Era contentissima di aver passato la prima selezione, certo, non era affatto detto che il posto sarebbe stato suo, però l’invito a recarsi a Ginevra, spesata di tutto, per il colloquio finale, la faceva ben sperare.
L’aereo che la stava portando da Stoccolma alla città svizzera, ormai volava basso e lei poteva ammirare lo specchio d’acqua del lago circondato dalle montagne.
All’uscita aveva trovato un signore di colore, vestito elegantemente che teneva in mano un cartello con scritto MISS BRITT OLSSON.
Lei si era avvicinata e l’uomo, che evidentemente doveva aver visto le sue foto inviate con il curriculum, aveva messo via il cartello e le aveva preso il trolley.
‘Incontrerà subito il signor Jameson, è ansioso di conoscerla.’
Si era espresso in un ottimo francese, venato solo da un leggero accento americano, e Britt gli aveva risposto nella stessa lingua.
In macchina erano passati all’inglese, ma non era certo un problema per lei, visto che oltre lo svedese parlava perfettamente inglese, francese, russo ed anche un po’ di tedesco.
La sua ottima conoscenza delle lingue era stato uno degli elementi che dovevano averla fatta prevalere su molte altre concorrenti, d’altra parte Jameson era, da quello che aveva capito, un uomo d’affari statunitense molto ricco, che cercava una nuova segretaria per sostituire quella che aveva appena rinunciato per sopraggiunti limiti d’età.
Britt, con i suoi 25 anni era nella fascia di età ideale: abbastanza giovane per seguirlo in giro per il mondo sopportando facilmente il jet lag dei lunghi trasferimenti con l’aereo, ma già abbastanza esperta per sapersela cavare in tutte le situazioni.
Jameson la ricevette in una villa in collina, a mezzora di distanza da Ginevra.
Era un omino minuto e calvo, sulla cinquantina, e lei si chiese se il suo 1,78 scalza, quindi tranquillamente sopra l’1,80 già con delle scarpe basse, non gli avesse creato problemi.
Beh, la mia altezza l’avevo indicata nei dati, quindi, se sono qui, per lui non deve essere grave se la nuova segretaria di spalla supera già la sommità del suo cranio pelato.
‘Signorina Olsson, al 99% il posto è suo, se lo desidera, restano solo da fare degli esami medici che eseguirà nel pomeriggio, poi Mark la accompagnerà in albergo.’
‘Esami medici?’
‘E’ un checkup completo, voglio essere sicuro che la sua salute sia perfetta, non vorrei dover fare a meno della sua collaborazione mentre magari mi trovo in Australia o in Africa, sarebbe molto seccante.
In un paio di giorni avremo i risultati, nel frattempo si faccia un giro per Ginevra.
Due giorni dopo, Mark, l’autista, si era presentato in albergo.
‘Signorina Olsson, tutto a posto, nella cartellina c’è il suo contratto già firmato dal sig. Jameson, una copia resta a lei mentre l’altra me la deve restituire firmata.
Le consegno anche questa carta di credito e l’elenco degli abiti che le occorreranno per lavoro. L’accompagnerò io stesso nel negozio di fiducia del sig. Jameson, dove li proverà uno ad uno. Domani mattina glie li consegneranno perfettamente sistemati per lei, nel pomeriggio, alle 16, passerò a prenderla per andare in aeroporto.’
Per le giornate normali di lavoro erano stati scelti dal suo nuovo principale dei tailleur grigi o blu, di tessuti diversi a seconda delle stagioni, non mancavano dei vestiti da sera neri e scollati, per i quali lei aveva aggiunto dei reggiseni senza spalline.
Completavano la lista un paio di soprabiti e, per finire, ben dodici paia di scarpe, tutte con il tacco molto alto, evidentemente Jameson non si faceva problemi di essere sovrastato dalla sua segretaria.
‘Mark, ma con tutta questa roba, più la valigia che già avevo con me, avrò problemi a prendere l’aereo.’
Lui sorrise: ‘signorina, il sig, Jameson viaggia con il suo aereo personale, può portare con sé tutte le valige che vuole.’
Britt, per il suo primo giorno di lavoro aveva scelto una camicetta di seta bianca, un tailleur grigio perla ed il soprabito leggero.
Mise le scarpe più basse tra quelle appena prese, perché non era molto abituata ai tacchi alti.
Si guardò allo specchio e si sistemò i capelli biondi, lunghi ed ondulati, in modo che le ricadessero sulla spalle.
La gonna aderente, che terminava quattro dita sopra al ginocchio, era l’ideale per evidenziare le sue gambe lunghe e snelle, era al settimo cielo: era una splendida venticinquenne che stava partendo alla conquista del mondo.
Non era mai stata su un jet privato, sembrava minuscolo rispetto ai grandi velivoli di linea, ma dentro era spazioso e confortevole.
Nelle prime due ore di viaggio sbrigarono la corrispondenza, poi Jameson disse a Mark, che quando non faceva l’autista si occupava di tutto il resto, di servire la cena.
Finito di mangiare iniziarono a conversare.
Jameson era abile a portare la conversazione dove voleva lui, così, dopo un’ora Britt si rese conto di avergli raccontato un mucchio di cose della sua vita, mentre lei non sapeva neanche dove fossero diretti.
Sembrava molto interessato al passato della famiglia di Britt, chissà magari è fissato con gli alberi genealogici.
Ad un certo punto gli scappò una frase relativa al patrimonio genetico purissimo di lei.
Britt trasalì e lui se ne accorse.
‘Mi scusi, ma si tratta di un mio pallino, vede, la sua famiglia è vissuta per secoli in quella cittadina in fondo ad un fiordo, dove anche lei è nata, senza quasi avere contatti con il resto del mondo. Negli esami che le ho fatto fare c’era anche il test del DNA e da quello risulta che lei, geneticamente, si può definire una svedese purissima, senza contaminazioni di altre razze.’
Fu presa da un senso di fastidio, era come se quest’uomo la stesse osservando dal buco della serratura mentre faceva la doccia, eppure non sembrava essere minimamente interessato a lei, in senso fisico.
‘Ah, non le ho detto dove stiamo andando. In Canada, sono sicuro che le piacerà.’
Dopo molte ore di volo, l’aereo era atterrato in un piccolo scalo nella parte ovest del Canada.
Britt era un po’ scombussolata a causa del fuso orario, ma, soprattutto, per la faccenda del DNA: ma cosa importava a Jameson se lei era svedese pura o se qualche sua lontana antenata si fosse accoppiata con un russo o con un tedesco?
Avevano preso alloggio in una villa, circondata da boschi.
Non aveva capito se fosse sua o l’avesse affittata per l’occasione, comunque Mark le aveva detto che il padrone detestava gli alberghi.
La mattina successiva Britt era scesa per colazione con lo stesso tailleur usato nel viaggio.
‘Britt, mi sono dimenticato di avvertirla, ma oggi questo vestito non va bene, vede, abbiamo ‘ diciamo ‘ una rappresentazione storica. Quando tornerà su, lo troverà sul letto.
è un costume tipico della sua regione, magari ne avrà visto qualcuno simile in una foto di sua nonna.
Deve sapere che in questa zona i primi bianchi arrivarono solo nell’800 e molti di essi erano proprio svedesi ed è tuttora presente una discreta comunità del suo paese, proprio qui.
Una raccomandazione: io ci tengo molto al rispetto filologico dei minimi particolari. In quel periodo le ragazze svedesi non portavano reggiseno, al massimo una fasciatura se erano in carne ed in là con gli anni (ma non è certo il caso suo), non usavano slip attillati e collant.
Ho fatto realizzare tutto esattamente per la sua taglia e la prego, per questa rappresentazione, di indossare ogni dettaglio del costume.’
Quando Britt, terminata la colazione, salì nella sua camera, non era più così convinta che l’aver trovato quel lavoro fosse stato un colpo di fortuna.
Il costume, ordinatamente adagiato sul letto, l’attendeva.
Lo esaminò a lungo prima di decidersi ad indossarlo.
Poteva iniziare il suo lavoro opponendosi al suo capo?
Si tratta solo di una mascherata, Britt. Ora ti metti ‘sto costume a vai a prendere il te con un po’ di vecchiette, conciate come te, che vogliono sapere come è cambiata la Svezia negli ultimi 100 anni.
Fu tentata di lasciare sotto slip e reggiseno, mica mi farà spogliare per controllare, ma poi lasciò perdere.
La camicia bianca, di flanella pesante, era ruvida e muovendosi le sfregava sui capezzoli, facendole il solletico.
Studiò il resto: il vestito, di panno blu e senza maniche, le arrivava quasi alle caviglie e aveva anche una sottogonna bianca da indossare prima.
Le calze, bianche, erano di seta ed andavano tenute su con delle giarrettiere che terminavano con dei bottoni che andavano fatti passare nelle asole in cima alle calze.
Ma la cosa più strana erano le mutande: dei pantaloncini di lana ruvida e grigiastra, che le arrivavano fino a metà coscia. Avevano un laccio in vita ed altri quattro, più piccoli, per chiudere la parte anteriore.
Quando Britt uscì dalla sua stanza con indosso il costume, si sentiva strana.
Discese piano il grande scalone per evitare che i suoi seni liberi si muovessero dentro la camicetta, ma la cosa che più la imbarazzava erano i lacci delle mutande che le sfregavano in mezzo alle gambe.
‘Prefetta, veramente perfetta. Si faccia anche le trecce’, le disse porgendole due nastrini rossi. Viaggiarono tutto il giorno lungo strade con scarso traffico che si snodavano attraverso fitti boschi. Diverse volte a Britt le sembrò di scorgere degli orsi in lontananza.
Ora cominciava ad essere tesa: possibile che l’incontro con la comunità svedese locale si trovasse in un posto così remoto?
Da un po’ stavano percorrendo un tratto di strada che costeggiava l’acqua. Troppo largo ed irregolare per essere un fiume, forse si trattava di un lago o di un braccio di mare tra la terraferma ed un’isola.
L’auto si fermò vicino alla riva, poi ripartì lentamente in direzione dell’acqua.
Britt sentì un rumore come se le ruote della macchina stessero attraversando un ponte fatto di tronchi di legno, era un suono familiare perché in campagna, dove lei era vissuta, c’erano diversi ponti fatti proprio di tronchi.
Mark spense il motore e scese dall’auto.
‘Stiamo andando all’isola. è di mia proprietà, nessuno disturberà la rappresentazione.’
Le preoccupazioni di Britt aumentarono mentre Mark metteva in moto un piccolo motore fuoribordo e quella che si rivelò essere una chiatta si staccava lentamente dalla riva.
Arrivati dall’altra parte, la macchina ripartì per l’ultimo tratto di strada e si fermò in una radura dove si trovava un costruzione massiccia, fatta di tronchi di legno.
‘Britt, fino a quando nell’800 qui non arrivarono i primi bianchi, la zona era abitata solo dai nativi, i pellerossa, gli indiani come si diceva all’inizio, sbagliando, e quella è l’esatta ricostruzione di una delle loro case.’
‘Ma non vivevano nelle tende?’, interruppe lei.
‘Più a sud, qui faceva troppo freddo.
Ora immagini come poteva essere l’incontro tra una ragazza svedese dell’800, appena catapultata nel nuovo mondo, anzi, nell’ovest più selvaggio, ed un nativo canadese.
Intendo da un punto di vista sociologico, ma, soprattutto, biologico.’
A Britt si bloccò il respiro, mille pensieri frullavano nella sua testa: il DNA, il suo patrimonio genetico purissimo, il costume che indossava ‘ un presentimento terribile le stava passando per la testa.
Si bloccò di colpo.
‘Britt, non è prudente restar qui, sta facendo buio e l’isola è piena di orsi e lupi. Nella casa saremo al sicuro.
Raggiunsero in fretta la casa, Mark tirò fuori una chiave, aprì una porta che nella facciata di legno scuro neanche si notava e la spinse dentro.
Il tempo di rendersi conto di quanto stava accadendo e sentì di nuovo il rumore delle mandate della serratura che si richiudeva.
Sola, rinchiusa in una casa di legno, in un’isola infestata da orsi e lupi, vestita come una donna di due secoli fa ad aspettare ‘
Non aveva neanche il coraggio di pensare cosa potesse aspettare.
Mosse la mano lungo la parete ed incontrò qualcosa che le sembrò un interruttore.
Lo premette e fu inondata dalla luce.
Non era la casa dei nativi americani, si trovava in una specie di mini appartamento, composto da un grazioso soggiorno con angolo cottura, arredato perfettamente, in fondo, una porta aperta mostrava un bagno moderno con un grande box doccia.
Uno scherzo, mi hanno fatto uno scherzo, per testare il mio sangue freddo.
Improvvisamente si rese conto che erano molte ore che non mangiava, allora aprì il frigorifero e prese del formaggio e del prosciutto, nella credenza c’era anche del pane in cassetta, così si fece un paio di toast, permettendosi anche una birra.
Una volta sazia e rinfrancata, si guardò intorno.
E la camera da letto?
L’appartamento sembrava finire lì, ma da fuori, la casa di legno era molto più grande.
Opposta alla porta d’ingresso, che però era chiusa da fuori, c’era un’altra porta di legno grezzo.
Britt la spinse e si aprì lentamente, cigolando, scoprendo ai suoi occhi una grande sala disadorna, con il pavimento di terra.
Al centro, in corrispondenza di un’apertura sul tetto, c’erano diverse pietre messe in circolo con in mezzo della legna mezza bruciata e tutt’intorno delle pelli di animali posate in terra.
Avanzò lentamente mentre gli occhi si abituavano alla semi oscurità.
Accidenti, se Jameson aveva intenzione di impressionarla con la messa in scena, c’era proprio riuscito.
Poi lo vide.
Era immobile, in un angolo.
Un manichino di un indiano, con tanto di copricapo con le piume, come aveva visto tante volte nei film western.
Capì che non si trattava di una messa in scena quando la figura si staccò dalla parete e mosse verso di lei.
Era alto e massiccio e, ironia della sorte, aveva due lunghe trecce, come lei.
All’inizio le sembrò incredibilmente peloso, poi, vedendolo più da vicino, si rese conto che indossava una pelliccia di animale, forse un orso.
L’uomo, giunto vicino al cerchio di pietre, buttò dentro delle frasche ed un ciocco di legno, poi soffiò sulla brace.
Il fuoco si ravvivò subito illuminando la sala di bagliori rossastri e Britt lo vide meglio.
Beh, se aveva sperato (davvero sperava una cosa del genere?) di trovare l’indiano giovane, forte e dai muscoli d’acciaio, si era sbagliata di grosso.
