Le luci del dungeon erano soffuse.
Irina si era da poco abituata allo stile di vita della grande città.
Il suo mentore e schiavo-padrone,Tati Ursùl,l’aveva addestrata in poco tempo.
“Tati Ursùl”:il nick affettuoso ed onesto affibbiatogli dalla ragazza.
Lui di nome faceva “Mario”, seguito poi da un classico cognome brianzolo.
Ed Irina aveva imparato, per la prima volta nella sua vita, a rispettare qualcuno.
Tati Ursùl -“Papino Orso” in rumeno- era un personaggio buffo ed inquietante al contempo.
Usciva spesso, ma soltanto al calar del tramonto e stava in giro fino a notte fonda.
Milano, come qualsiasi grande metropoli, questo glielo poteva permettere.
Marciava accosto ai muri per non farsi notare troppo.
Una vistosa voglia chiazzata di cioccolato macchiava una delle sue guance.
Egli si vergognava profondamente di ciò.
Detestava la gente e la gente detestava lui.
Era estroso anche nel vestiario, oltre che nel comportamento.
Un lungo mantello nero stretto da due spalline dorate.
Sembrava un dress-code ed invece lui ci girava quasi abitualmente.
Viveva da solo in una grande casa dai larghi antichi finestroni padronali piena di gatti,di libri e di incunaboli medioevali chiusa in una delle viuzze strette del centro di Milano.
Frequentava qualche privè.
Una volta era stato un famoso e riverito maestro di bondage.
Ma ora con lo sfiorire dell’età aveva cambiato ruolo e situazione.
Da dominatore si faceva dominare.
Preferiva le ragazze giovani e le sbandate come Iri.
Le solleticava con allettamenti vari dei quali il denaro era di sicuro la minor parte.
Non è che le seducesse: erano loro a sedurre lui una volta conosciuto il tipo.
Tati Ursùl le sapeva affabulare con racconti, barzellette ed aneddoti e riferimenti eruditi dell’ambito sadomaso e culturale in generale e loro ne rimanevano estasiate.
Alcune se ne innamoravano pure.
Ma lui non se ne faceva scrupolo pur non approfittandosene.
Non le violava.
Erano semmai loro a violare lui.
Ne faceva emergere con spietata e logicissima maieutica il loro carattere dominante recessivo.
Aveva fiuto in questo..e non sbagliava mai una preda.
Si defilavano dalla massa,allora, grazie a lui, affinando le tecniche di bondage per lo più in sessioni private sul suo corpo e qualche altra volta -se l’estro l’aiutava- sul corpo di qualche sua ex-schiava od amica sub.
Quando il sacro furore le possedeva era fatta: erano allora delle padroncine perfette!
Lui allora si ricomponeva e si rivestiva ed il giochino sadomaso aveva termine.
Non si affezionava mai a loro, le adorava come piccole Dee. Ne conosceva a menadito ogni piu intimo e riposto segreto.
Qualsiasi recondito dettaglio, ogni piega schiva del loro caratterino non era per lui finzione, ma dura realtà assaporata sulla propria pelle di schiavo devoto.
Ad un cenno del suo bastone d’argento con il pomello di cane Anubi infine le congedava.
Per non rivederle poi mai più.
Erano dominatrici fatte e finite e di loro -giunte a questo punto- a lui non attizzava più la “molla” segreta.
Erano libere. Potevano, ora, correre per il mondo da sole.
Adulte con il visino da bambine.
Ma con Irina fu tutto diverso fin dall’inizio.
E Lei poi prese ad amarlo quasi subito, -segretamente- seppure senza smancerie, com’era suo costume.
Preferiva infatti la schiettezza e quasi la brutalità dei suoi modi: in questo il “Sciur Mario” era a lei molto affine.
Da ragazza giovane, tuttavia, -seppure dominante- avrebbe pur gradito qualche piccolo segno d’affezione o di negletta vicinanza emotiva.
Ma di tutto questo in lui non ne era mai esistita la benchè minima traccia.
Irina era sveglia: rapida ad apprendere, brava,efficace, attenta a colpire e sagace.
La sua miglior arte stava nel saper dominare sapientemente nel fisico prima che nella mente.
Per la psicologia c’era tempo: lo “Sciur Mario” era anziano e presto -forse- avrebbe ceduto il posto ad altri ‘seguaci’ senz’altro più giovani e malleabili.
Nell’ambiente era notorio che, come d’ordinanza, lui poi avrebbe chiamato allora qualche amico facoltoso del giro degli altri schiavi ed in questo modo la nuova padroncina avrebbe avuto un suo avvenire assicurato.
Molte ancora lo ringraziavano di quel dono..ma non tanto della posizione sociale conquistata (alcune con gli anni avevano realizzato matrimoni d’oro!).
Anzi lui le schifava queste ribalderie.
No, gli erano grate soprattutto perchè ora sapevano, proprio grazie a lui, di essere diventate ‘consapevoli’ ed interamente padrone delle loro vite e del loro sesso.
Proprietarie e superiori degli uomini che sottomettevano al loro comando.
Gestori allegri delle famigliole più o meno allargate di schiavi e schiave che si venivano poi a creare con il tempo.
