Il colonnello mi sorride mentre parla, ma purtroppo non sono dello spirito adatto per apprezzare la cosa.
Mi trovo in prigione, in una stanza sotterranea della vecchia fortezza ormai da circa 24 ore, seduta ed immobilizzata su una specie di sedia di ferro.
Immaginate una sedia da giardino in ferro battuto, però questa è molto più robusta e pesante ed è dotata di robuste cinghie di cuoio, che mi tengono bloccate le caviglie alla base delle zampe anteriori ed i polsi sui braccioli, anch’essi di ferro.
Dopo un giorno ed una notte, trascorsi senza poter cambiare posizione, il mio umore non è dei migliori, in più, ho freddo, perché, quando sono entrata nella fortezza mi hanno privata dei vestiti, sostituiti da un rozzo abito grigio verde, che dovrebbe essere, suppongo, la divisa carceraria.
Mi sono dovuta spogliare completamente, davanti a parecchie guardie maschi, che mi hanno fatto aspettare, completamente nuda, per più di un’ora, con la scusa che non trovavano la divisa della mia taglia. è finito tutto in una busta di plastica nera: soprabito, vestito, borsa, scarpe, calze ed anche la biancheria intima. Neanche l’orologio e gli orecchini mi hanno lasciato.
I loro sguardi mi facevano provare sensazioni strane ed inquietanti, ero lì, davanti a loro, nuda ed indifesa,una preda, praticamente.
Io non sono brutta ma neanche posso definirmi il tipo che fa girare gli uomini per strada: piccola di statura, magra, con un viso anonimo contornato da capelli castani lisci, occhi marrone ed il naso un po’ grande, niente di speciale, insomma. Il mio pezzo forte è il seno, sodo e sporgente, ma in genere viene notato solo quando al mare mi metto in costume, allora gli uomini mi guardano con occhi diversi, come se volessero dire: ‘però, chi l’avrebbe mai detto che avevi queste belle tette.’
Anche in questo caso, il loro sguardo era di quel tipo, però lo sentivo molto più aggressivo, come se fossero consapevoli che una volta in prigione, io fossi totalmente in loro potere.
Il colonnello parla ma io fatico ad ascoltarlo. La mia mente vaga, pensando a cosa mi accadrà.
Anche un bambino capirebbe quale sarà il mio destino: quando ti prende lo ‘squadrone politico’ sai già che ti tortureranno fino a farti dire ogni cosa che sai e probabilmente, dopo, ti ammazzeranno.
Ho solo 32 anni e non voglio morire adesso e male.
Ho freddo, ho fame e vorrei lavarmi.
Mi hanno dato da mangiare una roba schifosa ieri sera, senza neanche slegarmi.
Un secondino ha poggiato una tavoletta di legno sui miei avambracci e sopra ci ha messo due ciotole, una con dell’acqua e l’altra contenente un impasto di patate scotte e pane raffermo.
Ho dovuto mangiare con la bocca, piegando il collo verso il basso, ma la cosa più difficile è stata bere usando la lingua come gli animali.
‘Signorina, mi sente?’
Il colonnello ha alzato la voce, evidentemente si è reso conto che ero distratta.
So che è un colonnello, non perché me lo ha detto, ma perché conosco bene i gradi delle divise, perché, quando avevo 15 anni mi ero fissata che volevo fare l’accademia militare.
Alzo la testa, è un bell’uomo il colonnello, sulla cinquantina, alto, atletico e con i baffi brizzolati.
‘Signorina, ora le libererò un polso e lei berrà questo.’
Mi indica un boccale da birra con il manico, pieno di una sostanza biancastra.
‘Che cos’è?’. Per la prima volta, dopo 24 ore, apro bocca.
‘Sperma, gentilmente offerto dai detenuti comuni.’
La mia espressione, sorpresa prima e schifata poi, vale più di mille parole.
Il colonnello si piazza alle mie spalle, ora non lo vedo più ed inizia a slacciarmi la divisa.
La divisa carceraria consiste in una specie di vestito accollato, a mezze maniche, lungo fino alle ginocchia. Sul davanti è aperto ed è senza bottoni, per tenere accostati i due lembi, ha quattro coppie di lacci di stoffa, che una guardia mi ha chiuso facendo dei fiocchi, come si fa per i lacci delle scarpe.
I fiocchi cedono in rapida sequenza, scoprendo i miei seni.
Le mani del colonnello si spostano ed iniziano a carezzarmi.
‘Signorina, io sono un ufficiale medico e, durante la guerra civile, ho dovuto operare diversi soldati sul campo di battaglia, senza anestesia, quindi sono abituato ad incidere con il bisturi mentre qualcuno mi urla nelle orecchie.
Ora, se lei non beve immediatamente quel bicchiere di sperma, le asporterò le sue belle tette. Mi ha capito?’
Conclude la frase passandomi gli indici sotto l’attaccatura dei seni, come a simulare il passaggio della lama del bisturi.
‘Allora, lo beve?’
Faccio cenno di sì con la testa e sento allentarsi la stretta delle cinghie sul polso destro.
Un attimo dopo lui mi offre il boccale porgendomelo dalla parte del manico, che io mi affretto a stringere.
Trentatré, una birra piccola, no, non è birra, ma provo a far finta che lo sia, mi basta dare un’occhiata ai miei seni, che spuntano dalla divisa aperta e slacciata, per convincermi che non ho scelta.
L’odore è cattivo, la consistenza, densa e filamentosa, per niente invitante, ma avvicino il boccale rapidamente alla mia bocca e lo inclino.
La prima sorsata mi riempie la bocca e mi fermo, perché un conato di vomito mi prende alla gola.
‘Signorina, guardi che le tette, dopo l’intervento, non le ricresceranno.’
In mano tiene un aggeggio di metallo, luccicante, che suppongo sia un bisturi. Già, non ne ho mai visto uno, ma lo immagino più o meno così.
Mi faccio forza e riprendo a bere, cercando di non respirare, almeno sento solo il sapore.
Mi fermo più o meno a metà. Lo sperma è molto denso, forse si sta solidificando, e scende a fatica per l’esofago, mentre anche la mia bocca ne è piena.
Riprendo a bere, ora più lentamente, perché sono stanca ed ho l’impressione che non riesca più a scendere.
‘Tutto, fino in fondo, non ne deve sprecare neanche una goccia.’
Mi rendo conto di aver finito, solo quando lui mi toglie il boccale dalle mani, mi poggia nuovamente l’avambraccio sul bracciolo della sedia e stringe le cinghie.
Il conato mi prende all’improvviso e penso di vomitare tutto.
‘Non lo faccia, signorina, è meglio di no.’
Mi carezza una guancia finché non mi calmo. è andata.
Il colonnello, senza aggiungere altro, se ne va, portandosi via il boccale vuoto.
Sento sbattere la pesante porta di ferro, ora sono sola.
Su, Eva, mi dico, immagina di esserti bevuta una birretta.
Già, la birra mi ha sempre fatto un effetto diuretico, immediato.
Ma questa non è birra, però mi scappa lo stesso.
Per un attimo penso di alzarmi dalla sedia ed andare in bagno.
Non mi posso alzare e non c’è nessun bagno.
Quando mi hanno messa sulla sedia, hanno prima sollevato dietro il vestito, per non farlo finire sotto il sedere.
Ho avvertito subito una sensazione strana, come se scivolassi verso il basso, poi ho realizzato che il piano della sedia era bucato in mezzo, non in modo da farmi realmente scivolare giù, ma abbastanza per poter usare il mio sedile come una tazza del cesso.
Mi libero, vedo il rivoletto di pipì che scorre in mezzo alle mie gambe, poi devia verso destra e finisce contro il mio piede. Vorrei sollevarlo, ma non ci riesco e sento il liquido tiepido a contatto con la pelle.
Alla fine mi addormento, non è facile dormire seduti, ma dopo un giorno intero, la stanchezza prende il sopravvento.
Mi sveglio con una sensazione spiacevole di prurito.
Apro gli occhi e lo sguardo mi scende in basso.
Un insetto rossastro ed orribile, che assomiglia vagamente ad uno scampo, sta passeggiando sul mio seno destro.
Non posso fare molto per scacciarlo, provo prima a muovermi, cercando di scrollarlo via, poi mi metto a soffiare, ma lui non se ne va, prima si ferma, poi solleva una delle due estremità, non so se sia la testa o la coda, perché più o meno è simmetrico.
Quando la parte che si è sollevata torna a contatto con la mia carne, sento una puntura dolorosa.
L’insetto sparisce alla mia vista infilandosi nella spaccatura tra i miei seni, lasciando nel punto in cui mi ha punto, proprio sopra al capezzolo, una protuberanza rossa ed appuntita.
Lo sento camminare sulla pancia, no, forse sono in due, poi sento qualcosa che mi risale lungo una gamba.
Guardo in basso e ne vedo altro, più grande sul mio ginocchio sinistro.
Inizio a tremare, mentre l’insetto si infila tra le mie cosce e non riesco più a vederlo, perché è nascosto dalla divisa.
La puntura arriva improvvisa e mi metto a gridare, per lo schifo ed il dolore.
Tremo, mi agito, riuscendo addirittura a scuotere la pesante sedia di ferro.
Il mio movimento deve aver infastidito l’altro, quello che era sceso sulla mia pancia, che
mi punisce subito, pungendomi nuovamente sul ventre, a pochi centimetri dal mio sesso.
Oddio, mi entreranno nella vagina, penso terrorizzata.
Devo recuperare il controllo, devo stare ferma, immobile, tranquilla, solo così posso sperare di non essere punta ancora.
Sto imparando rapidamente a muovermi nella mia nuova vita, faccio progressi, in poco più di un giorno ho imparato a mangiare dalla ciotola come un cane, a fare i miei bisogni stando seduta sulla sedia di ferro ed a bere sperma da un boccale da birra.
Ora riesco anche a stare ferma, mentre degli insetti orribili passeggiano sulla mia pelle.
Mentre sono assorta nei miei pensieri, si apre la porta della cella ed entra la guardia con il pranzo.
Nota subito il vestito aperto ed i miei seni nudi.
‘Però, hai due belle tette’, mi dice mentre poggia le ciotole sul tavolo.
Si avvicina ed inizia a toccarmi, giocando con i capezzoli.
Io, dapprima rimango rigida, poi, lentamente, inizio a sciogliermi e tiro in dietro la testa, sospirando.
‘Ti piace, vero? Senti, troia, ti piacerebbe mangiare con le posate?’
Gli faccio cenno di sì.
‘Bene, tanto vedo che non disdegni la maionese’, mi dice toccandomi con un dito le labbra incrostate di sperma.
‘Mi fai un bel pompino ed io ti libero una mano e ti faccio usare il cucchiaio.’
Non aspetta neanche la mia risposta, si apre i pantaloni e me lo ficca in bocca.
Succhio il suo pene, pensando che se dicessi di no, mi riempirebbe di botte e poi mi costringerebbe a farlo lo stesso. Meglio scambiare con una piccola comodità, come riuscire a mangiare come un essere umano.
