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Racconti Erotici Lesbo

I colori del male

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Quando mi accorsi di non resistere più, chiesi aiuto. Ma era troppo tardi. Ormai i d&egravemoni avevano invaso il mio corpo, l’avevano saccheggiato e se ne erano andati senza salutare. Ero stata io stessa a permetterlo, quasi che aprendo i confini della mia anima potessi liberare un’energia che mi avrebbe condotta in un paradiso che i sensi non potevano nemmeno immaginare. Ora rimpiango quella scelta ma ‘ lo ripeto ‘ &egrave troppo tardi.

Col mio lavoro sono costretta a viaggiare molto e non v’&egrave sito archeologico importante che non abbia visto i miei calzari: sono di foggia antica, li ho costruiti di persona ispirandomi ai dipinti classici. Mi donano molto, tanto che i colleghi, lodandoli, lodano sempre anche le mie gambe.

Ma io non sono attratta dagli uomini. Nei miei sogni la mia anima vola verso universi paralleli che sfiorano il passato per trasformarlo e creare presenze che nessun archeologo saprebbe definire. Strani mostri dominano il mio corpo. V’&egrave un demone che tiene il mio seno, lo comprime fino a farmelo scoppiare e ride mentre mi penetra come se si divertisse a confondermi, perché il suo aspetto terreno &egrave femminile, mentre ciò che mi penetra &egrave senz’altro un fallo durissimo e adorabile.

– Ma provi piacere o no? ‘ mi chiede spesso la mia allieva, la studentessa

universitaria che &egrave stata destinata a me per un corso sulle civiltà antiche.

– Non so ‘ le rispondo, a volte mi sembra bellissimo, a volte invece sento di

vivere in un vero e proprio incubo.

– Non sai cosa darei per provare quella sensazione: – se ne uscì lei

inaspettatamente – i diavoli mi attirano da morire: soprattutto le diavolesse.

Lilith (così la chiamo quando la accarezzo) &egrave una ragazza dolce. Dolce e perversa. Vuole che la penetri in tutti i modi, coi falli inventati dalla fantasia degli antichi miti e dai nostri. Quando viene, mi guarda per un attimo come fossi una dea dimenticata e mi rabbuffa i capelli come fosse l’unico atto di ribellione a lei consentito. &egrave vero che la tengo prigioniera. O meglio, la preservo dai pericoli dell’amore: si sa che tra donne il piacere &egrave più profondo perché &egrave più sottile, meno grossolano.

Siamo tutte e due molto corteggiate e dovunque i nostri calzari ci portino troviamo sempre nugoli di ometti che ci vezzeggiano. Se questi esseri sapessero quanto li disprezziamo! Se solo potessero anche solo immaginare quanto le donne odino l’ostentazione, la bramosia senza veli, il desiderio allo stato puro. &egrave come con i reperti scoperti nel terriccio umido: acquistano valore se li avvolge il mistero, se diventano un enigma, se riescono a parlarci nonostante i secoli o i millenni che ci separano da loro. L’uomo questo non lo capisce, perché il suo desiderio non lo costruisce come ho fatto io coi miei calzari, ma lo mantiene tale e quale come natura gliel’ha consegnato, come fosse un pacco postale che passa di mano in mano senza essere aperto. Rozzi gli uomini, e dunque non meritevoli delle nostre attenzioni.

Lilith &egrave diversa. Lilith accarezza il mio corpo come fosse un continente perduto, o un oceano infinito, o una stella sconosciuta e invulnerabile. Quando mi porta al piacere più alto io mi sento parte di lei, mi sento parte di quell’amore infinito che muove tutti i continenti, tutti gli oceani, tutte le stelle possibili e impossibili. Non so se sia amore: fatto sta che senza di lei non posso più vivere.