Grande lo era senz’altro, ma aveva almeno cinquant’anni, le spalle curve ed una pancia rotonda e flaccida.
Le sue intenzioni erano inequivocabili e quando ripartì deciso verso di lei, Britt scattò agilmente dalla parte opposta, sottraendosi all’assalto.
Andarono avanti così per un po’ e quando lei si era convinta di riuscire a sfuggirgli facilmente, lui fece una finta, Britt abboccò e il pellerossa, con un guizzo rapido, le fece uno sgambetto.
La ragazza atterrò di faccia in mezzo alle pelli di animale e scoprì un paio di cose spiacevoli.
Le prima che, essendo evidentemente conciate in maniera approssimativa, puzzavano terribilmente.
La seconda, ben più grave, era che l’indesiderato ospite risultava molto più agile di quanto lei sperasse.
Prima che Britt si fosse ripresa dalla sorpresa, l’uomo l’aveva girata di schiena e le era salito a cavalcioni.
Doveva pesare più di un quintale e non aveva alcuna possibilità di levarselo di dosso.
Le sollevò la gonna e la sottogonna e cominciò a frugare in mezzo alle gambe di Britt, mentre lei, impotente, scalciava e gridava.
Si fermò un attimo quando trovò i lacci delle mutande di lana, poi iniziò ad aprirli.
Sciolse solo quelli piccoli, quindi le mutande le rimasero addosso, ma si aprirono completamente.
Lei gridò più forte quando la sua manona callosa si infilò dentro e cominciò a carezzarla ruvidamente, poi, di colpo, si tolse la pelliccia e si drizzò in piedi.
Britt riuscì a vedere per un attimo il suo pene eretto che spuntava sotto la pancia, poi lui le fu addosso.
Strinse i denti per non gridare, perché la penetrazione violenta ed improvvisa, nel suo sesso secco ed impreparato, fu parecchio dolorosa.
Aveva l’alito che puzzava d’alcol e mentre il suo pene entrava ed usciva dentro di lei, le sue mani cercavano di aprirle la camicetta.
Con i suoi tentativi maldestri le stava facendo male, così Britt, per evitare ulteriori danni, si sbottonò la camicetta e l’uomo affondò le mani nei suoi seni.
Alla fine, con un ultimo sforzo le venne dentro e si rigirò lasciandola libera dal suo peso.
Britt si guardò: i suoi piccoli seni erano pieni di segni rossi e di graffi, mentre la sua vagina arrossata continuava ad eruttare fiotti di sperma.
Si richiuse i laccetti come se questi potessero preservarla da ulteriori ingiurie, poi si alzò a fatica e si andò a sedere lontano da lui.
Si svegliò al mattino, il fuoco ormai era spento e non c’era traccia del suo violentatore, così lentamente tornò nell’appartamento.
Si preparò una robusta colazione, si diede una lavata, poi si sedette sul divano a pensare.
La faccenda del DNA, dell’incontro tra una giovane donna svedese dal corredo genetico purissimo ed un nativo americano aveva senso solo in un caso. Era un’ipotesi terribile ma l’unica plausibile: Jameson voleva vedere cosa poteva venir fuori tra una donna svedese ed un nativo nord americano.
Se era vera questa ipotesi l’avrebbe tenuta segregata finché non fosse stato sicuro che lei era rimasta incinta.
E poi?
Comunque non poteva farci nulla. Non aveva a disposizione contraccettivi e né tanto meno poteva opporsi a lui.
Poteva solo aspettare e sperare.
Il giorno dopo non trovava il coraggio di affacciarsi, così ad un certo punto fu lui ad aprire la porta che separava l’appartamento dalla sala.
Le fece cenno di seguirlo e Britt ubbidì.
Nel tentativo disperato di sfuggire ad una nuova violenza aveva bagnato ed annodato strettamente i lacci delle mutande, ma il pellerossa aveva dei piani diversi per lei.
La fece mettere in piedi davanti a lui e tirò fuori un coltello.
Con grande maestria le strappò di dosso i vestiti e li fece a strisce minute, non tralasciando nulla, nemmeno le calze e le mutande, poi buttò tutto nel fuoco, incluse le scarpe.
Britt fece un ultimo disperato tentativo, glie lo prese tra le mani e si inginocchiò, sperando che un pompino la salvasse dallo stupro e dal rischio di una gravidanza, ma una simile prestazione non doveva risultare gradita ai nativi americani, perché la allontanò brutalmente da lui, gettandola in terra.
Il fuoco era quasi spento e lei, completamente nuda, aveva freddo, o almeno, pensò, è questo il motivo per cui mi aggrappo a questo selvaggio?
Ormai, senza più vestiti, l’unica possibilità che aveva per coprirsi erano le pelli degli animali, che teneva addosso giorno e notte.
Il pellerossa non mancava un colpo: tutte le notti la costringeva a sdraiarsi in terra e poi la penetrava.
Il pomeriggio del settimo giorno le vennero le mestruazioni.
Era contenta per due motivi: per ora non era incinta e in quelle condizioni non l’avrebbe scopata.
Purtroppo per lei, la seconda ipotesi non si avverò, lei lo supplicò gli fece vedere il sangue, ma lui, imperterrito la scopò come le altre volte, nonostante lei piangesse e singhiozzasse.
Ormai le giornate si susseguivano uguali: il giorno Britt mangiava e si riposava, le notti si faceva scopare da Lupo Veloce. Il pellerossa le aveva detto di chiamarsi così, perché parecchi anni prima, e parecchi chili prima, nella corsa era il più veloce della sua tribù.
Non era cattivo con lei e dopo averlo fatto rimanevano stretti l’uno all’altra, avvoltolati nelle pelli, per scaldarsi.
Aveva provato più volte a convincerlo che poteva dargli piacere in altra maniera, ma lui era stato irremovibile: ‘devo metterti il seme dentro, sempre, questo è il patto e lo rispetterò.’
Poi aveva aggiunto che nella sala c’erano delle telecamere e l’avrebbero scoperto.
Insomma era evidente che Jameson l’aveva assunta per farle fare un figlio con un pellerossa. Doveva essere completamente pazzo, forse voleva selezionare nuove razze umane e si stava comportando come un allevatore di cani.
Era una cosa folle, incredibile, se l’avesse letta su internet avrebbe detto che si trattava di una fesseria enorme, e invece lei, da mesi, era rinchiusa in una casa di legno, in un posto sperduto del Canada, insieme ad un pellerossa probabilmente alcoolizzato, che tutte le notti la imbottiva con il suo sperma.
Britt contava i giorni, ma questa volta le mestruazioni non venivano. Poi arrivarono le nausee ed il vomito e capì che l’inevitabile era accaduto.
Stava male e se avesse potuto contattare Jameson lo avrebbe supplicato di portarla via da lì.
Delle volte parlava ad alta voce nella sala, sperando che lui la sentisse: ‘per favore, mi porti via da qui, sono incinta, accidenti, il suo dannato esperimento è riuscito, può bastare, non crede?’
Ora iniziava anche a vedersi la pancia, appena appena, ma il suo corpo magro e snello lasciava intravedere i segni della gravidanza.
Ricordava un poster che aveva in casa un’amica e la sua pancia doveva essere da terzo mese più o meno, il più o meno dipendeva dal fatto che ormai aveva perso il senso del tempo.
Tutto sommato si stava affezionando a Lupo Veloce. Delle volte pensava che era il padre di suo figlio, anche se si rendeva conto che non avrebbe mai potuto fargli da padre, e poi, chissà che ne sarebbe stato del bambino.
Oltretutto, doveva ammetterlo, aveva trovato con lui un certo affiatamento, insomma sì, accidenti, ci provava gusto. Se le avessero detto che le sarebbe piaciuto farsi scopare da un pellerossa con la pancia molto più vecchio di lei, avrebbe detto che non era possibile, e invece …
Poi una mattina, mentre lei, avvolta in una pelle stava facendo colazione, si era aperta la porta ed erano comparsi Jameson e l’inseparabile Mark. Con loro c’era una terza persona che si rivelò essere un medico.
‘Ora il dott. Cobb la visiterà per vedere se procede tutto bene.’
Fece una visita accurata, aveva con sé anche un apparecchio portatile per le ecografie.
‘Perfetto, è un bel maschietto, sano come un pesce.’
‘Va bene, per favore, portatemi via da qui.’
Per tutta risposta se ne andarono. Britt sentì la porta che veniva chiusa dall’esterno e scoppiò a piangere.
Lupo Veloce fu contento di sapere che era maschio e propose di chiamarlo Aquila del Mattino, come suo nonno, ma Britt stava andando in depressione, perché la breve apparizione di Jameson e del dottore, l’aveva riportata alla sua vita normale di prima; non ne poteva più di girare scalza e ricoperta con una pelle puzzolente, mentre la sua pancia cresceva a dismisura, rallentandole i movimenti.
Doveva ammettere che il momento migliore della giornata era la notte, quando era con Lupo Veloce. Ormai era inverno e nella casa di legno faceva discretamente freddo.
Britt aveva imparato a tenere acceso il fuoco, ma nelle ore più fredde non era sufficiente, così la vicinanza del corpo del pellerossa, risultava necessaria, con tutto quello che ne conseguiva.
La portarono via quando era al sesto mese.
Uscì da lì con un tailleur grigio identico a quelli che aveva preso a Ginevra, a parte la taglia della parte inferiore.
Mentre si vestiva si chiese come avesse fatto ad azzeccare la misura, visto che la gonna conteneva esattamente la sua pancia, come se fosse stata tagliata su misura sul suo ventre gonfio.
Con sua grande sorpresa, Jameson la mise al lavoro, come se non fosse successo nulla.
Capì che i mesi trascorsi segregata nella casa di legno erano serviti a spezzare la sua resistenza e ad impedirle di interrompere la gravidanza.
Se l’avesse liberata subito, sarebbe corsa a denunciarlo e poi avrebbe abortito, ora invece se ne stava buona buona al suo posto, segretaria perfetta e futura scodellatrice di una rara ibridazione tra una svedese ed un nativo americano, mentre Jameson poteva avere tutto sotto controllo.
‘Allora Britt, che ne dice, non è stata poi un’esperienza così negativa, vero? Le prime volte non era molto contenta ma poi, piano piano, complice anche l’ambiente, si è adattata e, verso la fine, era molto piacevole vederla godere di gusto.
I suoi orgasmi, registrati dalla telecamera, erano veramente deliziosi, le assicuro.’
si guardò allo specchio, era visibilmente arrossita. Accidenti a te Jameson, hai spiato ogni istante della mia vita privata.
Intanto la sua pancia continuava a crescere e, quando ormai mancavano pochi giorni, quello che a tutti gli effetti poteva definirsi il suo padrone, le comunicò che l’avrebbe dispensata dal lavoro, finché non fosse nato il piccolo indiano.
Britt era convinta che avrebbe partorito in una clinica invece scoprì che la stavano portando di nuovo alla casa di legno.
‘Non posso farlo lì, se succede qualcosa?’
‘Tranquilla, il dottor Cobb sarà a portata di mano, e poi la assisterà una levatrice pellerossa molto esperta. Per quanto possibile la parte finale della rappresentazione manterrà il corretto rispetto del periodo storico. Naturalmente, in caso di complicazioni, interverremo immediatamente, non permetterò che accada nulla al bambino ed alla fattrice.’
La parola, usata per le femmine degli animali da allevamento, la colpì come una scudisciata.
Il parto di Britt, all’interno della casa di legno, assistito dalla levatrice pellerossa, non fu affatto una passeggiata.
Molte ore di sofferenze, stemperate solo da una bevanda dal sapore orribile che la donna le fece bere a più riprese, che la stordiva, lasciandole però quasi intatte le fitte che aumentavano mano mano che le contrazioni si facevano più frequenti.
La levatrice era vecchia e quasi senza denti, così le sue parole, pronunciate in un inglese molto stentato, spesso le risultavano incomprensibili.
Comunque alla fine, quando ormai temeva di non farcela, il bambino venne fuori.
La vecchia indiana tagliò il cordone ombelicale con i denti, le mise il bambino urlante sulla pancia e tolse il disturbo.
Qualche ora dopo Britt, ripulita e con indosso una tuta comoda e larga, stava già facendo ritorno nel mondo civile, sdraiata nel letto di fortuna ricavato nella parte posteriore di un grande SUV.
Era stanca e stordita perché il dott. Cobb le aveva dato un potente antidolorifico.
Le uniche tracce di quanto accadutole erano i seni gonfi di latte ed il dolore dei punti.
‘Ho dovuto darle una bella ricucita. Purtroppo è normale con il primo figlio, specie per le persone che come lei che hanno il bacino stretto.’
Il bambino non era in macchina.
Già, la fattrice ha fatto il suo dovere ed ora, opportunamente ricucita, è tornata come nuova, pronta per fare un altro vitellino, cagnolino, o altro.
Ecco, Jameson non mi ha assunta perché sono laureata con il massimo dei voti, parlo molte lingue, sono brava nel lavoro.
Sono qui solo per il mio aspetto e, soprattutto per il mio corredo genetico. Erano passati sei mesi.
Britt aveva ripreso, o meglio preso, visto che all’inizio, appena assunta, era finita subito nella casa di legno con il pellerossa, il suo lavoro di segretaria.
Il suo corpo aveva recuperato la forma di prima, a parte un paio di piccole smagliature sulla pancia, ma le ferite che portava dentro non si erano ancora rimarginate, anche se non aveva molto tempo per pensarci.
Il sig. Jameson era un principale esigente ed iper attivo e lei doveva curare ogni minimo dettaglio delle sue giornate di lavoro, e soltanto la notte, sola nella sua stanza, prima di addormentarsi, a volte ripensava alla sua disavventura canadese.
Comunque si era convinta che si era trattato di un fatto unico, irripetibile, magari una fissazione che aveva in testa da anni, e che lo aveva portato a scegliere lei come segretaria.
Lei cercava di fare al meglio il proprio lavoro, in modo che il suo principale la considerasse insostituibile. Che ne so, tante volte gli venisse in mente un’idea del genere, si cercherà un’altra ‘ fattrice.
‘Tra una settimana, Britt, partiamo per il Gambia, questa è la documentazione, predisponga tutto per il soggiorno.’
Il Gambia aveva dovuto cercarlo sull’atlante, visto che ne aveva solo un vago ricordo scolastico.
Un paese piccolo, povero e senza particolari motivi di interesse.
E per quello Jameson lo aveva scelto, aveva infatti intenzione di costruirci un nuovo villaggio turistico per la catena che aveva acquistato di recente.