Mentre io succhio, lui mi apre completamente la divisa facendola scendere dalle spalle.
Mi strizza forte i seni e quando mi tocca dove mi ha punto l’insetto io sobbalzo per il dolore, ma non mollo.
Viene quasi subito nella mia bocca ed io mi sorprendo a pensare che è molto meglio bere sperma fresco, direttamente dalla ‘fonte’, piuttosto che quello addensato, conservato dentro un boccale da birra.
Ha mantenuto la parola: mi ha liberato la mano destra e mi da pure un cucchiaio.
è un piacere mangiare quella sbobba insipida con il cucchiaio, e poter bere liberamente, avvicinando la ciotola alle labbra.
Bevo a lungo e la guardia mi riempie di nuovo la ciotola, finché non sono sazia ed ho l’impressione che l’acqua abbia eliminato ogni traccia di sperma.
Prima che se ne vada, gli chiedo il favore di rimettermi a posto il vestito, perché ho freddo.
Lui brontola un po’, poi alla fine, però, mi ritira su il vestito e mi chiude pure i lacci, rifacendo i fiocchi, così, sazia e rinfrancata dal minimo di calore che mi da la stoffa della divisa, mi addormento di nuovo. Mi sveglia il rumore del chiavistello della porta della cella.
E’ ora di cena.
Il secondino è cambiato, questo è più giovane.
Penso che potrei fare un pompino anche a lui, in cambio di un cucchiaio.
‘Per favore, mi liberi un polso e mi faccia mangiare con il cucchiaio.’
‘Spiacente, ma il regolamento non lo consente.’
‘Potrei, in cambio …’, schiudo le labbra cercando di apparire il più sensuale possibile.
Accidenti Eva, sei disposta a fare la troia per un cucchiaio, vedi come è strana la vita.
‘Nooo! Non ci penso per niente, se mi becca il sergente mi stacca le palle a morsi, e poi, in quella fogna piena di sborra dei carcerati, l’uccello non ce lo metterei neanche per un milione. L’ho visto sai, il colonnello con il boccale da birra, questa mattina.
Ti è piaciuto così tanto, che ora ne vorresti ancora, vero?’
Non c’è stato niente da fare, ha messo le ciotole sulla tavoletta di legno ed ho dovuto mangiare e bere come una bestia.
Prima di andarsene ha voluto farmi un regalo: ha preso la ciotola dell’acqua ormai vuota, si è aperto i pantaloni ed ha iniziato a masturbarsi.
‘Ecco, vedi troia’, mi ha detto avvicinandomi alla bocca la ciotola piena per un terzo di sperma, ‘così siamo contenti tutti e due.’
Quando ho finito di bere, mi ha strofinato la ciotola ormai vuota sulla faccia, lasciandomi il viso impiastrato, e se ne è andato, chiudendo fragorosamente la porta dietro di sé.
Il colonnello si è presentato poco dopo. Non aveva con sé il boccale di birra ed ho pensato: ‘meglio così, credo che per oggi possa bastare.’
Mi ha salutata gentilmente e poi si è avvicinato a me.
Quando mi ha aperto di nuovo i lacci della divisa, ho temuto che avesse cambiato idea riguardo alla faccenda del bisturi.
è rimasto per un po’ in silenzio ad osservare i miei seni nudi.
Anch’io li ho guardati e mi sono accorta che ora le punture degli insetti sono diventate cinque, tre a destra e due a sinistra. Avevo avvertito prima gli insetti che mi camminavano dentro al vestito ed avevo anche sentito le punture, ma mi erano sembrate più leggere delle prime, chissà, forse, non vedendo, la sensazione di dolore è stata meno forte.
‘Eva, lei si chiama Eva, vero signorina?
Lo faremo ora, perché dopo questa notte sarà, diciamo, un po’ sciupata.’
Io lo guardo con aria interrogativa e lui inizia a sciogliermi.
Mi ha liberata completamente, braccia e gambe, ma io sono rimasta seduta, incapace di alzarmi.
‘Su, Eva, si appoggi a me, non cadrà.’
Mi solleva di peso e mi accorgo di essere completamente anchilosata, dopo due giorni bloccata in quella posizione.
Barcollo vistosamente e sono costretta ad aggrapparmi a lui.
Il colonnello è parecchio più alto di me ed ha un fisico robusto, proprio il tipo di militare che popolava i miei sogni di quindicenne, quando pensavo di fare l’accademia militare.
Mi fa scivolare la parte sopra della divisa fino a scoprirmi completamente il busto e la schiena, poi mi spinge contro il muro.
Rasente alla parete c’è un specie di cordolo, alto più o meno un palmo, lui, mi solleva piazzandomi le mani sotto le ascelle e mi fa salire, schiacciandomi la schiena contro le pietre umide della parete.
Sento qualcosa di duro che si infila tra le mie cosce, mentre lui mi alza e mi allarga la gamba sinistra.
Qualcosa in me, istintivamente, si ribella a quanto mi sta per accadere, ma sono troppo debole per tentare una qualsiasi forma di difesa.
Il colonnello mi allarga completamente la gamba sinistra, inchiodandomi il ginocchio contro il muro.
In questa maniera la mia vagina è costretta ad aprirsi e quando lui inizia a spingere, non può che entrare.
Io grido di dolore perché sono completamente secca, ma il colonnello non sembra impressionato. Già, operava i soldati senza anestesia, stava per amputarmi i seni da sveglia, figuriamoci se lo possono turbare gli strilli di una prigioniera che lui sta stuprando.
Mi calmo subito, anzi, mi accorgo che non mi dispiace poi così tanto, forse è la sensazione di avere addosso un uomo forte e con la divisa, ma inizio a lasciarmi andare.
Anche lui ha capito e molla la presa al ginocchio.
Io mi stringo a lui ed allargo entrambe le gambe per farlo entrare meglio.
Lo sento ansimare sempre più forte finché non raggiungo l’orgasmo, proprio mentre il colonnello mi riempie di sperma.
Si allontana subito da me, mentre io, esausta, scivolo lentamente a terra, rimanendo seduta sul cordolo, con le gambe allargate.
Il colonnello si pulisce brevemente la divisa e mi fa cenno di alzarmi.
‘Signorina, si tiri su e si sistemi il vestito, perché deve andare.’
‘Andare dove?’
‘Passerà la notte in un altro luogo. Si lamentava che qui fa freddo, vedrà che questa notte non sentirà proprio freddo.’
Continuo a non capire, ma ubbidisco e mi rimetto in piedi, mentre cerco di richiudere i lacci.
Mi sono appena rivestita, che entrano due guardie.
‘Allora, la prigioniera la portate alla 7’, poi rivolto a me, ‘signorina, trascorrerà la notte in piacevole compagnia, con i proprietari del contenuto di quel boccale di birra che lei ben conosce, buona notte.’
Prima ancora di riuscire a capire bene, le due guardie mi hanno trascinata fuori.
Non riesco a camminare veloce, ma loro hanno fretta e così mi trascinano lungo i corridoi bui della fortezza.
Comincio a riflettere, sarò sbattuta in una cella piena di uomini che magari non vedono una donna da dieci anni.
Assassini, rapinatori, il peggio della peggior feccia umana.
Il colonnello poco fa ha detto che dopo questa notte sarei stata un po’ sciupata. Ha voluto scoparmi PRIMA, perché dopo questa esperienza sarò così distrutta, massacrata, da fare schifo a chiunque.
E loro mi stanno aspettando, questa mattina hanno riempito il boccale con il loro sperma,
pregustando magari la notte promessagli dal colonnello.
Comincio a piangere, a gridare, cerco di divincolarmi.
‘Insomma, troia, che ti succede?’
Mi dice una delle due guardie.
‘Guardia che non ti ammazziamo mica.’
‘Per una scopata non è mai morto nessuno’, gli fa eco l’altro.
‘Beh, proprio una, no’, ridacchia il primo.
‘Ecco siamo arrivati, questa è la cella numero 7, stai tranquilla, domani mattina ti veniamo a riprendere, vedrai che sarai in ottima forma.’
Io mi aggrappo a loro in un ultimo disperato tentativo.
‘Per favore, riportatemi indietro, sulla sedia …’
‘Ma come, ti stanno aspettando tutti …’
‘Ma quanti …’
‘Quanti cosa? Ah!, quanti sono?
Vediamo, la cella ha 20 letti, però ora ci sono due posti liberi, quindi sono solo 18.
Ora piantala di fare storie, sennò domani mattina non ti veniamo a prendere.
Su, togliti la divisa, ‘ché la dentro non ti servirà di certo.’
Così, dopo avermi fatta spogliare, hanno aperto la porta e mi hanno spinta dentro. La porta si è chiusa silenziosamente dietro di me ed io sono rimasta immobile, con la schiena e le chiappe poggiate contro il metallo freddo, nel tentativo inutile di stare il più lontano possibile da quei diciotto uomini pronti a buttarsi su di me.
La cella è quasi completamente buia, due file di letti a castello ed in fondo un lavandino ed un cesso, con sopra una fioca luce blu.
Forse dormono tutti, potrei provare a nascondermi sotto ad un letto, aspettando la mattina.
Riesco a fare solo un passo, poi la luce di una torcia si accende sui miei seni.
Indugia un attimo, finché il fascio si alza e me lo ritrovo in faccia.
Il grido di gioia, emesso dal proprietario della torcia, sveglia tutti ed io mi ritrovo attorniata da un gruppo di brutti ceffi, sporchi e puzzolenti.
Quello che sembra il capo impartisce degli ordini brevi e precisi, evidentemente non vogliono perdere tempo.
Viene messo un materasso per terra, uno di loro ci si sdraia sopra a pancia in su, ed io gli vengo letteralmente calata sopra.
Atterro a gambe larghe esattamente sul suo pene già duro e dritto, tra le grida di giubilo degli altri.
Per fortuna sono ancora lubrificata dallo sperma del colonnello e l’atterraggio non è troppo brusco, ma siamo solo all’inizio.
Mi sento spingere in avanti, mentre quello sotto di me, mi stringe forte per evitare di uscire, poi, qualcuno dietro mi allarga le chiappe.
Visto che sono tanti, vogliono penetrarmi in più di uno contemporaneamente.
Grido di dolore quando il mio povero ano viene violato, ma la mia voce è soverchiata dalle urla dei carcerati.
Appena smetto di gridare, qualcuno mi solleva la testa e mi fa aprire le labbra, un attimo dopo un coso enorme e puzzolente riempie la mia bocca.
I tre uomini vengono rapidamente e quasi contemporaneamente, evidentemente aspettavano una simile occasione da così tanto tempo, che non hanno potuto resistere di più.
Scoppia una rissa su chi deve prendere il posto dei primi tre. Volano spinte, calci e pugni e ne faccio le spese anch’io, che esco dalla colluttazione con un labbro spaccato, uno zigomo gonfio e diversi graffi, ma alla fine trovano un accordo.
