Ero sempre stata una ragazza timida e insicura. Non mi piacevo né credevo di piacere agli altri. A scuola avevo pochi amici, che non mi trattavano nemmeno troppo bene. Chissà perché finivo col legarmi principalmente alla ragazza più bella della classe, quella per cui i maschi avrebbero fatto follie. Legarmi si fa per dire: ero più che altro io a seguire loro. E loro mi sfruttavano: quando dovevano avere i compiti già fatti, per esempio, perché loro non avevano tempo e voglia di farli. Insomma, non conducevo una vita felice. La mia esagerata sensibilità acuiva i problemi e mi faceva stare male. Le sentivo, le battute dei ragazzi, sui miei occhiali dalle lenti spesse, i brufoli, la mia corporatura eccessivamente magra e piatta. La sera a casa ci ripensavo e piangevo da sola, in camera mia. Il mio unico compagno fidato era un diario, nel quale annotavo tutte le mie sensazioni e i miei disagi. Mi rifugiavo nel mio mondo segreto, fatto di cantanti e film romantici, dove i principi azzurri venivano a salvare la damigella in pericolo. Ma a me nessuno mi avrebbe salvato. Tutto questo sino a sedici anni. Quando si compì il miracolo e tutto cambiò.
Innanzitutto, mi decisi ad acquistare un paio di lenti a contatto e a riporre gli occhiali da vista; poi i brufoli come per incanto sparirono, la pelle del viso diventò liscia come una pesca. I capelli, da opachi e smorti che erano, presero luce, diventando di un bel color miele. Il mio corpo smise di crescere, fermandosi sull’1.70 di statura, ma si fece più armonico, meglio sviluppato. Le tettine crebbero improvvisamente; ricordo ancora oggi lo shock che provai quando mi guardai allo specchio e le vidi fiorite tutto d’un colpo. Non ero diventata una maggiorata, quello non lo sarò mai, però una buona seconda abbondante ce l’avevo e mi bastava. Ero sbocciata, la crisalide era diventata farfalla. Anche l’espressione del viso cambiò: prima oscillavo tra aggressività da bulldog per un senso di autoprotezione e smarrimento misto a disperazione. Diventai più rilassata, lo sguardo più dolce e sereno. I primi ad accorgersi del cambiamento furono i ragazzi: gli stessi che sino a poco prima mi avevano disprezzata e derisa, adesso facevano a gara per farmi i complimenti e invitarmi ad uscire. Li ripagai con la moneta dell’indifferenza, mi avevano fatto troppo male in precedenza. Li vedevo ancora come dei ragazzini, senza voler passare per presuntuosa, dal punto di vista culturale tra me e loro c’era un abisso. Le mie “amiche” iniziarono a vedermi con sospetto, non sia mai che potessi diventare una rivale. Le battutine cariche di ferocia si sprecavano, ma a differenza di prima, non mi colpivano minimamente. Viaggiavo un paio di metri più in alto, mi dedicavo ai miei libri: delle feste, dei bei vestiti, dei ragazzi, non poteva fregarmene di meno.
L’ultimo anno di liceo la professoressa di filosofia, la mia materia preferita, andò in pensione. Ero curiosa di vedere chi l’avrebbe sostituita. Non dovetti aspettare molto. Annunciata dalla campanella, la signora G. entrò in classe, procedendo con passo sicuro e in mano una pila di libri. Il suo nome di battesimo, seppi dopo, era Erica. All’inizio non mi fece una grande impressione: era una donna più vicina ai cinquanta che ai quaranta, non grassa, ma robusta, dal seno generoso e i fianchi larghi. Indossava una camicia bianca e un paio di jeans che fasciavano un sedere piuttosto pronunciato. Il viso abbronzato mostrava più di un ruga, così come l’incavo del petto, che si intravedeva nella scollatura della camicetta. I capelli, biondi e ricci, erano tagliati corti e mi facevano pensare a delle spighe di grane ribelli che ondeggiavano al sole. Disse un paio di cose velocemente, non sembrava particolarmente comunicativa. Aveva una espressione molto seria, quasi altera. Mi sembrava la classica professoressa che volesse tenere le distanze, “io sono l’insegnante, voi gli allievi, state al vostro posto”; una profonda differenza con la vecchia docente, che era gentile e disponibile.