Tati Ursùl comunque non le cercava mai più. Semmai ne aveva notizie solo casualmente da qualche suo amico del giro.
Se le incontrava a qualche cena sociale, non le degnava neanche di uno sguardo.
Anche se di lontano ancora le rimirava.
Ne accarezzava con gli occhi -avendo cura di fingere di non badarci- quelle forme procaci che lui conosceva sì bene.
Molte gli avevano fatto capire che anelavano ancora ad una “session”, anche da dominate, ma lui se ne teneva lo stesso alla larga.
In qualche ricevimento -se capitava- qualcuna delle più coraggiose o veementi gli si avvicinava con fare furtivo e senza dire una parola gli si piroettava davanti con un bell’inchino come si confaceva ad un vecchio aristocratico signore.
Allora lui allungava il pomello di Anubi da sotto il mantello.
Glielo avvicinava e le più placide e mansuete lambivano felici con la lingua, ostentatamente, le orecchie di alabastro del piccolo dio canide in effigie.
Irina era diversa, invece.
Se ne accorse fin da subito non appena la conobbe.
La vide accucciata sopra lo sgabello alto di un bar di periferia, da sola, a bere un paio di birrette.
Era entrato lì solo per stare tranquillo e bere una tisana e ripararsi dal freddo ed osservare il paesaggio umano degli avventori, come faceva spesso.
Era in là con gli anni e con l’esperienza era divenuto un ottimo osservatore, quasi alla Doctor House.
Di Irina capì da presso le fattezze da sbarbina ed il carattere puntuto.
Pensò subito alle marchette, ma c’era qualcos’altro..lo intuiva.
Il posto di tanto in tanto fungeva anche da ristorante full-time con annessa locanda.
Anche una specie di albergo ad ore, ma solo con i clienti che il Sciur Piero -el parùn- conosceva od aveva già selezionato a menadito.
Tati Ursùl ordinò allora la cena.
Arrivò il cameriere a stendere nel suo solito angolo di destra contro il muro una tovagliona grande a quadretti bianchi e blu di periferia (ce n’erano ormai ben poche a Milano!) e con l’indice nodoso indicò la ragazzetta seduta al bancone.
-Straniera, Sciur Mario.
-La conosci?
-No, mai vista! Sembra una di quelle zoccolette che girano.
-Ha bevuto?
-No solo due birrette, Sciur Mario.
-Le hai parlato?
-No. Parla poco..un italiano stentato.
-E poi?
-E poi, cussa, Sciur Mario?
Il vecchio signore non distolse lo sguardo da quello del cameriere.
-Mah..sembra che abbia un bel caratterino di merda.
-Di strada nel mestiere ne farà poca. Gliel’assicuro, Sciur Mario.
-Ci hai gia provato, porcello? Alla tua età?!
-No, Sciur Mario! Che dise? Solo quattro chiacchiere..l’era sola..la tusetta.
-Ghe pensi mi! (ed allungò un foglietto bianco dove aveva velocemente vergato qualcosa).
-Dallo alla ragazza ed indicami!
Il cameriere esegui di fretta. La ragazza aveva accennato quasi un moto di stizza poi lesse e si girò di scatto.
Scese dal trespolo dove s’era accoccolata e si avvicinò esitante al tavolo del vecchio signore.
-Buona sera! Prego si accomodi! E’ mia ospite!
Irina esitante rimaneva ancora in piedi.
Vestiva con le sue galoscette bianche, una mini a pieghine ed un maglioncino leggero finto cashmire.
E sopra completava il tutto il suo giubbottino liso ed un po’ sporco e l’immancabile borsone a tracolla che si tirava dietro dappertutto.
Un borsone un po’ informe. Un’arca di Noè dei ninnoli sopravvissuti della sua adolescenza sfumata via veloce.
Sciur Mario allora si alzò e con cortesia le offrì la sedia e la fece accomodare quasi di forza, seppure con i suoi modi fini e garbati.
Irina vi si sedette con un non so che di scontroso e di guardingo nello sguardo che teneva basso.
-Ehi! Non mi chiedi prima quanto voglio?
Silenzio.
-Non mi chiedi se con il guanto o senza?
Silenzio.
-Non sei troppo vecchio alla tua età?
Silenzio.
-Ti piacciono le ragazzine?
Silenzio.
-Sei un vecchio porco, allora?
Sciur Mario pose fine a quella sequela da interrogatorio.
E la zittì con un gesto ampio del braccio.
-Şase români!
-Nu este greşit!
-Unde?
(-Sei rumena! Non sbagliavo! Di dove?)
-No roumena..io di Kishinev, Moldavia.
-Conosci la mia lingua?
-Un poco..l’ho studiata all’università da giovane.
-Un vecchio porco colto ci mancava.. fece con fare strafottente la ragazzetta.
-Dì’..cosa ti piace?
-Parlo io, invece! (glielo disse in rumeno).
-Cosa sai fare?
-Veh! Che domande! Di tutto!
-Te la metto anche nel culo non ci credi? (E notò come un lampo accendersi nello sguardo dell’uomo).
-Uhm..ne sai di cose allora!
