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Racconti di Dominazione

Per un paio di scarpe nuove

By 27 Giugno 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Isabel era una ragazza bellissima, alta, atletica, bionda, con un sorriso perfetto e quello sguardo furbo di occhi color acquamarina.
Quando arrivò di fronte alla vetrina del negozio di scarpe ricominciò a piovere. Le strade erano ancora bagnate a causa del recente acquazzone e poche ore d’intervallo fra uno scoscio e l’altro non erano state sufficienti a far defluire le acque.
I tacchi delle scarpe di Isabel ticchettavano sul grigio porfido del marciapiede con monotona regolarità. Un velo d’acqua bordava il margine delle suole. C’erano un paio di belle scarpe dal tacco alto in vetrina. La ragazza le osservò a lungo e decise infine di entrare nel negozio ed acquistarle. Tantopiù che la pioggia l’avrebbe comunque costretta a ripararsi. Entrò. L’interno dell’esercizio era piuttosto piccolo immerso nella penombra e molto silenzioso. Una ragazza di qualche anno più giovane di Isabel sedeva dietro al bancone della cassa.
‘Buongiorno signorina’ disse non appena Isabel fu entrata ‘Cosa desidera?’
‘Ho visto alcune scarpe in vetrina, vorrei sapere quanto costano’
Isabel indicò il modello e si sedette sulla poltrona più comoda del locale.
‘Quarantacinque euro con lo sconto’ rispose la commessa
‘Prendile’ il tono di voce di Isabel si fece duro.
‘Subito’
La commessa scattò dalla sedia, prese le scarpe e le portò davanti alla bellissima cliente.
‘Bè? Non me le vuoi provare?’ chiese Isabel risentita.
‘Si, ma”
‘Mettiti in ginocchio, toglimi le scarpe e provami quelle che hai in mano!’
L’esuberante arroganza della ragazza stordì la commessa. Isabel la stava trattando come una perfetta serva. La commessa s’inginocchiò davanti ad Isabel la quale, con eleganza, accavallò le belle gambe avvicinando il piede destro al viso dell’altra.
‘Guarda qua! Ho le scarpe ridotte in condizioni davvero impresentabili!’ disse la bellissima padroncina.
‘Succede spesso quando piove’
‘Ma cosa ne vuoi capire te? Basta, fermati. Non togliermi la scarpetta. Prima bisogna che tu le pulisca’
La commessa rivolse ad Isabel un’occhiata perplessa ma la cliente la incalzò.
‘Puliscile’
‘Come?’
‘Prendi uno straccio e puliscile’
‘Ma dovrei farlo io?’ chiese la commessa un poco risentita
Isabel la fulminò con lo sguardo, sollevò entrambi i piedi ed allungò di scatto le gambe colpendo con la punta delle scarpe la gola della commessa. La ragazza urlò e cadde per terra, portandosi le mani alla gola. Il calcio della cliente le aveva tolto il fiato.
‘Obbedisci, ancora non sai con chi hai a che fare!’
‘Io’io’si signorina’
‘Padrona. Devi chiamarmi così’
‘Padrona, pulisco subito’
La commessa raccolse uno straccio pulito da dietro il bancone e di corsa ritornò in ginocchio di fronte ad Isabel.
Cominciò a strofinare la punta delle scarpe della padrona la quale, con sguardo gelido e sensuale, osservò ogni movimento della sottoposta. In pochi minuti la schiava tolse la gran parte dell’umidità e della polvere dalle suole e dai tacchi della dominatrice.
Isabel mosse un poco il piede studiando il lavoro dalla commessa.
‘Puliscile meglio’
Non era soddisfatta.
‘Si, padrona’
‘Usa la lingua. Diventeranno più lucide’ ed avvicinò la suola alla bocca della schiava. Essa congelò ogni movimento.
‘Che cosa c’è?’ chiese Isabel ‘Sono troppo sporche per te? Muoviti schiava o ti prendo a calci!’-
‘S’si padrona’
La commessa posò il panno sul pavimento e cominciò a leccare le scarpe di Isabel. La padrona finalmente sorrise alla sguattera. Era un sorriso altero e glaciale, un sorriso da dominatrice che pretende ed ottiene di calpestare un essere inferiore quale era quello di fronte a lei.
Il lavoro di lingua della serva fu buono. Ella rimosse le tracce di fango dai bordi delle suole come gli angoli del morbido panno non erano stati in grado di fare.
Isabel mosse i piedi per tutto il tempo al fine di rivolgere alla bocca della schiava i punti delle calzature che voleva puliti ed infine infilò i tacchi delle scarpe nella bocca della commessa tenendo le gambe rannicchiate contro il busto e sorreggendole per l’incavo delle ginocchia.
‘Succhiali’
‘Si, padrona’ mugugnò la schiava con la bocca ostruita dai tacchi delle scarpe della cliente. I tacchi erano lunghi e le punte le arrivarono fin al fondo del palato. Ciò nonostante la serva s’impegnò al massimo e questo fece piacere ad Isabel che approvò la sua devozione con risolini di scherno e frasi del tipo
‘Guarda che bella leccapiedi che c’era in questo negozio. Ad averlo saputo prima”
‘Ma non sapevo che le cagnoline potessero entrare nei locali. Attenta a non sporcare”
‘Ingoia il fango delle mie scarpine. T’irrobustirà lo smalto dei denti”
Qualche momento più tardi Isabel iniziò ad annoiarsi. Sfilò di colpo i tacchi dalla bocca della schiava ed allontanò la commessa stessa con un calcio in faccia.