Il secondo giorno la guardai meglio e fui colpita dai suoi occhi. Erano molto belli, di un colore verde intenso che raramente avevo visto. Non erano valorizzati da un trucco un po’ troppo pesante, ma la tonalità era simile a quella del mare. E poi un’altra cosa mi colpì: la sua espressione. Malinconica, se non triste. Era come se dovesse portare un peso troppo gravoso sulle spalle e lo portasse con stoicismo. Le labbra, sottili e regolari, le teneva strette, non rideva mai. Conoscevo quell’espressione, era stata la mia per tanto tempo. Non era una bellezza da copertina nel suo complesso, ma nell’insieme la si poteva definire una donna interessante. Sul piano professionale, niente da dire: era competente, riusciva a dare un tono ed un colore ad una materia che obiettivamente non era per tutti. La voce rimaneva su toni bassi ma era calda, suggestiva. Dava l’impressione di sicurezza, di una persona che sapeva quel che voleva, diceva e faceva, a suo agio in qualsiasi circostanza. Ma allo stesso tempo con un velo di male di vivere addosso, una irrequietezza che nasceva da radici lontane.
Col passare dei giorni Erica continuava a piacermi sempre più. Ogni sua lezione era un piacere: spiegava in termini chiari, accessibili, usava la filosofia come pretesto per parlarci del mondo di oggi. Parlava poco ma adoperava le parole giuste, ci stimolava a pensare. Mi rammaricavo che le lezioni fossero troppo brevi, sarei rimasta a sentirla per ore. A volte, preso il coraggio a due mani, la seguivo in corridoio e le facevo qualche domanda supplementare, per avere dei chiarimenti: lei rispondeva in modo cortese, ma non perdeva la sua aurea di donna inaccessibile. Non dava confidenza, non si apriva in un sorriso. Comunicava con quegli occhi, intensi, vividi, che un po’ mi mettevano in soggezione. Mi sorpresi a pensarci anche fuori dalle ore di lezione, poco prima di addormentarmi. A volte li ritrovavo in sogno. Nella mia fantasia onirica ed Erica diventavamo amiche, la facevo sorridere con le mie battute, andavamo al cinema o a teatro; e discutevamo di Platone e Aristotele davanti ad un buon bicchiere di vino rosso. Sì, mi sarebbe piaciuto davvero.
L’anno scolastico si avviava alla conclusione e con esso si avvicinava l’esame di maturità. Io volevo presentare una specie di tesi che partendo dalla filosofia collegava argomenti inerenti alle altre materie. Avevo però bisogno di aiuto e chi meglio di Erica avrebbe potuto darmi una mano? Quando glielo chiesi, il cuore mi batteva forte per l’emozione; se mi avesse detto di no, tutto il progetto sarebbe saltato. Ma a dire la verità, non avevo paura di quello: temevo mi dicesse di no e io in questo caso mi sarei sentita come rifiutata. Fortunatamente invece accettò.
-E’ un’idea originale, sono sicura che la commissione d’esame l’apprezzerà molto. Certo, è un progetto impegnativo, dovremo vederci fuori dall’orario scolastico per lavorarci su.
Vederla fuori dall’orario scolastico! Il mio cuore ebbe un tuffo.
-Lavorare non mi spaventa.
-Bene, Anna. Vediamoci da me giovedì alle 16.
Quel giovedì scelsi con cura l’abbigliamento: un bel vestitino a fiori che secondo me mi donava molto e che a scuola non avevo mai messo. “Manco se stessi uscendo per il primo appuntamento con l’uomo della mia vita”, dissi tra me e me. Mi sentivo in agitazione e non capivo bene il motivo. Mi incuriosiva moltissimo andare a casa di Erica, che da donna riservatissima non aveva mai proferito una sillaba sulla sua vita privata. E io volevo saperne di più: chi era, come viveva, cosa le piacesse fare nel tempo libero. Di sicuro, non era sposata, non portava la fede. Forse era divorziata, chissà.
