Servo delle donne II di Tom
Uno dei passatempi preferiti di Lara era quello di sottopormi a quelle che lei chiamava sarcasticamente le ‘prove di fedeltà’. Tali prove erano in realtà delle ben studiate umiliazioni e torture a cui la mia padrona mi sottoponeva tutte le volte che se ne presentava l’occasione. Ve ne sono tante che potrei riempirci dieci capitoli, ma oggi ne narrerò solo una, quella che più delle altre mi devastò fisicamente.
I nonni di Lara hanno (o avevano, non so bene) una piccola fattoria nella pianura pistoiese. Questa fattoria era per metà coperta da una pioppeta. Il podere era delimitato dall’argine di un torrente da una parte e da una strada poco frequentata dall’altra. Un’albereta al riparo da sguardi indiscreti, insomma. Un luogo troppo allettante perché Lara non ne approfittasse per approntare una delle sue sottili trappole di schiavitù. Trappole in cui, non lo nascondo, cadevo volentieri e di mia spontanea volontà. Durante la settimana il taglialegna era passato dalla fattoria dei nonni ed aveva potato i palchi più bassi dei pioppi, lasciando le spoglie sul prato ai piedi degli alberi. Siccome i residui delle potature sono troppo piccoli per poter essere impiegati per farne legname, di solito i contadini li si raccolgono in un grande covone al centro della pioppeta e li bruciano. L’operazione di raccolta è lunga e laboriosa perché i mucchi formati dai rami tagliati sono molti, uno per ogni albero, e disposti da un capo all’altro del podere.
Lara non poteva farsi sfuggire quell’occasione. Mi portò una sera a casa dei nonni, presentandomi come un compagno di facoltà con il quale avrebbe studiato durante il fine settimana. Dormii in una camera accanto alla sua ma durante la prima sera niente mi fu ordinato e niente accadde. Feci solo una fugace comparsa nella sua stanza dopo cena per augurarle la buona notte e darle il rituale bacio del buon riposo sui piedi.
L’indomani mattina Lara mi svegliò alle sei, poco dopo l’alba. Ancora mezzo addormentato fui portato nella rimessa degli attrezzi e mi fu ordinato di indossare guanti e stivali di gomma. Lara mi ordinò anche di portar fuori dalla capanna il barroccio, un piano di legno grande quanto un letto ad una piazza e mezza con sponde laterali di venti centimetri, due ruote e due manici dritti uniti alla sommità tramite una cinghia di cuoio. Era un attrezzo vecchi e cigolante, riverniciato qualche anno prima con una vernice rossa ciclamino.
‘Adesso raccoglieremo tutti i mucchietti di legna sparsi nella pioppeta e ne faremo un pacco in mezzo al campo’ disse Lara.
‘Ed i tuoi nonni?’
‘Oggi non verranno qui’ assicurò la mia padrona ‘Vanno via alle otto di mattina e tornano domani sera’
‘Allora perché non aspettiamo che se ne siano andati?’
Lara era seduta sul bordo del barroccio, gambe accavallate e sguardo severo rivolto verso di me. Io, naturalmente, ero in ginocchio davanti a lei.
Mi sollevò il mento con la punta di un piede dicendomi
‘Tu oggi fai il manovale per la mia fattoria, capito Tom?’
‘Si, padrona’
Poco prima aveva detto ‘avremmo raccolto i rami potati’, ma era evidente dal suo look che l’unico aiuto che avrei avuto sarebbe stato quello delle mie braccia. Ci trovavamo a giugno inoltrato e l’estate si faceva sentire.
Lei indossava una maglietta a mezze maniche, un paio di pantaloncini nocciola e le sue infradito bianche. Di certo quella non era una tenuta da contadina.
Sempre seduta sul bordo del barroccio mi fece alzare, posizionare davanti all’attrezzo e mi comandò di muovermi fino al lato più lontano del podere. Iniziammo dall’angolo della pioppeta opposto rispetto alla casa dei suoi nonni. Dall’abitazione di certo non ci avrebbe visto nessuno.
Lei, come una regina sulla sua portantina, si lasciò trasportare comodamente seduta e senza muovere un muscolo. Giunti al primo albero fermai il barroccio in orizzontale per non far scomodare Lara: puntellai le due braccia anteriori dell’attrezzo su di un pancale che la padrona mi aveva fatto portare a bordo del trasporto. Lei se ne rimase seduta mentre io lavoravo, incitandomi con ordini e comandi. Quando ebbi terminato di caricare i rami potati mi riportai al posto di traino davanti alla Dea.
