Alle sei e venticinque il paese era ancora avvolto nel silenzio. Il sole sbucava piano dietro le colline, dipingendo l’intonaco delle case di un arancio sbiadito. L’aria sapeva di umido, di notte consumata, di caffè in arrivo. Anna si era svegliata senza bisogno della sveglia. Le bastava l’abitudine. O la stanchezza. La linea di confine tra le due cose era scomparsa da tempo.
Si alzò dal letto con un movimento lento, calibrato. Marco dormiva ancora, sdraiato sul fianco, il lenzuolo tirato fino all’anca. Era ingrassato, ma non tanto da diventare irriconoscibile. Solo abbastanza da non attrarla più. O forse il problema era un altro. Che aveva smesso di guardarla. Di cercarla. Di toccarla. Avevano smesso insieme, senza dirselo, come capita alle coppie stanche che si vogliono ancora bene, ma hanno disimparato il desiderio.
In cucina, Anna si mosse come sempre. In silenzio. Caffè, tazza, sedia. La vestaglia leggera cadeva morbida sulle sue curve ancora intatte, protette da anni di disciplina, di cura silenziosa. I capelli erano sciolti, lunghi fino alle spalle, leggermente mossi. La frangia tagliata dritta, con precisione. Gli occhiali grandi sul naso. Nessun trucco. Nessun bisogno. Non in quel momento. Era l’unico spazio della giornata in cui poteva essere solo un corpo, senza occhi addosso.
Bevve il caffè lentamente, lo sguardo perso fuori dalla finestra. Il paese era ancora addormentato. Solo qualche tapparella si alzava timida. Un cane abbaiava in lontananza. Un uomo in bicicletta passava con una pagnotta legata al manubrio. Tutto era immobile, uguale, ripetuto.
Alle sette e dieci entrò in camera dei bambini. Li svegliò con un tono dolce, le carezze giuste. Il più grande sbuffò, il piccolo si aggrappò al collo. Colazione, zaini, scarpe. Fuori dal portone alle sette e quarantacinque. Precisa. Sempre.
Alla scuola, tutto come sempre. Le madri raccolte in piccoli gruppi. Le solite frasi. Le solite occhiate.
“Ciao Anna… che bella oggi, come sempre.”
“Ma tu non invecchi proprio, eh?”
“Te lo posso dire? Sei la più chic di tutte.”
Anna sorrideva, con quel mezzo sorriso educato che non lasciava spazio né all’intimità né alla replica. Era abituata. Ogni giorno era una passerella, una verifica. Tutti la vedevano, tutti la notavano, ma nessuno la conosceva davvero.
Rientrò a casa prima delle nove. Sistemò la cucina, fece le lavatrici, rifilò le piante del balcone. Ogni gesto aveva il sapore di un automatismo. Come se esistesse solo nel fare. La mente fluttuava altrove, in un punto lontano dove nessuno la chiamava, dove nessuno le chiedeva niente.
Alle dieci si sedette sul divano con il telefono in mano. Scorse qualche notizia, aprì Instagram. Le piaceva guardare le vite degli altri, anche se sapeva che erano finte. Donne perfette, colazioni perfette, vacanze perfette. Una finzione globale. Un teatro luminoso.
Aprì i messaggi. Ce n’era uno.
Richiesta di messaggio da un profilo senza foto. Nessun nome. Nessun post.
@privato__sconosciuto
Un profilo creato il giorno prima, nessun follower.
Inquietante. O solo strano.
Aprì il messaggio, più per noia che per curiosità.
E lì trovò le parole.
“Una settimana.
Settantamila euro.
Villa in campagna.
Obbedienza assoluta.
Nessuna domanda.
Interessata?”
Restò immobile.
Per un istante, il tempo si piegò.
Non sentì più la lavatrice. Né i passi di sopra. Né i gabbiani fuori.
Solo le parole. Cinque righe, fredde, pulite, chirurgiche.
Settantamila euro.
Lo lesse di nuovo.
Poi ancora.
Settantamila. Non cinquantamila. Non centomila.
Settantamila esatti.
Come il saldo del debito con la banca.
Come quella cifra che suo marito non era mai riuscito a coprire.
Come la somma che l’avrebbe liberata da tutto.
Chi era? Come sapeva?
Perché lei?
Le domande arrivarono una dopo l’altra. Ma non furono le prime.
La prima sensazione non fu paura.
Fu un brivido. Una scossa. Come una corrente elettrica sottile che le attraversò la pelle.
Desiderio.
Un istinto sporco, proibito, represso così a lungo da non avere più nome.
Chiuse il telefono. Lo lasciò sul tavolo. Si alzò. Camminò in cucina. Aprì il rubinetto. Bevve acqua.
Guardò fuori.
Ma il pensiero tornava sempre lì.
Una settimana.
Settantamila euro.
Obbedienza assoluta.
Non c’erano minacce. Non c’erano spiegazioni. Solo una proposta.
Chiara. Diretta. Cruda.
Come un colpo secco sul tavolo.
Si sedette di nuovo. Riaccese il telefono. Riaprì il messaggio. Nessun altro testo. Nessuna nuova notifica.
Solo quelle cinque righe.
Avrebbe potuto bloccare. Segnalare. Ignorare.
Invece scrisse.
Quando.
Niente emoticon. Niente formalità. Solo quella parola.
Chiuse l’app. Spense il telefono. Appoggiò la schiena contro il divano. Inspirò profondamente.
Il giorno che non doveva essere diverso da nessun altro… lo era diventato.



Ciao, questo racconto in questi due capitoli e’ gia’ una promessa …sara’ bellissimo perche’ lo e’ gia’ quindi mi aspetto un racconto emozionante, complimenti