Alle 16 fui puntualissima, anzi, arrivai con almeno un quarto d’ora di anticipo e aspettai fuori almeno qualche minuto per non sembrare troppo sfacciata. Abitava in una villetta in una zona residenziale. Mi venne ad aprire, mi fece entrare e mi offrì un thè. Il salotto era ampio ed accogliente, la casa arredata con molto gusto, mobili se non pregiatissimi, di ottima fattura, comunque niente da spartire con l’Ikea. Mentre aspettavo il thé, la mia attenzione fu catturata da una foto incorniciata e poggiata su un tavolino. Ritraeva lei, Erica, in compagnia di una ragazza più giovane. Le due si somigliavano molto, pensai che fossero sorelle. L’immagine risaliva certamente a qualche anno prima, ma Erica non era cambiata di molto. Quella foto era l’unica concessione alla sua privacy: per il resto c’erano solo libri, principalmente di storia e filosofia, ma anche qualche romanzo. Durante il thé, parlammo del lavoro: come l’avremmo impostato, quali temi bisognava mettere a fuoco. Erica era molto metodica, pensava che la pianificazione fosse tutto. In quelle due ore che trascorremmo insieme quel pomeriggio, io parlai pochissimo, le avevo lasciato il comando delle operazioni. La testa era altrove, il progetto cui tanto tenevo non contava più. Ero soggiogata da Erica, dalla sua personalità, sobria, asciutta. E da quei suoi occhi tanto belli e così affascinanti nella sua malinconia. Avrei passato tutto il giorno a perdermici dentro, come vittima di un incantesimo.
Quella notte a letto, prima di prendere sonno, ci ripensai. Alla voce suadente di Erica, ai suoi occhioni, alla sua figura autoritaria che mi dava sudditanza e e sicurezza insieme. Mi sentivo pervasa da uno strano calore. Se Erica fosse stata li in quel momento, e fossi riuscita a vincere la mia timidezza, cosa avrei fatto? La risposta mi arrivò alla mente come un colpo di frusta: l’avrei baciata. Sulle labbra. L’idea mi mandò in tilt. Sotto le coperte, allungai una mano al basso ventre. Pulsava in un modo strano. Sentii l’umido delle mutandine. Infilai la mano dentro e presi ad accarezzarmi. L’avevo fatto altre volte ma mai con questa audacia, con questa sfrontatezza, con questa libidine. Mi soddisfai quasi subito e rimasi li ansante, con la mano dentro le mutandine. A ripensare ad Erica.
Masturbarmi pensando ad una donna non mi aveva minimamente sconvolta. Anzi, era stata la cosa più naturale del mondo. Forse era per quello che i ragazzi non mi avevano mai attratto sul serio. Forse ero lesbica. Non lo sapevo, non mi importava. Volevo solo vivere quel sentimento, senza pormi troppe domande o appiccicarmi addosso etichette che valevano zero.
La sera dell’ultima lezione prima dell’esame ci impegnammo a fondo. Eravamo stanche. Lei chiuse il libro e disse “Bene, adesso ci meritiamo un po’ di riposo”. Per la prima volta da quando la conoscevo, ebbe un mezzo sorriso. Io mi sentii sciogliere, letteralmente. Ci sedemmo sul divano, una di fianco all’altra. Lei aveva incrociato le gambe e mi sembrava più seducente che mai. Mi chiese cosa volessi fare una volta ottenuto il diploma.
-Mi iscriverò all’Università. Voglio diventare una insegnante di filosofia, come lei.
-Lo vedo, la materia ti piace. Ma insegnare è un lavoraccio…
-Non per me. Voglio diventare come lei.
Arrossì leggermente. Teneva gli occhi bassi ma ebbi la sensazione che il complimento le fece piacere.
-Io non sono niente di speciale.
-No, non è vero. Lei è bravissima. Ci mette l’anima quando spiega, è coinvolgente.
Stavolta ero sicura, il complimento andò a segno. Sorrise brevemente. Quanto era bella quando sorrideva!
-Faccio solo il mio dovere. Comunque grazie, sei molto gentile.
-Io l’ammiro molto, professoressa.
Mi guardò, contenta.
-Grazie, Anna. E’ gratificante sapere di essere un esempio per una tua allieva.
-Lei è anche molto bella, professoressa.
Mi resi conto subito di quel che avevo detto, ma mi uscì fuori di getto, come qualcosa di incontrollabile che avevo tenuto dentro per troppo tempo. La forza dei sentimenti aveva sbriciolato la mia timidezza. Lei rimase per un attimo stupita a guardarmi, io balbettai qualcosa del tipo “Mi scusi, non volevo dire, non intendevo che…”. Lei mi prese la mano.
-Non c’è niente di cui devi scusarti, Anna, anzi, ti ringrazio. Anche tu sei molto carina.
