Oramai non c’e più tempo! Sopra questo viale di Roma che curvo s’arrampica tra i pioppi spogli di Villa Borghese e si ritorce e s’allunga tra queste fontane che sgorgano brividi di solitudine e freddo.
Oramai non c’è più tempo! Tra le pieghe del tuo foulard rosa antico, tra le nostre mani clandestine che si stringono rosse dentro la tasca complice del mio impermeabile.
Piove su Roma, una pioggia secca di foglie che non bagna i nostri cuori arsi da tante lecite menzogne, che ora ci appaiono chiare e ci fanno ridicole. E camminiamo fuori posto senza più appiglio, senza che un pizzico d’insana follia ci venga in soccorso a darci ragione, a darci coraggio per colmare questo vuoto di assenza e silenzio, e alleviare questo peso che ci dà nausea e forze di stomaco.
Fossi almeno capace di vomitare! Ma non ci sono riuscita per tutta la vita! Neanche con un dito ficcato contro le tonsille o un intero limone spremuto dentro un caffè. Ora basterebbe molto di meno, solo parole legate da un senso che arrivino dritte dentro quella parte sana di cuore ancora non marcia.
Non parli! Ed io non ti rispondo, anche se so benissimo che dovrei spiegarmi, parlarti, raccontarti di come ho passato questi ultimi giorni, di come, in mezzo a questo temporale che minaccia e non piove, ho trovato la superbia per farti sentire di colpo un’estranea, per farmi sentire decisa come mai sono stata.
Non parli! Ed io non rispondo perché tutto oramai suonerebbe come distacco accompagnato dal rumore di questo vento, di queste foglie morte che invano cercano di danzare, non toccare terra ed essere ancora vive.
Mi stringi la mano fino ad intorpidirmi le dita, fino a premermi con forza la gamba per ribadire che conti, nonostante da un’ora muta m’offendi e senza parole inveisci quanto una voce che strilla.
Sapessi quanta pena mi sento! Quanto quei tuoi occhi bagnati da cane m’infittiscano il sangue e il respiro che ingoio insieme a boccate di risentimento e dolore. Sapessi come vorrei vederti nella mia stanza, dentro il mio letto illuminato da un fascio di pulviscoli sospesi sulla tua faccia struccata, o sopra quel capezzolo ribelle che mi provoca e m’invita.
Ora misera tento ancora di farti sentire protetta, e m’azzardo a sfiorarti i capelli che chiederebbero conforto a chiunque passasse vicino questo steccato, ma non certo a questa mano che si ritrae e m’appare ipocrita e distante da qualsiasi benevola intenzione.
Ti fermi e ti siedi senza darmene conto. Mai prima d’ora sarebbe potuto accadere, mai prima d’ora m’avresti lasciato di scatto la mano facendomi stringere soltanto un gelido vuoto.
Ti sposti nervosa la frangia dagli occhi e mi guardi diffidente come se portassi un trucco diverso o un maglione che tu non m’hai mai regalato. Ti vedo piccola, più giovane di quanto tu sia veramente, più minuscola di una bambina in cerca di madre, di un viso in cerca di carezze e di baci che, solo ora mi rendo conto, non potrò più offrirti.
Mi siedo vicino e cerco parole, sto cercando ancora parole da quando ti ho vista, da quando la tua mano ha stretto la mia convinta ed illusa che ancora nulla avevo deciso, incerta e delusa che nulla avrei più detto.
Ed ora accompagno a piccoli passi il tuo dolore come vedova nell’ultimo viaggio insieme. Lo vedo! I tuoi occhi non hanno più luce, ora sono solo in cerca di un altro padrone che asciughi almeno quel pianto che ora mi strugge. Ma niente poteva essere diverso, nient’altro sarebbe potuto accadere per evitare quest’amarezza che c’imprigiona e c’incatena in questi ultimi, brevi istanti dove ci sentiamo ancora per poco indispensabili all’altra.
Ancora per il tempo che corre mi guardi come se fossi vuota, paesaggio senza alberi e case, dove all’orizzonte si perde uno sguardo, una storia come questa che stiamo ancora vivendo.
Ma torni vicina e mi stringi i lembi del cappotto, come se fosse il mio corpo, come se ora nient’altro ti sia consentito. Trattieni il respiro e ti gonfi la faccia, stai lì lì per parlare, lo sento. Come vorrei che tu mi dicessi qualcosa, qualsiasi cosa che non sappia di rimprovero! Ma non mi merito poi tanto!