Lei non era mai stata in Africa prima d’ora ed era un po’ attirata ed un po’ spaventata, da quel mondo primitivo e dai toni forti, nel bene e nel male.
L’albergo in cui avevano alloggiato era come tutti i grandi hotel frequentati da uomini d’affari: lussuosi, freddi ed impersonali, con quella solita cosiddetta cucina internazionale, né buona e né cattiva.
Era andata a dormire presto, perché la mattina successiva sarebbero dovuti partire di buonora, per andare a vedere il terreno dove sarebbe dovuto sorgere il villaggio.
Aveva messo la sveglia alle sette, era andata in bagno a lavarsi e ‘
si era affacciata nella stanza, in mutandine e reggiseno, con ancora lo spazzolino da denti in mano, perché le era sembrato di sentire un rumore.
Era lì, adagiato dolcemente sul letto sfatto, più o meno uguale all’altro, che ben ricordava.
In quel momento squillò il telefono.
‘Britt, la stiamo aspettando.’
Impiegò diversi secondi prima che le sue labbra riuscissero a muoversi.
‘Sig. Jameson, non può farmi questo, di nuovo. Non scenderò giù con quel dannato costume.’
‘Su Britt, non faccia la bambina. Sono sicura che troverà molto emozionante la sua nuova esperienza. Le assicuro che non correrà alcun pericolo e poi il soggetto scelto è molto interessante. Vede, i nativi americani sono quasi estinti ed i pochi rimasti sono spesso alcoolizzati ed in cattive condizioni, ma qui in Africa ci sono degli esemplari perfetti da un punto di vista fisco.
Naturalmente lei può decidere di scendere vestita normalmente, ma le ricordo che il paese non è molto sicuro e che una giovane e bionda europea, nelle mani di qualche tribù dell’interno, non avrebbe vita facile.’
Insomma la scelta era tra il ripassare per la precedente traumatica esperienza, questa volta con un africano, o correre il rischio di essere venduta a qualche tribù di selvaggi.
Lo farebbe veramente?
Britt, una decina di minuti dopo, uscì dall’ascensore attirandosi gli sguardi curiosi dei clienti dell’hotel.
Il vestito era la versione estiva dell’altro, visto che i tessuti erano molto più leggeri.
Anche le mutande, di foggia identica, utilizzavano del cotone sottile al posto della lana.
Fuori dell’albergo attendevano tre Land Rover vecchio modello, verde militare, che dovevano essere state restaurate da poco, perché sembravano appena uscite dalla fabbrica.
In macchina lei provò a fargli cambiare idea, ma Jameson sembrava preso dai suoi pensieri folli.
‘Da questa zona venivano i migliori schiavi, i più forti ed i più belli. Mai sentito parlare di Mandingo o Mandinka?
Un terzo, forse metà della popolazione finì in America.
A questo punto lei potrebbe obiettarmi che sarebbe stato sufficiente accoppiarsi con un nero americano.
No!
Negli Stati Uniti si sono mischiati con altri neri di altre razze, mentre qui se ne trovano di puri.
Per lei ho selezionato un esemplare perfetto: giovane (più o meno la sua età), robusto, ma lo sono tutti e, soprattutto, sano.
Se lei dovesse rifiutare, mi basterebbe lasciarla in uno dei villaggi dell’interno e recuperarla tra una decisa di mesi.
Qui le condizioni di vita non sono facili, diciamo che se dovesse farcela, si ritroverebbe un po’ di malattie fastidiose, scabbia, malaria, forse anche l’AIDS, molto diffuso in zona.’
Insomma la scelta era tra il farsi mettere incinta da un negro enorme e l’essere sbattuta in un sudicio villaggio dove di negri enormi ne avrebbe trovato più d’uno, con in più la certezza di beccarsi qualche brutta malattia.
Il viaggio, su piste dissestate di terra rossa, uguale a quella dei campi da tennis, durò molte ore e si fermarono pure in un villaggio.
Capanne di sterpi impastate con il fango o forse con lo sterco, a giudicare dall’odore, sporcizia ovunque, questo sembrava essere il tema principale del luogo.
‘Tra mezzora arriveremo al lodge dove alloggeremo per i prossimi giorni.
Dopo cena conoscerà il suo nuovo ‘ compagno.
Si chiama Sambou.
Naturalmente, se non lo troverà di suo gradimento, la farò riportare direttamente qui. Sono sicuro che tra i tanti uomini del villaggio ne troverà qualcuno che le aggrada.
Non so se siano incuriositi dal vestito o dai suoi capelli biondi, però, da come la stanno guardando, sono certo che non si tireranno indietro.’
Britt a cena non toccò cibo, era troppo spaventata per quello che l’aspettava.
Una volta un’amica le aveva detto che i negri ce l’avevano enorme. Certo era una che sparava balle, però le era capitato di vedere tempo dopo una foto e l’idea che un arnese di quelle dimensioni potesse entrarle dentro la terrorizzava.
Jameson, a tavola aveva voglia di parlare, si vedeva che era di buon umore.
‘Naturalmente gli svedesi non sono mai stati da queste parti. Qui prima c’erano i portoghesi, poi inglesi e francesi, però l’incontro tra il selvaggio, forte e virile, e la fanciulla bianca timorata di Dio, è troppo sfizioso per non farlo.
Lei resterà qui nel lodge, dove ho fatto predisporre una struttura adatta.
Trascorrerà le notti in una capanna, ricostruita per l’occasione, identica a quelle che ha visto al villaggio, ma di giorno, se lo desidera, potrà trasferirsi nel bungalow a fianco, dove troverà tutte le comodità.
L’area è sicura e libera da animali feroci, serpenti ed insetti.
Ora dobbiamo andare.’
La prese per una mano e Britt si alzò.
Gli altri ospiti guardavano incuriositi quella strana coppia che procedeva lentamente in mezzo ai tavoli.
Britt lo supplicò un’ultima volta mentre si inoltravano nel vialetto di terra e ghiaia.
La prima volta, in Canada, era stata colta di sorpresa, ma ora sapeva cosa l’aspettava.
Jameson le fece allungare il passo e lei si accorse che i lacci delle mutande, sfregando sulle labbra chiuse della vagina, le facevano il solletico.
Nonostante il sole fosse calato da un’ora, faceva caldo, le calze di cotone si appiccicavano alle sue gambe sudate, anche la camicetta bianca era umida e non era sicura se dipendesse dal sudore o dall’umidità dell’aria.
Poi, di colpo, le tornò l’immagine del negro enorme, nudo, con il torace lucido e muscoloso, che teneva tra le mani il suo pene spropositato ed inciampò in una pietra.
Il movimento brusco la costrinse ad allargare la gamba destra e sentì il bordo delle mutande che sfregava più forte.
Riprese a camminare ma le mutande che si erano spostate, ora tendevano ad entrarle dentro, oppure era lei che si stava aprendo.
‘Tutto bene, Britt?’
Non rispose e continuò a camminare ma ora si rendeva conto che il suo sesso continuava ad aprirsi.
Una parte di lei era terrorizzata per il prossimo incontro, ma un’altra, rimasta finora nascosta, lo desiderava.
Se fosse stata sola avrebbe infilato un mano sotto la gonna ed avrebbe rimesso a posto le mutande.
Oppure no.
Avrebbe infilato le dita in mezzo all’apertura chiusa parzialmente dai lacci e si sarebbe masturbata fino a venire.
Quando arrivarono davanti alla capanna, Britt era stremata per gli sforzi compiuti nel nascondere a Jameson la sua eccitazione.
Lui era felice di costringerla, di imporle il suo volere. Se avesse intuito che desiderava farsi scopare da quel negro enorme, forse avrebbe optato per l’altra soluzione, da cui sarebbe uscita così malconcia da avere la vita rovinata.
‘Buonanotte Britt, e buona fortuna.’
Scansò le frasche spinose legate insieme, che fungevano da porta, e la spinse dentro.
Una volta entrata nella capanna, l’umore di Britt era cambiato di botto.
Era come se una ventata gelida avesse spento di colpo la sua eccitazione, ghiacciando gli umori caldi della sua vagina, che fino ad un attimo prima si era fatta piacevolmente solleticare dalla stoffa delle mutande.
Sambou era di fronte a lei, nero, enorme e muscoloso.
Era esattamente come lo aveva immaginato, temuto o sperato, a seconda del punto di vista da cui si guardava la faccenda.
L’uomo la osservava sorpreso, sicuramente non si aspettava quel costume, era pronto a prendersi una giovane donna bianca, vestita con jeans e maglietta, o magari con un elegante abito da sera, visto che il lodge era un posto elegante, frequentato da gente facoltosa.
I suoi occhi si muovevano da una parte e dall’altra, come se cercassero di intuire come fosse fatta, sotto la stoffa che la ricopriva, la sua futura preda.
Britt all’inizio aveva tenuto la testa bassa, poi lentamente aveva alzato lo sguardo, la prima cosa che aveva notato era stata il torace di Sambou, largo e poderoso.
Chissà perché se l’era immaginato peloso, forse per rispettare il clichè grande uomo africano uguale animale selvaggio, quindi molti peli.
La pelle di Sambou, scurissima e lucida, sembrava perfettamente liscia.
Forse si depila.
Britt non è importante che si depili o meno, quello che conta è ‘
il suo sguardo scese in basso, posandosi prima sul ventre, poi scese ancora.
Sambou indossava solo un paio di pantaloncini bianchi con delle fasce laterali nere, che, dalla vistosa protuberanza sul davanti, lasciavano presagire un contenuto notevole.
Le mani dell’uomo si protesero verso di lei e lo sguardo di Britt tornò di nuovo in alto.
Sambou aveva un bel viso, con i lineamenti regolari e due occhi scuri e profondi.
Non è cattivo Britt, su, coraggio, è ‘ un maschio bellissimo.
Le mani dell’uomo, contrariamente all’aspetto poderoso ma rude, le aprirono il bottone del colletto della camicetta, poi proseguirono con gli altri.
Lei se ne stava immobile, paralizzata ed ebbe solo un sussulto quando lui, ritenendo di aver slacciato abbastanza bottoni, infilò una mano dentro.
‘Hai i seni come una bambina.’
Le parole, pronunciate in un ottimo inglese, venato solo da un lieve accento gutturale, la scossero, ma fu la frase successiva che riaccese tutte le sue ansie.
‘Spero solo che il resto sia da donna.’
Le mani di Sambou si posarono prima sui fianchi di Britt, poi iniziarono ad arrotolare la sua lunga gonna e fu in quel momento che lei si accorse che lui non indossava più i pantaloncini.
Alla vista di quel coso enorme, nero e dritto, che ondeggiava pericolosamente di fronte a lei, Britt cacciò un grido e fece un balzo indietro, battendo la nuca contro la trave che sorreggeva il tetto della capanna.
La botta fu sufficiente a stordirla per qualche secondo, che Sambou impiegò per prenderla di peso e depositarla sul tavolino che si trovava dalla parte opposta della piccola costruzione.
Britt riaprì gli occhi, aveva mal di testa e sentì l’uomo borbottare qualcosa sul modo strano in cui lei era vestita.
Le aveva arrotolato gonna e sottogonna fino alla vita e le sue gambe allargate pendevano una di qua ed una di là dei lati del tavolo.
Sambou era chino su di lei e stava studiando l’apertura delle sue mutande.
Chissà perché si era aspettata che le avrebbe strappato gli abiti di dosso, come un selvaggio che si rispetti.
Sambou prese con due dita un capo del primo laccetto e tirò delicatamente.
Britt sentì il fiocco che si scioglieva, provò a rilassarsi, ma non era facile, perché anche ad occhi chiusi, come stava ora, continuava a vedere quel coso enorme che tra poco, ne era sicura, l’avrebbe sfondata, massacrata.
Sambou aprì il secondo laccetto, non aveva certo fretta, aveva tutta la notte a disposizione, anzi, tutte le prossime notti.
Anche il terzo laccetto cedette e Britt provò a riaprire gli occhi.
Sdraiata sul letto e con la gonna arrotolata sulla pancia non riusciva a vedersi e così provò a tirarsi su, giusto in tempo per vedere Sambou che abbatteva l’ultima piccola barriera tra loro due.
Attraverso l’apertura delle mutande si vedevano perfettamente le labbra scure e leggermente frastagliate della sua vagina.
La voce di Sambou spezzò il silenzio irreale che si era creato.
‘Almeno la tua cosina è da donna e non da bambina.’
Le venne quasi da ridere, era buffo pensare che un uomo del genere potesse usare quel buffo nomignolo per indicare il suo sesso. Dai, chiamala vagina, fica, non mi prendere in giro.
Si sentì tirare per le gambe e ricadde con la schiena sul tavolo, coraggio Britt, è giunto il momento.
Ma Sambou aveva ancora voglia di giocare: la stava toccando in mezzo alle cosce, ma siccome la teneva bloccata al tavolo con entrambe le mani piantate sulle spalle, capì subito di cosa si trattasse.
La penetrazione, nonostante i preliminari tutto sommato delicati, fu improvvisa e dolorosa.
Ebbe la sensazione che la spaccasse in due, quell’affare enorme, che dopo aver dilatato a forza i suoi tessuti, iniziò a muoversi rapido avanti e indietro.
Aveva le lacrime agli occhi, gridava e cercava con le mani di allontanare il corpo di Sambou da lei, ma era una lotta impari ed inutile.
Poi accadde qualcosa: finora aveva prevalso la parte di Britt che rifiutava questa esperienza, ma ad un certo punto, forse perché era stanca, o forse perché il pene dell’uomo che continuava a muoversi dentro di lei stava ottenendo qualche effetto, Britt smise di gridare e, invece di tentare di allontanare da lei il torace dell’uomo, lo strinse a sé.
Ma sì, tanto vale prendersi il piacere, pensò.
Proprio in quel momento, Sambou raggiunse l’orgasmo.
L’aveva lasciata lì, sdraiata sul tavolo, stordita, indolenzita, piena di sperma ed anche delusa per non essere riuscita a godere.
Britt impiegò qualche minuto prima di riuscire ad alzarsi, le girava la testa e si sentiva bagnata ed appiccicata. Sambou era seduto su una sedia, di fronte a lei, con il pene enorme non più eretto, che sembrava dormire tranquillamente sulla sua coscia muscolosa.
La cappella era piena di sperma e qua e là, a Britt sembrò di vedere delle tracce di sangue, così, voltate le spalle all’uomo, si sollevò la gonna e diede un’occhiata.
Dalla sua vagina aperta e stropicciata, continuava ad uscire sperma misto a sangue che aveva imbrattato le mutande e macchiato le calze bianche di cotone.
