata a pieni voti in legge qualche anno prima. A pochi mesi dal conseguimento del titolo di studio, di fronte alla prospettiva di seguire le orme del padre ‘ noto avvocato penalista ‘ Elisa aveva preso la decisione di intraprendere un’attività completamente diversa. La sua vita non sarebbe trascorsa in un buio ufficio del centro, in una routine ammorbante che ne avrebbe appiattito la personalità. Seguì un corso di specializzazione in criminologia superandone il complicato test finale. Adesso era la titolare di una delle più prestigiose agenzie di investigazione e sorveglianza della città, che offriva anche servizi di guardia del corpo. L’aumento della criminalità causato dalla crisi economica era stato un autentico colpo di fortuna per Elisa.
Michela era una delle sue dipendenti. Una ragazza di ventiquattro anni, capelli castani che le scendevano fin sulle spalle, volto carino ma abbastanza anonimo. Come le altre ragazze dell’agenzia, Michela era una sua sottoposta nel lavoro e una sua schiava nella vita.
Eh sì, perché Elisa era una padrona. Una donna abituata a comandare, lo aveva sempre fatto. Sui ragazzi, sui professori durante le scuole dell’obbligo, sui compagni e le compagne di università. Persino i suoi genitori preferivano assecondarne i capricci che mettersi contro di lei. Suo padre, per esempio, non aveva certo accolto favorevolmente l’intenzione della figlia di aprire un’agenzia investigativa. Eppure, nonostante tutto, la ‘De Santis Investigazioni’ era decollata alla grande. Non aveva aperto neppure da quattro anni e già era considerata una delle prime quattro imprese investigative d’Italia. Merito, forse, anche del personale dell’agenzia, rigorosamente al femminile e perfettamente addestrato.
‘Comprendi da sola che se faccio questo non è per cattiveria, piccola mia’.
Il tono della padrona era calmo e tranquillo. Era quasi rilassante ascoltare quella voce calda e melliflua, ma sarebbe bastato un movimento poco elegante della testa ed Elisa sarebbe diventata una furia; Michela aveva imparato a conoscerla. In ginocchio sul pavimento del bagno, stava mettendo lo smalto sulle unghie dei piedi della sua datrice di lavoro. Smalto rosso fuoco, il preferito dalla sua signora. Elisa era solita curare lo smalto delle sue unghie anche in pieno inverno, quando il clima rigido la costringeva a chiudere le sue belle estremità in calze di lana e stivali a collo alto. Michela teneva il pennellino con le labbra, i polsi erano stati nuovamente legati dietro la schiena. La cura con cui stava terminando la pedicure del suo capo si sarebbe potuta definire meticolosa al limite dell’ossessione.
‘Quando mi hai aiutata a indossare le calze, prima di recarci alla festa, non ti eri accorta delle smagliature?’
Michela non rispose. Lo avesse fatto, il pennellino le sarebbe caduto dalle labbra, andando a inficiare tutto il lavoro svolto fino a quel momento. Allontanò dunque la testa dalle estremità della datrice di lavoro, depose lo strumento nella boccetta e tornò a guardare Elisa.
‘No, Elisa’
‘Ah, bene. Semplice distrazione o scarsa attenzione ai dettagli?’
‘Non lo so’ forse si sono rovinate più tardi’ mentre eri in macchina’
‘E’ una fortuna che tu ne avessi portate con te un paio di ricambio’
La servetta annuì.
‘Lo faccio sempre, ‘ rispose ‘ per ogni evenienza’
‘Hai terminato?’
‘Sì’
‘Adesso devi far asciugare il colore’.
Alzò le gambe e portò i piedi all’altezza della fronte della ragazza.
Michela si chinò di traverso a poca distanza dal bordo della sedia a sdraio, e lasciò che Elisa le ponesse i piedi sul collo. Umiliare quella ragazza era per lei la cosa più normale del mondo. Questo, almeno, era quanto sembrava dichiarare il suo sguardo altero e superbo.