-Hai fame, cara? Vuoi ordinare?
-Sìì..allora..uhm!
Iri finse di leggere dal menu..
-AHH!
E da sotto il tavolo aveva con la punta della sua galoscia sinistra colpito i coglioni dell’uomo.
Non con il piede però..era troppo lontana.
Ma con la galoscia.
Così come avesse fatto non si capiva:se l’era sfilata velocissima ed aveva mirato in una frazione di secondo alla cieca indovinando però il bersaglio.
-TROIAA! Ma sei pazza?..ma poi subito chetandosi.
-Hai visto che sai come chiamarmi? E pure in italiano?-rispose con il suo fare sarcastico.
-Di’ -vecchio- la vorresti odorare la mia fichetta?
-Noo.. ma che dici?
-Daii che ti piace..ne sono sicura!
-..ma non qui andiamo poi in camera, se vuoi.
-No! Qui e subito!
-Lo puoi fare! Non c’è nessuno: solo quello stronzo del cameriere che ti conosce!-aggiunse.
Sciur Mario guardò gli occhi cattivi della ragazza e realizzò in un attimo la situazione.
Iri ora aveva allargato le coscette da sotto quella gonnellina svolazzante a pieghine.
-Amava il potere, senz’altro -pensò il vecchio-
-E’ folle e coraggiosa, diretta ed energica, altrochè..forse anche pericolosa.
Pero’..
Fece un cenno fintamente malaccorto e rovesciò il bicchiere di cedrata che stava sorseggiando.
-Gianni!-chiamò il cameriere.
-La me diga!
-Portaci una tovaglia pulita!
-Subito!
Il cameriere arrivò con un altro coperto.
Stava per sparecchiare quando Sciur Mario lo fermò con un perentorio:
-Non ti scomodare..ci pensiamo noi.
Ed allungò di nascosto un cinquantone al Gianni.
-Sì, certo come la vol, Sciur Mario!
Osservò lo sguardo allupato dell’uomo e finalmente il cameriere capì.
-Ahh Gianni..un’altra cosa!
-Sì?
-Non fare sedere altri ai due tavoli vicini a questo per..almeno 10 minuti..te capì?
-Poi, ci penso io..staghe tranquil!-aggiunse il vecchio signore.
-Ahh! Ok!- fece il cameriere un po’ confuso.
Appena giratosi di spalle lesta Irina allungò la nuova tovaglia sul tavolo.
Verso l’ingresso la parte accostata al muro li poteva già coprire.
Per tenere fermo il secondo elemento del tovaglione svelta vi pose sopra il suo borsone informe pieno di non si sa che cosa.
Guardò fissa negli occhi l’uomo e disse:
-Dai, vieni!
-Vieni a leccarmela, stronzo!
-Ne sei ancora capace?
E qui condì il tutto con uno di quei suoi risolini secchi, brevi e nervosi, quasi isterici e sguaiati.
Mario si guardo ancora in giro malfidente e circospetto..c’era solo il cameriere: nessun altro avventore!
Temeva però l’arrivo di altre persone o di qualche complice della ragazza.
-Non temere sono sola..io sono sempre sola! So come difendermi. Che credi?
-Viene giù così! Giù e leccame bene!
Mario posò allora il cappotto che ancora indossava sull’attaccapanni vicino.
Rimase con la giacca, il panciotto ed i pantaloni.
Si guardò ancora attorno.
-Che rischio!-pensò.
Il cameriere osservava il tutto da lontano e faceva finta di asciugare i bicchieri.
Guardava anche lui in direzione della porta.
Pensò di togliersi la giacca, ma avrebbe lasciato un segnale della sua presenza.
Anche se era scomodo, decise di tenersela, soprattutto per il portafogli.
Si chinò per terra con la scusa di un tovagliolo che aveva fatto cadere.
Sotto il tavolo si vedevano riluccicare le galosce bianco- sporche di Irina e la sua gonnellina.
Il resto era in ombra.
-Vieni! -gli sussurrò- Vieni!-..sempre più piano..
Che belle coscette che aveva e che polpaccetti!
Cominciò a leccarglieli a partire dall’incavo del ginocchio e poi leggermente all’insù.
Iri gli aveva preso la testa per i capelli e lo strattonava a sprazzi in malo modo.
A sbalzi improvvisi ora lo guidava.
-Le galosce! Stronzo!
-Comincia da quelle!
Non erano molto pulite, ma lui si fece sotto lo stesso.
Poi lei gli permise di salire su con la lingua.
Mario non ricordava più da tempo l’umidore della fichetta fresca e ne fu estasiato.
Non era neppure molto pulita intimamente, ma questo a lui piaceva.
-Sei proprio un bel porco! Meu de porc!-gli disse dall’alto la ragazza in un soffio.
Lì, proprio lì al limite della sua vulvetta.. uhh il bottoncino turgido.
Irina tremava..bbr..tutta tutta..mentre Mario la penetrava con la lingua.
Se la sentì venire addosso sulla sua lingua: lo inondò di umori.
Si contorceva appena con il sedere proprio appoggiato sulla punta della sedia con buona parte del peso sulla faccia di lui.
