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Trio

Il gioco di Sandro

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Esce dalla doccia, lasciando dietro di se tracce di piccoli piedi umidi sul parquet della camera.
E’ minuta, graziosa, piccoli seni sodi, capezzoli rossi che contrastano con la pelle chiara. Il segno del costume è appena percettibile, un’ombra che slancia ancora di più la curva delle anche, morbida e sinuosa.
Passa il bianco telo di spugna sul suo corpo, con dolcezza, insistendo tra le gambe, poi inizia a rivestirsi rapidamente, forse per vincere l’imbarazzo.
Imbarazzo…
l’ho appena scopata, la rapida doccia ha lasciato qualche resto del mio passaggio sui suoi capelli, la mia donna si trova ad un paio di porte di distanza, accovacciata, la pelle ancora calda degli umori di questa splendida bruna, e lei prova imbarazzo.
Forse pensa che rivestirsi sia una momento intimo e la mia presenza nella camera, comodamente seduto sulla poltrona mentre la guardo dissimulare l’ansia, la voglia di sbrigarsi, la innervosice.
Nella foga una calza si sfila, soffoca un’imprecazione. Alla fine riesce a rivestirsi, ed è un bello spettacolo.
Un velo di trucco appena accennato, un filo di rossetto ed è pronta.
Mentre l’accompagno passiamo davanti alla porta del salone. Lei ha un’esitazione, forse ricordando quello che pochi minuti prima è accaduto li dentro.
La fermo, trattenendola per un braccio, poi apro la porta della stanza e la invito ad entrare.
Night è ferma, così come l’ho lasciata, in ginocchio, con una spalla appoggiata al bracciolo della grossa poltrona di pelle.
La conosco, la mia donna. So che tiene i piedi leggermente larghi, per potersi strofinare contro il tappeto.
Lo fa quasi inconsciamente, anche se stiamo semplicemente insieme.
Viene a sedersi così, poggiando la testa sul mio braccio, e si muove mentre le accarezzo i capelli, mentre parliamo, mentre in silenzio ci scambiamo frasi d’amore con gli occhi.
Lo stava facendo anche ora, l’ho vista.
Si è fermata quando ha sentito i passi, ed ora è immobile. Ma io posso sentire quasi fisicamente la voglia repressa che fa tremare ogni fibra del suo corpo.
Mi avvicino, le sfioro i capelli, li afferro dietro la nuca e le giro con un gesto deciso il viso verso il mio.
Un bacio, lunghissimo. Il mio sapore sulle sue labbra.
Sposto le mani dietro la sua schiena, sciolgo il foulard e le libero le mani.
Continuo a baciarla, scendo sul collo, risalgo sull’orecchio e vi appoggio le labbra.
Prendo un capezzolo tra le dita, lo stringo, sempre più forte. Lei ha un sussulto, ma non emette una parola.
Mentre continuo a stringere le parlo dolcemente all’orecchio, sussurrando.
“non devi godere, amore mio… non hai il permesso di farlo, non farti trovare di nuovo a strofinarti…. ti adoro”
La lascio li, le mani libere di toccarsi, di darsi quel piacere che sta aspettando da troppo. Lo so che si toccherà.
La guido per farle assumere una posizione a quattro zampe, poi la faccio ruotare per mostrare il sedere a noi.
Guardo il volto della nostra compagna, è illuminato da un rossore che accende di voglia la sua espressione.
Immergo due dita nel miele luccicante oscenamente esposto ed immediatamente lei spinge in fuori il bacino.
Ad un cenno l’altra si avvicina, le labbra socchiuse, e senza che debba dirle nulla prende le due dita lucenti nella sua bocca.
Sento la lingua che strofina impazzita, e muovendo la mano la guido con il viso a pochi centimetri dal frutto esposto.
non devo dirle nulla, posso vedere la lingua uscire per baciare le altre labbra, con passione.
Le sento tremare sotto le mie mani, decido che è ora di finire.
Afferro la nostra ospite per i capelli, ha il viso sporco, il leggero trucco è definitivamente andato. La bacio, sforzandomi di ignorare l’unica donna che invece mi interessa, quella carponi ai miei piedi.
Usciamo dalla stanza senza dire nulla, senza un cenno o una carezza.
Scendiamo velocemente le poche scale che ci separano dal portone, poi l’esterno, il giardino, la sua auto.
Apre velocemente la portiera, nel salire la sua gonna scopre per un attimo la smagliatura della calza.
La fermo poggiandole una mano sulla spalla, mi chino a baciarla. Ha in bocca l’odore della mia donna, lo riconoscerei tra mille.
Le graffio con i denti la lingua che mi ha infilato in bocca, come a volerle raschiare via ogni sua traccia, come ad impedirle di portare via qualsiasi cosa mi appartenga.
“Dammi i tuoi slip, ora…”
Esegue, senza fiatare. La gonna sale sui fianchi, le cosce brillano alle ultime luci del giorno sopra il pizzo delle calze, rapide le dita si infilano sotto l’elastico del perizoma avorio che in un attimo passa dal cingere i suoi segreti alla mia mano, ancora calda dei suoi odori.
Mi volto e vado via, senza guardarla. Sento lo sportello che si chiude, il motore rombare via lungo il viale e con la coda dell’occhio vedo la macchia dell’auto che porta via la nostra amante senza slip verso un futuro che non mi interessa.
Chi mi interessa è al primo piano.