Dimmi, ti prego, dimmi che sono stata una stronza, che almeno potevo dirti cosa frullava nel mia testa malata, che in questi giorni distanti e lontane non avevo nulla da fare. Dimmi, ti prego dimmi, che mi sono comportata come una semplice madre che per un bene più grande provoca amarezza e dolore istantaneo. Dimmi ti prego dimmi che comunque la si voglia vedere non ti ho considerata all’altezza dei miei pensieri! Dimmi, ti prego, dimmi ‘..
Ma solo mi fissi e mi guardi e mi vieni vicina, più vicina per farmi toccare il tuo dolore, perché i nostri mali si confortino insieme, rivendicando a vicenda la propria sofferenza che incurva sopra questo steccato. E mi vieni vicina e mi accarezzi la stoffa finché dentro un bottone slacciato trovi calore ed alcova per il tuo viso, la tua bocca. Che ne sarà di domani se ora mi trovi senza difese? Che ne sarà dei miei propositi di ieri se le tue labbra continuano a cercarmi e si stringono a morsa sul mio seno oramai completamente immerso nel paesaggio autunnale. Un’ombra grigia che passa, rallenta e non crede ai suoi occhi, si ferma e ci guarda, ma sa che non è passione, non può essere amore se disperate ci cerchiamo, se ti fai così piccola e ti contengo in una mano. Succhi avida il mio seno, ma non posso più nutrirti, non dovrò più riempirti le giornate che da ora, tra qualche minuto, da quando staccherai la tua bocca sarà come non ci fossimo mai viste.
Ma succhialo e fammi del male! Come un uomo senza rendersi conto, come se fosse la prima volta o l’ennesima dove non ci si accorge di quanto ridicoli possano essere i nostri istinti. Succhialo fino ad essiccarti la bocca, fino a che la lingua stanca non si ritragga tra i denti. Succhialo sapendo che è l’ultimo che succhi, che tra poco nessun seno riempirà più la tua bocca e non dovrai più consumare la lingua per far venire chi ami. Succhialo e dammi piacere che ora non sento! Perché le tue labbra ne rimangano impresse, perché questa saliva che abbondante cola e mi bagna non s’asciughi al primo alito di vento. Fa che i miei seni rimangano umidi come lenzuola stese d’inverno, come nebbia che fitta s’infiltra tra le mie ossa infiammate dagli anni. Anche se solo ora mi rendo conto che gli anni che porto non hanno mai fatto differenza!
Ma tutto ciò ora suona maledettamente sfilacciato, non colpisce e non fa effetto come questo ti amo che rimane compresso e deforme dentro le mie labbra, come questo tuo ‘nonostante ti voglio’ che s’infiacchisce prima di diventare una flebile voce.
Improvvisamente t’alzi e mi lasci in balia dei miei sguardi, del rossore di questo seno allungato che senza il tuo sostegno, la tua passione, cala e s’aggrinzisce convinto che nessun’altra bocca, di uomo, di donna possa un giorno fargli provare quello che volutamente ha reciso.
Non c’è più tempo! Lo sento nel rumore dei tuoi passi che mi camminano, ora indietro perché vittima, ora davanti perché risoluta, e finalmente fianco a fianco lungo le ultime panchine di questo viale che ci vedono di nuovo mano per mano.
Usciamo fuori dalla villa e Roma ritorna normale, uno spicchio tiepido di sole riflette sulle vetrine di sconti, sugli impiegati che pranzano in piedi, sui poliziotti che fanno la scorta. Ci fermiamo al rosso del primo semaforo e la tua mano mi sfugge, questa volta per sempre. Dall’altro lato della strada un uomo ignaro t’aspetta. Ora corri, ora ridi, ora lo baci in punta di piedi. Ti seguo con gli occhi, non ti volti e sei quasi felice, l’uomo ti prende la mano ancora tiepida e ti trascina via. Lontano.
Inizio interessante e scritto davvero bene (fatto non così comune). Non vedo l'ora di leggere la continuazione👍
Sempre bello leggere i tuoi racconti, spero di non aspettare tanto per il prossimo capitolo
Storia interessante e piacevole lettura. Spero continui con il 10 capitolo
Racconti intriganti e piacevoli nella lettura complimenti. Aspetto da tempo e spero arrivi il terzo capitolo con finale
Grazie Rebis