Feci sì con la testa, poco convinta. Mi vergognavo e mi congedai con una scusa. Corsi a casa in lacrime. Cosa mi ero messo in testa, cosa mi stava succedendo? Lei era la mia professoressa! Come potevo pensare che avrebbe ricambiato il mio sentimento? Piansi molto anche a casa, ma dopo tante lacrime pensai che era meglio concentrarsi sull’esame che mi aspettava domani. Verso le undici di notte mi arrivò un messaggio su whatsapp da parte di Erica: “In bocca al lupo per domani. Vedrai, andrà tutto benissimo”. Quel messaggio mi rincuorò ma allo stesso tempo mi fece male. Giustamente, era una brava insegnante, incoraggiava i suoi alunni. Una sua alunna, ecco quel che ero per lei, non sarei mai stata niente di più.
Comunque sia, quel messaggio mi portò bene perché effettivamente all’esame feci faville. Il mio lavoro piacque molto alla commissione. Erica era li, ascoltava attentamente, ogni tanto faceva di sì con la testa. Averla vicino probabilmente mi fece bene.
Quando uscii dalla classe, sollevata, mi raggiunse nel corridoio. Incredibilmente, la sua bocca si aprì in un largo sorriso e mi abbracciò forte. Non me lo sarei mai aspettato da una persona così pudica come lei.
-Bravissima, hai fatto davvero un ottimo lavoro.
-Devo ringraziare lei, mi ha aiutato.
-No, no, è tutto merito tuo. Sono davvero fiera di te.
Fiera di me! Diventai rossa come un peperone, bisbigliai qualche parola di ringraziamento.
-Adesso devo tornare in classe. Ci sentiamo presto!
Quelle parole, “ci sentiamo presto”, mi diedero per qualche secondo un briciolo di speranza, ma poi mi dissi che dovevo essere realista. La scuola era finita, chissà se ci saremmo riviste.
Ottenni la maturità col massimo dei voti. Grande gioia ma il meglio doveva ancora venire. Perché Erica mi telefonò per congratularsi e disse qualcosa che mi fece balzare il cuore nel petto.
-Perché non vieni a casa mia stasera per festeggiare? Se ti accontenti di un risotto ai funghi e di scaloppine al limone…
Accettai con gioia. Per l’occasione, rimisi il vestitino a fiori che mi piaceva tanto. Non sapevo cosa aspettarmi, anzi, lo sapevo: una bella serata con la mia professoressa. Quando mi aprì, trattenni il fiato per l’emozione. Era bellissima, i capelli ricci più lunghi e disordinati del solito. Indossava un vestito a gonna scampanata che le lasciava nude le spalle. C’era qualcosa di diverso in lei: era accesa, brillante. Felice. Sorrideva. Mi accolse con un grande abbraccio e mi baciò sulle guance. Avevo portato un omaggio floreale che gradì moltissimo. Si era come trasformata, aveva lasciato da parte la pesantezza che si portava dentro. Mi disse che poteva darle del tu, che non era più la mia insegnante, che presto sarei stata una sua collega. La cena fu ottima, la compagnia gradevolissima. Così come avevo apprezzato la Erica austera e rigida, ora toccavo con mano anche il suo lato divertente e solare. E mi piaceva anche quello. A fine cena, mentre la aiutavo a sparecchiare glielo dissi:
-Oggi mi sembri diversa
-Sì? In che cosa?
-Sei molto più vivace, allegra.
-Avevi l’impressione che fossi una mummia?
-No, no, questo mai. Solo che prima di oggi non ti avevo mai vista ridere.
Tacque per un attimo poi rispose con voce grave:
-Sai, a volte la vita ti cambia.
Poi si voltò e riprese con un sorriso:
-Ma oggi sono con un’amica e c’è qualcosa da festeggiare. Vieni, sediamoci sul divano con un bicchiere di limoncello. I piatti possono aspettare.
Mise su un po’ di musica, abbassò le luci. Ci sedemmo sul divano, vicine, come quella sera dove mi ero lasciata sfuggire quel complimento. Lei aveva ancora incrociato le gambe, la coscia destra era apparsa sotto lo spacco della gonna. Aveva delle belle gambe, slanciate, la caviglia fine. Ripensai a quella sera e il mio imbarazzo divenne tanto evidente che lei lo notò.
-C’è qualcosa che non va, Anna?
-No, no, niente.
-A cosa pensi?
A quel punto mi decisi. Ne avevo abbastanza di fingere.