Apro lentamente la porta, lasciandola socchiusa e sbirciando dentro la vedo.
Ha posato le mani, ora libere, sulle cosce e si accarezza, quasi riesco a sentire la tensione che prova mentre cerca di evitare di toccarsi, senza riuscirci. Mugola come un cucciolo abbandonato, si muove a scatti, priva oramai da quasi un ora di riferimenti. Tentenna, si tocca, si allontana, prova a spostarsi.
Apro la mia camicia, che cade a terra, seguita dai pantaloni. In breve sono nudo.
Entro piano, misurando silenziosamente i passi sul tappeto, fino a giungere a pochi centimetri da lei.
quando si rende conto della mia presenza è tardi per rimediare.
Probabilmente starà maledicendosi per aver disobbedito e non averlo fatto fino in fondo, almeno a giungere al piacere che la sta facendo disperare.

Si è fermata, come fulminata dalla mia presenza. Ha il viso basso, le labbra incurvate di una bimba scoperta con la mano nel barattolo dei biscotti.
Quanto adoro baciare quel musetto mogio.
Mi allontano da dei, ed inizio a girarle intorno, parlandole. La voce mi esce bassa, calda, calma.
“Non sei stata di parola, amore mio. Eppure non ti avevo chiesto molto… ”
Le giro intorno mentre lei ruota su se stessa cercando di restarmi di fronte, di non perdere l’orientamento a fatica ritrovato. Vado da una parte all’altra, anticipandone i movimenti, le sembra di essere sempre voltata dalla parte sbagliata.
Il giorno andato via ha portato con se anche il riferimento luminoso della grande vetrata sul giardino, immerso ora nella penombra della prima sera.
Cade a quattro zampe, si muove gattoni, urta contro i mobili ed i muri.
Io insisto. Giro per la stanza, parlando.
“Credo che se hai deciso di finire da sola, finirai da sola, visto che io non ti servo…”
La vedo scossa da un paio di singhiozzi, lucide lacrime scorrono sotto il foulard che la benda, brillando nella luce dorata che a malapena illumina la stanza. Gioco ancora a non farmi trovare, la sfioro e mi sposto.
Mi decido, la prendo per i capelli, duramente. La trascino al centro della stanza, fermo nuovamente le mani dietro la schiena.
Prendo una bottiglia dal bar, la scelgo con cura. E’ alta, ha il collo largo.
la poso al centro del tappeto.
Il sollievo di avere di nuovo un punto di rifermimento sembra farla godere, i capezzoli si fanno se possibile più duri.
Svettano dai seni spinti in avanti dalla posa innaturale imposta dalla posizione delle braccia.
Mi metto di fronte a lei, poggio le mie labbra sulle sue guance, asciugo le lacrime con la punta della lingua, sa di sale, ha un odore che mi fa impazzire.
Le accarezzo i fianchi, il ventre, il tocco leggero ma deciso, passo una mano sul monte di venere e pettino il pelo curato, poi mi dirigo verso i seni toccandola solo con i polpastrelli.
La mia bocca si muove sul suo viso, fino a raggiungere l’orecchio destro.
Prendo i capezzoli tra le dita, li afferro saldamente poi le sussurro in un orecchio “non hai saputo aspettarmi, amore mio… puoi allargare le gambe, per favore?”
Obbedisce, forse sperando di poter così rimediare almeno in parte.
Cerca di bilanciarsi, non può usare le mani, sono io che la sorreggo, la aiuto, la guido.