Per poco non gli scivolò addosso nell’empito del suo orgasmo finale.
Per fortuna erano stati da soli per tutto quel tempo che a Mario era parso interminabile, a parte il cameriere laggiù che lei guardava di sottecchi.
-Bravo! Sei stato proprio bravo! Come lecchi bene!
E gli porse dal borsone uno dei suoi fazzolettoni da campagna, per la verità non molto pulito.
-No, grazie! Cara!
E si deterse il viso invece sfilando la sua pochette verde dal taschino.
Iri ora era appagata e tranquilla.
Il Sciur Mario un po’ meno.
Ordinarono e rimisero a posto ben piegato il tovaglione che era servito da siparietto.
Irina mangiava con grande appetito pulendosi con le dita spesso gli angoli della bocca sotto lo sguardo severo ma compiacente del vecchio signore.
Sembrava una di quelle bambine golose e bricconcelle che abbiano i baffi di cioccolato.
Ai bordi della bocca.
Aveva una risata spontanea e cristallina e gioiosa quand’era serena.
Mario la rimirava e la guardava con intensità crescente.
-Vuoi scoparmi poi?-gli chiese.
-Ti piacciono le ragazzine come me? Perchè?
-Perchè sono selvagge!
-E’ vero che sono selvaggia e disinibita. Come dite voi italiani: “faccio di tutto!”
-Sai legare un uomo?
-Ohh! L’ho già fatto, sai? Che credi?
-Gli prendo i coglioni con un laccio, faccio due o tre nodi ben stretti e zac!
-Zac?
-Zac! Sì..poi io appendo come salami!
-Non mi dire?
-Che cosa ti piace di più?
-Inculare..fare come l’uomo..guarda!
E gli apri la zip del borsone che fino a quel momento era stato gelosamente chiuso.
Un ambaradan di oggetti femminili sparsi e poi giù nel fondo alcuni strap, qualcuno anche non proprio pulito.
La serata trascorse in allegria con un Mario un po’ più cupo mentre Irina lo guardava con quei suoi occhietti intensi.
Lo sfotteva e lo stupiva.
Forse aveva trovato per la prima volta pane per i propri denti.
Era stanco e forse annoiato.
La ragazza lo guardava interessata.
-Non andiamo in camera?
-No, vieni a casa mia! Mi fido!
-Davvero??
-Non hai piu paura?
Mario chiamò un taxi dal telefonino,poi pagò il conto e salutò amabilmente il Gianni, il cameriere.
Uscirono. Lei a braccetto del vecchio signore.
Appena in tempo. Ora la locanda cominciava a riempirsi.
Via Fiori Oscuri -proprio come quella demonietta scaturita dal nulla- gioco junghiano di coincidenze significative- è a pochi passi dal Duomo: un quartiere signorile dietro la Scala.
Mario abitava al secondo piano.
Fuori dal taxi camminava veloce.
La ragazzetta lo seguiva sgambettando.
Le fece fare subito una bella doccia.
Poi bevvero insieme un po’ di vino mandandosi occhiate d’intesa.
Irina rideva allegra.
Le sue paturnie erano sparite.
Si trovava bene con Mario.
Lui le lesse qualcuna delle sue novelle.
Si accucciarono su una poltrona.
Lei abbandonata sulle sue gambe e poi si stesero per terra vicino al caminetto che Irina aveva pregato di accendere: faceva freddo.
Rimase così in mutandine e con il maglione di finto cashemire da quattro soldi.
Si tenne le galoscette addosso.
Non era male Irina: il suo corpo un po’ acerbo, ma con due gambette ben tornite.
Si vestiva con poco e quel poco le bastava a fare la sua bella figura.
Mario le lesse ancora un po’ qualche poesia di Prevert e brani de “Il funesto demiurgo” di Cioran mentre il vecchio giradischi gracchiava dal vinile qualche brano da Prokofiev.
Irina era ammaliata.
Lui le traduceva qualcosa in rumeno oppure in inglese all’istante e lei capiva.
Lo sguardo intenso.
E poi gli chiese con fare energico ed un sorrisetto malizioso:
-Ti posso legare i coglioni,Mario?
-E me lo chiedi così?
-Ma non hai un po’ di savoir faire?
-Sei sempre così volgare?
-Eppure sapresti essere più carina ed intelligente.
Iri non rispose. Si avvicinò all’uomo, si inginocchiò e gli aprì la patta e sbottonò.
-Aspetta!
Gli scappellò l’uccello e si mise tutto il glande in bocca senza succhiarlo.
Cominciò a soffiarci sopra ed a masticare come se fosse stato un chewing-gum.
Soffiava, mordeva ed aspirava: sempre in sequenza ed i morsetti erano sempre piu precisi e lancinanti.
Mario stava già per venire nella sua bocca, ma Iri capì al volo.
Lasciò il cazzone a penzolare e si ingollò i coglioni mordendoglieli.
-AHH!
Mario gridò.
-Ora giù! Meu de porc!-ordinò la ragazzetta.
L’uomo si stese malvolentieri che ancora dolorava.