Finisco sopra ad un grassone con il pene così ricurvo che sembra una scimitarra, mentre intravedo appena un negro enorme che decide di occuparsi del mio culo.
Quando me lo ficca dietro penso di morire per il dolore e rimango qualche secondo senza fiato, al punto che aspettano che mi riprenda prima di ficcarmene uno in bocca.
Continuano ad alternarsi, ora impiegano un po’ più tempo ma ho sempre l’impressione che siano molti più di diciotto.
Il materasso è inzuppato di sperma e di sudore e mi accorgo che anch’io ci sto mettendo di mio perché, contro ogni mia aspettativa, sono eccitata e bagnata.
Quando si accorgono della mia partecipazione, raddoppiano gli sforzi.
Scoppia un’altra rissa e rimedio un pugno in faccia. Un dolore fortissimo, sputo sangue ed anche un dente, al punto che interrompono e mi permettono di andare a sciacquarmi al lavandino.
Devo dosare le forze, non posso resistere tutta la notte in questa maniera, devo cercare di controllare la loro esuberanza, così, una volta passata la foga iniziale, cerco di dialogare con loro.
Non è facile, ma il capo, che non vuole far degenerare la situazione, mi da una mano, così riesco ad organizzare dei turni e li convinco pure, a metà nottata, a lasciarmi cinque minuti per darmi una sciacquata.
Mentre mi lavo mi guardo nello specchio sbeccato che sta sopra il lavandino. Ho un aspetto terribile: i capelli scompigliati, la faccia imbrattata di sperma, due occhiaie profonde e poi lo zigomo tumefatto ed il labbro spaccato ed insanguinato mi fanno sembrare una maschera di Halloween. Apro la bocca, al posto di uno degli incisivi superiori, c’è una ferita sanguinolenta.
In quel momento, il negro enorme mi afferra da dietro e me lo pianta nuovamente nel culo.
La facilità con cui mi entra dentro, mi fa capire quanto mi abbiano sfondata.
Io mi aggrappo al lavandino mentre lui mi da dei gran colpi, incitato dagli altri, poi, quando sta per venire, lo tira fuori e mi fa girare.
Mi spinge giù e mi fa aprire la bocca, il labbro spaccato ed il dente che manca mi fanno un male cane, ma riesco comunque a fargli un pompino, poi vengo di nuovo risucchiata nel vortice degli altri.
Sono così stanca che non riesco più a stare in piedi, così prendono un tavolino, lo piazzano nella corsia tra i letti a castello e mi ci mettono sopra. Poggio con la pancia ed i seni sul ripiano e rimango con braccia e gambe abbandonate.
Arriva da dietro il solito negrone, però questa volta me lo infila dritto nella vagina.
Deve averlo veramente fuori misura, perché mi sembra di scoppiare, ma lui non se ne cura minimamente. Un altro, da davanti mi solleva la testa e mi dice di aprire la bocca, io ubbidisco subito, e ricomincia tutto come prima.
In questa maniera potrebbero andare avanti all’infinito, perché io devo fare ben poco, in questa posizione.
Verso l’alba, per il gran finale, decidono di mettermi su una sedia e di usarmi solo per i pompini.
Io sto seduta in fondo alla cella, spalle al lavandino, e loro si avvicinano a turno.
Io lecco, succhio e alla fine, pazientemente ingoio tutto fino all’ultima goccia.
Credo siano passati tutti due, forse anche tre volte.
Quando vengono le guardie a riprendermi, c’è ancora qualcuno in fila che protesta, ma i secondini non sentono ragioni e mi trascinano fuori di peso.
Evidentemente sono pratici di questo genere di cose perché hanno portato una carriola.
Mi ci mettono dentro, con le gambe penzoloni fuori e mi riportano nella mia cella, visto non sono assolutamente in grado di camminare.
Il tragitto è lungo e faticoso, sono piena di dolori e quando la carriola sobbalza sulle pietre sconnesse del pavimento grido e mi lamento.
I miei buchi ripetutamente violati, continuano ad eruttare sperma che si raccoglie in fondo alla carriola.
Ripenso alle parole del colonnello: un po’ sciupata. Mi hanno distrutta, altro che sciupata, e tutto questo perché poi, visto che non mi hanno neanche interrogata?
Quando sono entrata qui pensavo che avrei resistito alle torture, non avrei mai tradito i miei compagni, ora invece sarei disposta a dire e fare qualsiasi cosa, pur di essere lasciata in pace.
Mi viene in mente che questo doveva essere solo un assaggio e che il trattamento riservato ai prigionieri, anzi alle prigioniere, politici, debba ancora iniziare e vengo presa dal terrore, al punto che quando la carriola mi riporta davanti alla ‘mia’ sedia, piango e tremo in preda ad una crisi isterica. Sono al punto di partenza, come nel gioco dell’oca, legata alla sedia con le cinghie, come al momento del mio arresto.
La differenza è che ora sono completamente nuda, piena di ferite e di lividi, ho un labbro spaccato, ho perso un incisivo e sono stata brutalmente stuprata per una notte intera da una ventina di carcerati.
Gli insetti che somigliano agli scampi sono tornati più numerosi di prima, forse l’odore, un misto di sangue, sperma e sudore che emano, li attira.
Ne avrò addosso una dozzina ed ogni tanto sento una puntura, allora mi guardo, se ho sentito il dolore in un punto del mio corpo che posso osservare, scopro una nuova bolla.
Perdo sangue in mezzo alle gambe ma non riesco a capire se è la vagina, l’ano o tutti e due.
Alla fine mi addormento, nonostante i dolori ed il fastidio degli insetti che passeggiano sul mio corpo.
Mi sveglia un parlottare a bassa voce, per un po’ resto con gli occhi chiusi, cercando di ascoltare.
‘Dice che parlerà, Sig. colonnello? Non sarebbe meglio farle fare un’altra notte con i carcerati?’
‘Non credo proprio. Ha avuto già una bella ripassata, potrebbe non superare una seconda notte, specie se la rimandiamo in quella cella.
Ma dove lo avete pescato quel negro? Ha un arnese che sembra una mazza da baseball. L’ha letteralmente sfondata.’
‘Aspetti, si sta muovendo, forse si sveglia.’
‘Eva, mi sente?’
La voce ora è più vicina, apro gli occhi e mi vedo la faccia del colonnello ad un palmo da me.
‘Ora io le farò delle domande e lei mi dovrà rispondere, dicendo tutto, capisce?
Se mi dice bugie o omette qualche particolare, le farò quel piccolo intervento chirurgico alle sue belle tette e poi la rimanderò nella stessa cella di questa notte.
La manderò in quella cella tutte le notti, finché non mi dirà tutta la verità.
è pronta?’
E’ stato tutto di una semplicità disarmante.
Il colonnello ha cominciato a chiedere ed io ho risposto a tutto. Ho tradito i miei compagni, i miei amici, i miei parenti, senza il minimo indugio.
Lui chiedeva ed io rispondevo.
è durato ore, ad un certo punto ho perso conoscenza, ero troppo prostrata.
Quando sono rinvenuta, il colonnello mi ha fatto un’iniezione, mi sono subito sentita meglio ed ha ripreso a farmi le domande.
Abbiamo interrotto pochi minuti per il pranzo. Ero così stanca che non ero in grado di mangiare da sola ed una guardia mi ha dovuto imboccare.
è ripreso l’interrogatorio, ogni tanto lui tornava su argomenti già trattati, mi faceva le stesso domande, per vedere se cadevo in contraddizione, poi alla fine si è alzato soddisfatto.
‘Ora Eva le medicherò le ferite e rimarrà qui, finché non avremo la certezza che ha detto la verità.
Mi ha messo cinque punti sul labbro spaccato, ha medicato lo zigomo ed altre tre o quattro ferite più leggere, poi ha osservato mia vagina.
‘Come nuova non tornerà, ma solo se le sue informazioni si riveleranno esatte, vedrò cosa posso fare, d’altra parte non sono un ginecologo. Per il suo ano, invece, non c’è nulla da fare, con il tempo si aggiusterà un po’, ma non si aspetti miracoli.’
Per ultimo mi ha fatto portare una divisa pulita.
Sono rimasta in quella cella, legata con le cinghie alla sedia di ferro per tre gironi e tre notti.
Per fortuna i carcerieri sono stati comprensivi e mi hanno sempre slegato una mano quando mi portavano da mangiare.
Con quello più giovane è andata liscia, ma l’altro ha preteso sempre il pompino da me.
La sera del terzo giorno è ricomparso il colonnello.
Aveva l’aria irritata e contrariata e teneva in mano dei fogli di carta.
Si è diretto subito verso di me e mi ha urlato in faccia un nome, poi mi ha messo davanti al naso una foto.
‘Allora, questo non lo conosci, piccola bastarda?’
E’ furioso e continua a sventolarmi davanti la foto del mio più caro amico, Oscar, che è stato anche il mio primo amore, ai tempi del liceo.
Mi chiedo se è per questo che non ho fatto il suo nome, oppure è stata solo una stupida dimenticanza.
Già una dimenticanza che potrebbe costarmi molto cara.
‘Guardia, guardia!’
Urla sempre in faccia a me, ma evidentemente si riferisce a qualcuno che è fuori della cella.
La porta si spalanca e compare il secondino giovane.
‘Vai nella mia stanza e prendi la valigetta nera e le cinghie, perché dobbiamo operare questa sudicia bastarda.’
Poi prende la mia divisa e tira forte strappando letteralmente i lacci che la tengono chiusa.
‘Credevi di prenderci per il culo, vero?’
Solo ora realizzo la cosa mostruosa che sta per accadermi e comincio a piagnucolare, a supplicarlo, anche se sono sicura che non servirà a niente.
‘Ci dovevi pensare prima. Ora dirai addio alle tue tette.’
Il secondino è tornato con una valigetta di pelle e delle cinghie di cuoio.
Con una mi stringe forte la pancia all’altezza dell’ombelico, poi la fa passare dietro, legandomi stretta alla spalliera della sedia di ferro.
Le altre due, più piccole, le fa passare sulle spalle e dietro le ascelle.
Quando ha finito il mio busto è completamente immobilizzato.
Intanto il colonnello si è tolto la giacca e si è arrotolato le maniche della camicia. Ha indossato una specie di sinale, tipo quello che usano i macellai, ed ha le mani ricoperte da guanti di lattice.
Tra le dita stringe un oggetto che può essere solo un bisturi.
In quel preciso momento me la sono fatta sotto, non in senso figurato, ma sul serio, ho sentito caldo in mezzo alle gambe e subito dopo lo scroscio della mia pipì che colpiva il pavimento di pietra.
Il colonnello fa un passo di lato per non bagnarsi le scarpe ed aspetta, con il bisturi in mano, che io finisca.
Ritrovo la forza per parlare: ‘per favore, non mi faccia questo. Parlerò, le dico dove si trova, dove trovarlo, le dirò tutto quello che vuole, ma questo no!’
‘Va bene, oggi è il tuo giorno fortunato, voglio crederti, hai tempo fino a questa sera, poi torno qui e ti taglio le tette. Augurati solo che lo prendiamo entro stasera.’