Tutta la stanchezza e la disperazione per la situazione in cui si trovava, le piombarono addosso di colpo, ma ancora ignorava che, per quella sera, non aveva affatto finito.
Come avrebbe avuto modo di scoprire in seguito, il suo compagno dissipava le energie in un tempo molto breve ma altrettanto rapidamente ricaricava le batterie.
Sambou la prese per una spalla e la costrinse a girarsi, poi le piazzò le mani sotto le ascelle e la sollevò di peso.
Era aggrappata al torace possente di quell’uomo e fece l’unica cosa che le venne in mente: gli strinse le braccia intorno al collo per non cadere.
Sambou ne approfittò per farle allargare le gambe e poggiare le cosce nell’incavo dei fianchi.
La lasciò un po’ così. Britt sentiva i capezzoli, che si erano fatti duri, sfregare sul petto di Sambou attraverso la stoffa della camicetta, poi le mise le mani sotto al sedere ed iniziò una lenta discesa.
Anche se la gonna le impediva di vedere in basso, sapeva cosa avrebbe trovato alla fine.
Dai Britt, vedrai che la seconda volta fa meno male.
Si sbagliava, il fastidio, che si era un po’ sopito, tornò più forte di prima, mentre lei saliva e scendeva, guidata dalla braccia di Sambou che la sostenevano.
E quel coso entrava ed usciva dentro di lei, senza mai sfilarsi completamente.
Cerca di godere, le diceva l’altra Britt, ma non era facile scacciare il dolore.
Questa volta ho più tempo, sarà stanco, no?
E Sambou venne di nuovo, ancora troppo presto per Britt.
La allontanò da lui e la depositò sulla sedia.
Britt singhiozzava sommessamente mentre una larga pozza di sperma, dopo aver allagato la sedia iniziava a colare sulla terra rossa del pavimento.
Quando dopo pochi minuti la costrinse nuovamente ad alzarsi, lei era disperata ed allo stremo delle forze.
La portò di nuovo al tavolo, ma questa volta la fece sdraiare di pancia e le ordinò di allargare le gambe.
Le passò un pensiero orribile per la testa: me lo mette dietro.
Oddio, mi ammazza, mi sventra, mi spacca l’intestino.
Britt tirò un sospiro di sollievo quando lo sentì entrare nello stesso buco delle altre volte.
Forse fu per questo che le sembrò farle meno male e così riuscì anche a lasciarsi andare.
Questa volta provò un po’ di piacere ma non fece in tempo, perché Sambou, con cronometrica precisione, la riempì di sperma per la terza volta consecutiva, lasciandola dolorante e insoddisfatta. Britt trascorse la notte sdraiata su una stuoia, ma non riuscì a chiudere occhio, perché era troppo preoccupata dall’idea che Sambou potesse ricominciare.
Lui invece dormì saporitamente per tutta la notte, evidentemente soddisfatto di come era andato il primo incontro con la giovane bianca.
Lei si assopì solo verso l’alba e, quando si svegliò, il sole era ormai alto e Sambou era sparito.
Si affacciò all’apertura della capanna, protetta dalla porta fatta con i rami spinosi e vide che l’uscita era sorvegliata da due uomini.
Allora si ricordò che Jameson le aveva parlato del bungalow. Doveva essere adiacente alla capanna, in modo che lei ci potesse passare senza essere vista da fuori.
Così iniziò a tastare le pareti, finché un pezzo, sotto la sua spinta, ruotò.
Era un ambiente più piccolo di quello canadese, composto solo da un piccolo soggiorno e da un bagno.
Mancava la cucina, ma sul tavolo qualcuno aveva lasciato una ricca colazione.
Britt si stupì, dopo quanto capitatole, di avere una fame feroce, così, prima ancora di lavarsi e cercare di rimettersi in ordine, si sedette e divorò ogni cosa.
Nel bungalow doveva esserci stato anche un letto, perché una parte della stanza era stranamente vuota, e c’era anche un segno sul muro, a testimoniare la presenza di quell’elemento, prima del suo arrivo.
Già, anche questa volta dovrò dormire in terra, nella capanna.
Una volta finito di mangiare, Britt si spogliò e si fece una lunga doccia, poi cominciò a ragionare.
Anche questa volta era stata segregata in un luogo difficile, dal quale sarebbe stato impossibile fuggire, e, se pure le fosse riuscito, animali feroci e serpenti velenosi non le avrebbero lasciato scampo. Se poi fosse sopravvissuta a tutto ciò, sarebbe finita nella mani di qualche branco di selvaggi.
Se fossero tutti come Sambou, ed ho buoni motivi per pensarlo, non ne uscirei viva.
Insomma, l’unica possibilità era restare lì con quell’uomo, sperando di restare incinta al più presto. Prima ci riesce e prima mi portano via da qui.
Non aveva con sé altri vestiti, quindi o metteva di nuovo il costume, oppure si presentava nuda a Sambou.
Optò per la prima soluzione, nonostante l’abito fosse spiegazzato e macchiato.
Rinunciò solo alle calze bianche di cotone, che aveva preferito lavare, ed ora erano ad asciugare sulla spalliera di una sedia.
Aveva fatto bene a rivestirsi, perché a mezzogiorno entrò un uomo con il pranzo e lo stesso accadde per la cena, verso il tramonto.
Ecco, il sole stava calando rapidamente e tra un po’ sarebbe iniziata la sua seconda notte.
Sentì una fitta in mezzo alle gambe. Accidenti, non sono pronta.
Sollevò la gonna, aveva rimesso le mutande ancora bagnate, dopo averle lavate, ma non aveva chiuso i lacci perché erano scomodi quando doveva andare in bagno.
Allargò i lembi di stoffa per osservare meglio il suo sesso.
Si è allargata?
Ma no, i tessuti sono elastici e ritornano a posto, dopo. è solo un’impressione, disse a sé stessa, ma non era tanto sicura.
Alla fine chiuse i lacci facendo dei piccoli fiocchi e lasciò ricadere sopra la lunga gonna.
Gli stivaletti di pelle, senza calze, le davano fastidio ai piedi, così decise di rimanere scalza, con il caldo che faceva, non si sarebbe di certo raffreddata.
Quando si decise ad aprire la porta che separava il bungalow dalla capanna, Sambou era già lì.
L’aspettava in piedi, completamente nudo con il suo arnese enorme dritto e pronto a riprendere le ostilità.
Britt rimase ferma per qualche secondo, poi avanzò verso di lui.
Si sentiva piccola ed indifesa, nonostante la sua statura rispettabile, forse era per la mancanza dei tacchi, forse perché non le era mai piaciuto camminare sulla terra a piedi nudi.
Mentre si avvicinava all’uomo, la sua mente elaborò rapidamente un piano disperato: devo prendere tempo, non posso farmi penetrare da quel coso enorme ora, sento che non ce la faccio.
Tentò la stessa carta provata inutilmente con il pellerossa.
Sambou fu preso di sorpresa quando Britt, all’improvviso, si inginocchiò ed iniziò a leccarglielo.
Non era mai stata molto brava in cose del genere, ma doveva tenerlo a distanza dalla sua vagina, almeno per un po’.
Gli africani, a differenza dei nativi americani, dovevano essere più propensi al sesso orale, perché Sambou la lasciò fare, anzi sembrò gradire il trattamento.
Dopo i primi timidi tentativi, Britt prese coraggio, ora la sua lingua lo carezzava dalla base fino alla cappella enorme, prendendo, come se fosse una guida, la vena grossa e sporgente che attraversava tutto il pene.
Ora era veramente enorme, si sentì quasi orgogliosa del risultato, poi Sambou le prese la testa tra le mani e la guidò dolcemente ma fermamente.
Le sue labbra si aprirono ed inghiottirono completamente l’enorme cappella nera.
‘Succhia!’, le disse Sambou, e lei ubbidì.
Ecco, ci sto riuscendo, gli faccio un pompino e salvo la fica, pensava Britt, impegnata a far raggiungere l’orgasmo al suo poderoso compagno.
Quando Sambou la costrinse a rialzarsi, lei lo guardò delusa, poi capì.
Lui non ci aveva minimamente pensato a farla finire così, ed ora, grazie alla fatica di Britt, il suo arnese sembrava ancora più duro e più grande.
La fece appoggiare alla parete della capanna.
‘Tirati su la gonna.’
Britt ubbidì scoprendosi lentamente.
Stava osservando con interesse le sue gambe, lunghe, snelle e dalla pelle chiarissima, ora non più protette dalle calze.
Quando Britt arrivò a scoprirsi sino all’ombelico, Sambou si avvicinò ed iniziò ad aprire nuovamente i laccetti.
Lo stoffa ancora bagnata rendeva difficile il suo compito, ma lui non perse la calma.
Britt ebbe come la sensazione di essere stata inchiodata alla parete, trafitta da una lancia, quando la penetrò.
Le tornarono tutti i dolori del giorno precedente, mentre lui, aggrappato saldamente ai suoi fianchi si muoveva come un forsennato.
Per fortuna, il pompino portato quasi alla fine, ottenne il risultato di farlo arrivare subito all’orgasmo, e Britt, dolorante si accasciò lentamente a terra.
Per le volte successive non tentò la carta del pompino e lo lasciò fare tranquillamente, sempre più stanca, indolenzita ed abbattuta, accettò passivamente i suoi rapidi e dolorosi assalti.
Ormai non era in grado di stare in piedi e Sambou l’aveva lasciata sdraiata sul tavolo con le gambe completamente allargate.
Non riusciva neanche a ricordare quante volte le fosse venuta dentro, tre, quattro, forse di più.
Questa volta pero riuscì ad addormentarsi, nonostante la scomodità della posizione.
Si risvegliò in piena notte.
Sambou, sdraiato a pochi metri da lei, russava sonoramente.
Britt scesa a fatica dal tavolo e si andò a sdraiare a fianco a quello che, comunque, sarebbe stato il suo uomo per i prossimi mesi.
I giorni successivi segnarono un netto miglioramento per Britt.
Con il passare del tempo provava sempre meno dolore e questo le permetteva di rilassarsi.
Il quinto giorno, quando ormai non ci pensava più, proprio mentre Sambou sparava la sua ultima cartuccia, avvertì qualcosa di diverso.
Riuscì a guidare il movimento del pene dell’uomo dentro di lei senza farlo notare troppo e, proprio mentre copiosi fiotti di sperma le entravano dentro, raggiunse il suo primo orgasmo africano, un po’ in sordina, perché non era sicura se lui avesse gradito o meno.
Il giorno successivo le vennero le mestruazioni e questa volta non fu contenta, perché significava che il suo soggiorno africano si sarebbe allungato di un altro mese poi aveva una paura folle di essere scopata da un arnese di quelle dimensioni, nel suo stato.
Sambou, ad differenza dell’indiano, evitò di procedere come i giorni precedenti, ma fu anche peggio.
Piegata a 90 gradi sul tavolo, con la gonna sollevata, quando sentì le mani di lui che le aprivano completamente le mutande, per poi abbassarle, capì cosa la aspettava.
Non aveva mai gradito prenderlo dietro, lo trovava una cosa fastidiosa e dolorosa, se praticato con uomini che lo avevano di dimensioni normali, ma in questo caso era veramente troppo.
Gridò, lottò, si dibatté con tutte le sue forze, ma fu inutile, Sambou era troppo forte e pesante per lei, così ottenne solo il risultato di farlo eccitare di più.
Quando glie lo piantò dentro profondamente, le mise pure una mano sulla bocca per evitare che le sue grida si sentissero fuori.
Era così malridotta dopo quell’esperienza, che Sambou ebbe compassione di lei e le permise di continuare la serata facendosi fare un paio di pompini.
Insomma, quando finalmente le terminò il ciclo, il morale di Britt era decisamente sotto i tacchi: sfondata dolorosamente avanti e dietro e maledettamente al punto di partenza.
I giorni passavano e Britt lentamente si abituava.
Il pene di Sambou le sembrava meno gigantesco e, faticosamente, ora riusciva a trovare lo spazio anche per un po’ di piacere.
Ormai non provava più dolore quando lui la penetrava e quasi sempre, all’ultimo assalto di Sambou, riusciva ad arrivare all’orgasmo.
Quando non le riusciva, complice il sonno pesante del duo gigantesco compagno, provvedeva da sola.
Pezzo dopo pezzo aveva abbandonato gli indumenti con cui era arrivata lì.
Le scarpe le aveva eliminate da subito insieme alle calze bianche, poi era venuto il momento delle mutande, troppo poco pratiche con quei lacci.
Per ultima aveva smesso la camicetta perché, senza poterla stirare, non valeva proprio la pena di indossarla.
Ora teneva solo il vestito blu, che le lasciava in parte scoperti i seni ma almeno impediva di mostrare il suo corpo alle persone che le portavano da mangiare.
Già, il cibo era ottimo ed anche abbondante, così Britt, costretta all’inattività, aveva iniziato ad ingrassare.
Ma sì, sto aumentando di peso perché, sicuramente, sono incinta.
Il ciclo giunse di nuovo, inaspettato, a dirle che il suo soggiorno africano si sarebbe ulteriormente allungato.
Ma possibile che Sambou, con tutta la sua esuberanza sessuale, non ci riesce? Pensava amaramente Britt, mentre a causa del suo stato, lui era intento a ficcarglielo dietro.
Questo era un altro problema per la sua mancata gravidanza, perché lì Britt proprio non riusciva a sopportarlo.
Comunque, passarono quei giorni e ripresero il solito andazzo di prima.
Quando una mattina, appena fatta colazione, lei corse a vomitare in bagno, fu contenta: iniziava il conto alla rovescia, finalmente.
Ma questa volta le cose sembravano andare in maniera differente.
In Canada lei, a parte la pancia, era rimasta molto magra, ora invece stava ingrassando prima che il suo ventre iniziasse a mostrare alcun segno.
Il suo viso magro si era fatto più rotondo, le braccia, prima ossute, ora mostravano un po’ di ciccia.
Anche i seni, prima così piccoli che Sambou, abituato alle tettute donne locali, aveva definito da bambina, si erano allargati ed ingranditi, perdendo però la forma originaria.
Britt si metteva di profilo davanti allo specchio del bagno ed osservava sconsolata il profilo a pera di quelle che, fino a poco tempo prima, erano state due tettine deliziose e sbarazzine, con i capezzoli che puntavano orgogliosi in alto.
E poi sto mettendo su un culone largo, si diceva mentre si girava e sbirciava le sue chiappe appesantite e le cosce che ormai strusciavano tra di loro quando camminava.
Per ultima cominciò a crescere la pancia.