Ma non &egrave tutto. Nulla fila sempre liscio. I colleghi intuirono qualcosa e, nella loro rozzezza, iniziarono una sorta di ostracismo nei nostri confronti che poco aveva da invidiare a quello che gli inquisitori intentavano contro le presunte streghe. Dicevano che tenevamo commercio col demonio. Che avevamo un aspetto troppo giovane: solo facendo un patto con l’Avversario (o l’Avversaria?) si poteva essere così belle, così vitali, così indifferenti alle foie maschili. Tanto dissero e tanto fecero che io e Lilith, dapprima senza accorgercene, sospettammo che un pizzico di verità in quelle calunnie, dico un pizzico, ma forse un po’ di più, un pizzico di verità forse c’era. Perché facevo sempre quei sogni, in cui un incubo, molto simile a quello raffigurato nel celebre quadro di F’ssli, diventava l’incarnazione delle paure che non riuscivo nemmeno a nominare? Perché quella sorta di scimmiotto demoniaco appariva quasi tutte le notti spaventato e minaccioso al tempo stesso nei confronti di chi lo sorprendeva mentre, caparbio, stava sopra una donna biancovestita col braccio sinistro abbandonato a se stesso?

– Quando ieri mi penetravi col fallo del satiro, io l’ho visto, sai?!

– Chi, hai visto?

– Lui, lo scimmiotto ‘ ribadì nervosamente la mia amante.

– Come, l’hai visto? Mentre godevi, sognavi? Che stai dicendo?

– No, amore, non hai capito. Ho avuto una specie di visione, ti capita mai?

Come quando stai facendo qualcosa di normalissimo, di quotidiano, mettiamo dare l’acqua alle piante o rifare il letto o lavorare al computer quando archiviamo i dati dei reperti, e tu parti per la tangente, ti abbandoni a fantasie che poco o nulla hanno a che fare con quello che stai vivendo’

– Magari la relazione non la capisci subito’ – puntualizzai io in modo petulante.

– Già. Ma non &egrave questo che volevo dire. Volevo dire che l’ho visto, in qualche

modo, ma non come si vede di solito, no, l’ho intravisto, l’ho’

– Hai avvertito la sua presenza ‘ la aiutai io mio malgrado.

– Ecco, sì: ho percepito che lui era lì, con noi.

– Che meraviglia ‘ dissi a me stessa.

– Magari &egrave un demone positivo: che ne sai?

– E tu che ne sai?

– Io niente. Ma da quello che mi racconti non si capisce che cosa voglia.

– &egrave questo che mi preoccupa.

– Non mi dici sempre che la notte giace sopra il tuo corpo e non di rado ti

penetra facendoti venire violentemente? &egrave più bravo di me, dunque.

– Più brava, semmai. &egrave un demone femmina.

– Un po’ l’uno e un po’ l’altra, a quanto ho capito.

– Ha un corpo tenero, pare di burro, e non credo che provi lo stesso piacere

che provo io. Anzi credo che non ne provi affatto.

– Possibile?

– Chi lo sa.

– Forse lo fa solo per corrompermi, per corromperci, per instillare il vizio nei

nostri spiriti.

– Io non mi sento corrotta ‘ replicò Lilith lievemente piccata. ‘ Tu lo sei senza

ombra di dubbio.

La sculacciai per bene, e se la godette un mondo. La costrinsi a succhiare tutto il succhiabile e poi la sodomizzai fino a farle male. Sanguinava, ed io dolcemente le leccavo le ferite. Non doveva far la saccente, lo sapeva. Non credo che l’incubo che mi tormentava quasi tutte le notti venisse da me per provare piacere: forse lo provava nel vederci morbosamente unite. Forse, non avendo quella scimmia né carne né ossa reali, godeva nell’impossessarsi dei nostri corpi facendoli infiammare e dimenare come m&egravenadi. O forse i nostri sogni non sono altro che il tentativo, abbozzato e dunque incompleto, di dipingere le nostre paure coi colori del male, della sofferenza, della colpa.

Fatto sta che ora io e Lilith non riusciamo più a fare l’amore senza l’aiuto del nostro demone, del nostro scimmiotto. Se non si presenta, non riusciamo a profittare dei nostri corpi, delle nostre emozioni. Tanto che nemmeno ci proviamo più.

Quando invece l’incubo torna (ma di rado, sempre più di rado’) e mi penetra durante i sogni, allora Lilith mi lecca con grazia, mi massaggia delicatamente o blandisce le mie membra con l’infinita tenerezza di cui &egrave capace; allora sì mi par di rinascere e ritrovare il mondo e me stessa, conoscere il micro e il macrocosmo, come fossi io stessa un demone o una baccante che avesse dimenticato la differenza tra il più intenso piacere fisico e la più appagante delizia spirituale.

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