Ha rimesso via il bisturi, si è tolto i guanti ed il sinale, ma mi ha lasciato legata con le cinghie.
Ho passato le peggiori ore da quando sono in prigione, ora ho tradito anche il mio miglior amico, l’unico che stupidamente avevo cercato di salvare. Scusami Oscar, ti ho venduto per le mie tette.
Ho dato al colonnello tutte le informazioni su Oscar, ma forse lui, avendo capito che sono stata catturata, si starà nascondendo. Certo, sicuramente è così.
Questa sera, tornerà il colonnello, mi dirà che non l’hanno preso e completerà il suo lavoro.
Intanto gli insetti hanno ripreso a camminarmi addosso o almeno ora, visto che sono terrorizzata e sensibilizzata, mi sembra di sentirli di più.
Ne ho uno sul collo e tre proprio sui seni, sembra quasi che abbiano capito la mia angoscia, e si divertano a passeggiare proprio lì.
Quello che sta sul collo mi punge proprio sotto il mento ed io sussulto.
Vedo i seni oscillare leggermente, uno degli insetti perde per un attimo la presa e scivola in basso, ma riesce ad appendersi al capezzolo. Il suo corpo oscilla un po’ poi riguadagna la posizione e ne approfitta per pungermi a sua volta.
Mi immobilizzo di nuovo, perché so benissimo che l’unica possibilità è stare ferma e non irritarli.
Le ore passano e posso solo aspettare. Intanto il capezzolo che l’insetto mi ha punto, si è gonfiato orribilmente e mi fa un male cane.
Tranquilla, Eva, ora viene il colonnello e non ti farà più male.
è un incubo orribile, ogni tanto penso di svegliarmi nel mio letto ed accorgermi che è stato solo un brutto sogno.
Ad un certo punto entra il colonnello seguito da due secondini.
La sua espressione non lascia trasparire nulla e lui per un po’ non parla, vuole tenermi sulle spine.
Quando una guardia mi libera le spalle e la pancia, sciogliendo le cinghie, capisco che, per ora, sono salva.
‘Signorina, lei è davvero fortunata, il suo amico stava prendendo il volo, l’abbiamo catturato appena in tempo. Anche le sue tette sono molto fortunate.
Però lei, comunque, mi ha mentito, non mi aveva detto tutto.
Non posso fargliela passare liscia.
Pensi, se avesse confessato fino in fondo, dall’inizio, ora starebbe riposando in una cella comoda, con il bagno ed il riscaldamento, invece …’
Si ferma facendo una pausa teatrale.
‘… invece dovrà passare un’altra notte nella cella numero 7.’
Di nuovo vengo trascinata dai secondini lungo i corridoi della fortezza.
Questa volta non mi hanno neanche messo la divisa.
All’inizio ho cercato di divincolarmi, ma sono troppo debole per ottenere qualche risultato.
Prima che mi portassero fuori, il colonnello ha fermato le guardie.
‘Aspettate un attimo, voglio togliere i punti a questa piccola bastarda.’
Ha tagliato il filo e con una pinzetta mi ha levato i punti che tenevano chiusa la mia ferita al labbro.
‘Voglio che tutte le mattine, quando ti guardi allo specchio, ti ricordi di me.’
Poi, con le dita, ha allontanato i due lembi della ferita ed i secondini mi hanno portata via.
Ora ripercorro i lunghi corridoi e penso a quei 18 che mi aspettano, mentre sento il sangue che mi esce dal labbro spaccato e mi cola lungo il mento.
La prima volta che mi hanno portato nella loro cella era notte fonda, ora, dalla luce che vedo filtrare nelle aperture delle mura spesse della fortezza, dovrebbe essere al massimo tardo pomeriggio, quindi avranno molto più tempo per finire di distruggermi.
Riconosco la porta da lontano e faccio un ultimo tentativo disperato, puntando i piedi in terra, ma mi trascinano via come un fuscello.
Aprono la porta e mi catapultano dentro.
Sono rimasti un attimo sorpresi del bel regalo che hanno ricevuto, perché erano ancora indaffarati a cenare.
Il primo a dirigersi verso di me è proprio il negro enorme.
L’altra sera, a causa della semi oscurità, ho potuto solo intuire le sue dimensioni, ma ora la cella è perfettamente illuminata e vedo tutto molto più chiaramente.
Mentre avanza verso di me, si toglie la maglietta sudicia. Sarà alto due metri, ha un torace possente, con i muscoli pettorali molto sviluppati e due bicipiti enormi. Quando si toglie i pantaloni, scopro che ha anche qualcos’altro di enorme.
Si avvicina a me tenendo in mano il suo pene spropositato già eretto ed io indietreggio appiattendomi contro la porta che nel frattempo si è richiusa.
Le sue manone mi prendono sotto le ascelle e mi tirano su di peso, senza il minimo sforzo.
Sono sollevata da terra, appiccicata al suo corpo possente, sento in miei seni schiacciati contro il suo petto, ma avverto anche il suo pene che sbatte contro le mie cosce.
Poi mi lascia scendere lentamente, io cerco di aggrapparmi al suo collo taurino ma scivolo inesorabilmente in basso, mentre gli altri carcerati ridono e lo incitano.
Mi prende le cosce con le mani, mi allarga le gambe e mi stringe a sé.
è un attimo, le mie mani mollano la presa ed io mi impalo, tra le risate sempre più fragorose.
Ora mi ha messo le mani sotto le chiappe e mi tira su, poi mi lascia andare ed io ridiscendo. Sta attento a non far uscire il suo pene dal mio corpo ed ogni volta ho la sensazione che mi entri più in profondità.
Sono minuti interminabili, poi, ad un certo punto mi tiene ferma ed inizia a muoversi lui, sempre più velocemente, finché non lo sento venire.
Ora sono staccata dal suo corpo, ma sempre sollevata da terra.
Qualcun mi ha preso da dietro, tenendomi sempre sotto le ascelle, mentre un altro mi allarga le gambe.
Guardo in basso, la mia povera vagina continua ad eruttare sperma, ma la posso vedere solo per un attimo, perché un altro carcerato, che si è appena denudato, mi penetra immediatamente.
‘Dai, Obanga, inculala, facci ridere.’
Il negro enorme mi passa davanti mentre è intento a masturbarsi, per farlo tornare subito in erezione e sparisce alla mia vista.
E’ questione di attimi, una fitta terribile dietro, mentre sento le sue manone che mi allargano le chiappe per facilitare l’introduzione.
Grido, piango, ma non c’è niente da fare.
Passano le ore, io sono distrutta, ma loro sembrano sempre più eccitati e divertiti.
Ad un certo punto scoppia di nuovo una rissa, ormai sono esperta e cerco subito di levarmi di mezzo ma non sono abbastanza rapida, così rimedio un pugno in un occhio.
Quando riesco a guadagnare il lavandino della cella, vedo che a tutte le mie ferite, si è aggiunto un occhio blu ed un sopracciglio spaccato.
Ormai è notte, le guardie hanno spento la luce, forse è meglio così, perché nella penombra, l’esperienza mi sembra meno terribile.
Sono stanca, indolenzita, inzuppata del loro sperma ma loro non hanno intenzione di fermarsi, uno dopo l’altro continuano ad infilare i loro cazzi nei miei buchi sempre più allargati e naturalmente non tralasciano la mia bocca.
Ho inghiottito tanto di quello sperma che mi sembra di avere il ventre gonfio.
Ad un certo punto si inventano un gioco nuovo. Io sono in ginocchio in mezzo alla grande cella ed uno di loro mi ordina di spalancare bene la bocca.
Io ubbidisco e chiudo gli occhi, aspettandomi l’ennesima colata di sperma, invece vengo investita da un getto di liquido caldo. Provo a richiudere la bocca, ma qualcuno mi prende la testa tra le mani e mi costringe a riaprirla.
Grido, tossisco, cerco di sputare, mentre al primo se ne aggiunge un secondo.
Apro un attimo gli occhi. Due di loro, completamente nudi, mi stanno pisciando addosso, e cercano di centrare la mia bocca aperta con i getti.
Vanno avanti per un po’, poi quando hanno finito si fa sotto il negrone.
Il suo coso gigantesco mi inonda la faccia, poi aggiusta il tiro e centra in pieno la mia bocca.
Io ormai lo lascio fare, rimango immobile, bevo senza più cercare di sputare, poi il getto si abbassa i mi inonda i seni.
Si fanno avanti altri, qualcuno da dietro, mi bagna i capelli e poi continua lungo la mia schiena.
Quando hanno finito mi rovesciano addosso un paio di secchiate di acqua gelata per sciacquarmi e ricominciano a scoparmi.
Sono completamente zuppa e tremo di freddo, vorrei dormire, non ce la faccio più e, quando scoppia l’ennesima lite tra di loro vengo presa completamente di sorpresa.
Uno spintone mi manda a sbattere contro l’intelaiatura di uno dei letti a castello.
Lo spigolo del montante mi colpisce tra bocca e naso.
Quasi svengo per il dolore e mi portano al lavandino per cercare di sciacquarmi la faccia.
Il naso è gonfio e sanguina abbondantemente, sicuramente deve essersi rotto, ma è andata peggio al mio labbro inferiore, ora spaccato anche più profondamente dell’altro.
Un canino è saltato ed anche l’incisivo a fianco, è rotto, spezzato a metà, con un profilo aguzzo e frastagliato.
Chiedo qualche minuto di tregua e me lo accordano, evidentemente, a differenza del colonnello, riescono, nonostante il loro abbrutimento, a provare un po’ di pietà.
Il negrone mi fa sdraiare sul suo letto per farmi riprendere ma, per non perdere tempo, mi apre la mano destra e mi poggia nel palmo il suo coso spropositato.
‘Stringi’, mi dice con voce gutturale, io ubbidisco e comincio a masturbarlo.
Il dolore al naso è un po’ diminuito, ma devo respirare con la bocca e quando lui mi apre la mano e mi dice ‘ora succhia’, penso che non ci riuscirò.
Invece ci riesco, non è facile fare un pompino con entrambe le labbra spaccate ed il setto nasale fratturato, ma il pensiero di quello che potrebbe accadermi si si arrabbiasse, mi danno l’energia per riuscire.
Lui ha finito, mi fa alzare dal letto, ho la bocca ancora piena del suo sperma, ma gli altri sono impazienti di ricominciare.
Mentre continuano a violare a turno la mia vagina ed il mio ano, ormai terribilmente dilatati, penso a quanto tempo manca alla mattina.
Ora verranno le guardie a portarmi via, devo resistere, mi dico.
Ma il tempo passa e la porta non si apre.
E se il colonnello avesse dato l’ordine di lasciarmi lì?
Quando ormai ho quasi perduto le speranze, la porta si spalanca.
‘OK, ragazzi, ora basta, devo portare via la troia. Per oggi basta così.’
Le parole per oggi, mi gettano nel panico: tornerò di nuovo lì, questa notte?
Mentre mi portavano fuori della cella, devo essere svenuta.