‘Che cosa abbiamo in programma per oggi? ‘ chiese ‘ Su, cara. L’agendina”
‘Federica si sta occupando della banca’ ‘ rispose prontamente Michela. Come tutte le dipendenti della De Santis la ragazza era in grado di memorizzare ogni dettaglio di una foto o di un documento con un semplice colpo d’occhio ‘ ‘quella che ha subito tre rapine durante l’ultimo mese. Sabrina, invece, è ancora sulle tracce della moglie dell’imprenditore. Sebbene il marito sia convinto della sua colpevolezza, la donna non ha mai preso contatti con eventuali amanti’
‘Da quanto tempo la sta seguendo?’
‘Da una settimana’
‘E si occupa solo di quello?’
‘Sì, il pedinamento della signora Marchetti sembra richiedere più tempo del previsto’
‘Sciocchezze! Dì a Sabrina di stringere i tempi, altrimenti le verrà impartita una severa punizione’ disse Elisa, premendo più forte i piedi sul collo della sottomessa, che non poté fare altro che annuire.
‘Quella Sabrina mi sembra una lavativa. Le concederò fino a domenica. Se entro il fine settimana non avrà risolto nulla, ti occuperai tu della signora Marchetti. E Sabrina’ beh, di lei mi occuperò io’
‘Sì, Elisa. Riferirò’
‘Chi si occupa dei pagamenti arretrati?’
‘Monique’
‘Ah, la francesina’ bene. E’ sveglia, quella lì. Un po’ troppo sfacciata, a volte, ma sveglia. Credo che le occorrerà una buona lezione un giorno di questi, una lezione di umiltà. Comunque, sul lavoro ci sa fare. E tu, cosa stai seguendo?’
Michela non rispose.
‘Farmi da poggiapiedi non si può definire lavoro sai, carina?’
Sollevò una gamba e le pose il piede davanti al volto. L’alluce prese a pungolare la guancia della ragazza. Le stuzzicò le labbra, il mento e gli zigomi. Premette sul setto nasale, Michela gemette.
‘Devi anche terminare di scontare la grave mancanza di questa mattina. Non mi hai svegliata all’orario convenuto. Ci stiamo rilassando troppo Michi, un po’ troppo”
‘Il problema, Elisa, è che non abbiamo avuto nuovi clienti questa settimana. La nuova filiale di Via Garibaldi ha sgravato la sede di una buona metà degli impegni’
‘Se i clienti non ci sono, si trovano’
Tolse i piedi dal collo di Michela e li pose sul bordo della sedia a sdraio.
‘Adesso fammi un massaggio’
‘Sì Elisa’
‘Con la punta delle dita. Ricordi ancora quello che ti hanno insegnato al corso di massaggio terapeutico?’
‘Sì Elisa’
‘Allora datti da fare, non ho tempo da perdere. Leggera, non farmi il solletico. E più tardi, per completare la tua punizione, leccherai la suola dei miei stivali invernali fino a renderla lucida’.
Silvia bussò alla porta dell’agenzia investigativa De Santis alle undici e quaranta di quel giorno. Monique era tornata da pochi minuti, aveva consegnato il fascicolo del suo ultimo caso ad Agata, la segretaria tuttofare dell’ufficio, e si rilassava bevendo un decaffeinato davanti al suo pc. Il lavoro all’agenzia era gradevole, quando non si aveva niente da fare. I computer disponevano di Tetris, dama, scacchi, poker e tantissimi altri giochi per trascorrere il tempo. Anche per questo Monique aveva cercato di entrare alla De Santis, per rompere la monotonia del suo precedente impiego e guadagnare più soldi. Alla De Santis il lavoro era molto vario: investigazioni per furto, servizi di guardia del corpo, pedinamenti, controlli sui tabulati telefonici, appostamenti fotografici, sorveglianze in istituti di credito e molto altro. Non aveva preventivato lo speciale corso di addestramento che aveva dovuto subire durante il primo anno, tuttavia, anche quella esperienza si era rivelata utile. Adesso, come tutte le dipendenti dell’agenzia, Monique era una schiava leccapiedi della sua severa datrice di lavoro.