Si sentiva grassa e brutta ma Sambou, stranamente sembrava ancora più attratto da lei, il che significava che, nonostante la sua bellezza da giovane donna nordica stesse svanendo, lui la scopasse con maggior foga di prima.
La gonna blu era tesa come un pallone, le nausee erano diminuite e lei mangiava con sempre maggior appetito.
Ormai si era così ingrassata che i suoi seni non stavano più nel vestito, nato per essere indossato con sotto la camicetta.
Il giovane cameriere che veniva a portarle la colazione, ne approfittava sempre per guardare nella scollatura. Britt cercava, davanti a lui, di muoversi lentamente, per evitare che i suoi seni, ora grandi ed un po’ flaccidi, attirassero la sua attenzione, ma giorno dopo giorno i suoi sguardi si facevano più insistenti.
Una mattina accadde quello che lei temeva.
Il ragazzo aveva appena poggiato sul tavolo il vassoio con la colazione e lei gli passò davanti.
Era molto giovane, probabilmente poco più di un ragazzino, e doveva appartenere ad una etnia diversa da quella di Sambou, visto che era mingherlino e piccolo di statura.
I suoi occhi arrivavano giusto all’altezza della scollatura del vestito e quel passaggio ravvicinato gli permise di osservarla meglio del solito.
Britt teneva aperto l’ultimo bottone del vestito perché la stoffa ormai tirava e vide gli occhi scurissimi del ragazzo incollati alla spaccatura dei suoi seni, poi lui fece un passo in avanti, spingendola contro il muro.
Le sue mani nere le si poggiarono sulle spalle, facendo scendere il vestito.
Britt sospirò mentre il ragazzo, eccitato, affondava il viso nelle sue tette.
Ansimava e lei sentiva il suo pene che le bussava contro il ventre, chiedendo di entrare, così sollevò il vestito e lo accontentò.
Il ragazzo non si fece certo pregare ed affondò il suo considerevole arnese nel ventre di Britt.
Accadde tutto con notevole rapidità e lei si scosse solo quando sentì il rumore della porta del bungalow che si richiudeva alle sue spalle.
Dopo quella prima volta il giovane, che si chiamava Demba, iniziò a farlo tutti i giorni.
Aveva poco tempo e la scopava in fretta ma intensamente.
Una mattina, al suo posto, venne un altro molto più vecchio di lui e Britt che già si era preparata, rimase delusa, perché doveva ammettere che quel ragazzo le piaceva.
L’anziano servitore poggiò il vassoio, la salutò con un piccolo inchino, evidente retaggio di un passato coloniale e, quando Britt gli aveva voltato le spalle, l’afferrò di sorpresa.
Lei si ritrovò in ginocchio sul divano, mentre l’uomo con una mano la teneva per il collo e con l’altra le sollevava il vestito.
Sentì la punta del pene che le solleticava la vagina, poi proseguì oltre, evidentemente interessato ad un altro bersaglio.
Britt gridò per la sorpresa ed il dolore, perché erano mesi che Sambou non glie lo ficcava lì, ma il vecchio tenne duro e la inculò due volte di seguito.
Dopo quella volta, si rivide in altre occasioni, in genere per il pranzo o per la cena, ma il peggio doveva ancora venire, perché tra il personale del lodge doveva essersi sparsa la voce e capitava spesso che si affacciasse al suo bungalow qualcuno nuovo, desideroso di ficcarlo dentro la giovane ospite europea.
Tempo un mese, e ormai tutti facevano a gara a portarle da mangiare.
Se lo avesse saputo Jameson? E ormai cosa poteva importargli, visto che il bambino lo aveva fatto con la persona prescelta.
Sono diventata lo svuotatoio dell’Africa, pensava Britt nei momenti in cui si sentiva più triste del solito, passo il tempo a farmi scopare da tutti i negri che ne possano aver voglia.
Intanto la sua pancia cresceva a dismisura, le sembrava molto più grande della volta precedente, ma forse dipendeva dal fatto che era ingrassata tantissimo.
Il mistero fu chiarito un giorno quando, proprio mentre stava pranzando, ricevette una visita inaspettata.
Si era appena data una ripulita dopo il passaggio del cameriere con il pranzo, che si era a lungo trastullato in mezzo alle sue chiappe, che ricevette la visita inaspettata di due persone.
Per un attimo temette un supplemento, no per favore, lasciatemi mangiare in pace, pensò, ma i due si rivelarono essere un medico ed un infermiere, inviati evidentemente da Jameson, per controllare che tutto procedesse bene.
‘Come sarebbe a dire stanno in ottima salute?’, chiese Britt, stupita, pensando ad una scarsa padronanza della lingua inglese da parte del medico africano.
‘Signorina, non è un bambino solo, sono tre gemelli, il signor Jameson sarà molto soddisfatto.’
Poi le spiegò che nel caso di una gravidanza plurima, le dimensioni dei bambini sarebbero state inferiori, ma non in proporzione, insomma il suo ventre alla fine sarebbe stato molto più voluminoso che se avesse contenuto un solo bambino.
‘Mi raccomando, signorina, si riguardi e non faccia sforzi’, le disse congedandosi da lei.
Come se fosse possibile, pensò Britt più tardi, dopo aver scoperto che per la cena si erano scomodati in due.
I camerieri, più o meno della taglia di Sambou, come corpo e come arnese, si piazzarono uno avanti ed uno dietro e la costrinsero a piegarsi in avanti.
Britt aprì la bocca e mentre il primo glie lo accostò alle labbra, l’altro iniziò a spingerglielo in mezzo alle chiappe.
Quella sera, quando riuscì finalmente a raggiungere Sambou nella capanna, era così stanca che si addormentò mentre lui la scopava.
Non poteva continuare così, e poi doveva essere successo qualcosa perché, negli ultimi tempi, il cibo si era fatto meno curato, come se avessero problemi di approvvigionamento.
Si chiedeva quando Jameson si sarebbe fatto vivo e come si sarebbe svolto il suo parto.
Accidenti non mi puoi far fare tre gemelli in una capanna, magari assistita da uno sciamano.
Ma il tempo passava ed il suo principale padrone sembrava sparito, mentre Britt contava i giorni che la separavano dalla fine della gravidanza.
Una sera Sambou non si presentò.
Cosa è successo? Forse sta male? Pensò lei.
Aveva sentito un po’ di trambusto in lontananza, ma non se ne era preoccupata più di tanto, una notte di riposo non le avrebbe certo fatto male.
Sambou si presentò all’alba, aveva un’aria trafelata e spaventata.
‘Dobbiamo andare via, subito.’ ‘C’è la guerra, sono già scappati tutti.’
Britt lo guardò senza capire, lei non era in guerra con nessuno.
‘Hanno assalito un villaggio qui vicino, hanno ucciso tutti gli uomini ‘ anche le donne, ma dopo.’
Le aveva portato un vestito rosso, a fiori variopinti, ed un cappello per nascondere i suoi capelli biondi. Certo, la sua pelle chiara non sarebbe passata inosservata, ma se fosse andata in giro con un costume svedese dell’800 e le lunghe trecce bionde, avrebbe veramente dato nell’occhio.
Così, dopo quasi un anno, Britt mise fuori il naso da quella che era stata la sua casa e la sua prigione.
Il vestito era sicuramente appartenuto ad una donna più robusta di lei e le spalle le scendevano di quattro dita buone sulle braccia, ma in basso tirava da morire e rimaneva sollevato.
Sambou le fece mettere pure un paio di ciabattine infradito, perché, disse, i suoi piedi non erano abituati.
Camminarono per ore su sentieri sconnessi, lontani dalle strade finché non giunsero ad un villaggio.
Doveva essere stato abbandonato dopo un attacco, a giudicare dal disordine e dai cadaveri lasciati in terra.
Si tennero prudentemente a distanza, finché non calò il sole, e soltanto allora entrarono e presero possesso di una capanna.
Passarono la notte lì dopo aver mangiato della frutta e bevuto dell’acqua giallastra lasciata in una tanica di plastica.
La mattina, di buonora, ripresero il cammino.
Niente sesso quella notte, erano entrambi troppo spaventati per pensarci.
Quel giorno Britt scoprì la differenza tra le bottiglie di acqua minerale che le davano al lodge, e l’acqua che bevevano tutti gli altri.
Una fitta terribile, improvvisa e lei fece appena in tempo ad allargare le gambe.
Al primo attacco di diarrea, ne seguirono molti altri, che rallentarono la loro marcia.
Sambou era contrariato ma non se la sentiva di lasciarla lì.
A metà giornata Britt era completamente disidratata e lui insistette perché lei bevesse ancora.
‘Non posso bere quella roba, starò peggio, mi ucciderà.’
‘Nei prossimi giorni, se saremo vivi, ci sarà solo quella roba.’
Britt bevette tutto di un colpo, le sembrò che dentro ci fosse addirittura il fango, ma tenne duro e continuarono il cammino.
La seconda notte, trascorsa in un altro villaggio abbandonato, se ci sono già stati non torneranno, sosteneva Sambou, fu pessima.
Lui avrebbe voluto scoparla, ma le continue scariche di diarrea di Britt, che passò più tempo accovacciata fuori della capanna che dentro, lo fecero desistere.
Il terzo giorno, improvvisa come era venuta, la dissenteria se ne andò, lasciando Britt spossata, ma più tranquilla.
Continuarono a camminare per giorni, mangiando quel poco che trovavano e bevendo acqua dal colore giallastro, o peggio, marroncino.
Lei ogni volta pensava: ecco, ora mi riprende la diarrea, ma poi andava tutto bene, allora ne beveva ancora e pensava che ormai aveva gli anticorpi come gli abitanti del posto.
Avevano ripreso a farlo anche se la sua pancia ormai spropositata le limitava le posizioni.
La sua camminata si fece sempre più difficoltosa: aveva mal di schiena e doveva spesso sostenere da sotto con le mani il pallone, ma i guai cominciarono quando, inciampando su una pietra, le si ruppe una delle infradito.
Dopo l’incidente, Britt scoprì tutta la sua inadeguatezza nel camminare a piedi nudi sui sentieri africani.
A fine giornata le piante dei piedi erano piene di escoriazioni e piccoli tagli e si chiese come avrebbe fatto a proseguire.
Ma quello che accadde poco dopo la tolse dall’imbarazzo.
La radura in cui si trovava il villaggio fu illuminata a giorni da potenti fari ed il silenzio fu rotto dal rumore di diversi motori.
La loro fuga era terminata
Britt si immaginava già stuprata da decine di soldati e poi uccisa brutalmente, ma i nuovi arrivati non sembravano avere quelle intenzioni.
Dal primo dei pickup scese quello che sembrava il capo.
Era un bianco, l’unico di tutto il gruppo, e si avvicinò a loro due.
Con la punta della canna del mitra fece volare via il cappello dalla testa di Britt, scoprendo la sua chioma bionda, poi tirò fuori una foto dal taschino.
‘E’ lei’, sentenziò.
Erano giorni che quel gruppo di banditi, capitanati da un mercenario bianco, stava setacciando la zona, per portare in salvo Britt ed il suo prezioso carico.
Insomma lasciarono lì Sambou e fecero salire Britt nella cabina di un pickup.
Sembrava tutto volgere al meglio pensò lei, poi arrivò la prima fitta.
No, non era di nuovo la diarrea, semplicemente, forse con la complicità degli scossoni provocati dal mezzo, era giunto il momento.
Britt partorì i suoi tre gemelli nel cassone del pickup, aiutata da due donne che facevano parte del gruppo.
La seconda volta andò meglio della prima, anche se, ripetere gli sforzi per tre volte consecutive, la lasciò completamente spossata, al punto che non fu in grado di allattare i neonati, che furono affidati ad una delle due improvvisate levatrici, che fece da balia.
Quando ripresero la marcia era notte fonda e la madre ed i tre bambini si trovavano su mezzi diversi.
L’attacco fu improvviso ma la difesa, organizzata prontamente dal mercenario, riuscì all’inizio a tenere lontani gli assalitori.
La battaglia proseguì con sorti alterne finché non giunsero dei rinforzi per gli assalitori e la colonna di pickup fu tagliata in due.
A quel punto il comandante ordinò di ripartire.
La testa del convoglio ruppe l’accerchiamento lasciando nei guai il resto della truppa.
I bambini erano stati messi in salvo, sicuramente era quello che premeva di più a Jameson, pensò amaramente Britt, mentre vedeva cadere uno ad uno gli uomini intorno a lei.
Ecco, ora è finita.
Pensò pure di mettersi a correre, così mi ammazzano subito, ma era troppo stanca.
Gli assalitori, ormai certi della vittoria si fecero avanti, ad ognuno dei caduti, per essere sicuri, spararono un colpo in testa.
Britt si era nascosta in mezzo ai cadaveri ma capì che non le sarebbe servito.
Mi devo far vedere, pensò, tanto vale provare, piuttosto che la morte certa.
Quando ormai erano a pochi passi si tirò su e si mise a sedere.
Un grido di sorpresa prima, di gioia poi, emesso dai più vicini, fece accorrere altri miliziani.
Era circondata e le loro mani si protendevano verso di lei.
Uno, più grosso degli altri le strappò il vestito lasciandole le spalle ed i seni nudi, un altro le infilò una mano in mezzo alle cosce.
Era circondata da una folla urlante e pensò che avrebbe fatto meglio a farsi sparare in testa.
Una mano enorme le strizzò un seno e dal capezzolo le uscì uno schizzo di latte, mentre quello che le aveva strappato il vestito si aprì i pantaloni, mostrando orgoglioso il suo arnese che poteva far concorrenza a quello di Sambou.
Britt chiuse gli occhi e subito dopo sentì una brave raffica.
No, non era morta, non le avevano sparato, anzi gli uomini che la circondavano, avevano fatto un passo indietro.
Un negro enorme, che brandiva un kalashnikov fumante era comparso improvvisamente.
Doveva essere il capo, dal timore reverenziale che manifestavano gli altri nei suoi confronti.
Disse solo poche parole, in un dialetto che le sembrò simile a quello parlato dai camerieri del lodge e che lei ormai conosceva un po’.
Non capì tutto, ma le fu chiaro che nessuno le avrebbe torto un capello e che la mattina dopo sarebbero andati al mercato.
Sicuramente non sarebbe andata a fare un po’ di shopping in un mercatino etnico africano, però per ora era viva, e tanto doveva bastarle, pensò mentre veniva presa in consegna da due uomini che la fecero salire su un furgone chiuso, togliendola alla vista del resto della truppa. Quando il portellone si chiuse alle sue spalle, Britt si rese conto di non essere sola dentro al furgone, in fondo, accucciata in un angolo, c’era un’altra donna.