Quando mi risveglio mi sembra di fluttuare nell’aria, poi sento il cigolio ed il rumore della ruota sul pavimento di pietra, e capisco che mi hanno messo di nuovo sulla carriola.
Ci siamo fermati, non riesco ad aprire gli occhi, e mi sforzo di capire dai rumori dove mi trovo.
Un leggero ronzio e la sensazione di essere in movimento. Ascensore, sono su un ascensore.
Questo significa che non mi rimetteranno sulla sedia di ferro.
Non so se è bene o male, ma tanto ho poco da perdere ormai.
Lentamente mi addormento. Mi sveglio in un ambiente completamente bianco, pulito e bene illuminato.
Il letto su cui giaccio è separato dal resto della stanza da un paravento.
Provo a mettermi seduta, mi gira la testa e mi accorgo che il braccio sinistro è immobilizzato.
Una paio di robuste manette bloccano il polso all’intelaiatura del letto.
Sono pur sempre in prigione.
Appare un omino distinto, con occhiali cerchiati d’oro ed una barbetta corta è durata.
‘Sei fortunata, ti poteva andare molto peggio, un’altra ora la dentro e non l’avresti raccontata.
Ti terremo in osservazione, qui in infermeria, per un giorno o due.’
Beh, per ora mi danno un po’ di tregua, meglio non pensare al dopo.
‘Mi spiace per le tue ferite, ma il colonnello a dato ordine di non suturarle. Qui dentro comanda lui e non posso oppormi. Questo significa che ti rimarranno dei brutti segni in faccia.’
Già, il colonnello, la sua vendetta nei miei confronti è stata terribile, spietata.
‘Anche la tua vagina è messa male, ma pure per quella i suoi ordini sono stati tassativi.
Impiegherà parecchio tempo a rimarginarsi e non sarà molto bella a vedersi.
Mi dispiace.’
Mi ha fatto portare in bagno, accompagnata da una guardia, donna per fortuna.
Mi sono seduta sulla tazza, con lei che controllava attraverso la porta aperta, ma non ho avuto il coraggio di guardare in mezzo alle mie gambe. Sono stati sufficienti a scoraggiarmi, le parole del medico e le fitte lancinanti che sento.
Poi mi sono guardata allo specchio del lavandino.
La mia faccia è un disastro: il naso rosso e gonfio è deviato di lato, mentre la bocca presenta due spacchi profondi sulle labbra, completamente aperti. Completa l’opera il sopracciglio spaccato. Mi sento un mostro.
Nell’infermeria ci sono rimasta ben tre giorni, le mie condizioni non sono buone, continuo a perdere sangue dalla vagina e dall’ano e fatico a mangiare per i dolori alla bocca ed ai denti, la notte poi, mi sveglio, perché il setto nasale rotto mi impedisce di respirare correttamente.
Il medico vorrebbe tenermi ancora ma mi fa capire che il colonnello, sempre lui, insiste perché torni in cella.
La sera del terzo giorno mi viene a far visita.
‘Buona sera Eva, la vendo in splendida forma. Pronta a riprendere la sua attività.’
Io lo guardo atterrita, solo pensare alla possibilità di trascorrere un’altra notte come quelle belve mi fa star male.
‘I suoi amichetti della cella numero 7, non vedono l’ora di incontrarla nuovamente.’
Io scoppio a piangere, mentre il dottore cerca di intercedere.
‘Sig. colonnello, mi scusi, ma la detenuta non è in grado di affrontare nulla del genere …’
‘Dottore, lei si occupi del suo lavoro, tra 2 ore la voglio in piedi e fuori di qui. Capito?’
A questo punto il dottore è uscito dalla stanza, lasciandomi sola con il colonnello.
‘Allora, mia cara Eva, si sente pronta a ricominciare? Non le ho ancora detto che la sua completa confessione le ha salvato la vita, ma lei resta comunque colpevole e dovrà restare almeno un anno qui dentro.
Su, non faccia quell’espressione così triste. Non mi dica che non si è divertita neanche un po’?
Comunque, se fa la brava, non la rimanderò in quella cella dal suo amico bingo bongo ed i suoi degni compari, però dovrà comunque rimanere qui.’
Quando esco dall’infermeria indosso una divisa pulita, con i lacci regolarmente annodati e sono perfettamente lavata e pettinata.
Diciamo che il mio aspetto è migliorato rispetto a quando sono entrata, anche se i segni in faccia non sono migliorati granché.
Cammino scalza in mezzo a due secondini, mentre cerco di immaginarmi il mio prossimo futuro.
Sicuramente in prigione, anche se spero mai più nella cella numero 7.
i miei seni si muovono liberi sotto al vestito, mentre sono costretta ad allungare il passo perché le guardie hanno fretta.
Ci infiliamo in ascensore e, ad un certo punto, vedo uno dei due armeggiare con la bottoniera.
La cabina si ferma di colpo, mentre l’altro mi prende da dietro.
Mi infila le mani sotto al vestito, comincia a toccarmi in mezzo alle cosce ed io mi dibatto, poi le mani salgono, sempre dentro al vestito, superano la mia pancia, finché non mi sento afferrare forte i seni.
‘Ha due gran belle tette la troia’, dice rivolto all’altro che intanto si è aperto i pantaloni.
Sempre stringendomi i seni mi costringe ad abbassarmi, facendomi finire in ginocchio.
‘Su bella, apri la boccuccia a fammi vedere se sai succhiare bene.’
Visto che esito ad aprire la bocca, mi afferra il naso, io grido di dolore ed apro subito le labbra.
Con la bocca nelle mie condizioni, il pompino è un tormento ma non voglio che mi tocchi ancora il naso fratturato e così provo a fare del mio meglio.
Mi ricambia riempendomi la bocca di sperma che cola lentamente fuori dalle mie labbra spaccate, sporcandomi il collo e la divisa pulita, mentre l’ascensore riparte.
Quando usciamo vedo con piacere che non ci troviamo al livello della cella numero 7, sembra una parte molto più in alto della fortezza, e sicuramente tenuta molto meglio.
Percorriamo un breve corridoio e poi mi fanno fermare davanti ad una piccola porta bianca.
Uno dei due prende un grosso mazzo di chiavi ed apre la porta.
Se questa è la mia nuova sistemazione, non mi posso lamentare: una stanza piccola, spoglia, ma tutto sommato confortevole, con un letto che sembra discretamente comodo, un armadio di metallo ed un piccolo bagno.
L’altra guardia, quella che mi teneva ferma in ascensore, mi ordina di togliermi la divisa.
Il tempo di spogliarmi e mi accorgo che anche lui si è tolto i pantaloni.
Mi indica il letto ed io ci salgo sopra carponi.
‘Ecco, brava, troia, ferma così, allarga le gambe.
Mi penetra da dietro e la mia vagina, secca e ferita protesta.
Io grido di dolore ma lui sembra eccitarsi maggiormente, mentre l’altro mi si mette davanti e mi costringe ad aprire la bocca di nuovo.
‘Su, datti da fare, se ti comporti bene puoi diventare la troia delle guardie, o preferisci continuare con i carcerati?’
Quello dietro mi ha piazzato le mani sui fianchi e mi fa muovere avanti ed indietro, così che il suo pene entra ed esce nel mio sesso martoriato. Ho voglia di urlare ma è troppa la paura che mi riportino nella cella con il negro enorme.
Alla fine, dopo essersi entrambi svuotati dentro di me, mi lasciano sul letto e se ne vanno, ricordandomi che da questa notte inizierò a lavorare per loro. Sono diventata la donna delle guardie, o meglio, come mi chiamano loro, la troia.
Avevo sperato che la violenza subita dai due secondini che mi avevano accompagnata in cella fosse solo un episodio, ma mi sbagliavo.
Ho appena finito la cena, finalmente un pasto caldo ed abbondante, dopo le sbobbe orribili che mi propinavano quando ero legata alla sedia di ferro, e le minestrine dell’infermeria.
Sono sazia e soddisfatta, almeno come può essere soddisfatta una donna imprigionata, violentata ripetutamente e riempita di botte, ma penso che bisogna sempre accontentarsi di quello che è possibile ottenere.
Come dicevo, ho appena finito la cena che si apre la porta.
Io mi alzo in piedi e mi trovo davanti un secondino anziano, completamente calvo, che mi guarda sorpreso.
‘Beh, che cazzo fai con quella schifezza addosso? Hai un armadio pieno di vestiti. Togliti subito la divisa.’
Io non capisco ma in questi giorni ho imparato che è meglio ubbidire senza fare storie e lascio cadere la divisa grigio verde ai miei piedi.
Lui guarda con aria poco convinta il mio corpo magro poi si sofferma sul mio seno e lo vedo sorridere.
So già più o meno cosa dirà ora.
‘Però, almeno hai due belle tette.’
Quell’almeno mi fa pensare che non è soddisfatto del mio aspetto, non so se rallegrarmene o preoccuparmene, poi lo vedo dirigersi verso l’armadio.
Già, l’armadio, non avevo neanche provato ad aprirlo ed ora lo fa lui.
Con mia grande sorpresa vedo che è pieno di vestiti.
‘Guarda, hai un guardaroba favoloso, non sono nuovi, ma qualcuno non è male.
Sono quelli che togliamo alle puttane quando vengono arrestate, ma tu non ti preoccupare, se qualcuna di loro quando esce non li ritrova, non verrà a lamentarsi con te.’
Io lo guardo sempre più sorpresa, ma lentamente inizio a capire.
‘Non vorrai mica diventare la nostra troia preferita vestendoti con quello schifo di divisa. La vediamo tutti i giorni addosso ad un mucchio di gente e, nei nostri momenti di relax, vorremmo vedere qualcosa di più eccitante.
Facciamo così, ora scelgo io per te.’
Mi porge una maglietta rossa scollata ed un a minigonna bianca, cortissima.
La maglietta è macchiata di sudore sotto le ascelle e puzza, ma non mi sembra il caso di fare questioni.
Sembra più o meno della mia taglia, anzi forse è un po’ stretta, perché mi stringe parecchio sui seni, facendo intravedere i capezzoli in rilievo. Ho sempre avuto i capezzoli sporgenti, al mare, quando tornavo dal bagno, vedevo sempre gli sguardi degli uomini puntati su quei cosini che sembravano voler bucare la stoffa bagnata del costume.
La gonna invece mi va un po’ larga, si vede che la proprietaria aveva il sedere più grande del mio.
La guardia fruga nella parte bassa dell’armadio e mi lancia un paio di stivali bianchi,
è roba dozzinale: pura plastica, sicuramente comprati in qualche bancarella.
Hanno il tacco altissimo e sono almeno di una misura troppo grandi, ma non credo che dovrò andarci molto lontano.
Il secondino mi fa alzare tenendomi una mano, poi mi fa girare su me stessa.
‘Ora va molto meglio.’
Se non fosse per la totale mancanza di trucco, potrei essere scambiata per una di quelle prostitute da quattro soldi che battono i marciapiedi di periferia.
