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Trio

Cristiano e Francesco

By 9 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Venerdì sera, &egrave tardi, usciamo dalla birreria che sono le due passate. Cristiano si mette al volante, Francesco di fianco a lui, io sono seduta dietro. E’ strano Francesco, le prime volte non voleva neanche che mi avvicinassi a lui, mi teneva a distanza, diceva che gli facevo paura. E a me piace fargliene. Gliene ho dette di tutti i colori, una volta gli ho anche chiesto se una ragazza non gli avesse mai detto “strappami le mutande”. Mi ha detto di no. Poi deve aver cominciato a rilassarsi, deve essersi accorto che mi limito ad aggressioni verbali, che non allungherei le mani. Una sera mi ha stretto la mano e mi ha baciata sulla guance, &egrave stata la prima volta che mi ha “toccata”. La volta dopo ha fatto spostare Cristiano per sedersi vicino a me su un divanetto, e mi ha chiesto di massaggiargli la schiena. Solo qualche settimana prima, quando gli avevo offerto un massaggio, mi aveva risposto che a lui non le avrei messe le mani addosso.

Adesso siamo in macchina, chiacchieriamo del più e del meno, Cristiano guida piano, &egrave un po’ stanco, sbaglia anche strada. Inizio a massaggiare le spalle ed il collo a Francesco. A lui piacciono i massaggi vigorosi, devo lasciargli qualche segno sulla pelle. Quando mi fanno male i polpastrelli dei pollici mi sposto e massaggio un po’ Cristiano. Poi torno da Francesco. E’ rilassato, continua a chiacchierare. Ho voglia di fare qualcosa di diverso, ho voglia di fargli ancora paura, non mi diverte vederlo così rilassato sotto le mie mani. Gli faccio ribaltare il sedile. Inizio a massaggiargli le orecchie, poi il viso, un massaggio delicato, quasi una carezza. Non si scompone, sta li a godersi il massaggio. Si rilassa sotto le mie dita. Inizio a sbottonargli la camicia, mi aspetto un movimento, un gesto che mi fermi, ma lui non si muove. Scendo con le mani, la carezza si sposta sul petto. Slaccio il secondo bottone. Il terzo. Voglio vedere quando mi ferma. Forse lui vuol vedere fin dove arrivo. Comincia ad essere abbastanza svestito.

Gli accarezzo il petto, gli accarezzo i capezzoli. C’&egrave una reazione al contatto, ma lui continua a non muoversi, continua a parlare come se niente fosse, salvo che ogni tanto perde il filo del discorso. Slaccio il quarto bottone. Il quinto. Sono quasi alla cintura. Cristiano non si &egrave ancora accorto di niente, o fa finta di non accorgersi. Francesco &egrave quasi a dorso nudo, e non fa una piega. Non gli faccio più paura e non mi va bene così, non mi diverto. Oso. Gli accarezzo i capezzoli. Con la lingua. Molto lentamente, pronta a tirarmi indietro alla reazione rapida e stupita che mi aspetto. Niente. Ha smesso di parlare, non risponde più a Cristiano, ma non si muove. Solo il suo respiro si &egrave fatto un po’ più veloce. Ho iniziato il gioco. Non mi ferma ancora. Con la lingua disegno geometrie sul suo petto, e dove non ci sono lingua e labbra ci sono le mani. Gli inumidisco i capezzoli, poi glieli strizzo tra i polpastrelli, poi scendo a leccargli l’ombelico, poi torno ai capezzoli. Continua a non muoversi, a non reagire. Slaccio l’ultimo bottone della camicia, quello appena prima della cintura. Gli accarezzo il ventre piatto. Lui trattiene il respiro. Inizio a slacciare la cintura. Movimenti lentissimi. Riesco a slacciargliela con una mano sola.

Non mi sono accorta che Cristiano ha fermato la macchina. In una stradina di campagna. E sta lì a guardare la scena, senza dire una parola. Francesco continua a non muoversi, non mi ferma, non mi dice di farlo. Afferro la linguetta della cerniera. Non riesco a tirarla giù con una mano sola, i pantaloni sono in tensione. Devo sollevarmi per farlo. Mi aspetto che lui si sposti, che si tiri su, che si rivesta con un movimento rapido, che mi blocchi le mani. Niente. Con un movimento lentissimo abbasso la cerniera guardandolo in faccia. Mi guarda con aria sorniona, mi sfida con lo sguardo, forse non crede che andrò avanti. Sollevo la camicia che era infilata nei pantaloni, e ne slaccio gli ultimi bottoni. Quando ridiscendo con la testa verso di lui, inizio a baciargli, a leccargli il collo, poi le orecchie, le spalle. Piccoli baci, piccoli morsi. Con le mani accarezzo il ventre ormai completamente esposto al mio sguardo. Mi fermo dove iniziano i boxer. Il suo respiro diventa ancora più rapido. Lui tira in dentro la pancia. Infilo la punta dei polpastrelli appena sotto l’orlo dei boxer. Scendo ancora con la lingua, con le mani cerco le sue mani, gliele stringo, me le stringe. Lascio le sue mani. Lo tocco attraverso il tessuto dei boxer. Ha un sussulto. Continuo ad accarezzarlo, ancora attraverso il tessuto dei boxer. Un contatto leggerissimo, solo uno sfioramento, come accarezzare un gatto. Da un po’ di tempo non parliamo più, Cristiano ha spento anche l’autoradio. Si sente solo il respiro rapido di Francesco. Che continua a non muoversi.