Una volta che i suoi occhi si furono abituati alla semi oscurità, Britt si avvicinò.
Anche se aveva un fisico robusto, con due grandi seni, le spalle larghe e le cosce massicce, doveva essere molto giovane.
I suoi occhi spauriti che le fecero pensare ad una gazzella, erano piantati in mezzo ad un musetto tondo che tradiva la sua giovanissima età.
Era completamente nuda e tremava di paura e Britt pensò che avrebbe dovuto provare a tranquillizzarla, ma anche lei era troppo scossa per poter tentare qualcosa.
Il portellone del furgone si aprì nuovamente lasciando entrare tre uomini, che ignorarono Britt e si diressero verso l’altra.
Uno di loro si aprì i pantaloni mentre gli altri due la presero di peso a la costrinsero ad inginocchiarsi di fronte all’altro.
La ragazza si divincolò ma bastarono un paio di schiaffoni a farla venire a più miti consigli e iniziò a succhiare il pene dell’uomo; si sentiva il rumore della sua bocca e, ogni tanto, quando staccava le labbra, i suoi singhiozzi sommessi.
Alla fine lui li scostò e si sdraiò sul pavimento del furgone.
La ragazza fu costretta a sdraiarsi sopra di lui, nonostante il buio Britt poté osservare mentre le allargavano a forza le natiche e il pene eretto dell’uomo che le entrava dentro a fatica, un pezzetto per volta.
La ragazza gridava e cercava di sottrarsi alla violenza, ma i due uomini, inesorabili la spingevano verso il basso.
Poi le allargarono a forza le cosce ed un altro la penetrò nella vagina, mentre il terzo le si mise a cavalcioni.
La ragazza piangeva e gridava, ma quando il terzo uomo, che si era aperto anche lui i pantaloni, glie lo ficcò in bocca, i lamenti cessarono del tutto.
Andarono avanti per un pezzo, scambiandosi ogni tanto di posizione.
La ragazza continuava a subire inerte la loro violenza, mentre Britt pensava che poi sarebbe toccato a lei.
Invece, una volta soddisfatti, si rivestirono e le lasciarono sole.
Le due donne si addormentarono abbracciate e dormirono fino a che non sentirono che il furgone si muoveva.
Il viaggio fu discretamente lungo e il percorso, a giudicare dagli scossoni, particolarmente accidentato.
Quando le fecero uscire, il sole era alto e gli occhi azzurri di Britt, per quanto abituati ormai da tempo al sole africano, si chiusero un attimo alla ricerca di protezione.
Dovevano trovarsi in quella che può definirsi una cittadina africana. Non grande che le capitali, dove un moderno quartiere degli affari, con alberghi e grattacieli, è circondato dalle bidonville abitate dai disperati attratti dalla modernità, e neanche piccola e malmessa come erano i villaggi che aveva incontrato finora.
Si trovavano in una grande piazza, circondata da edifici a più piani, in stile coloniale e discretamente decrepiti.
Era giorno di mercato ed una grande folla variopinta si aggirava tra le decine di bancarelle che riempivano totalmente la piazza.
Erano a pochi metri da quello che sembrava una specie di palco rialzato, tipo quelli dei concerti.
Britt capì poco dopo l’uso di quella struttura, quando ci salì sopra.
In tutto le donne erano cinque e lei, naturalmente era l’unica bianca.
Le fecero togliere il vestito mentre le altre quattro, che già erano nude, si disponevano davanti a lei in fila indiana.
Arrivò un uomo che teneva tra le mani una lunga catena arrotolata.
Costrinsero la prima donna a passarsi le braccia dietro la schiena.
Qualche giro di catena stretto intorno ai polsi, un lucchetto che scattava bloccando le maglie di ferro e poi l’uomo fece scorrere qualche metro di catena.
Ripetette la manovra con la seconda, poi con le altre, terminando con Britt che chiudeva la flla, una fila di cinque donne nude ed incatenate che, circondata dalle grida di gioia del pubblico, si diresse verso la scaletta che portava in cima al palco.
Britt, rallentò il passo, la catena che la collegava alla donna che la precedeva, si tese, infilandosi dolorosamente in mezzo alla sua vagina e costringendola a riprendere prontamente l’andatura della altre.
Passarono tra due ali di folla che colsero l’occasione per toccarle e gli uomini che le scortavano, per far divertire il pubblico, fecero far loro un lungo giro prima di condurle in cima al palco.
Dall’alto, se non fosse stato per la triste condizione in cui si trovava, Britt avrebbe apprezzato il colpo d’occhio del mercato e della folla variopinta che lo popolava.
Un tipo buffissimo, con un vestito elegante ma di un improbabile color melanzana, con sotto una camicia color ciclamino ancora più assurda, si diresse verso la prima della fila e aprì il lucchetto che le bloccava i polsi.
Ordinò alle altre quattro di sedersi in terra, poi, dopo aver liberato la donna dalla catena la fece accomodare al centro del palco
La donna, imbarazzata dagli sguardi di tutta quella gente, istintivamente si coprì con le mani i seni e la vagina.
Non doveva essere giovanissima e le sue tettone le ricadevano sulla pancia.
Britt si guardò, non è che lei, dopo quella seconda rocambolesca gravidanza, fosse messa meglio.
Il signor melanzana si avvicinò alla donna e cominciò a colpirla con un frustino, finché lei non tolse la mano dai seni, che spostò subito, insieme all’altra, a protezione del suo sesso.
Lui riprese a colpirla più forte, mente il pubblico applaudiva ed incitata, finché la poveretta non rinunciò e rimase con le braccia inerti lungo i fianchi.
Iniziò allora l’asta.
Dalla folla assiepata intorno al palco arrivavano le puntate che lui prontamente rilevava.
Britt capì che stava per essere venduta, una specie di schiava, sarebbe finita chissà dove, dove né Jameson, né nessun altro l’avrebbe mai trovata.
Guardò la ragazza che aveva trascorso la notte con lei: è più giovane e più carina di me, io, nonostante non abbia neanche trent’anni, sono ridotta una schifo, sicuramente non mi comprerà nessuno.
E se non mi comprano che mi succede?
Intanto la prima donna era stata aggiudicata e il compratore, dopo aver depositato i soldi in un secchiello, se l’era portata via soddisfatto dell’acquisto appena fatto.
Il signor melanzana passò alla seconda, lo sentì declamare le doti della donna che, rassegnata, se ne stava immobile, nuda ed a gambe larghe, in mezzo al palco.
Poi fu il momento della terza che, essendo molto grassa, non fu lesta a mettersi in posizione, così rimediò una bella dose di frustate sul suo culone nero, per la gioia della folta platea.
Per la quarta l’asta durò parecchio: era la più giovane e il banditore ne aveva decantato le sue doti, vantandone il buono stato di salute e la possibilità che potesse regalare molti figli al fortunato acquirente.
Alla fine rimase solo Britt.
Il sole picchiava duramente sulla sua schiena nuda mentre il banditore, dopo aver portata al centro del palco le toglieva la catena dai polsi.
Lei era il clou della vendita delle schiave.
Una donna bianca, dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro.
Britt si guardò il ventre grinzoso perché i tessuti, dilatati dalla gravidanza non avevano ancora ripreso la loro forma naturale.
I suoi seni, flaccidi ed appesantiti, pendevano miseramente in basso.
Sono diventata un cesso, pensò lei.
Ma quelli pensavano ai suoi capelli e quando il banditore disse: ‘non vorreste avere un figlio con i capelli d’oro?’, le puntate si impennarono.
Non aveva idea del valore della moneta locale, ma dalle espressioni di meraviglia che faceva il pubblico, mano mano che le puntate salivano, capì che sarebbe stata venduta ed a caro prezzo.
Rimasero in lizza solo due persone, un giovane ed un vecchio.
Britt si augurò che vincesse il primo ma ad un certo punto l’altro fece un’ultima offerta che doveva essere proprio astronomica. Il giovane scosse la testa sconsolato e pochi minuti dopo, con una vecchia coperta sulle spalle, Britt abbandonò il mercato insieme al suo nuovo padrone. Di nuovo in viaggio.
Era legata mani e piedi, seminascosta da una coperta, buttata nel cassone di un pickup, in mezzo a sacchi di mercanzia varia.
Da quella posizione riusciva solo a guardare verso l’alto e non aveva la minima idea di dove stessero andando.
Le apparivano delle foreste fitte a cui facevano seguito praterie ingiallite dal caldo e dal sole, sovrastate da un cielo azzurro scuro. Britt si rendeva conto che questi ultimi avvenimenti rappresentavano una svolta notevole in senso negativo. Finché lei era nelle mani di Jameson, tutto sommato non aveva mai corso dei gravi pericoli, era invece la situazione era totalmente fuori controllo, le sarebbe potuta capitare qualsiasi cosa, e nessuno sarebbe intervenuto in suo aiuto, anzi, peggio, nessuno avrebbe saputo dei suoi problemi.
Britt era perduta, scomparsa nel cuore dell’Africa e nessuno l’avrebbe mai più potuta ritrovare.
Arrivarono al villaggio verso il tramonto, decine e decine di capanne di fango e di baracche, intorno a quello che il suo padrone definiva ‘palazzo’.
Il palazzo era una specie di villa-fattoria, costruita molti decenni prima, e dall’aria decrepita. Doveva essere stata la residenza di qualche famiglia di possidenti bianchi usata al tempo delle colonie.
Ora era stata occupata da questo anziano capo e l’intero villaggio si era poi sviluppato intorno alla costruzione.
Britt, con sua grande sorpresa, non fu condotta lì, ma rinchiusa in una baracca di lamiera, che di giorno si infuocava al punto che era quasi impossibile restarci.
Lei era una schiava e, normalmente, non poteva soggiornare nel palazzo, avrebbe potuto varcare quella soglia solo quando il suo padrone lo avrebbe desiderato ma, per ora, non era interessato a lei.
Scoprì subito che, dal momento che si trovava lì, avrebbe dovuto dare il suo contributo.
Aveva visto spesso in Africa lunghe file di persone che, a piedi, portavano i contenitori più disparati per l’acqua, una fila di gente che andava con taniche e bidoni vuoti, ed una fila di gente che tornava con taniche e bidoni pieni.
Dalla maniera di camminare si intuiva subito chi stava andando e chi invece era di ritorno.
A parte i quartieri più ricchi delle città, nessuno aveva l’acqua in casa e, per trovarne di bevibile, bisognava camminare per ore sotto al sole.
Così, la mattina successiva, appena dopo l’alba, due donne vennero a svegliare Britt, una le porse un vestito di cotone variopinto e l’altra le diedi due taniche di plastica da 10 litri, spiegandole a gesti che avrebbe dovuto riempirle d’acqua.
E dove la prendo l’acqua? Pensò Britt.
Semplicissimo, bastava seguire la fila di donne che usciva dal villaggio e percorreva il sentiero polveroso.
Così si incamminò sul sentiero di terra rossa che si snodava a fianco della strada percorsa da auto, furgoni e camion.
La strada era ricoperta della stessa terra e dopo un chilometro Britt ne era già ricoperta.
Faceva caldo e il terriccio le si appiccicava sulla pelle e sui capelli, mentre lei continuava a camminare, seguendo la fila.
Le altre donne la guardavano con curiosità, perché la sua pelle chiara ed i suoi capelli dorati la facevano spiccare come una mosca su un cono di panna.
Dopo qualche chilometro, i suoi piedi, già scorticati nei giorni precedenti quando era stata costretta ad abbandonare le infradito, ripresero a sanguinare e Britt rallentò il passo.
Una donna enorme e grassa le piazzò una mano sul culo e la spinse, costringendola a tenere il passo delle altre.
Quando finalmente arrivarono alla sorgente il sole era alto, Britt era stanchissima ed i suoi piedi erano ridotti in uno stato pietoso.
Per fortuna c’era una coda enorme ed ebbe tutto il tempo di riposarsi prima di poter riempire le taniche.
E ora?
All’andata, le taniche vuote non pesavano nulla, ora, con dieci chili di zavorra per ogni braccio, il rientro si profilava molto più difficile.
Ogni tanto era costretta a fermarsi, ma le altre la spingevano costringendola a riprendere il cammino, e poi il peso aggiuntivo che gravava sul suo corpo aumentava le difficoltà per i suoi piedi.
Ogni sassetto, ogni rametto che che finiva sotto le sue piante, le sembrava quasi una lama di coltello.
Più volte fu tentata di buttarsi per terra e lasciarsi andare, me le altre donne donne la spingevano, finché, resesi conto che il suo passo era troppo lento, la sorpassavano, me ce n’era sempre un’altra che arrivava da dietro a darle una nuova spinta.
Il sole si stava abbassando sull’orizzonte ed il traffico pedonale stava diminuendo, un po’ perché ogni tanto un gruppo di donne, evidentemente diretto da qualche altra parte, prendeva un sentiero laterale, ma soprattutto perché Britt era una delle ultime.
Le sembrò di sentire i verso di qualche animale feroce e pensò che se si faceva notte lungo la strada sarebbe stata divorata da qualche belva.
Arrivò al villaggio che era quasi buio, da buona ultima, consegnò le taniche piene ad una vecchia che le diede in cambio una ciotola di minestra e d entrò nella sua baracca.
Si era aspettata che la chiudessero dentro per evitare che fuggisse, invece la porta rimase socchiusa.
Fuggire? E dove potrei mai andare?
Quando il mattino successivo la svegliarono e le diedero di nuovo le taniche, voleva mettersi a piangere, ma gli sguardi delle donne del villaggio le fecero capire che non avrebbe trovato troppa comprensione.
Era tutta indolenzita ma dopo poche centinaia di metri i fastidi, come per miracolo cessarono e riuscì a prendere un buon passo.
Quello che non andava affatto bene erano i piedi, avrebbe dato qualsiasi cosa per un paio di scarpe, ma da quelle parti dovevano essere una merce rara.
Quando arrivò alla sorgente i suoi piedi erano così gonfi e doloranti che pensò che questa volta non ce l’avrebbe proprio fatta.
Invece riprese il cammino del ritorno e riuscì a camminare anche un po’ più veloce.
I giorni passavano ed i suoi piedi erano leggermente migliorati, ma la notte, prima di addormentarsi, pensava che prima o poi sarebbe successo, perché non era certo stata comprata per portare due taniche d’acqua.
Vicino al villaggio c’era un fiume, ma nessuno ne beveva l’acqua perché era inquinata, però lo usavano per lavarsi.
A lei finora non l’avevano permesso e la sua pelle era ricoperta del terriccio rosso della sentiero.