Vide entrare Silvia e chiuse la finestra di Tetris che aveva appena aperto. Elisa non gradiva che le clienti sorprendessero le sue ragazze a oziare coi giochini per pc.
La francese era alta un metro e settanta. La sua corporatura filiforme appariva ancora più slanciata grazie ai tacchi delle lucide scarpe di vernice nera.
Scrutò la nuova venuta con occhio esperto; era molto bella, molto alta e molto agitata. La tratteneva un buon autocontrollo e, probabilmente, qualche pillola di calmante.
‘Buongiorno, signorina’
‘Buongiorno, sono Silvia Introvigne’ esclamò la donna.
‘Prego, mi segua’ disse l’agente.
La fece accomodare in uno dei salottini dell’ufficio e le indicò una sedia con un cenno della mano.
‘Si sieda’
‘Grazie’
‘Mi dica, come posso esserle utile?’
‘Ecco’ prima di tutto vorrei un’informazione’ voi della De Santis, vi occupate anche di investigazioni nei casi di’ oddio”
‘Prenda un bel respiro’
Il tono di Monique era freddo e distaccato, persino il suo sguardo era gelido. La francese era l’agente ideale quando si trattava di investigazioni su mariti e mogli tradite; la sua presenza autoritaria e capace era quanto occorreva per convincere i potenziali clienti di essersi rivolti all’agenzia più competente.
‘Omicidi ‘ disse Silvia sputando quella parola come un boccone di pane incastratosi lungo la trachea ‘ Ho bisogno di voi per un caso di omicidio’
Monique aggrottò le sopracciglia.
‘Hummm’ non è la nostra specialità, ma legalmente ci possiamo occupare anche di questo, certo. Prima però, mi faccia capire per bene. Di quale caso di omicidio ci dovremmo occupare?’
‘Era su tutti i giornali di ieri. La donna che hanno ritrovato nel bosco”
‘Ah, sì, sì”
‘Non è stata l’unica’
‘No?’
‘C’è stato un caso uguale, dieci giorni fa. L’arma del delitto è la stessa. Lo hanno accertato con degli esami; anche in quel caso la vittima era una ragazza di circa vent’anni’
‘Non lo sapevo’
‘Non avrebbe potuto. Per ora lo hanno tenuto nascosto’
‘Capisco. Una delle vittime era una sua amica?’
‘Ecco, è questo che non capisco, è così imbarazzante”
‘Coraggio. Se vuole assumerci, dobbiamo farle tutte le domande del caso’
‘Già, come la polizia”
‘La polizia?’
Silvia annuì. Sollevò la testa e parlò con un filo di voce.
‘Esco adesso dalla Questura. Mi hanno interrogata per quattro ore di fila, sempre le stesse domande, per farmi cadere in contraddizione. Io sono la loro prima sospettata. Quelle due ragazze che hanno ucciso’ erano state mie amanti!’
‘Un caso di omicidio, eh?’
L’agenzia De Santis era in centro. Oltrepassata la porta a vetri dell’entrata, si percorreva un breve corridoio su cui davano tre uffici dalle pareti di vetro insonorizzato, in fondo al quale era posta la reception composta da una piccola scrivania con pc, due piante di filodendro, un armadio a muro ingombro di raccoglitori e qualche foto appesa alle pareti.
La sala riunioni era l’ultima stanza a sinistra, mentre l’ufficio del capo era posto a destra ed era fornito di pareti di vetro oscurato affinché nessuno dall’esterno potesse vedere quel che accadeva all’interno.
Elisa e le sue schiave erano riunite nella sala di comando. La padrona sedeva sulla comoda poltrona di pelle dietro la sua scrivania, non vi erano altre sedie e le dipendenti attendevano silenziosamente in piedi.
Elisa tamburellò la punta della sua penna stilografica sulla copertina di un volume di diritto penale e si accarezzò i capelli.
‘Sì Elisa, ‘ disse Monique ‘ e mi sembra anche un caso piuttosto complesso. La polizia non ci si raccapezza. Prima di accettare il caso ho voluto chiedere a te’.