-Penso a te, Anna – risposi, fissandola.
-L’avevo immaginato – disse piano.
Chinai la testa.
-Non riesco a pensare ad altro. Tutti i giorni, tutte le notti. Ho l’immagine di te nella testa.
Lei non diceva niente e io mi sentii incoraggiata a proseguire:
-Io non so quello che mi sta succedendo, so solo che il mio cuore batte per te. E adesso prendimi a schiaffi, cacciami via da casa tua, sono una svergognata.
-Non dire così.
Mi alzò il mento e mi costrinse a guardarla. Aveva uno sguardo comprensivo, ma non caritatevole. Ebbi un moto di sollievo.
-Ma tu stai piangendo, no, dai.
Era vero, le lacrime erano sgorgate libere. Mi vergognavo tremendamente.
Lei mi abbracciò e poi con un fazzoletto mi asciugò le lacrime.
-Scusami, mi sento una sciocca.
-Ma no, cara. Non sei una sciocca
-E cosa sono allora? Una povera depravata.
-Sei una bellissima ragazza con sentimenti profondi.
Mi accarezzava il viso con la mano destra: un bel modo per consolarmi, coccolarmi.
-Grazie per il bellissima.
-Ma è vero, non dico bugie. Mi ricordi tanto una persona.
-Chi?
-Una persona che mi è stata tanto cara e ora non c’è più.
-In che cosa te la ricordo?
-Aveva la tua stessa ingenuità, la tua stessa dolcezza, la tua voglia di amare.
Continuava ad accarezzarmi dolcemente e mi guardava fissa. Il verde dei suoi occhi mi sembrava più intenso.
-Ed era bella e giovane, come te.
Si avvicinò alla mia bocca e mi baciò come avevo sempre sognato. In preda alla sorpresa, non riuscii ad apprezzarlo come avrei voluto. Mi staccai. Volevo che lo ripetesse, volevo sentirlo ancora.
-Ti piaccio, davvero?
-Si, tesoro.
Le nostre labbra si unirono ancora e stavolta sì che il bacio me lo godetti tutto. La sua lingua tormentava la mia in un turbinio tanto dolce quanto frenetico. Mi stringeva a sé: avvertivo il contatto del suo corpo sodo. Le mutandine, lo sentivo, iniziavano a bagnarsi. Stavo levitando sopra la terra, non sapevo più dove mi trovavo. Sentii la sua mano stringermi il seno, insinuarsi dentro il vestito e il reggiseno. Afferrò il seno e lo strinse, provocandomi una ondata di piacere, poi giocò con la punta delle dita col capezzolo senza smettere di baciarmi. Ritrasse la mano e la portò sulle cosce. Quindi tra le gambe, sulle mutandine e la sua carezza raggiunge il massimo dell’audacia.
-Ooooohhhh….. – gemetti.
Lei sorrise.
-Sei tutta bagnata, tesoro mio.
Mi prese per mano e mi condusse in camera sua. Qui mi baciò di nuovo ed iniziò a spogliarmi, con mano ferma e sicura. Ammirò il mio corpo nudo, soffermandosi con soddisfazione sui miei seni, che accarezzò più volte.
-Wow….sei uno schianto.
Mi fece girare e mi toccò il culetto, passando il dito sulla scanalatura e sulla fessura anale. Sentii il rumore di una zip e intuii che si era spogliata anche lei. In piedi davanti al letto, mi abbracciò da dietro, accarezzandomi ancora i seni; io sentivo le sue grandi tette nude strofinarsi sulla mia schiena. Mentre lo faceva, baciava il mio collo abbandonando le sue labbra. Io trasalivo di piacere. Stavo per essere sua. Ero sua.
Quando fummo di nuovo faccia a faccia, non riuscii a trattenere un “oooh” di meraviglia. La vista del suo corpo di donna matura, delle sue forme prepotenti, dei suoi capezzoli puntuti, del ciuffo di peli biondastro che le copriva il sesso, mi lasciò senza fiato. Istintivamente, la abbracciai come lei aveva fatto con me e presi a baciarla e a toccarla dappertutto. Lei mi lasciò fare, con accondiscendenza, anche se dovevo essere tremendamente imbranata. Si staccò e mi portò a letto. Fummo di nuovo una sopra l’altra, a baciarci con passione.
-Cara….hai una pelle di velluto, sei stupenda – mi disse tra una carezza e l’altra.