Iri lesta gli gattonò di sopra, gli spatasciò la fichetta in faccia..intanto gli schiacciava e serrava con tutto il suo peso i gomiti e gli avambracci per schienarlo.
-Apre! Beve il nettare! PORCOO!
E gli tirò ferocemente le orecchie in basso costringendolo ad aprire la mandibola.
La piscia calda gorgogliava ed usciva dalla bocca del vecchio signore.
Poi Lei l’obbligò -quasi soffocandolo- e si fece leccare tutta ben bene.
Quella ragazzetta,quello scricciolo, era pure un’abile ginnasta: piegandosi all’indietro, in una contorsione estrema, gli riaddentava di nuovo il cazzo mordendolo e spompinandolo insieme.
Mordeva e spompinava mentre lui da sotto la leccava estasiato e folle tutto stretto fra quelle sue coscette smunte e vicino ancora a quelle galoscette bianche un po’ sporche di fango,ma così ‘abituali’e sexy per lui, ormai.
Se ne venne nella bocca di Iri mentre lei emise ancora un ultimo sprizzoso fiotto di urina che Mario bevve avido.
Quella ragazza era proprio una troietta fatta e finita come a lui piaceva.
Una piccola sfiziosa tiranna,intelligente e scaltra.
-Vecchio coglione,prova a leccarmela ancora! Non hai mica finito! Ci riesci?
Mario ansante e fradicio di umori e di urina rispose con un flebile:
-Sì
E Irina rapida gli si giro questa volta mostrandogli il culetto.
-Lecca anche lì, porco!-ordinò.
-Dai te la faccio -se vuoi- lo so che ti piace!
-Piace a tutti i porci come te!
Mario leccò avidamente il buchetto di Irina che ora cominciava ad allargarsi.
Lei se lo spompinava mordendolo alla base del glande con piccoli morsetti puntuti e leggeri.
-Pfumppff!
Un piccolo frutto marrone gli percorse la guancia e gli lasciò una stria brunastra e cadde poi sul pavimento.
-Porco! L’hai lasciata andare via..non hai avuto coraggio!
-Sciacquati! La faccio ora!
Gli riandò di sopra, si allargò di nuovo le labbrette in perpendicolare al suo nasone e poi orinò di nuovo e poi ancora.
Mario era felice e sottomesso e quell’erinni baldanzosa lo soffocò ancora con la sua fighetta in segno finale di strapotere, di vittoria e di padronanza assoluta sul suo nuovo schiavo..
* * * * * *
Il vecchio-nuovo schiavo e la feroce padroncina straniera conobbero una stagione di passione travolgente.
Cosa non si fa per amore? Quello vero.
Lo Sciur Mario cambiò d’incanto il suo guardaroba fuori tempo e si mise a vezzeggiare la ragazzina.
Sembrava come ringiovanito.
Irina aveva invece come prosciugato le sue energie, ma..nuova linfa proveniva da quell’amore così precoce, così vissuto ed insieme così torbido e perverso.
Per chi non li avesse conosciuti -nell’intimo dei loro segreti- avrebbero dato l’idea della sbarbina viziata (forse slava) e del padre-amico un po’ coglione..o forse no.
Più d’una conoscente storse il naso e capì l’antifona non appena la ragazzetta procace apriva bocca e mostrava con i gesti più che con le parole la sua volgarità da bassifondi.
Qualche amica o ex-schiava, forse un po’ gelosa, lo mise in guardia, un giorno che Irina era rimasta a casa da sola con la febbre.
Ma Mario era “bugiòmm”,testardo, e non se ne diede per inteso.
L’amava, forse oltre il sesso perverso e selvaggio.
L’amava di una passione indefinita, di un sentire amicale indefinito e malato.
Per lui Iri -così la chiamava- era l’alfa e l’omega: il primo pensiero quando si svegliava beato con Lei accucciata sul suo fianco e l’ultima visione prima di addormentarsi esausto dopo sessioni e scherzi e battaglie o lotte amorose.
Che cosa lo prendeva di Lei? Forse il suo visetto smunto? Oppure la caparbietà od il senso di libertà e di complicità estrema e così naturale messo in essere con una ragazza così giovane che avrebbe potuto essere benissimo sua nipote.
Ci fu un periodo -poco dopo gli inizi della loro avventura- in cui Lei lo ‘prese’ veramente e di brutto.
La tipa -pur esile- con la cura ricostuente dei ‘pranzetti per Navigli’ si era irrobustita e, non senza un secondo fine, lo Sciur Mario la convinse facilmente a frequentare una palestra ed a seguire un corso di Ju-jitsu: per ‘autodifesa’- diceva lui..’Milano, di sera, è una città che può rivelare delle sorprese poco piacevoli.’
Ma il fine era anche altro.
Iri si tolse di dosso quel filini di grasso messo su con i bei pranzetti e divenne così agile e scattante come mai prima.
La fame atavica,l’ aggressività innata e l’indole battagliera di certo l’aiutavano e fecero il resto.
E poi pure capì.
Sul piano fisico Lei aveva appreso già in poco tempo molte prese.E poi nel suo paese aveva lottato contro i maschi -quotidianamente- sin da bambina.