‘Ora possono andare. Toglimele e fammi provare le altre’
La commessa eseguì. I piedi nudi di Isabel erano delicati e perfettamente proporzionati, splendide estremità di una bellissima ragazza venticinquenne.
‘Massaggiali un po’ prima, sono rimasti chiusi in queste scarpe strette per tutta la mattinata’
‘Si, padrona’ rispose la commessa e come intuendo le reali intenzioni della dominatrice appoggiò le mani sul pavimento, lasciò che Isabel vi posasse sopra le piante dei piedi e chinandosi ancora di più cominciò a baciare e leccare le magnifiche estremità della padrona.
Isabel annuì soddisfatta. La cagna era capace e volenterosa. Si divertì a schiacciare le dita delle sue mani sotto i talloni ma non un gemito né una preghiera uscirono dalla bocca della serva.
Isabel sollevò il piede destro facendo intendere alla cagna di dover leccare la pianta dei suoi piedi. La lingua della commessa andò veloce al tallone, poi indugiò un attimo nell’incavo della pianta, infine si concentrò fra gli spazi delle dita, le succhiò una per una e ripulì con coscienza l’unghia dell’alluce.
‘Ora anche l’altra’ disse Isabel, schiacciando la testa della ragazza sotto il piede destro ormai ben leccato.
‘Si padrona’
La pulizia delle estremità della dominatrice richiese alcuni minuti. Alla fine la lingua della serva, già provata dall’aver dovuto lucidare le suole delle scarpe di Isabel, era veramente sfinita.
‘Così mi piaci, cagna. Sottomessa e servizievole. Penso che tutti gli uomini e gran parte delle donne di questa terra dovrebbero rivolgersi a me chinando il capo e chiamandomi padrona. Non sei d’accordo?’
‘Si padrona’
‘Va bene, ora però passiamo al sodo. Provami le scarpe nuove’
La commessa calzò prima l’una poi l’altra scarpetta. Calzavano alla perfezione come fossero state fatte apposta per la dominatrice.
‘Vuol camminare un po’ per vedere come le vanno?’ chiese la schiava
Isabel l’allontanò con un calcio.
‘Certo stupida’
S’alzò in piedi e compì un rapido giro attorno al tappeto.
‘Mmmm’.possono andare. Ma non vorrei acquistare scarpe che abbiano poco senso dell’equilibrio. Camminare su di un pavimento pari è un conto ma per la strada”
‘Non capisco, queste scarpe”
‘Zitta! Sdraiati e fa silenzio’
La commessa, senza fiatare, obbedì. Era ignara di quel che sarebbe accaduto di lì a poco. Non appena si fu distesa sul duro pavimento la padrona le salì sulla pancia con entrambi i piedi ed iniziò a camminarle sopra lo stomaco ed il petto, incurante del dolore che i tacchi alti avrebbero procurato alla serva.
La commessa gemette di dolore e cercò di sorreggere le caviglie della padrona con le mani, al fine di alleggerire la pressione dei tacchi sul costato.
‘Che fai, puttana? Tocchi le mie gambe con le tue mani schifose?’
Sollevò un piede, scalciò via le mani della leccapiedi e pestò violentemente la guancia della sottomessa.
‘Aaahhh! No, padrona, la prego’.’
‘Non parlare. Nn ti muovere. Voglio vedere come si cammina con queste scarpe su un terreno irregolare’
Riprese a camminare. Passeggiò elegantemente sul seno e sul collo della sguattera, le calpestò la faccia, saltellò sulla sua pancia, facendo ben attenzione a premere le punte.
Infine scese. La sguattera era distrutta e dolorante. La pelle delle tempie, ove la padrona aveva calcato i tacchi stillava piccole gocce di sangue. Il torace e la pancia erano butterati da lividi bluastri.
‘Queste scarpe vanno abbastanza bene. Le prendo. Sbrigati ad incartarmele e mettile in una busta’
‘Si padrona’ rispose la commessa alzandosi in piedi a fatica.
‘Ce l’hai un nome o devo continuare a chiamarti serva?’
‘Mi chiamo Stefania’
‘Bene, Stefania la schiava. Fammi un bel pacchettino e metti il tutto in un sacchetto. Poi, siccome vedo che piove ancora, mi accompagnerai a casa con la tua macchina. Hai l’auto, giusto?’
‘Si padrona’
‘Allora andiamo’
‘Ma’il negozio’non è ancora ora di chiusura’
‘E a me cosa importa? Io voglio andare a casa e tu mi accompagnerai’
‘Si, obbedisco però’le scarpe costerebbero”
Isabel prese Stefania per i capelli e la costrinse in ginocchio, poi le schiacciò la testa sotto al piede destro.
‘Cagna, non hai ancora imparato nulla? Io sono la tua padrona, faresti pagare dei soldi alla tua signora?’
‘No’no, mia padrona, mi scusi’
‘Troia schifosa, chiedimi scusa baciandomi i piedi’
Stefania lo fece, ripetendo ogni volta ‘Scusi, padrona’
Quando Isabel fu soddisfatta dell’umiliazione inferta alla schiava tolse il piede e lasciò che quella s’alzasse.
‘Muoviti, ora. Chiudi il negozio e prendi la tua macchina. Ho voglia d’andarmene da questo schifo di negozio’
‘Si, padrona’
‘E da oggi le scarpe le verrò a comperare qui e tu non mi farai mai pagare nulla. Dico bene?’
‘Si padrona’
Stefania chinò il capo.
Fuori la pioggia era quasi cessata.

tom

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