Apre leggermente le gambe, poi la tiro giù guidandola, la faccio accucciare… ad un tratto sente il tappo della bottiglia contro la fica, ha un sussulto.
Mi chino a baciarla, poi un sussurro.
“Hai iniziato da sola, fammi vedere come finisci da sola…”
Poggia la guancia contro la mia pelle, sul ventre.
I miei peli solleticano il suo mento, io premo sotto la sua gola per la voglia che mi sta facendo impazzire…
Le accarezzo i capelli mente con i movimenti del bacino cerca di trovare il varco per mettere fine alla voglia che la sta uccidendo.
L’entrata è sottolineata solo da un brivido che la scuote, lo sento chiaramente trasmesso sul mio corpo.
Premo sulle sue spalle, la bottiglia penetra in profondità.
La conosco, se attendo altri trenta secondi avrà il suo orgasmo.
La lascio li, allontanandomi, accucciata, bendata, legata, impalata su una bottiglia.
Un altro distacco, sola ancora una volta. Non riesce più a sopportarlo, urla.
le giro dietro mente sta emettendo il suo lamento, che termina nel momento stesso in cui le poggio le mani sulla schiena, le faccio scorrere sui glutei tesi nello sforzo di sostenere il suo peso, poi salgo a prenderla per i capelli, la faccio chinare fino a poggiare il viso sul tappeto.
E’ esposta, il sedere in aria, la bottiglia ancora in parte dentro.
La sfilo completamente, ha un lungo gemito che accompagna tutta l’operazione.
Poi, finalmente, sostituisco il freddo vetro con la mia carne.
Piano, scorro sulla fessura, dalla clitoride all’ano, e di nuovo giù.
Penetro in lei con un solo, lungo, lento movimento. Mi fermo solo quando le natiche spingono contro il mio ventre, per aiutare la penetrazione.
Per un lungo attimo restiamo così, poi è lei che inizia a muoversi, a scegliere il ritmo, a decidere quando e quanto.
Giusto premio alla sua dedizione, alla sua obbedienza.
Poggio le palme delle mani sul sedere, lo allargo.
I due pollici si uniscono proprio sul buco libero. Lei capisce, inizia a dimenarsi. Raccolgo il perizoma della nostra amica, lo passo sul suo viso, sotto il suo naso. Lei riconosce gli odori, sento la contrazione evidente sul mio cazzo piantato dentro di lei.
Automaticamente apre la bocca, caccia la lingua, io appoggio la stoffa e la spingo dentro, bavaglio profumato di sesso.
Un attimo dopo sono di nuovo con le dita su di lei, e dopo un attimo ancora le sono dentro.
Con i pollici uniti la allargo, mi sento scorrere dall’altra parte del sottile strato di carne.
L’urlo che sento, soffocato dal bavaglio improvvisato, è quello di un godimento troppo a lungo cercato, voluto, sperato, ed infine raggiunto.
La scopo ancora, ed ancora. Poi arriva anche il mio momento, non posso resistere oltre.
Sciolgo le braccia, esco da lei, la faccio sdraiare supina sul tappeto, la penetro di nuovo.
Manca davvero poco, sento le contrazioni farsi indifferenti ai miei controlli, il calore montare, le orecchie chiudersi, come se tutto intorno a me fosse immerso sott’acqua.
con le ultime forze sciolgo la benda, dopo tanto, e guardo negli occhi la mia donna.
Il fuoco che vi leggo dentro mi accompagna in un lungo, intenso, incredibile orgasmo.

[continua?]

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