Mi fece divaricare le gambe e sorrise alla vista della mia figa.
-Sei intatta, vero?
-Si…non l’ho mai fatto.
-Lo farai con me per la prima volta.
Iniziò prima a giocare col mio clitoride. Una serie di tocchi sapienti, alternati, che mi diedero un piacere pazzesco.
-Oh cara, si…si, così, amore, continua.
E continuò, mentre si toccava lei stessa con l’altra mano.
-Ti piace, tesoro mio?
-Siiiiiii…..daiiii….
E mi fece venire, un orgasmo squassante come mai avevo provato. Mi lasciò riposare e si distese al mio fianco, abbracciandomi teneramente.
-Oddio, che bello – riuscii a dire quando mi ripresi.
-Sono contenta che ti piaccia, amore.
Ora era venuto il suo turno. Era stata la mia insegnante di filosofia, fu la mia maestra anche dell’amore tra donne. Ne conosceva tutti i segreti. Si distese comodamente pancia in su, mi accarezzò i capelli e guidò le mie labbra sui suoi seni. Io non vedevo l’ora, quante volte avevo sognato di farlo. Glieli baciai e glieli succhiai, strappandole continui gemiti di piacere. Quindi fu la volta del suo ventre. Io le accarezzai la figa bagnata e iniziai a massaggiargliela. Il suo respiro si era fatto affannoso.
-Voglio che me la baci, tesoro.
Chi ero io per dire di no alla mia maestra? Aveva le gambe spalancate, in modo innaturale, quasi osceno. Voleva godere ed io ero li per darle piacere. Le aprii per bene la figa e vi introdussi la lingua. Gliela baciai con amore, muovendo la lingua dentro il suo nido.
-Sei bravissima…continua – disse lei ansimando.
Vidi che si dimenava sul letto, accarezzandosi le tette. Feci quel che mi avevo chiesto; continuavo a leccargliela e a baciargliela, la lingua entrava sempre più dentro di lei, ma ogni tanto la toglievo per darle dei piccoli colpetti che la facevano urlare.
-Si, si…si, amore…mmmmmmm…..
Presi il ritmo. La mia lingua la penetrava come un piccolo cazzo. Era bagnatissima, i suoi umori mi avevano inondato il muso. Il suo respiro si fece sempre più ansimante, sino a quando concluse con un grido.
Io mi accomodai al suo fianco, lei mi abbracciò.
-Sei stata meravigliosa, dico davvero.
-Non ho nessuna esperienza, spero di averti fatto godere.
Rise fragorosamente. Aveva una dentatura perfetta.
-Non te ne sei accorta?
-Si…è stato bello anche per me.
Rimanemmo a coccolarci per un po’, accarezzandoci a vicenda e baciandoci. Ad un certo punto le sue carezze si fecero più intime, era tornata sulla mia fighetta. Le sue dita esplorarono il mio sesso, per poi puntare dritto li.
-Vuoi farlo? – mi chiese.
-Si, si, si….- risposi, nuovamente eccitata.
Mi tolse la verginità con le sue dita, in modo sapiente e delicato. Non provai nessun dolore, solo piacere. Non sanguinò nemmeno tanto, giusto un pochino verso la fine. Mi entrò dentro con le dita e mi fece godere come una pazza. Esplorò il mio interno come solo un’altra donna sa fare e nel mentre mi baciava i seni e mi offriva i suoi da succhiare. Anche nel fare l’amore, aveva la nobiltà di una regina, era un’amazzone assetata di piacere. Venni di nuovo e mi chiese come andava.
-Benissimo….un po’ brucia, ma penso che sia normale.
-Si, tesoro. Sono fiera di essere stata la prima. Hai rimpianti?
-In che senso?
-Forse con un uomo sarebbe stato diverso.
-Sono felice che sia stata tu.
Grata delle mie parole, volle baciarmela un pochino, come un cane che lecca la ferita al padrone. Si mise carponi, ad osservarmi.
-Sei molto bella, sai.
-Anche tu.
-Io ormai ho i miei anni.
-Ma non li dimostri. Sei praticamente uguale alla foto.
-Quale foto?
-Quella che tieni in salone. Sei con una ragazza…forse tua sorella?
Per un attimo sui suoi occhi tornò quell’espressione cupa e malinconica che conoscevo bene,
-Non è mia sorella. E’ Paola. Una mia ex allieva.