Non possedeva molto tono e massa muscolare;era minuta, ma di contro a lui, più anziano ed impacciato, risultava certo molto agile.
Sgusciava.
Guizzava via veloce dalle sue mani. Come una serpe.
Non si arrendeva, era combattiva ed in grado di “schienarlo”, a volte, senza difficoltà.
Era proprio quello che lui desiderava ardentemente nella sua ‘Lucidella’: la sua piccola domina: percepire la possanza fisica della “femmina” sopra di lui.
La “foemina triumphans”, come discettava talvolta nel suo latinorum da quattro soldi.
E poi arrivava la spada di Damocle: la meritata punizione.
Lei quasi sempre vinceva e lo sottometteva.
Ma mancava in tutto questo gioco raffinato e sottile una cosa: l’eterodirezione.
Era un rapporto di dominazione F/m, ma guidato ed a volte sofferto e contrastato da parte di Lei.
L’ego sintonico di Irina godeva infatti solamente quando l’uomo più anziano si distendeva ai suoi piedi ed umiliato e sconfitto la pregava allora ardentemente di calpestarlo senza pietà.
Il suo essere capriccioso ed un po’ egotista aveva quindi lì campo libero ed i flebili lamenti del vecchio diventavano la sicura benzina che dava esca alla sua lussuria repressa.
Un rapporto di dominazione fuori dagli schemi. Artefatto.
Algido e distaccato già di per sè.
Che li distanziava lasciando altresì ai due solo la mera esecuzione dei ruoli in una specie di limbo sospeso fra vizio solitario,amore sincero e silente ed esecuzione passiva di ordini dati.
Passione malata.
Ma tutto ciò risultava di certo ancora più marcato dalle differenze di lingua, di ceto e soprattutto di età.
Più sconfitte accumulava negli incontri lo Sciur Mario e maggiori erano le sue penalità: bere la piscia della ragazzina, di prima mattina, come primo obbligo della giornata.
Nettarle il sederino con la lingua dopo che la ninfetta aveva espletato naturalmente tutte le sue funzioni organiche maggiori.
Farsi portare poi a guinzaglio a spasso lungo i polverosi e lunghi corridoi della sua magione, sormontati dalle enormi librerie: lei mezza nuda in slips e guépiere borchiate e lui accuciato in attesa di una sua disposizione o vezzo bislacchi.
Anche un ordine di lettura: perchè no? Irina aveva ora a sua completa disposizione anche un tutore ed un precettore, oltre che un amasio un po’attempato.
Un grosso e buono San Bernardo, quindi: un cucciolone.
Irina, tuttavia,alla fine aveva finito col voler bene, in qualche modo, a quell’uomo così strano e -da sola a sola- dichiarava d’amarlo ancora di più in cuor suo e lo gridava forte a se stessa nei pochi momenti di solitudine per convincersene davvero.
Come se non avesse mai percepito in vita sua amore più grande per nessuno prima di lui.
Tantomeno ovviamente per i suoi genitori ed i suoi scarsi amici a Kishinev.
E talvolta poi perdeva tempo così..con lui..con un fare così stupido.
Non concludeva.
S’indugiava a lungo con pignoleria e lentezza svogliate nei singoli precisi atti di una sessione o di un incontro di lotta casalingo.
Non era un accanimento estemporaneo. Nè tantomeno un prendere tempo in attesa di nuove pose,prese o misure per gli attrezzi.
Sembrava solo un perdersi nel diavolo dei dettagli di stile e di forma dei combattimenti.
O nell’attendere qualche secondo in più fra un colpo e l’altro o nell’indugiare ad esempio forzosamente nella minzione su di lui: il suo “pissing dorato quotidiano”.
No. Non c’era una ragione intrinseca e logica.
Era tutto molto “intimo”.
Questo perchè amava il “Sciur Mario”: così tanto più anziano di Lei.
E “perdeva tempo”: si manipolava spesso di nascosto mentre lui era prono, schienato o con la maschera oppure quando non la vedeva.
Era un gioco sottile: disubbidire “godendo” al Suo padrone-schiavo che Lei torturava perchè era lui a chiederglielo veemente.
Da parte sua, a quel punto, sarebbero stati solo baci, carezze e tutto meno che toccamenti furtivi nell’ombra.
Nemmeno dei giovani schiavi, che aveva conosciuto e ‘provato’ nel giro, l’attizzavano così tanto al di là del ruolo.
E qualcuno era anche un bel ragazzo.
Ma Lei gli avrebbe solo pisciato in faccia: così per sfregio o per non-sense.
Ma non con lo Sciur Mario: esitava,soffriva, stava male.
Eppure era la sua “Cherie Pètite Domme”- come lui la chiamava.
Ed a volte Le pareva quasi che il suo affetto fosse assolutamente preponderante su tutto.
Sembrava che Lei avesse come delle remore -per via del suo sentimento nascosto- a infliggergli ancora soverchio dolore.
Lo martellava a lungo con le sue prese ed a volte gli concedeva una rivalsa sul tappetino, quando lottavano.
Lo lasciava rifiatare.
L’attendeva muta.