‘Che fai?’ chiese Lara.
‘Vado al prossimo albero’
‘Te l’ho forse ordinato?’
‘No, ma pensavo’c’è ancora molto spazio sul carretto prima di depositare i rami nel mucchio a cui dar fuoco. Potremmo aspettare a riempirlo un po’ di più’
‘Non ho detto questo’è solo che prima di ripartire dovrai prostrarti a me ogni volta, chinando la testa fino all’erba. E distendi le braccia in avanti, così sembra che preghi’
Obbedii alla padrona come potei, benché la prospettiva di spostare da solo tutti i mucchietti di legna mi apparisse molto ma molto ardua. Forse, pensai, questa volta la padrona sta pretendendo troppo. I suoi piedi non toccavano terra, per l’altezza del piano del barroccio su cui era seduta restavano sollevati a circa trenta centimetri dal suolo. Tutte le volte che mi accucciavo a toccare il prato con la fronte Lara metteva le gambe in avanti e quando mi sollevavo battevo inesorabilmente la nuca sotto la suola delle sue infradito. All’ennesimo colpetto una ciabattina si sfilò dal suo piede e cadde sull’erba.
‘Raccoglila immediatamente e rimettimela’ disse ‘Con la bocca’
Eseguii l’ordine tenendo fra le labbra la punta della calzatura.
‘Adesso rimettimele sempre usando la bocca’
Non appena la ciabattina fu di nuovo al suo posto Lara mi premette la suola sulla faccia e mi spinse via
‘Riparti, Tom. Altro albero, altro mucchio’
Andammo avanti così fino alle nove e mezza. Come ho detto i grandi caldi erano alle porte ed il lavoro che la padrona mi costringeva a svolgere non era affatto leggero. Con il Sole le forze iniziarono a scemare in fretta. Ciò nonostante fu dopo le dieci e mezza che emisi il primo lamento. Fino a quel momento non replicai mai agli ordini, anzi. Sbuffare ed ansimare per i capricci della mia padrona mi faceva sentire bene. O meglio, mi faceva sentire esattamente quello che volevo essere, il più sottomesso degli schiavi. Naturalmente, schiavo delle donne.
Verso le dieci Lara ne inventò un’altra delle sue. Attendeva che fermassi il barroccio a fianco di un pioppo e che iniziassi a caricare. Lei saliva in piedi sul piano del carretto e metteva un piede sulla sponda rivolta all’albero attorno al quale stavo lavorando. Ogni volta che tornavo con un carico di rami dovevo baciarle il piede che teneva sul bordo del barroccio. Qualche volta ordinava di leccarle la ciabatta: plantare, orlo e suola compresa (e quest’ultima non era certo pulita!).
L’operazione era resa ancor più difficile dal fatto che alle dieci io non avevo più un briciolo di saliva in bocca.
Riuscii non so come a tener duro fino alle dieci e mezza, come ho premesso poco fa, quando il Sole iniziò a flagellare davvero troppo forte. Grondavo di sudore come una spugna strizzata, gli abiti mi si erano appiccicati addosso come una seconda pelle. Avevo una sete terrificante.
‘Padrona, possiamo fermaci?’ ho supplicato controvoglia ‘Non ce la faccio proprio più’
Lara mi ha guardato con occhi maliziosi.
‘La prego, ho una sete terribile’
Non riuscivo neppure a riprendere fiato, mi sembrava di soffocare.
‘Va bene, un altro carico e poi ci riposiamo’ rispose la mia padrona. Un altro carico completo voleva dire altri quattro o cinque mucchietti di rami. Strinsi i denti. Mentre l’ultimo carico veniva portato a termine Lara mi lasciò e se ne andò verso casa.
‘Torno fra qualche minuto, tu continua a sgobbare, cagnolino” ordinò.
Quando la vidi tornare aveva in mano un ombrello, una bottiglia d’acqua ed un guinzaglio.
‘Non ho trovato un collare, perciò questo lo uso come frustino’ disse, e mi sferzò sul sedere col guinzaglio.
Mi proibì di bere mentre lei, seduta senza problemi sul barroccio, si dissetò a volontà.
‘Sai che fa proprio caldo, Tom?’ mi chiese con sarcasmo.
‘Si, padrona’
‘Affrettati, sennò ti disidraterai’ rise.
Terminai l’ennesimo carico ed accatastai il tutto sul mucchio al centro della pioppeta. Il covone stava assumendo dimensioni rispettabili.
Lara, a quel punto, mi fece cenno di smettere.