La padrona si alzò in piedi; immediatamente le tre schiave ‘ Monique, Michela e Federica ‘ si prostrarono al suolo. Elisa sedette sul piano della scrivania dopo aver scostato posacenere, portapenne, ciclostilati e documenti e accavallò sensualmente a mezz’aria le sue lunghe gambe. Sporse di più il piede sinistro e andò a posare la suola della décolleté sulla testa della francese.
‘E perché non dovremmo accettare questo caso?’
‘Non so’ devo richiamare la cliente?’ mormorò Monique.
‘Certo’
‘E dopo che lo avremo fatto? ‘ chiese l’agente ‘ Da che parte iniziamo? Come ci muoviamo?’
Elisa tirò indietro il piede e con la punta della scarpa sollevò il mento della ragazza; Monique sapeva cosa fare, con grande umiltà accolse il piede della padrona fra le sue mani e lo baciò.
‘Scusa, Elisa’
‘Non devi mai contraddirmi, piccola’
‘Non lo farei mai”
‘Me lo auguro. Le domande le faccio io, piccola. Adesso attaccati al telefono e richiama questa signorina. Voglio parlare con lei di persona’.
Allontanò la schiava francese con un calcetto sulla guancia e tornò alla sua poltrona.
La signora Marchetti si destò nella tarda serata. Il rosso scarlatto del tramonto stava sfumando nel blu cupo della notte incipiente. Il quadrato di panorama compreso entro i margini della finestra pareva la tela di un grande pittore. L’amante di Marta, questo il nome della donna, era già sveglio. Le posò una mano sulla natica nuda e le schioccò un bacio a piene labbra sul collo.
‘Sei sveglia, pigrona?’
Lei lo osservò con occhi impastati di stanchezza. Avevano fatto l’amore. Un amore mediocre, l’unico surrogato di sesso che era riuscita a trovare.
Col marito non c’era più passione, stavano assieme solo per i soldi. I soldi, tanti soldi, di lui. Lei lo disprezzava. Un ometto basso, calvo, panciuto, di venticinque anni più vecchio, incapace di farle provare la benché minima emozione. A letto come nella vita.
Si voltò sull’altro lato del materasso. Non aveva voglia di parlare, aveva voglia di dormire.
‘Vattene’
‘Subito?’
‘Subito. Ti chiamerò io’
Lui non insistette; lei lo pagava bene. Finì di vestirsi e lanciò uno sguardo al comodino.
‘I miei soldi?’
Marta sospirò.
‘Nella borsetta’
‘Li prendo io? Ti fidi?’
‘Prendili’.
Udì il suo amante mezza tacca armeggiare con la cerniera della borsetta. Poi un suono ovattato di passi che si allontanavano, se ne era andato. Marta non si accertò se avesse chiuso la porta alle sue spalle, non le importava. Qualche istante più tardi avvertì altri passi, più secchi e leggeri.
‘Che cosa vuoi ancora?’ mugugnò la donna nel dormiveglia.
La voce di Sabrina era un cinguettio.
‘Signora Marchetti, può dedicarmi qualche minuto del suo tempo?’
L’intraprendenza di Monique doveva essere adeguatamente corretta, ed Elisa aveva molta esperienza in proposito. Si trovavano in una delle camere dell’albergo Arcadia, nel centro storico della città. I proprietari dell’albergo erano una coppia molto affiatata, vecchi amici di Elisa. Lui si chiamava Marco, aveva quarant’anni ben portati, un fisico muscoloso e lo sguardo assassino; lei, Sofia, aveva trentacinque anni e i capelli biondissimi e la pelle bianca tipici della sua terra natia, la Germania.
La serva attendeva lo svolgersi degli eventi con il collo serrato nella stretta della gogna. Era uno strumento basso, rozzo e antico. Monique era costretta a stare a gambe larghe, esponendo le natiche e la schiena. Per ordine della padrona Sofia, gli abiti le erano stati tolti. Attendeva nuda e in completa balia dei desideri dei suoi aguzzini, nell’aria fresca della stanza.