Di questo, l’uomo, seppure lentamente, cominciava a rendersene conto, ma invece di risultarne alquanto lusingato, al converso, il suo ego manipolatore -che aveva sempre la meglio- lo malconsigliava.
Ed ecco allora che Lei se lo ritrovava a strepitarLe contro con misere parole.
Diceva che era soltanto una misera apprendista da quattro soldi.
Una puttanella sbandata raccattata per strada.
Inveiva contro di Lei, la malediceva.
E tutto questo ‘mal dire’ verso di Lei lo incanagliva.
Lo ottundeva. Lo rendeva cieco.
Gli faceva obnubilare quella pur timida sensazione di affezione che piano piano cominciava a nutrire per quella giovane venuta dall’Est.
Sapeva di avere in pugno la ragazza.
Alla fin fine -per età e per ruolo sociale- era solo una sua sottoposta, anche se fisicamente Lei lo sovrastava.
E proprio per questo l’incitava -a quel punto- con le più ribalde parole.
Per condurla a procedere con la solita sottomissione di rito senza indecisioni di sorta.
Così nella lotta come nel dungeon.
Ed Irina, ferita nel suo amore segreto e segnata dalle parole offensive, procedeva, quindi, come lui voleva.
Senza pietà.
Senza pietà alcuna,davvero.
Lo “Sciur Mario” riceveva alla fine la meritata punizione e le grida irate ed i
-“Boule Italiana”-“Stronzo italiano” e gli strilli si sprecavano.
Irina aveva una buona mira e quindi con il flogger puntava alle carni già piagate dell’uomo e lo colpiva instancabile, senza impietosirsi.
I gemiti maschili per Lei suonavano come trombe del Paradiso,come di solito quando sottometteva tutti i maschi che Lei aveva odiato nella sua breve e disgraziata vita.
Doveva “odiare” per dominare per davvero..e poi lasciarsi andare al suo piacere: in un modo o nell’altro.
Se non si ritrovava ad avvinghiarsi sul tappetino contro il vecchio, lei allora procedeva più lesta.
Colpiva, floggava, si ritraeva sculettando, cambiava mano (era ambidestra), si avvicinava ancora, strepitava nella sua lingua.
Ordinava secca e procedeva ancora con metodo e senza tregua.
Le carni dello “Sciur Mario” erano, ora, ancora di più esposte ed indifese al ludibrio ed allo sconcio del cane.
I mugolii dell’uomo invece di accentuarsi si facevano, invece, via via più sommessi e quasi soffocati.
Non voleva dargliela vinta a quella ragazzina sexy e testarda.
Ma Iri non se ne dava per intesa.
Continuava a martoriargli le chiappe.
Era ritta all’impiedi nella sua guepiere di raso con gli stivaletti al ginocchio.
Era bella a vedersi.
Era proprio una piccola Dea cattiva e felice, così come lui la desiderava.
Un giorno lo punì a ‘pane ed acqua’ di propria produzione: un giorno intero di detenzione.
Lo fece strisciare dal gabbiotto dove l’aveva rinchiuso: lo vide uscire carponi tutto curvo, acciaccato e maleodorante.
Lo schienò con due calci ai coglioni, lo picchio ancora con dei secchi pugni al costato, cattivi: ed infine gli spatasciò la fica in faccia e lo costrinse a berne ancora e poi ancora.
Mentre Mario giaceva quasi esanime in un suo mondo di dolore ed afflizione si sgrillettò -come per vendetta- contro di lui e venne furiosamente inondandolo ancora di umori.
L’alba di quel giorno li vide uniti in un solo macchinismo infernale fatto di dolore, piscio, merda, sperma, sangue e succhi vaginali.
Mai la ninfetta aveva goduto così tanto!
La storia continuò poi ancora per un po’.Con alti e bassi come in tutte le coppie.
* * * * * *
Irina ancheggiava ora diretta al suo nuovo amore al suo slave maturo, anzichenò.
-Lucidella,Mea Domina..La chiamava Lui.
-Lucidella, mia Padrona. La cominciarono a chiamare in coro gli slaves del piccolo club del suo mentore.
Erano tutti altolocati ed Irina li aveva stregati senza difficoltà apparente come il vento dell’est che scorre impetuoso quando soffia la bora ed ostacoli non trova.
“Lucidella”: per il fard a brilluccichii sparso qua e là sul volto e le unghiette luminescenti al buio.Ed ognuna di un colore diverso.
Un piccolo vezzo da teenager.
Figura ambivalente:una via di mezzo mondana fra la zoccola navigata e la bambina capricciosetta.
Le luci della piccola ribalta di legno erano soffuse.
Lo slave: il nostro Mario, (quasi) sedeva nel centro: tutto imprigionato in un karada di ropes.
Irina era conscia del suo potere di attrazione.
Infatti il membro dello slave era ben eretto, nonostante i numerosi legacci.
Gli si accostò con fare minaccioso.
Lo blandì e lo vezzeggiò con la punta del frustino.
Un colpo secco sul glande gli fece inarcare la schiena: il corpo proteso dell’uomo -che per di più era appeso al soffitto da un cordone e penzolava inerte.
Sfiorando appena con la punta dei calcagni il pavimento.