Mi fa poggiare le mani alla spalliera di metallo del letto.
‘Ecco, ora allarga un po’ le gambe e chinati in avanti.’
Io ubbidisco e lui mi solleva la gonna.
Quando mi posa le mani sulle chiappe so già cosa sta per farmi. Per un attimo penso al negro enorme con il coso enorme e sono presa dalla paura, invece va tutto liscio.
Il mio ano si allarga docilmente, perché io ormai sono una donna docile in tutto, e lo lascia entrare senza troppo sforzo.
‘Però, chiappe piccole, ma culo largo e confortevole’, mi dice, come per farmi un complimento, mentre va avanti ed indietro velocemente dentro di me.
Viene quasi subito, mi dice che ha fretta perché deve prendere servizio, si asciuga il pene bagnato sul mio sedere e se ne va.
Io rimango immobile per un po’, con le mani strette al tubo di ferro del letto, chinata in avanti e con le gambe divaricate, mentre lo sperma esce dal mio ano e mi cola lentamente lungo le cosce.
Mi tiro su di scatto solo quando sento riaprirsi la porta di nuovo.
Un altro, molto più giovane, questa volta.
Mi solleva la gonna davanti, vede il mio sesso malridotto ed ha un moto quasi di schifo, poi mi guarda dietro.
‘Guarda che dopo ti devi lavare.’
Io vorrei ribattere che non me ne ha dato il tempo, ma penso sia inutile discutere, tanto lui ha trovato la soluzione.
Le vedo aprirsi rapidamente i pantaloni.
‘Per questa volta mi farai un pompino, ho fretta e non posso aspettare.’
Prima però, mi ammanetta i polsi dietro la schiena.
‘Devi fare tutto con la bocca, vediamo se sei brava?’
Mi inchino e con le labbra spaccate ed i denti in quelle condizioni, cerco di abbassargli le mutande.
Non è facile, specie per gli incisivi mancanti ma alla fine riesco a liberare il suo pene, che è ancora mezzo moscio.
‘Su, datti da fare, ti hanno forse tagliato la lingua?’
Inizio a leccarlo partendo dalla base e risalendo verso la punta e lo vedo prendere vita rapidamente, ma i problemi iniziano quando devo fargli il pompino vero e proprio, perché la bocca mi fa troppo male. Ogni tanto mi fermo a riprendere fiato e lui protesta, costringendomi subito a riprendere.
Ad un certo punto si stacca di colpo.
‘Ahi, ma che cazzo hai in bocca? Fai vedere.’
Io spalanco la bocca e lui mi passa un dito sui denti, soffermandosi sull’incisivo spezzato.
‘No, questo proprio non va bene, bisogna farlo sistemare. Ora continua ma cerca di stare attenta.’
Io continuo cercando di tenere lontani i denti dal suo pene e alla fine mi gratifica con una bella sorsata di sperma.
Ripenso all’inizio, quando il colonnello mi ha costretta a bere un intero boccale di sperma, mentre lui mi toglie le manette e se ne va.
Sono corsa subito a lavarmi per evitare di irritare la prossima guardia, ma per un po’ non è venuto nessuno e così alla fine mi sono tolta i vestiti della puttana e mi sono ficcata sotto le coperte.
Mi sono svegliata in piena notte con una sensazione di freddo. La coperta ed il lenzuolo non ricoprivano più il mio corpo.
Sono a gambe larghe ed un uomo enorme, grasso, è sopra di me.
Si tiene il pene con le mani e me lo infila nella vagina.
Stringo i denti per non gridare, è entrato facilmente visto che il mio sesso, allargato e spaccato dalla furia dei carcerati, non è stato ricucito in infermeria, ma la ferita fa un male cane.
Mi carezza i seni mente mi scopa e lentamente mi calmo, anzi provo pure un po’ di piacere.
Viene subito, troppo presto per i miei gusti, si asciuga il pene sulla mia pancia e scende dal letto.
Sento le molle cigolare e poi la porta della cella che si chiude.
Questo è stato il mio inizio come donna delle guardie. Mi sto abituando alla mia nuova vita. Tutto sommato, rispetto ai primi orribili giorni, è una cosa accettabile.
Dopo le lamentele di diverse guardie, mi hanno riportata in infermeria per sistemarmi il dente spezzato.
Quando mi passavo la lingua in bocca e sentivo il profilo tagliente dell’incisivo rotto mi dicevo sempre: come esco da qui mi faccio sistemare i denti.
Naturalmente il dentista del carcere non mi ha messo denti nuovi, si limitato ad estirpare il dente spezzato, in modo che i secondini non possano lamentarsi dei miei pompini.
è stato gentile, perché, contravvenendo gli ordini del colonnello, mi ha anche praticato l’anestesia.
Così ora nella mia bocca ne mancano tre, uno sopra e due sotto.
Tutte le mattine mi alzo, mi lavo, mi trucco, sì, perché mi hanno fatto avere tutto il necessario, sequestrato probabilmente a qualche altra prostituta, poi scelgo l’abito del giorno e aspetto.
Aspetto che le guardie vengano a trovarmi, c’è sempre qualcuno, di giorno, ma anche di notte, che sente la necessità di ficcarmelo da qualche parte.
Io posso solo aspettare ed accontentarli.
In cambio ho da mangiare in maniera abbondante, un alloggio decoroso e, soprattutto, non corro più il rischio di essere sbattuta di nuovo nelle celle con i carcerati.
Con il trucco cerco di coprire i segni in faccia ma non è facile.
Quelli più leggeri sono spariti nel giro di qualche giorno, ma le ferite sul sopracciglio e, soprattutto quelle delle labbra, si vedono tantissimo.
L’idea crudele del colonnello di non farle ricucire, mi ha probabilmente condannata a rimanere sfregiata per sempre, salvo un qualche intervento di chirurgia plastica da fare in futuro, quando uscirò da qui, sempre se mi faranno uscire.
Mi guardo allo specchio ed osservo il mio naso storto, con il segno netto nel punto in cui l’osso si è spezzato, poi guardo la mia bocca con le labbra profondamente spaccate, che non posso nascondere con nessun rossetto, mi viene da piangere, almeno facevo così i primi giorni.
Poi, vedendo che alle guardie non importava nulla del mio aspetto, mi sono rassegnata.
Ora ho anche imparato a lavare i miei vestiti.
Quando me li hanno dati, molti erano già sporchi, ma anche quelli che sembravano puliti, visto l’uso che ne faccio, si sporcano facilmente, così mi hanno dato un catino ed un pezzo di sapone per i panni.
Ogni giorno, nelle pause tra una guardia e l’altra, ne lavo uno e lo metto ad asciugare in bagno su una stampella. Certo, non li posso stirare ma, almeno, sono puliti.
Questa mattina mi ero vestita ‘bene’: scarpe rosse con il tacco alto ed il cinturino dietro, autoreggenti scure con la riga posteriore, microgonna leopardata ed un top nero che mi lascia quasi completamente scoperti i seni.
è una delle tenute più ‘puttanesche’ che possiedo e, mentre stavo pensando che a volte trovo tutta la faccenda divertente, comincio a sentire pruriti e fastidi. Intendo lì, proprio lì.
Visto quello che ho passato nei primi giorni, e l’uso intenso della parte, a volte ho dei fastidi, ma questa mattina sto veramente male.
Ho avuto paura, mi sono già immaginata affetta da qualche orribile malattia venerea, ho ripensato ai carcerati ‘
Il negro enorme, sicuramente è stato lui, chissà che malattie mi ha trasmesso.
Accenno della cosa alla prima guardia che viene a farmi visita, ma lui non mi sembra molto impressionato.
‘Se ti prude la fica, vorrà dire che te lo ficcherò nel culo, per me è uguale’, mi dice mentre si apre i pantaloni.
Ma più il tempo passa e più aumentano i fastidi.
Il secondo a cui lo racconto sembra più sensibile ai miei problemi e mi dice che lo farà presente in infermeria, ma dopo.
Così mi piego in avanti e vengo inculata per la seconda volta di seguito.
Ormai sono così abituata che credo potrebbe ripresentarsi anche il negro enorme senza che io senta troppo male.
Il terzo dice che non glie ne frega niente e che la mia è una scusa perché non voglio essere scopata, così, mi fa distendere sul letto, mi solleva la gonna leopardata e me lo ficca dentro.
Io mi lamento perché mi brucia sempre di più, ma lui mi infila le mani nel top e mi strizza i capezzoli, per farmi stare zitta.
Per fortuna, dopo che se ne è andato mi portano in infermeria.
Il medico mi osserva a lungo e conclude che non ho nessuna malattia pericolosa, ma solo una infiammazione dovuta anche al poco igiene.
Risultato: mi hanno fatto avere un vecchio bidet portatile, di ferro smaltato, un disinfettante intimo e me l’hanno messa a riposo per tre giorni.
Questo significa superlavoro per bocca e culo, perché le guardie continuano comunque a venire da me e non vogliono sentir ragioni.
Comunque, nel giro di qualche giorno i fastidi sono passati e posso riprendere a pieno ritmo.
Ora sto più attenta, mi lavo più spesso e mi hanno anche dato un depilatore a batteria.
Io avrei preferito un rasoio, ma in carcere è vietato tenere lame, e così mi devo accontentare.
Ho eliminato completamente i peli pubici, per rendere più facile l’igiene personale, anche se qualcuno dei miei clienti non ha apprezzato perché mi preferiva ‘nature’. Visto che c’ero ho fatto anche una passatina alle gambe.
Tutto sommato il mio aspetto non è disprezzabile: i seni sono belli sodi, nonostante non porti più il reggiseno e anche il mio corpo non si è minimamente appesantito, pure se non vado più in palestra.
Il mio sesso purtroppo, adesso che è depilato non ha un bell’aspetto, perché la ferita causatami dai carcerati (e credo che il maggior responsabile sia stato il negro, con quel suo arnese spropositato), che prima era in parte nascosta dai peli, ora si mostra in tutta la sua bruttezza. Quando la osservo o quando mi guardo allo specchio, non riesco a non pensare alla crudeltà del colonnello.
Insomma la mia vita scorre tranquilla, potrei dire.
Certo, non ho idea di quanto tempo dovrò rimanere qui, ma per ora sono al sicuro.
Una sera mi ha fatto visita proprio lui, il colonnello.
Sembrava quasi felice di vedermi.
Ha osservato soddisfatto quello che considera un po’ il suo lavoro, cioè la mia faccia deturpata dalle cicatrici.
Ormai ho capito che è una persona cattiva, che gode a veder soffrire gli altri, perfetto per il suo lavoro di inquisitore politico.
Mi aspettavo che volesse scoparmi, ma poi ricordo che lui mi ha presa per primo, prima che fossi lasciata alla mercé di carcerati e secondini. Evidentemente il colonnello non vuole sporcarsi né prendere rischi.
Mi lascia dicendomi che se mi comporto bene, dopo un anno mi lasceranno uscire.
A questo punto mi preparo per la notte.
Qualcuno viene anche di notte, perché io devo essere a loro disposizione h 24.