Erano passati una decina di giorni, quando Britt, appena svegliata, si accorse che c’era più luce del solito.
Accidenti, è tardi, non mi hanno svegliato e non mi hanno portato le taniche per l’acqua.
Si guardò, la sua pelle, dove normalmente era protetta dal vestito, era chiara, mentre per il resto appariva come se fosse stata tinta dalla terra rossa.
Si alzò in piedi e prese il vestito.
Accidenti, puzzo da fare schifo, le mie tette sembrano due pere secche, la pancia è piena di smagliature, non ho neanche trent’anni e sembro una vecchia cadente.
Uscì fuori, il sole era alto ed il villaggio era mezzo vuoto, chi a coltivare i campi, chi in viaggio per prendere l’acqua, ognuno aveva iniziato la sua attività.
Le due donne che, uscite dal palazzo vennero verso di lei, non le aveva mai viste.
Erano giovani e sembravano vestite meglio rispetto allo standard locale, e ai piedi avevano addirittura dei sandali rossi aperti dietro.
La condussero nel palazzo tenendosi a debita distanza, perché sembravano schifate delle condizioni di Britt.
Le dissero che erano due delle mogli del capo e che l’avrebbero preparata per l’incontro con lui.
La condussero in un grande bagno che doveva essere stato costruito molti decenni prima ed ora presentava piastrelle e sanitari crepati e sbeccati e dai rubinetti opachi ed ossidati, usciva un sottile filo d’acqua, nonostante fossero chiusi.
La fecero entrare nella vasca da bagno, poi una di loro aprì il rubinetto e dalla doccia a cipolla che pendeva dal soffitto cominciò a scendere acqua.
I buchi erano in gran parte otturati e la pressione poca, ma Britt poté finalmente lavarsi.
Lentamente la terra si staccava dal suo corpo e dai suoi capelli, formando un rigagnolo rossiccio che finiva nello scarico.
Le diedero un pezzo di sapone grezzo, tipo quello da bucato e Britt si insaponò.
Le indicarono i capelli e lei, comprendendo che da quelle parti lo shampoo non doveva essere molto diffuso, si insaponò bene le mani e poi se le passò sulla testa.
Quando alla fine uscì dalla vasca, la sua pelle aveva ripreso un colore normale, anche se il sapone, sicuramente inadatto, cominciava a darle prurito.
Le due donne si occuparono di asciugarla.
Ridevano, erano incuriosite da questa donna bianca e, mentre la strofinavano, ne approfittavano per toccarla.
Le pizzicavano i capezzoli e le schiaffeggiavano leggermente i seni mosci, poi una di loro le passò una mano in mezzo alle gambe.
Ridevano mentre la toccavano in profondità e lei non riusciva a rimanere impassibile con questo trattamento.
Alla fine la lasciarono in pace e si dedicarono ai suoi capelli.
Ecco, ora la schiava bianca dai capelli d’oro, era pronta per il capo, lavata da capo a piedi e con una testa piena di treccine fitte e legate in fondo con dei nastrini rossi.
Le fecero attraversare un lungo corridoio e poi aprirono una porta di legno scuro e scorticato, proprio alla fine del passaggio.
Si sentì spingere dietro e poi la porta si richiuse alle sue spalle.
Il capo villaggio, l’uomo che l’aveva comprata al villaggio era lì, di fronte a lei.
Guardò con scarso interesse il suo corpo nudo e le fece cenno di avvicinarsi.
Iniziò a toccarla e Britt non sapeva cosa fare, poi lui la fece girare di spalle e la costrinse a piegarsi in avanti.
Britt appoggiò le mani sul bordo della scrivania che stava davanti alla finestra e la scopò.
Senza nessun preavviso, il suo arnese era già pronto,
Lei pensò alle prime volte con Sambou, mentre lui aumentava il ritmo.
Venne quasi subito e lei si sentì riempire.
Britt si rimise in piedi, già finito? Pensò.
Niente affatto, la fece piegare di nuovo e ricominciò.
In tutto la scopò tre volte, rapido, troppo, così rapido che lei, se non fosse stato per lo sperma che le continuava ad uscire ad ogni passo, lasciando macchie biancastre sul pavimento del corridoio, mentre rifaceva a ritroso la stessa strada, avrebbe potuto pensare che non fosse accaduto nulla.
Fece rientro alla sua baracca con indosso un vestito nuovo e per il resto della giornata non accadde nulla.
Il giorno successivo niente taniche per l’acqua e nuova visita al palazzo.
Andò avanti così per molti giorni, doccia, scopata e di nuovo nella baracca.
Ecco, ricominciava tutto come prima, solo che non sarebbe stato più sotto il controllo di Jameson.
Quando una mattina fu svegliata molto presto, rimase sorpresa nel vedere la solita vecchia che le porgeva le taniche.
Il capo doveva aver ritenuto che potesse bastare e quindi la schiava tornava al vecchio compito.
I piedi lentamente si stavano abituando, quel po’ di callo si era formato sotto le rendeva più agevole camminare tutto il giorno ed anche il peso delle taniche piene le sembrava più leggero.
Ma non aveva fatto i conti con l’inevitabile evento.
Ormai era pratica, capì quasi subito di essere di nuovo incinta, già, con l’esperienza che ho, pensò amaramente.
Sicuramente mi eviteranno gli strapazzi, il futuro figlio del capo con i capelli d’oro deve essere una cosa preziosa, pensava Britt speranzosa, ma la sua pancia cresceva e lei continuava a scarpinare tutto il giorno con le taniche.
All’inizio non le dava alcun fastidio, ma poi la pancia iniziò ad aumentare ed il ritorno, con la doppia zavorra si faceva giorno dopo giorno più gravoso.
Poi si aggiunse un altro problema: ormai i suoi piedi si muovevano facilmente sul terreno accidentato del sentiero e Britt poco si curava su dove li poggiasse, così si accorse solo quando era troppo tardi che quel rametto dall’apparenza innocua, nascondeva un’insidia.
Sentì subito la fitta dolorosa, proprio in mezzo alla pianta del piede, dove c’era meno callo e quando lo rialzò, il rametto rimase conficcato.
Si era ferita con una spina di acacia e non aveva niente per medicarsi.
Quando finalmente raggiunse la sua baracca, il piede era gonfio e rosso al punto che quasi non riusciva a poggiarlo a terra.
Il giorno successivo la esentarono dal servizio, ma il giorno dopo ancora, con il piede malamente fasciato, dovette riprendere il suo cammino.
La pancia cresceva, giorno dopo giorno, con l’abito che si faceva sempre più stretto, impacciandole i movimenti.
Alla fine fu costretta a strapparlo sul davanti, lasciandole le gambe completamente scoperte.
Poi venne la stagione umida. Pioveva tutti i giorni ed il sentiero nei tratti in pendenza, si era trasformato in un ruscello fangoso, che rendeva ancora più difficile il cammino.
Britt si chiedeva fino a quando avrebbe resistito, e poi, perché resistere? Era sicura che una volta scodellato il primo bambino il capo avrebbe ricominciato da capo.
Per fortuna cessarono le piogge, lei era quasi alla fine della gravidanza e non ce la faceva proprio più.
Vedendo che tornava al villaggio ogni giorno più tardi, la vecchia delle taniche ora glie ne dava ora due più piccole, da 5 litri, ma era sempre difficile camminare con quella pancia enorme che ondeggiava ad ogni passo.
Britt partorì lungo la strada del ritorno a un chilometro dal villaggio.
Aveva cercato di arrivare fino alla fine, ma non ce la fece, così si accucciò fuori dal sentiero, con la schiena poggiata ad un albero.
Per fortuna fu aiutata da due donne del villaggio che si erano attardate.
Fu una faccenda relativamente breve e alla fine le fecero tagliare il cordone ombelicale con i denti e l’aiutarono a rialzarsi, perché non era prudente rimanere lì di notte.
Britt, malferma e traballante, con il neonato in braccio, raggiunse la sua baracca scortata dalle donne che le portarono le taniche. Il bambino, un maschietto robusto e discretamente scuro, naturalmente non aveva i capelli d’oro e Britt lo vide solo per pochissimo tempo, perché fu preso in consegna da due donne e portato nel palazzo.
Due giorni di riposo, per smaltire le fatiche del parto, e poi di nuovo avanti e indietro sul sentiero con le taniche.
Se non altro, tutto questo movimento mi mantiene in forma, pensò Britt, ma non era così, perché la scarsa alimentazione e le pessime condizioni igieniche del villaggio stavano minando la sua salute.
Avrebbe voluto lavarsi, cambiarsi d’abito, e poi era piena di parassiti ed insetti che la tormentavano. Si grattava di continuo ed iniziò a sperare che il capo decidesse di farle fare un altro figlio, almeno avrebbe assaporato di nuovo il piacere della doccia, sì, anche con il sapone per i panni.
E il suo desiderio fu esaudito.
Aveva ripreso da un mese a portare l’acqua, quando vennero di nuovo a prenderla.
Stesso trattamento e di nuovo al cospetto del capo.
Solite scopate veloci e via di nuovo nella baracca con il ventre pieno del suo sperma ad aspettare il giorno successivo.
L’ideale sarebbe che non restassi incinta, così lui continua a scoparmi ed io mi scampo il lavoro dell’acqua e mi fanno pure fare la doccia.
Tutte le mattine Britt esprimeva con forza questo desiderio, nella speranza che si avverasse.
Dopo una ventina di giorni la rimandarono a prendere l’acqua.
Lei cercava di contare i giorni, ma le mestruazioni non tornavano e alla fine capì che sarebbe ricominciato tutto da capo.
Era come un incantesimo in cui la sua vita si ripeteva sempre uguale: la sua pancia sarebbe cresciuta aumentandole la fatica a muoversi, poi avrebbe partorito nuovamente, l’avrebbero portato dal capo, che l’avrebbe messa incinta di nuovo e tutto sarebbe ricominciato all’infinito.
Beh. all’infinito no. Cinque, dieci anni, forse qualcuno in più, e se non capita qualche imprevisto prima.
Provò ad immaginarsi tra dieci anni e dieci altri figli: oddio, sono già un disastro ora, tra dieci anni, se sono ancora viva, sarò come quella vecchia sdentata che se ne sta sempre all’ombra dell’albero, vicino all’ingresso del palazzo.
Quella sera, sfinita per le lunghe camminate con le taniche d’acqua, si tolse il vestito e si sdraiò sul tappeto di foglie secche che costituiva il suo letto, e prima di addormentarsi, si guardò.
I seni flaccidi e avvizziti, con i capezzoli allungati, le ricadevano inerti sul petto magro, mentre la pancia era piena di smagliature che fra un po’ sarebbero diminuite per poi sparire del tutto, mano mano che il suo ventre si sarebbe gonfiato.
Era così, si stava smontando pezzo dopo pezzo e non poteva farci nulla.
Mentre schiacciava un paio di animaletti che le camminavano addosso, si disse che avrebbe dovuto cambiare le foglie perché ormai erano troppo infestate dagli insetti, e si addormentò.
La pancia cresceva, cresceva, di nuovo, venne il secondo parto ed anche questa volta accadde mentre tornava con le taniche d’acqua, con la variante che in quel momento pioveva, un acquazzone tropicale forte e violento, ma al villaggio l’acqua serviva tutti i giorni, anche quando pioveva.
Come la prima volta, il vecchio capo le lasciò un po’ di tempo, poi la vennero a prendere di nuovo.
Doccia e tutto da capo, con la variante che, oltre a risistemarle le treccine le fecero un trattamento alle orecchie.
Le bucarono i lobi con una spina di acacia che lasciarono incastrata dentro in modo che il buco non si richiudesse.
Ogni giorno, prima di farla incontrare con il vecchio capo, controllavano lo stato dei fori ed allargano l’apertura.
Britt, dopo quasi un mese di trattamento da parte delle due mogli e del vecchio capo, era di nuovo incinta ed esibiva anche due dischetti, grandi come una moneta da due ‘, incastrati nei lobi delle orecchie.
Ormai era come una di loro, a parte la pelle ed i capelli chiari, camminava a piedi nudi senza nessun problema, si era abituata al clima, e soprattutto condivideva che gli altri abitanti del villaggio insetti e parassiti vari, oltre alle febbri improvvise che ogni tanto l’affliggevano.
Devo essermi presa la malaria, pensava a volte, quando nonostante il caldo soffocante, era colta da brividi di freddo, la notte nella sua baracca.
Dopo qualche mese decisero di assegnarla ai campi perché era troppo debole per portare l’acqua, e così Britt si ritrovò in ginocchio, in mezzo ad un terreno secco e pietroso, a scavare piccoli solchi a mano con uno strano arnese di legno.
Ogni tanto si fermava, allora doveva scavare con le mani, scalzare la pietra che aveva bloccato quella specie di rudimentale aratro, scagliarla lontano oltre il campo, e ricominciare.
Periodicamente le toglievano i dischetti di legno dalle orecchie e li sostituivano con altri più grandi.
Se l’obiettivo era quello di farla assomigliare alle donne più anziane del villaggio, alla fine i lobi si sarebbero allungati così tanto da arrivare a strusciarle le spalle.
Alla fine rinunciarono ai dischetti e, evidentemente soddisfatte del risultato, le fecero applicare dal fabbro del villaggio dei vistosi anelli di rame. Ora, se sollevava leggermente la spalla, poteva sentire l’anello solleticarle la pelle.
Intanto, con la pancia che la impacciava sempre più, continuava a lavorare la terra: una volta finito di scavare i solchi li aveva seminati ed ora li stava ricoprendo.
Il peso degli anelli stava lentamente allungandole le orecchie ed ora l’asola che si era creata nella parte inferiore, era così lunga che ci poteva infilare tre dita.
Meno male che non mi hanno appeso nulla alle tette, pensava sconsolata Britt, altrimenti mi sarebbero arrivate all’altezza dell’ombelico.
Poi terminò anche la sua terza gravidanza al villaggio, questa volta successe di notte nella sua baracca e fece tutto da sola.
Attese pazientemente che, trascorso il necessario periodo di riposo, la portassero di nuovo nel palazzo, ma i giorni passavano e non succedeva nulla.
Non mi vuole più, passerò il resto della mia vita a scavare la terra con le mani.
Le dissero che era arrivata una nuova schiava molto giovane e questo forse era il motivo del protrarsi della sua attesa.
Una volta la vide, doveva essere giovanissima, era alta ed esile, le ricordava certe modelle di colore, che, in quella che ormai poteva chiamare la sua vita precedente, aveva visto spesso sfogliando le riviste di moda.