Irina però era una grande nel suo genere.
E gli si avvicinò ancora di più per fargli odorare la sua fichetta-ambrosia.
Il cazzo dell’uomo divenne ancora piu turgido.
E Lei per tutta risposta gli mollò un sonoro ceffone.
E gli torse poco per volta e lentamente entrambi i capezzoli.
Una bella fichetta Irina.
Aveva una guepière di pelle borchiata: stile piccolo carapace.
I seni nelle coppette puntute terminavano con un piccolo chiodo.
Si era pure truccata per l’occasione: la sua prima sessione in pubblica.
Uno sfondo di fard sulle guance e più su sugli zigomi alti.
Un ricalco delle sopracciglia con la sfumatura.
Una piccola dea sexy e maligna ad un tempo.
Completavano l’arredo due stivali a coscia con il tacchetto a spigolo ed un tanga minuscolo che metteva a nudo l’esile corpicino di ninfetta viziosa.
Ma non era il fisico quello che contava per Irina.
Era l’ambiance, lo sfondo e soprattutto -last but non least- la sua psicologia.
L’approccio freddo e scostante con lo schiavo.
Algido ed estenuato al contempo.
Un titillo ed uno schiaffone.
Miscela alchemica.
Un sorriso vezzoso ed uno sputo.
Lo ying e lo yang del Tao- come Le ricordava sempre Tati Ursùl.
Un tocco lascivo alla patatina ed una strizzata feroce ai coglioni già incapsulati dalla corda intrecciata.
-“Potere. Dedizione. Attenzione e volere. Lascivia e perdizione.
-Piccolo e grande. Così in alto, come in basso..”-Ricorda!
Irina rifinì alla fine un bel ‘fiocco di Natale’ ai coglioni dell’uomo con il suo tocco magico e delicato.
Le manine di Irina.
Lo schiavo gemeva fremente.
Guardava e rimirava adorante da vicino le piccole coppette dei seni mentre Irina armeggiava con lo spago.
Lo estasiavano.
Adorante di fica a perdere.. E poi Irina staffilava.
Piacere, godere, piacere, godere, ancora piacere..
Un tormento dell’anima.
Irina non era mai paga.
Quel suo sorrisetto sardonico.
Discolo, di bambina dispettosa.
Lo schiavo ora gemeva, ora urlava con quanto fiato avesse in gola.
E le punte degli stivaletti?
Adorabili.
E quel triangolino incorniciato dal tanga di cuoio?
Lo schiavo mugolava inarrestabile.
E non distoglieva lo sguardo estasiato:la piccola protuberanza dello spacchetto di Lei di fra le pieghine del cuoio.
A pochi centimetri dal suo viso.
Il sudore di Irina.
I suoi capelli fatti ora biondicci e slavati.
L’aria felina.
La sua furbizia da faina.
-Vuoi?-disse all’improvviso
Strana tutta quella confidenza.
Improvvisa e sospetta.
Traccheggiante.
Lei era -ora- ancora più da presso all’uomo imbragato nella struttura pensile.
Una piccola Donna-bambina. Una grande Dea primeva allo statu nascenti.
Fulgore. Nitore di potenza. Creatività femminile. Dolcezza e ferocia torbide insieme.
Irina era tutto questo ed anche di più: una droga dell’anima, una coazione alla damnatio di sè continua, una dopamina a riscatto, un’espiazione dolorosa ed implacabile per tutta la protervia e sicumera maschili da lei subite ed accumulate negli anni che espettorava finalmente da sè con gioia e soddisfazione come un muco maligno.
Gli schiavi. I suoi reprobi ed innocenti colpevoli: le sue vittime adoranti anelanti al martirio..
-Vuoi?- chiese ancora melliflua.
Si avvicinò ancora. Poteva sentirne il fiato contratto e represso.
-Vuoi?-ripetè.
L’urlo disumano dell’uomo fu l’unica risposta permessa.
* * * * * * *
Irina ora -al termine della notte- era giunta alla sua meta finale del viaggio d’iniziazione e dormiva assopita.
In un angolo del grande camerone. Sfinita. Il corpo suo esile tutto rannicchiato a mo’ di feto.
Era bella Irina. Un angioletto, quando estasiata riposava fra le braccia di Morfeo.
Ed Il suo dungeon era anche la sua casa.
Uno schiavardare improvviso alla porta. Uno scalpiccio di passi frettolosi.
Entrò.. Era Tati Ursùl. Agitato con indosso la vecchia zimarra scura dagli alamari dorati e non la degnò di uno sguardo.
Spalancò le finestre..diede aria a quelle sordide stanze nel primo grigio mattino di novembre.
-La vedi Milano?-le disse
-Ora è tutta tua!
-Va’ e conquista il mondo!
-Addio!
(3.-Fine)
Quanto vorrei che il live action di disney fosse più simile a questo racconto! Scherzi a parte: divertente, interessante, bel…
grazie amore
Non credo di aver avuto il paicere, ma grazie intanto della lettura.
Leggendo i tuoi racconti continua a venirmi in mente Potter Fesso dei Gem Boi
grammaticalmente pessimo........