-Le eri affezionata?
-Eravamo innamorate. Ma purtroppo è morta anni fa, in un incidente stradale.
Rimasi come impietrita. Ecco spiegato tutto; il perché della sua tristezza opprimente, di quel fardello che pareva trascinarsi dentro. Mi vennero le lacrime agli occhi e la abbracciai.
-Non sai quanto mi dispiace.
-E’ stata dura e lo è ancora. E’ stata la mia prima donna, prima di allora non avevo avuto esperienze omosessuali. Mi ha aiutata a capire meglio me stessa, a realizzare pulsioni che avevo cercato di domare e negare. Quando è morta, il mio mondo era finito con lei e ho pensato di morire anche io. Ma adesso ci sei tu. Non voglio più pensare al passato. Tu mi hai conquistata e hai saputo scacciare le mie ombre,
-Quando è stato?
-E’ un sentimento nato lentamente, ma non avevo il coraggio di viverlo. Ero la tua insegnante, non sarebbe stato corretto. Ma ora sono solo Erica.
-E io Anna…la tua ragazza.
-Si, la mia ragazza.
Stava sopra di me. La baciai di nuovo, mi impossessai dei suoi seni pesanti, che pendevano verso il basso come enormi frutti succulenti. Ebbe un brivido di piacere.
-Mmmm…..hai le labbra d’oro, amore.
-Hai dei seni di prima scelta.
Scoppiò a ridere.
-Una volta, forse,,,ora sono troppo grossi. Come il mio sedere.
-Che cos’ha il tuo sedere? A me piace tantissimo.
-Anche quello, troppo grosso.
Feci scherzosamente la faccia offesa, e mi mossi posizionandomi dietro di lei.
-Ma dove….è bellissimo.
Cominciai ad accarezzarle le chiappe, con movimenti lenti. Lei non disse nulla, ma la vidi abbandonarsi. Mi lasciava libera di fare quel che volevo del suo corpo. E io ancora farla godere ancora. Insinuai un dito dentro la figa, lei rispose con un mezzo gridolino. Ma non era quel che volevo. Risalii sino al buco del culo. Glielo stuzzicai con le dita, aprendo le natiche con le mani. Provai ad insinuare la lingua, ma non era facile, forse era un gioco troppo raffinato per una inesperta come me. Di sicuro piacque ad Erica perché accompagnava i miei movimenti con gemiti e sospiri. Ma il dito sì, il dito ci entrava. Lei ebbe un fremito.
-No, oddio, che fai….
-Lasciami fare, amore.
Il dito entrava sempre più in profondità. Si rilassò, favorendo il mio gioco. Il dito prese ad entrare ed uscire dal buco e lei godeva. Ancora di più quando la stuzzicai con un secondo dito. Erica aveva perso il controllo: le stavo togliendo la verginità del culo proprio come lei mi aveva lacerato l’imene. Ma aveva un sedere troppo bello, glielo volevo fare. Si mise alla pecorina, per facilitarmi il compito.
-Ancora, ancora, amore…è stupendo….è la prima volta per me…siiiii…
Continuando ad incularla con le dita, mi misi in ginocchio dietro di lei e le strinsi le tette,che avevano capezzoli durissimi. Lei gemeva e urlava.
-Fa male, ma è tanto bello….mmm…continua, continua, tesoro…cosììì….
Vidi la sua figa ancora bagnata ed ebbi un’idea. La penetrai con un altro dito, proseguendo la spinta dentro il culo. Non ne poté più. Ebbe un orgasmo anale e non solo, che la fece urlare. Stramazzò sul letto, sudata, con la figa fradicia di umori.
-Mi vuoi fare morire…
-Sì, di piacere.
E così fu. Quella volta e tante altre volte. Stiamo insieme e l’altro giorno mi ha chiesto di trasferirmi da lei. Siamo una coppia. So che Paola avrà sempre un posto speciale nel suo cuore, ma so di esserci anche io. E lei nel mio, la mia professoressa che mi ha insegnato ad amare.
MI INNAMORO DELLA MIA PROFESSORESSA
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Ben scritto, coinvolgente. Una scrittura raffinata. Purtroppo le scene di sesso degenerano un po’ nella pornografia, come la fase anale del rapporto. Mi è piaciuto come la descrizione dell’aspetto della prof. varia assieme alla crescita dell’innamoramento. Complimenti