D’un tratto la porta si aprì e Monique intravide le sagome di tre persone, un uomo e due donne. Marco e Sofia, sicuramente’ Erano le due figure più alte, quelle che procedevano a testa alta in abiti sontuosi simili a tuniche romane. E l’altra? Chi era? Era forse Marica, la schiava pugliese assunta l’autunno passato? Oppure Benedetta, bionda leccapiedi nativa di Firenze che qualche mese prima aveva subito quelle dolorosissime punture al seno per farlo passare da una terza a una quarta misura? Le inservienti dell’Arcadia erano tutte schiave. Reclutate tramite siti di inserzioni sadomaso in rete, avvicinate con la promessa di un lavoro e poi sottoposte ad atrocità e sevizie di ogni tipo. Torture, a dire il vero, che la maggior parte di loro gradiva molto.
Ma Monique non era una schiava di natura. Lei si era prestata a lasciare che il piede della sua datrice di lavoro si posasse sul suo collo solo per avere un buono stipendio e un ruolo importante nell’azienda. Non le piaceva vivere da sottomessa come le sue colleghe. Neppure le capiva, da quel punto di vista.
La mano nodosa di Marco le schiaffeggiò il sedere con estrema violenza. Monique sobbalzò. Solo le calze di Sofia, che le erano state inserite in bocca, le impedirono di urlare. La padrona tedesca le si fermò di fronte, altissima e inarrivabile nel suo algido portamento che trasmetteva autorità.
‘Fa male la schiena, eh?’ chiese con la sua parlata dura. La schiava annuì, emettendo un mugolio soffocato.
La padrona rise con un’espressione cattiva. Strappò il cerotto dalla bocca della serva e con due dita prese le calze.
‘Le hai pulite per bene?’
‘Sì, padrona’
‘Me lo auguro’
Marco le si fece accanto, sbloccò i ganci della gogna e liberò Monique. La serva crollò in ginocchio sul sudicio pavimento della stanza.
‘Alzati, puttana’ ordinò il padrone.
Monique si fece forza. L’esito di quella serata sarebbe stato comunicato a Elisa: se Marco e Sofia si fossero detti insoddisfatti del comportamento della cagna, al suo rientro le sarebbe toccata una punizione ancor più grave. I padroni dell’Arcadia si divertivano con le schiave, ma Elisa sapeva essere spietata.
D’un tratto la sua testa fu sfiorata dai lembi di una tunica. Monique sollevò il volto finché il dolore alla colonna vertebrale le permise di farlo. Vide i polpacci sodi di Marco, poi le cosce nude ed il membro già irrigidito che l’uomo impugnò per poi sbatterlo in faccia alla ragazza.
‘Toh’a baccellate nel viso’ esclamò senza trattenere una risata.
La mano di Sofia artigliò i capelli ben curati della schiava francese. I capelli a cui teneva tanto. Le sollevò il busto e le premette il viso contro il bacino del compagno. Marco le strusciò il cazzo in faccia, sugli occhi e sulle labbra.
‘Apri quel cesso di bocca che ti ritrovi, troia!’
Monique obbedì e lui la riempì senza alcuna esitazione. Sentì Sofia avvicinarsi, mettersi a cavalcioni sulla sua schiena e appoggiarle il sesso sulla nuca, poi i due coniugi si strinsero l’uno contro l’altra. Il membro di Marco affondò impietosamente nella gola della serva, la soffocò letteralmente. Monique sentì l’aria venir meno, i suoi polmoni urlarono di dolore, l’articolazione della mandibola che a stento riusciva a contenere quel fallo di dimensioni immani. Non potendo liberarsi e neppure opporre resistenza alla volontà dei padroni, si impegnò nel dar piacere il più in fretta possibile all’uomo. La sua lingua mulinò attorno alla cappella, le sue labbra risucchiarono la pelle sottile del prepuzio e la vezzeggiarono con gentilezza. Marco tentò di approfondire ulteriormente l’affondo, abbracciando Sofia e stringendola a sé. Monique si ritrovò schiacciata in una morsa. Sopra di lei, i due dominatori si baciavano appassionatamente. Sulla nuca, una sensazione sgradevole di bagnato. Sofia era eccitata quanto e più del marito.