Le loro esigenze vengono prima delle mie, se sto mangiando, devo interrompere, anche se il pasto mi si fredda, e se sto dormendo, mi devo alzare ed occuparmi di chi è entrato.
In genere la notte si ficcano direttamente nel mio letto.
Io ho sempre dormito nuda, e così mi capita di svegliarmi all’improvviso mentre qualcuno mi sta aprendo le cosce, oppure, dopo avermi rigirata, lo sento mentre me lo spinge in mezzo alle chiappe.
è così, la mia vita è ormai così. Ormai sono un paio di mesi che mi trovo in prigione, le giornate passano tranquille, se tranquilla si può definire la vita di una giovane donna chiusa in una cella 24 ore su 24 e costretta a soddisfare gli appetiti sessuali di decine di uomini.
Se devo essere sincera mi è sempre piaciuto parecchio fare sesso e con alcuni di loro non mi trovo affatto male.
Certo sono completamente sottomessa, non posso dire no, oggi non mi va, oppure con te non voglio farlo.
Comandano loro ed io devo ubbidire sempre. Non riesco ad immaginare cosa succederebbe se mi rifiutassi, ma non voglio per nessun motivo al mondo tornare nelle grinfie dello spietato colonnello, e poi, come già ho detto, non mi dispiace troppo farlo in queste condizioni. Forse mi piace essere sottomessa, me lo chiedo spesso, mi guardo allo specchio e mi dico: Eva, sei proprio una pervertita.
Anche le sofferenze fisiche a cui sono stata sottoposta nei primi giorni, certo mi hanno causato dolore, ma devo ammettere che mi trasmettevano una certa eccitazione.
è qualche giorno che non mi sento bene, no, non si tratta dei pruriti e dei bruciori della volta precedente. Ora mi sento debole, ho degli sbandamenti ed anche degli attacchi di nausea.
Dopo una giornata particolarmente intensa, a causa della festa di addio al celibato di una giovane guardia, mi sono sentita male e sono finita in infermeria.
Il verdetto del medico è stato inaspettato, e sorprendente per me.
‘No, nessuna malattia’, mi ha detto ridacchiando, ‘si tratta della cosa più banale e normale, per una donna giovane e sana, che fa una vita come la tua.
Sei incinta.’
Sono rimasta come tramortita dalla notizia e di istinto, mi sono vista passare davanti tutti (o almeno quelli che ricordo) gli uomini con cui ho avuto rapporti da quando sono in prigione.
Chissà perché, tra tante facce, tornavano sempre quella del colonnello e quella del negro gigantesco.
No, il colonnello no, il più bastardo di tutti non può essere il padre, e poi, che cavolo, con lui è successo una volta sola.
Il negro, Eva, mi dice una vocina dentro di me, il negro ti ha scopato un mucchio di volte, in due notti differenti.
Cerco di ricostruire il mio ciclo, ma ho perso la cognizione del tempo. So per certo che l’ho saltato un paio di volte ed io sono sempre stata regolare, e poi il medico dell’ospedale mi ha fatto il test di gravidanza.
Per i miei clienti, li chiamo così anche se non sono una vera prostituta, pur indossandone gli abiti, visto che non vengo pagata, non è cambiato nulla, loro continuano ad entrarmi dentro come prima, senza nessun riguardo particolare, e, sicuramente, non sono a conoscenza del mio stato.
Tutte le mattine mi guardo la pancia ma il mio ventre e sempre piatto come prima, le nausee in compenso non mi abbandonano, mentre ho l’impressione che i seni siano diventati più grandi e più duri.
Alla fine, le nausee, come erano arrivate, sono sparite e riprendo tutto come prima, quasi dimentico il mio stato.
Quando una cosa accade a non puoi farci nulla, inutile arrovellarti, tanto la situazione non cambierà.
Intanto, nei momenti liberi, mi sono messa a scrivere, sto tenendo un registro degli uomini con cui devo andare.
Sono in tutto 53. A qualcuno ho anche collegato un nome, ma per i molti che non mi hanno detto come si chiamano, ho inserito solo una descrizione fisica, le loro abitudini ed anche quante volte vengono a trovarmi.
Per fortuna non devo soddisfarli tutti e 53 tutti i giorni, visto che una parte viene solo 2 o 3 volte alla settimana, però ce ne sono altri che bussano alla mia porta (bussano si fa per dire, perché io sono chiusa dentro e la chiave ce l’hanno loro) tutti i santi giorni, e qualcuno, particolarmente accanito, fa sesso con me più volte di seguito.
Insomma in media, tra avanti, dietro e pompini, sono una trentina di prestazioni (si dice così, vero?) giornaliere.
Una bella media, non c’è che dire.
Una volta ho letto che fare sesso troppo spesso porterebbe all’assuefazione con relativa mancanza di piacere.
Non è vero, mi accorgo che più passa il tempo e più provo piacere.
Questo da un lato mi fa piacere, perché sarebbe brutto se fossi costretta a scopare giorno e notte e mi facesse schifo, però ha una controindicazione: la fatica.
Raggiungere l’orgasmo decine di volte al giorno, mi sta letteralmente sfiancando, ma non ci posso fare nulla.
In compenso ho un fame feroce e divoro i pasti che mi portano.
Sto anche ingrassando e questo, secondo il punto di vista dei miei 53 uomini, è un bene perché, a parte le tette, mi hanno sempre considerata magra.
Ora ho messo su un culo grande e rotondo, due cosce belle piene, ed anche le tette sembrano cresciute.
Questa notte stavo pensando nel dormiveglia alla mia condizione, quando ho sentito aprirsi piano la porta.
Lui cerca di non fare rumore, ma intuisco che si sta spogliando. Probabilmente è Emiliano, uno dei più carini con me.
Viene sempre di notte, si ficca piano piano nel mio letto, mi accarezza e poi mi scopa con dolcezza.
Io aspetto ad occhi chiusi, fingendo di dormire.
Eccolo, sento il letto che cigola, il materasso si abbassa sotto il suo peso e lui è sdraiato a fianco a me.
Sì, è Emiliano, riconosco il suo tocco leggero, mentre mi carezza le cosce e le chiappe, io emetto un mugolio leggero, per fargli capire che mi piace e lui mi gira a pancia in su.
E’ sopra di me, mi carezza i seni e sento i capezzoli farsi duri, poi le sue mani scendono sulla mia pancia.
‘Ehi, ma hai la pancia, sei incinta, vero?’
Si è fermato, rimanendo seduto sulle mie cosce, con le dita strette sul mio ventre.
Erano giorni che avevo smesso di osservarmi la pancia ed ora scopro, nella penombra della cella, che la mia pancia non è più piatta come prima.
Mi prende la paura, i miei 53 uomini, continueranno ad essere soddisfatti, oppure no?
La paura che qualcuno possa lamentarsi di me, facendomi piombare di nuovo nell’inferno della cella n. 7 o peggio, di essere affidata al colonnello, mi attanaglia, ma almeno lui sembra contento.
‘Bello, non ho mai scopato una donna incinta’, mi dice mentre infila il suo pene nel mio corpo.
Emiliano è giovane e forte e decide, per festeggiare la novità, di farlo tre volte di seguito.
Io in realtà sono stanchissima, perché ho avuto una giornata più intensa delle altre, con diversi rapporti a freddo, dolorosi, ma non posso dire di no a nessuno, e poi Emiliano è così carino.
Quando mi lascia sola, le lenzuola sono zuppe ed io così sfiancata che mi addormento subito sperando che non venga nessuno per un po’.
Vengo svegliata all’alba da un secondino vecchio e pelato.
è uno dei peggiori, specie riguardo ai rapporti a freddo.
Mi spiego, anche se sono stata abbondantemente allargata, al punto che potrebbero ficcarmelo dentro in due o tre contemporaneamente, se non aspettano che io sia un po’ bagnata, mi fa un male cane.
Molti sono buoni con me ed aspettano che mi sia un po’ scaldata, prima di penetrarmi, ma a questo non glie ne frega niente, lui va di fretta, pensa solo a svuotare il suo cazzo dentro di me e se grido per il dolore, sembra quasi contento.
Per un po’ sono ricorsa all’escamotage della vasellina: ne spalmavo ogni tanto un velo su vagina ed ano ed andava molto meglio.
Poi un giorno è passato il colonnello, ha trovato in bagno il tubetto, che mi aveva dato un secondino compassionevole ed ha proibito di farmene avere altro.
Stringo i denti e cerco di non gridare mentre lui mi strapazza. Dura pochissimo e quando sento lo sperma che mi invade sono ancora secca.
Si rialza, si riveste e se ne va senza neanche degnarmi di uno sguardo.
Ora la pancia si vede proprio. Una specie di palloncino tondo e sporgente che mi impedisce di mettere la parte di sotto dei miei vestiti.
Evidentemente non devono aver arrestato nessuna puttana incinta.
C’è solo una gonna, a pieghe, che prima mi andava larga e che ora riesco a mettere anche se resta sollevata sul davanti, con le pieghe aperte.
Continuo ad ingrassare, ho letto che in gravidanza bisognerebbe fare movimento, senza sforzi, e cercare di non prendere troppi chili.
Io invece continuo a lievitare: ho messo su un culone, due coscione, ed anche le tette, che non erano piccole prima, si sono gonfiate un bel po’.
I miei 53 secondini non sembrano per niente frenati dal mio stato, e continuano a ficcarmelo dentro che grande impegno, anche se, con il crescere della mia pancia, certe posizioni risultano più difficili.
Cerco di immaginare a che mese mi trovo: sesto, settimo?
Ho perso la cognizione del tempo mentre quello che prima sembrava un pallone da calcio, ora assomiglia ad una mongolfiera.
Ormai non c’è più un pezzo di sotto in cui riesca ad entrare, così giro con indosso solo una maglietta o una camicia, un paio di calze autoreggenti e scarpe o stivali, ostentando la pancia nuda.
Pensavo che il mio ventre sporgente li potesse frenare, invece sembrano ancora più attirati dalla mia vagina che comincia ad essere occultata dalla pancia che cresce a vista d’occhio.
Fatico a camminare perché il peso mi sbilancia e poi mi servirebbero delle scarpe basse e comode, ma, chissà perché, le puttane usano sempre calzature con tacchi vertiginosi.
Ho anche provato a stare scalza, ma loro protestano.
Comunque passo sempre più tempo sdraiata a letto.
L’ultimo periodo è veramente difficile perché mi stanco subito, mi muovo con fatica, ma loro continuano a pretendere da me lo stesso livello di prima.
Ormai non riescono quasi più a penetrarmi davanti, allora mi fanno alzare e mi devo mettere davanti alla spalliera del letto, china in avanti ed a cosce larghe.
Mi inculano decine di volte, ogni giorno, e davanti al mio letto c’è sempre una pozza di sperma.
Poi, quando non ce la faccio più, mi fanno inginocchiare sul pavimento. Io sto lì, tenendomi la pancia con le mani, a succhiare i loro cazzi, finché non li supplico di farmi un po’ riposare, e mi permettono di distendermi. Sono venute due guardie, mi hanno portato una divisa e mi hanno detto di seguirle.