Mi sollevo. Mi giro verso Cristiano mentre continuo ad accarezzare Francesco lentissimamente. Francesco ogni tanto alza il bacino a cercare un contatto più forte, e allora io ritiro la mano. Uno stillicidio. Guardo Cristiano negli occhi. Un movimento del sopracciglio. Lui mi risponde allo stesso modo. Mi sposto verso di lui. Lui mi viene incontro. Le labbra, la lingua. Le mani per Francesco, la bocca per Cristiano, le labbra, il viso, le orecchie, il collo, lo bacio dappertutto, come al rallentatore. Uno dei due comincia ad accarezzarmi, non riesco a capire quale dei due. Lo fermo. Non voglio ancora. Voglio dedicarmi completamente a loro. E non voglio perdere il controllo. Cristiano ribalta il suo sedile. Torno con la bocca su Francesco mentre inizio a svestire Cristiano, la camicia, la cintura, lui non ha la cerniera, ha i bottoni. E’ diverso. Ogni bottone ti costringe a sentire quello che c’&egrave sotto, ti costringe ad appoggiarti a quello che c’&egrave sotto. Sembra impaziente, intralcio il suo lavoro di svestizione giocando con le sue mani, intreccio le mie dita con le sue dita. Gli accarezzo il petto con la mano aperta, millimetro per millimetro, quasi per vedere con le mani quello che gli occhi non possono vedere. Intanto scendo con la testa, le carezze che prima davo a Francesco con le mani, ora sono baci e piccoli morsi, ancora attraverso il tessuto dei boxer. Una tortura, un’agonia. E poi sono tutti e due a dorso nudo, coricati uno alla mia destra e uno alla mia sinistra. Li guardo, li accarezzo, scendo a baciare ora uno ora l’altro.

Poi, finalmente, infilo le mani sotto i boxer. A tutti e due. Lentamente. Contemporaneamente. Sussultano. Tutti e due. Contemporaneamente. Finalmente la carezza direttamente sulla pelle. Tutti e due abbassano quell’ultimo lembo di tessuto che ancora pregiudica la vista della loro nudità. Sono bellissimi. Tutti e due nelle mie mani. Mi sembra di tenerli in pugno, mi sembra di avere un potere smisurato su di loro. Posso decidere cosa fare di loro, posso decidere quando finire il gioco. Per ora li accarezzo, li stringo, faccio a tutti e due gli stessi movimenti, ora più lenti, ora più veloci, con una presa ora più forte, ora più delicata. Poi scendo di nuovo con la bocca, ora su uno, ora sull’altro, a disegnare geometrie sul petto, poi sempre più giù, sull’ombelico, e quando loro si aspettano che scenda ancora, con la lingua, con la bocca, quando si aspettano una carezza definitiva, ricomincio a salire, verso i capezzoli, verso il collo, e rallento anche il movimento con le mani. Un’agonia, rimando il loro piacere a mio piacimento. E quando ormai non se l’aspettano, ecco che con la lingua inizio a dare piccole carezze, prima a uno e poi all’altro. Carezze rapide, quasi di sfuggita, che loro fanno appena in tempo a sentire, forse più per l’effetto di bagnato che rimane sulla loro pelle, che per l’effettivo contatto. Carezze via via più lente, più prolungate, come leccare un gelato che inizia a sciogliersi, e tu devi rincorrere con la lingua le gocce che scivolano lungo il cono. E quando tutto &egrave bagnato di saliva, la mano scorre più decisa, più veloce. Ma non &egrave ancora il momento, non &egrave ancora ora. Voglio tenerli ancora un po’ in sospeso. Voglio giocarci ancora. Voglio godermeli ancora un po’. Rallento di nuovo. Non so per quanto tempo gioco così con loro, li porto al limite poi mi fermo, poi riparto e poi mi fermo ancora. Ogni tanto muovono il bacino, mi vengono incontro, ed io rallento apposta, ma non muovono le mani, non si toccano, non mi toccano, solo, quando li accarezzo con la lingua, mi accarezzano il viso, ma non mi chiedono niente, accettano questa piacevole tortura, stanno al gioco, restano in balìa delle mie mani, della mia lingua, delle mie carezze.

Poi decido che &egrave ora. Non più solo la lingua, ma le labbra, la bocca, i denti, a stimolare, ad accarezzare, a mordere e succhiare, a dare il piacere così a lungo rimandato.

E poi, finalmente, andiamo a dormire.

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