Marco godette nella bocca di Monique, riempiendola del suo liquido tiepido. La schiava lo inghiottì. Poco dopo, quando i battiti del cuore di Marco si furono calmati, l’uomo sfilò l’asta dalle labbra di Monique, ancora rigida e tesa. Quell’uomo aveva una resistenza straordinaria.
‘Puliscilo’
Monique lavorò di bocca. Le sembrò che sotto i sapienti colpi della sua lingua il sesso di Marco di rilassasse per un momento, per poi riprendere immediatamente vigore.
‘Aahhh’ come sei brava’ dai, rifammi la punta’
Anche Sofia volle dare sfogo alle sue pulsioni, che erano ancor più sadiche di quelle del marito. Mentre Monique era impegnata con il membro di Marco, la sua frusta saettò. La schiena di Monique era nuda e lei era talmente concentrata nel recar piacere al padrone da non accorgersi delle intenzioni della crudele tedesca. La frustata le morse improvvisamente la pelle e la fece sobbalzare.
‘Che accidenti fai, stupida! ‘ disse Marco, sollevando una mano come se volesse darle uno schiaffo ‘ Guarda che se me lo mordi ti riempio di botte’.
La frusta la colpì ancora e ancora. La schiava francese assecondò il ritmo con cui i colpi cadevano e per un lungo periodo di tempo riuscì ad assorbire le frustate senza scomodare il padrone o rallentare le sue lappate. Al termine della sessione, tuttavia, la sua schiena bruciava come fuoco. Sofia pareva instancabile. Aveva continuato a colpire come una forsennata per almeno dieci minuti.
‘Domani ricordati di indossare una giacca ben chiusa e di non mostrare la schiena per una settimana. Sette giorni dovrebbero bastare, per far scomparire i segni. ‘ disse la padrona ‘ Guardala, Marco. è a strisce’.
Mentre il fallo dell’uomo riassumeva le preoccupanti dimensioni che Monique ben conosceva, i due scoppiarono a ridere.
‘Ora fa godere la padrona, serva. ‘ ordinò Marco ‘ Usa la tua lingua su di lei’
Fecero sdraiare la serva su una panca di legno, a pancia in su, le bloccarono caviglie e polsi, poi Sofia sedette sulla sua faccia, il sesso in corrispondenza della bocca di Monique.
‘Leccamela’ ordinò, mentre le sue unghie artigliavano la pelle della francese. Le graffiò i seni, l’addome, le braccia, i fianchi. La schiava si sentiva soffocare, ma non smise mai di leccare. Il suo corpo si muoveva in automatico e questo era un bene; grazie all’addestramento impartitole da Elisa Monique era riuscita a non vomitare lo sperma di Marco e ora poteva sopportare le angherie di Sofia.
‘Mmmm’ bravissima’ gemette la padrona. La sua voce non diveniva languida neppure nel piacere che le ottenebrava la mente.
‘Vero? Anche meglio delle altre. ‘ ammise Marco ‘ Dovremo dire a Elisa che se ce ne vuol mandare una ogni tanto, che sia questa’.
‘Ah ah’ sentito, stupida? Ti chiederemo in prestito a Elisa tutte le volte che vorremo. E ora leccami. Apri la bocca. Bevi! Bevi la tua padrona, cagna”
Con uno sforzo di volontà Monique inghiottì anche il piacere della padrona.
‘E considerati fortunata. Alla tua amica bolognese abbiamo fatto bere le nostre orine, ‘ disse Sofia ‘ a te piacerebbe? Ti piacerebbe bere la nostra piscia?’
Marco rise di gusto, poi disse:
‘Domani mattina ti rimanderemo dalla tua padrona. Vuoi un consiglio? Evita di farla arrabbiare troppo spesso. E’ una che sa farsi obbedire”
Quanto vorrei che il live action di disney fosse più simile a questo racconto! Scherzi a parte: divertente, interessante, bel…
grazie amore
Non credo di aver avuto il paicere, ma grazie intanto della lettura.
Leggendo i tuoi racconti continua a venirmi in mente Potter Fesso dei Gem Boi
grammaticalmente pessimo........