Nonostante sia di una taglia molto grande, non riesco ad entrarci.
La pancia ora ha raggiunto dimensioni mostruose e la divisa, nonostante la sua larghezza, non scende, malgrado i miei sforzi.
Alla fine, tirando e sudando, riesco a coprire il mio corpo fino all’inguine, ma la parte davanti delle mie gambe è completamente nuda.
Dopo mesi e mesi mi trovo di nuovo a camminare per i corridoi della fortezza.
I due secondini mi guardano con benevolenza (ormai li conosco bene tutti) e camminano piano, consapevoli del mio stato.
‘Dai su, sorridi, che ti mandiamo a casa.’
La vecchia guardiana, dalla faccia arcigna e con degli orribili capelli bianco grigiastri lunghi ed incolti, invece, non sorride per niente.
Mi sbatti davanti i miei vestiti, quelli di quando sono entrata in carcere e mi dice a muso duro: ‘togliti la divisa e mettiti la tua roba.’
Basterebbe un’occhiata per capire che una donna incinta all’ultimo mese non potrebbe mai entrare in quei vestiti, ma lei vuole tormentarmi.
Provo a mettere il reggiseno ma le mie tette sono cresciute di almeno due taglie ad anche la circonferenza del busto è così aumentata, che se pure riuscissi ad farle entrare nelle coppe, non riuscirei mai ad allacciarlo dietro.
Rinuncio al reggiseno, mi infilo il vestito da sopra ed in qualche maniera riesca a farlo scendere fino all’attaccatura della pancia, ma più in giù di quello non può andare.
Guardo sconsolata la vecchia befana che alza le spalle: ‘non è colpa mia se sei rimasta ingravidata.’
Il termine strano, anche desueto, mi colpisce come una staffilata, e cerco ancora di far passare il vestito.
Alla fine la guardiana si avvicina a me brandendo un paio di lunghe forbici.
Il vestito ha due piccoli spacchi sui lati e lei li allunga tagliando la stoffa fin sopra la vita,
ora il vestito scende fino giù, ma di lato sono completamente nuda.
Non provo neanche ad infilarmi le mutandine e decido di passare direttamente al collant.
Naturalmente non supera la pancia sporgente e si blocca alla fine delle cosce.
L’unica cosa che mi entra bene solo le scarpe, visto che i piedi non si sono ingrassati.
Mi guardo sconsolata. Non posso andarmene in giro così.
La megera mostra un barlume di comprensione per me e mi porge con malagrazia un vecchio cappotto.
è da uomo, visto che ha l’abbottonatura dalla parte sbagliata, è anche troppo lungo, ma per fortuna, riesco a coprire il mio corpo e pure ad allacciare i bottoni.
La creatura che varca la soglia della fortezza, al mattino presto, è uno strano miscuglio, di elementi così contrastanti, da far girare i pochi passanti.
Scarpe eleganti, gambe ricoperte da calze semi abbassate al punto da fare un sacco di grinze su caviglie, polpacci e ginocchia, addosso un cappotto assurdo vecchio e sdrucito, sicuramente appartenuto a qualcuno con le spalle molto più larghe.
E per finire la mia faccia, quella di una donna giovane, con un trucco vistosissimo, da prostituta da quattro soldi ed il viso deturpato da tre brutte cicatrici, una sul sopracciglio e le altre due sulle labbra.
è questo quello che vedo quando mi specchio un attimo in una vetrina.
Ho preso un autobus e sono andata dritta a casa.
Il mio appartamento è rimasto come l’ho lasciato, quasi un un anno fa, a parte che è completamente a soqquadro, perché la polizia, dopo la perquisizione, non ha certo rimesso a posto la roba tolta dai cassetti e sparsa in terra.
Sono rimasta due giorni tappata in casa e sono uscita solo una volta per comprare qualcosa da mangiare.
A casa fa freddo e non ho nulla da mettermi, così giro nuda, coperta solo da un plaid di lana.
La mattina del secondo giorno capisco che è giunto il momento, così mi rimetto addosso il cappotto, l’unica cosa in cui entri, e chiamo un taxi.
è stato un parto lungo e difficile e quando nel tardo pomeriggio ho visto il bambino, ho tirato un sospiro di sollievo: per fortuna non è nero, il padre sarà uno dei tanti altri, ma non quello lì. Poi mi sono addormentata.
Mi risveglio ancora in ospedale, devono avermi portato nel reparto.
Mi sento strana e piena di dolori, poi vedo sopra la testata del letto il pulsante appeso al filo e lo spingo.
L’infermiera arriva quasi subito. Alla domanda riguardo alla salute di mio figlio, lei mi guarda sorpresa.
‘Signora, ha un figlio che dobbiamo avvertire?’
‘Ma no, mio figlio, ho partorito poche ore fa.’
‘Guardi che lei si sbaglia, ha avuto un malore ed è svenuta in strada, è stata portata qui con un’ambulanza.’
Arriva anche un giovane medico, mentre per un attimo riesco ad intravedere una sagoma conosciuta, che passeggia fuori della stanza, sul corridoio, così capisco tutto.
‘Signora, lei è un po’ confusa, ma non ha nulla, la teniamo in osservazione fino a domani mattina, poi, se non ha nulla la rimandiamo a casa.’
La mattina dopo, verso le otto, sono fuori dell’ospedale, indosso una camicia da notte bianca, che mi devono aver messo le infermiere, ed il cappotto con con cui sono entrata, mentre ai piedi ho delle pantofole sdrucite.
Mi hanno presa appena fuori dell’ospedale, ma me lo aspettavo, dopo aver visto il colonnello in corridoio.
è tutta una messa in scena, dovevano in qualche modo liberarsi del bambino per farmi riprendere il mio lavoro in carcere.
Così tre giorni dopo essere uscita mi ritrovo di nuovo al punto di partenza.
Prendono in consegna cappotto, camicia da notte e pantofole e mi danno di nuovo la divisa del carcere.
Questa volta è più grande rispetto a quella che ho avuto al mio primo arresto perché, anche se la pancia non c’è più, il mio corpo è parecchio appesantito, almeno una decina di chili in più.
Dove mi porteranno? Per un attimo ripenso alla sedia di ferro ed a tutto il resto.
Ma no, allora dovevo confessare, ora non ho niente da dire.
Due secondini mi portano fuori e ricomincio a percorrere corridoi.
Li conosco, beh, certo, ormai li conosco tutti, e per un attimo penso di chiedere dove mi portano, ma non lo faccio.
Poi riconosco la porta della mia cella e mi tranquillizzo. Quella mattina, quando ho varcato di nuovo la soglia della mia cella, per un verso sono stata contenta.
Le due guardie mi hanno tolto la divisa ed uno di loro, dopo essersi aperto i pantaloni, mi ha fatta chinare in avanti, mentre l’altro mi prendeva per i fianchi.
‘Ci sei mancata, sai? Su allarga le cosce che si ricomincia.’
Io riesco a dirgli soltanto ‘per favore, non davanti’, perché il mio sesso, dopo il parto, non è ancora pronto, poi le mie labbra si chiudono sul pene del primo secondino, mente l’altro me lo infila nel culo, per fortuna.
Insomma ho ricominciato subito, a pieno ritmo.
Ma la storia che vi ho raccontato finora, risale a più di dodici anni fa.
Ora ho quasi quarantacinque anni, e non sono più uscita dalla prigione.
La mia gravidanza, che i medici avevano definito difficile, deve aver causato qualche danno, perché non sono più rimasta incinta.
In questi lunghi anni il mio corpo è cambiato: quei dieci chili che avevo preso non mi hanno più abbandonato, anzi mi sono appesantita ancora.
Ormai sono una donna matura ed un po’ abbondante, seni grandi (ma quelli lo erano anche prima), che iniziano un po’ a cedere, qualche smagliatura sulla pancia, sedere e cosce pronunciati ed i primi fili grigi che cominciano ad apparire in mezzo alla mia lunga capigliatura.
Già, non ho più tagliato i capelli, che ora mi arrivano fino al sedere, un piccolo trucco che calamita i loro sguardi, quando gli cammino davanti nella cella, muovendo i fianchi.
In genere sento subito dopo il rumore della lampo che si abbassa e poi la pressione di due mani maschili sul sedere. Allora allargo leggermente le cosce, spingo in avanti il busto ed aspetto. Il passo successivo è il sollevamento della gonna, io sospiro languidamente, mi riesce bene, non devo fingere, perché mi piace quello che lui sta per farmi e aspetto di sentire il pene penetrarmi in mezzo alle chiappe.
L’unico rimpianto è che nel mio breve intermezzo di libertà, fuori dal carcere, non sono riuscita a sistemare la mia faccia ed i miei denti.
Il mio viso è rimasto quel mezzo disastro causato dalla perfidia del colonnello e non c’è trucco in grado di coprire i segni delle cicatrici.
Il colonnello, per fortuna, è andato in pensione.
Proprio lui, un giorno è entrato nella mia cella e mi ha spiegato come funziona.
‘Eva, lei non è mai stata arrestata, non è mai entrata qui. A suo tempo è stata denunciata la sua scomparsa, ma lei non è stata mai ritrovata, né viva né morta.
Quindi lei non è qui, non esiste ufficialmente.
L’unico motivo per cui è in vita è il piacere delle guardie di questa prigione.
Quindi lei ha motivo di stare qui, in questa comoda stanza, finché riesce a soddisfare i loro desideri.
Cerchi di mantenersi in buone condizioni, curi il suo aspetto e la sua salute, perché quando non sarà ritenuta più idonea, sarà sostituita da un’altra donna e, potrei dire, declassata.
Lei sa già di cosa parlo, visto che ha avuto l’occasione di provare un paio di volte, anni fa.’
Da quel momento vivo nel terrore che le guardie non mi trovino sufficientemente attraente e venga sbattuta nelle celle dei carcerati.
La fortezza in questi anni, ha aumentato il numero di ospiti, e questo significa che sono aumentati anche i secondini.
Di conseguenza è aumentato anche il lavoro per me.
Non ho più tenuto il conto, ma saranno 70, forse 80, gli uomini che si servono del mio corpo.
Posso dire di non avere orari, loro entrano (nella stanza e nel mio corpo) a loro piacimento, giorno e notte, per cui ho imparato a dormire quando posso, anche per pochi minuti, per cercare di recuperare le energie tra uno e l’altro.
Il piacere che provo è rimasto invariato, anche se ho imparato a risparmiare un po’ le energie, diciamo che ho degli orgasmi più misurati, da signora matura, perché altrimenti non ce la farei proprio a reggere un simile ritmo.
Cerco di prendere la vita alla giornata e ogni mattina, quando vedo aprirsi la porta e comparire il primo secondino, penso che ho un altro giorno davanti a me, scendo dal letto, gli sorrido e gli vado incontro, mentre fisso i suoi occhi, per capire se ancora piaccio.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…