‘O.K., ora basta’ ordinò ‘Adesso ci riposiamo dieci minuti’
Ero talmente stanco che mi sembrava d’aver corso una maratona. Lara, per non farmi raffreddare i muscoli mi ordinò allora di mettermi a quattro zampe, nella posizione dello ‘sgabello’, e si sedette sulla mia schiena. Le braccia mi facevano così male che non percepii neppure il suo peso quando si sedette su di me. Avevo tutto il corpo indolenzito.
‘Oh, ma quanto sei sudato!’ esclamò dopo un attimo che le sue natiche ebbero toccato la mia schiena.
In effetti versavo in condizioni a dir poco impresentabili.
‘Fai ribrezzo’
Umiliato, deriso e sfruttato. Se mai prima d’allora qualcuno aveva saputo interpretare la mia natura di sottomesso quella era stata Lara.
Si alzò in piedi lasciandomi lì come un panchetto inutilizzato.
‘No, via, sei troppo molle. Così mi sporco anch’io!’ E poi che schifo bagnarsi il culo col sudore dello schiavo!’
Mi appoggiò un piede sulla schiena, salì con tutto il suo peso su di me e scese dal fianco opposto, dirigendosi nuovamente verso il barroccio. Trascorsero venti minuti, per la bontà della padrona avevo potuto riposare il doppio di quanto mi era stato concesso inizialmente.
Durante la mattinata feci altri due o tre carichi completi, non ricordo bene, trasportando quintali di legna con la mia bella dominatrice che si faceva ombra grazie al suo ombrellino ed ogni tanto mi spronava ad andare più veloce con colpi di guinzaglio.
Riprendemmo la sera, poco dopo le sei, e continuammo fino a buio. Erano le nove e tre quarti quando Lara mi consentì di tornare in casa e mangiare qualcosa. Naturalmente durante la pausa pomeridiana non mi era stato concesso di mangiare, solo di bere e di farmi una doccia. Quest’ultima, più che per concedermi sollievo, mi fu consentita perché alla padrona dava fastidio l’odore di sudore.
Quella notte dormii come un sasso. Con la scusa che i nonni erano via Lara dispose che dormissi in camera con lei, però sul pavimento. L’indomani avrei dovuto svegliarmi per primo, alle prime luci dell’alba, sgattaiolare senza rumore in cucina, preparare la colazione per la padrona e tornare su a portargliela.
Infine avrei dovuto svegliare Lara leccandole i piedi. Il rito del risveglio mattutino tramite leccata di piedi era un’idea che avevo avuto io stesso e che avevo, per così dire, riciclato da un racconto trovato in rete.
Purtroppo la stanchezza era tanta e la posizione era talmente scomoda che faticai parecchio ad addormentarmi, nonostante la grande spossatezza. Dormii poche ore e la mattina fui io ad essere svegliato dalla padrona. Lara s’accorse che alle sei ero ancora lì a sonnecchiare, mi appoggiò un piede sulla gola e premette fino a togliermi il respiro. Balzai in piedi con una tele velocità da spaventare Lara ed il contraccolpo dei muscoli doloranti per le recenti fatiche mi attraversò il corpo come un colpo di frusta.
La padrona era partita col rimproverarmi della mia negligenza, ma vedendomi così malconcio e sorpreso si mise a ridere.
‘Alzati, e prepara la roba. Intanto io faccio colazione’
‘Si, padrona’
‘Su, non fare quella faccia, per stamani finiamo, se va bene’
‘Si’
Terminammo alle dieci e qualcosa, dopo aver lavorato anche quella mattina per quasi quattro ore ininterrotte. Lara mi concesse di desinare accanto a lei (sul pavimento) e di riposare durante l’intero pomeriggio. Quando me ne andai dalla fattoria, il giorno successivo, mi sorrise e mi fece i suoi complimenti
‘Mai avuto uno schiavo come te. Bravo’
‘Grazie, padrona. Questo è il più bel complimento che potessi ricevere da lei’
Era vero e gliene ero grato.
Ma se credete che quella sia stata la mia prova da schiavo più dura vi sbagliate. Lara, ho constatato più tardi, era una padrona tutto sommato gentile. Ne ho conosciute altre molto meno pazienti e rispettose. Questo, tuttavia, ve lo racconterò un’altra volta.
Sempre, rispettosamente, ai piedi delle donne’
Tom (tom2075@hotmail.it)
Grazie Rebis
Bellissima storia, molto realistica
Pisellina… fantastico! Un buon mix di Femdom e umiliazione
Storia molto intrigante. Per favore, continua! :)
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