Le passò davanti con un’andatura flessuosa come quella di una gazzella, con indosso solo una gonna variopinta. Le diede un’occhiata che Britt interpretò come compassione per il suo corpo malridotto, e se ne andò dentro il palazzo, con le sue tettine appuntite, che si muovevano orgogliosamente ad ogni passo, scortata dalla due mogli del capo.
Se devo competere con quella, sono fregata, passerò il resto dei miei giorni a ficcare semi di non so cosa nella terra secca.
Invece, inspiegabilmente, dopo un altro mese di anticamera, fu portata di nuovo al palazzo.
Il capo doveva aver sistemato la gazzella, che ora partiva tutte le mattine con due taniche per l’acqua, sempre con le sue tettine al vento, ma con un po’ di pancia che le gonfiava la gonna.
E Così Britt diede al ‘suo’ capo il quarto e poi anche il quinto figlio.
Non riusciva neanche a ricordare quanti anni avesse: trenta, trentadue?
Aveva perso il senso del tempo, da quando a 25 anni era andata a lavorare con Jameson, aveva avuto sette figli, no di più, nove, perché c’erano i tre gemelli, più o meno un anno a parto, calcolando i tempi morti, ora doveva averne 32, forse qualcosa di meno, se teneva duro, aveva altri otto dieci anni, forse di più, per poter soddisfare le voglie del capo.
Invece, la sua avventura con il capo era finita lì, lei ancora non lo sapeva, mentre, inginocchiata, era intenta a scavare solchi nella terra arida, sperando che a breve sarebbe tornata in gioco.
Quando un pomeriggio, mentre era intenta a seminare i solchi che aveva faticosamente scavato nei giorni precedenti, vennero a prenderla, all’inizio non capì.
I due uomini che la presero in consegna e la caricarono su un vecchio pickup arrugginito, solo dopo molte insistenze le spiegarono che avrebbe cambiato padrone.
Il suo nuovo capo, da quanto aveva capito Britt, era parente dell’altro, cugino o qualcosa di simile. In comune avevano solo l’età avanzata, per il resto era molto diverso in peggio: grasso, di aspetto orribile ed anche violento.
Il precedente almeno si era limitato a scoparla a ripetizione senza particolare trasporto, come se lei fosse solo un buco in cui ficcarlo dentro.
Questo invece la picchiava se Britt non era pronta a capire le sue esigenze.
I primi tempi furono molto duri e lei ci rimise un paio di denti, che insieme ai cinque che aveva perduto in precedenza, le lasciarono la bocca abbastanza sguarnita. Rimediò pure un profondo taglio al labbro di cui le restò il segno, e svariati colpi sparsi un po’ dappertutto.
Il suo nuovo padrone viveva in una grande capanna, mentre lei e le altre sue due donne, alloggiavano in una costruzione più piccola.
Britt doveva rimpiazzare un’altra donna del capo, morta di recente.
Lei era stata scelta solo perché in grado di sfornare figli, come gli aveva garantito il cugino, e infatti fu messa subito al lavoro.
Le altre due erano entrambe incinte, avevano un’aria stanca e sfatta, più o meno come Britt, e passavano le giornate ad intrecciare ceste e braccialetti colorati, che poi venivano venduti in un mercato vicino.
Anche lei fu messa a fare lo stesso lavoro. Almeno non doveva scarpinare tutto il giorno per pochi litri d’acqua.
Il nuovo padrone non la faceva entrare in casa, ma, quando ne aveva voglia, veniva lui stesso nella capanna dove vivevano le tre donne, le faceva mettere in fila, piegate a novanta gradi, sollevava la gonna alla prima, la scopava rapidamente, poi passava alla seconda ed alla terza.
A volta preferiva ficcarglielo dietro, ma comunque, una volta al giorno, subivano questo trattamento, poi lui se ne andava e loro riprendevano ad intrecciare.
Naturalmente Britt restò incinta subito e la sua pancia si aggiunse a quelle delle altre due.
Ora trascorreva quasi tutto il suo tempo nella capanna, escluse delle brevi parentesi passate al fiume a lavarsi sommariamente.
Una delle due donne partorì, ma già il giorno dopo dovette mettersi in file con le altre due quando passò il capo.
Ora erano in quattro perché il nuovo nato rimaneva sempre attaccato alla madre, che lo allattava mentre continuava a lavorare.
Dopo qualche mese partorì anche la seconda, mentre la pancia di Britt si faceva sempre più grande.
Alla fine venne anche il suo momento e, per la prima volta, dopo tutte le gravidanze portate a termine in quegli anni, il bambino le fu lasciato.
Ora lavorava e allattava contemporaneamente.
I suoi seni, stimolati dal bambino che succhiava con molta energia, continuavano a produrre latte e si erano gonfiati, anche se erano rimasti parecchio allungati ed avevano un aspetto simile a quelli delle altre donne del villaggio.
Le poche volte che doveva uscire dalla capanna, portava con sé il bambino, legandolo dietro la schiena con un pezzo di stoffa. Glie lo avevano insegnato le altre due donne ed era un sistema molto comodo, anche per allattare, a patto di avere i seni ridotti come i suoi, perché bastava farli passare sopra le spalle ed il piccolo si sporgeva con la testa ed afferrava il capezzolo con la bocca.
Il più grande dei bambini fu portato via, loro erano lì solo per farli, poi una volta svezzati, venivano allevati altrove, mentre la madre dell’altro perse il latte, così Britt si trovò ad allattarne due, mentre intanto la sua pancia iniziava a gonfiarsi di nuovo.
Ora era veramente pesante perché l’altro era bello grosso e sempre affamato e praticamente le prosciugava i seni ad ogni poppata.
Per fortuna dopo un po’ glie lo tolsero e le restò solo il suo.
Aveva le mani rovinate a forza di intrecciare le fibre delle piante che le portavano, i capezzoli irritati da mesi e mesi di allattamento e poi c’era sempre la visita giornaliera del capo.
La prima delle altre donne partorì di nuovo e neanche lei aveva latte. Doveva essere una maledizione e fu chiamato anche lo stregone, ma poi si risolse con la povera Britt che si ritrovò di nuovo ad allattarne due.
Poi le tolsero il suo che era ormai cresciuto abbastanza, ma si riposò per poco, perché la seconda donna scodellò una bella femminuccia e lei se ne ritrovò di nuovo due, e con la pancia ormai enorme.
Insomma era tutte sulle spalle, anzi sulle tette, sue e quando nacque il suo bambino la situazione si fece veramente difficile.
La produzione di latte era sufficiente, perché le ghiandole, stimolate dai piccoli che succhiavano, continuava tranquillamente, ma era lei che non ne poteva più, perché praticamente, ogni ora del giorno e della notte ne aveva almeno uno attaccato e quando veniva il capo, si divertiva a strizzarle i seni, facendo uscire qualche goccia di latte.
Un paio di volte cercò pure di succhiare, ma non ci riuscì.
Poi il capo si ammalò, e furono lasciate tranquille per molti mesi.
I seni di Britt, sollecitati oltre misura per molto tempo, e poi lasciati in pace, ora sembravano delle bisacce vuote ed i capezzoli allungati a dismisura, pendevano miseramente sulla sua pancia.
Un giorno il capo si ripresentò, era guarito, pronto a ricominciare tutto come prima.
La più anziana delle altre fu rimpiazzata, Britt si chiedeva a volte che fine facessero le donne sostituite e quanto avrebbe dovuto continuare.
La nuova arrivata era molto giovane ed il capo la preferiva alle altre due, ma questo non significava che le risparmiasse e la loro dose giornaliera non la faceva mai mancare a nessuna delle due più anziane.
Quella giovane, nonostante fosse grassa ad avesse due seni grandi, aveva poco latte, quindi Britt si ritrovò di nuovo in difficoltà, al punto che quasi non riusciva a lavorare, ma le altre due, consapevoli di essere causa dei suoi problemi, cercavano di fare una parte della quota del lavoro di Britt.
Fattrice e mucca, ecco cos’era diventata.
Si stava anche ingrassando, perché si muoveva poco, quasi sempre seduta nella capanna, con le gambe incrociate, mentre cercava di lavorare ed allattare contemporaneamente.
Ne fece un altro, un secondo, e poi un altro ancora, avrebbe dato qualsiasi cosa per smettere, ma il capo, con precisione infallibile era lì e loro non potevano sfuggire.
Quanti anni ho? Si chiedeva a volte, ma aveva perso la cognizione del tempo, contando quanti ne aveva fatti, meno di quaranta, ma più di trentacinque, anche se, quando riusciva a specchiarsi nell’acqua del fiume, vedeva riflessa una vecchia cadente.
Anche l’altra compagna di lavoro fu sostituita con una più giovane. E a me quando tocca andare in pensione?
Non dipendeva certo da lei, finché venivano sarebbe rimasta lì, questo era chiaro, perché le altre erano state portate via dopo che erano passati diversi mesi senza alcun risultato.
Un giorno il vecchio capo si ammalò di nuovo e lei sperò in un’altra tregua, ma invece morì e fu eletto al suo posto il figlio deciso a seguire le orme paterne.
Con nuovo capo Britt ne fece altri due, ormai doveva essere prossima alla quarantina ma si sentiva addosso il doppio degli anni quando guardava il suo corpo con i seni, gonfi di latte ma allungati al punto che ricadevano sulle pieghe del ventre, mentre la sua vagina, deformata da tanti parti e mai ricucita da un medico, era uno spacco enorme e slabbrato che non aveva il coraggio di fissare. La vita di stenti e senza cure mediche le aveva fatto perdere quasi tutti i denti e tra i capelli, che ormai le arrivavano fino al sedere, si vedevano parecchi fili bianchi.
l’incontro che avrebbe portato un’ulteriore svolta nella sua vita avvenne un giorno, verso il tramonto, al fiume.
Non c’era nessuno, almeno le sembrava, anche perché le si stava abbassando la vista e, con il calare delle tenebre distingueva male gli oggetti lontani.
Insomma quell’uomo non lo aveva proprio visto e si accorse della sua presenza solo quando le parlò.
Lì per lì non comprese le sue parole, perché non erano pronunciate nel dialetto locale, che lei aveva ormai imparato, né in altre lingue di quella parte dell’Africa.
Le aveva parlato in francese. Le parole risuonavano nella sua mente mentre lentamente riaffiorava il ricordo di quella lingua che Britt ben conosceva.
‘Ma allora è vero. Lei è bianca. Mi capisce?’
L’aveva presa per un braccio e la stava scuotendo.
‘Sì ‘ capisco.’
L’incontro tra una quarantenne svedese ed un prete nero, al calar del sole, in un posto sperduto in mezzo all’Africa, era qualcosa di assolutamente singolare.
Quell’uomo giovane, vestito di nero, osservava con curiosità quella strana creatura dalla pelle chiara e bruciata dal sole, con un fazzoletto variopinto che le copriva il capo, da cui uscivano fuori capelli un po’ biondi ed un po’ grigi. I suoi occhi si soffermarono sul busto nudo, sui seni flaccidi, poi scesero sulla gonna colorata che ricopriva la pancia prominente., per finire sui piedi sporchi e rovinati da anni e anni di camminate senza scarpe.
Si stava chiedendo cosa ci facesse una europea incinta, vestita come le donne del posto, al tramonto, sola, vicino al fiume.
Anche Britt si chiedeva cosa ci facesse lì un giovane prete, poi lentamente le tornarono le parole e cominciò a raccontare; il francese, che non aveva più usato da quel giorno in cui era andata in Svizzera per incontrare Jameson, frase dopo frase si faceva più sicuro e lei narrava la sua terribile vita degli ultimi anni.
Aveva omesso la faccenda di Jameson e delle sue folli teorie genetiche, era troppo complicato e non era necessario che capisse.
Si limitò a raccontare del rapimento, della vendita al mercato e di tutte le traversie successive.
Lui sembrava molto colpito dalla storia di Britt, continuava a fissare il suo corpo seminudo, la sua pancia gonfia che portava l’ennesima creatura che fra un po’ avrebbe dovuto partorire.
Britt tornò che era notte, con la promessa da parte del prete che l’avrebbe aiutata a venir via da lì.
Tornò i giorni successivi più o meno alla stessa ora, secondo gli accordi che avevano preso, ma ogni volta, dopo un’attesa inutile, se ne tornava sconsolata al villaggio.
Era passata una settimana dal loro primo incontro e potevano essere accadute mille cose a quel prete: poteva essere stato costretto ad andare lontano, poteva aver avuto paura delle reazioni degli uomini della tribù o, semplicemente, aveva cambiato idea, e lei sarebbe rimasta lì fino alla fine dei suoi giorni.
‘Signora Britt.’
La voce bassa e soffocata, percepiva da un folto cespuglio. Le aveva fatto uno strano effetto essere chiamata con il suo nome, e poi signora, che buffo.
‘Presto, venga qui, le ho portato dei vestiti.’
Si diresse verso la direzione della voce.
‘Dobbiamo far presto, qualcuno la potrebbe vedere.’
Sentì una mano che la tirava e si lasciò trascinare.
‘Presto, si spogli, si tolga i vestiti.’
Ebbe un attimo di esitazione, ma no, ormai, e poi è un prete.
Quando fu completamente nuda lui le passò degli altri abiti e Britt, mentre li indossava, capì di cosa si trattasse.
Quando ormai era completamente buio, dal cespuglio uscirono rapidamente due figure, il primo era un giovane prete, l’altra una monaca, scalza e con una grande pancia.
Raggiunsero un vecchio pulmino, parcheggiato in una radura e se ne andarono.
Il viaggio di ritorno di Britt fu lungo e faticoso, perché il prete non la fece mai scendere quando attraversavano i centri abitati.
Le disse che una monaca scalza ed incinta avrebbe dato troppo nell’occhio, almeno finché erano ancora vicini al villaggio.
Britt non è mai più tornata in Africa. Ora è una signora un po’ sfiorita, che vive sola, insieme ad un bambino scuro di pelle in un villaggio del nord della Svezia.
I vicini sanno molto poco di lei: viene da un’altra zona della Svezia, il bambino molto probabilmente è adottato, ma qualcuno dice che lei potrebbe esserne la madre, perché non è troppo scuro ed ha qualcosa che gli somiglia.
Più di questo non è stato possibile sapere, visto che ama poco parlare con la gente e forse è anche un po’ matta, perché a volte parla al bambino in una lingua strana, incomprensibile.
Una volta al mese va in banca e l’impiegato, ha confidato agli amici che sicuramente deve avere qualche parente americano che gli manda regolarmente un bonifico, ed è una cifra molto alta.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…