Stiamo percorrendo la Punta Allen Road. Una strada sterrata di sabbia bianca che scendendo verso sud, dalle rovine di Tulum porta all’estremità sud della penisola dello Yucatan. Sono seduta nel cassone di un grosso pick up americano mezza sepolta nelle attrezzature che ci serviranno per il lavoro che ci apprestiamo a realizzare. Siamo una troupe che realizza documentari, sulla fauna marina, sulle riserve naturali, nei posti più sperduti e affascinanti del pianeta. Insieme a me ci sono Folco e Elvira. Lei è la regista, si occupa dell’organizzazione, del montaggio, e della produzione. Folco mi accompagna nelle immersioni, e io realizzo le riprese. Ho una lunga esperienza di riprese subacquee, ho fatto più di mille immersioni, in tutti i mari e condizioni. Alla guida del fuoristrada c’è Juanita, la titolare del diving di Cancun che si è occupata della logistica, e che ci accompagnerà nei punti dove speriamo di riuscire a riprendere la fauna e flora che saranno il tema del documentario.
La strada scorre piatta, tra due macchie formate da piante tropicali, palme e cespugli spinosi. Ogni tanto sulla sinistra appare l’azzurro del mare, con la spiaggia bianca, assolata e deserta. Ho voglia di fare un bagno, di dissetarmi, lavare via la polvere, che causa il sudore provocato dal caldo umido del pomeriggio, si appiccica alla pelle, formando una sottile crosta marroncina. Poi finalmente dopo un ora di scossoni, si apre una radura, e in mezzo ad un pratino verde, compaiono delle abitazioni colorate, con il tetto di paglia,mentre verso la spiaggia delle stradine portano a degli spiazzi sotto alle palme, con parcheggiati dei piccoli fuoristrada giapponesi. Arriviamo al nostro resort, The Ascension Bay Lodge.
Una costruzione bianca e verde con il tetto di paglia, in mezzo alle palme. Sotto ai piedi solo sabbia bianca, che continua fino al mare, distante qualche decina di metri. Il pick up si ferma e con un salto scendo dal cassone. Anche gli altri tre sono scesi. Juanita ci guarda e ci chiede se “ci gusta”. Come potrebbe non piacerci, sembra il paradiso. Ci vuole un ora per sistemare tutte le cose. Dispongo le mie nei cassetti di un canterano, nella stanza che mi hanno assegnato. Un grosso ventilatore ronza annoiato, muovendo a malapena la pesante aria. Mi spoglio e vado sotto alla doccia. L’acqua tiepida mi rigenera e inizio a pensare. Ho quasi quaranta anni, e ormai da più di dieci vivo come sospesa, senza casa e senza meta, lasciando scandire i miei giorni dal lavoro, da queste continue spedizioni, in posti sperduti, lontano da qualunque tentazione. Folco e Elvira sono la mia famiglia, anche se loro hanno un posto che bene o male li attende, una casa, un buen ritiro. Non ricordo di avere avuto una vita sessuale. Qualche fidanzato prima dei trenta anni, ma poi non ricevendo grandi soddisfazioni dal vivere un legame con un uomo, ho preferito entrare in questa sorta di “clausura”. Gli uomini mi sono indifferenti e per loro non ho nessuna attrazione. Le donne le vedo come amiche, qualche volta come nel caso di Elvira, la sorella che non ho mai avuto. Vivo questa situazione con serenità, non ho pudori particolari, e quando posso prendo il sole nuda, quasi mai indosso il costume sotto ai vestiti, per cui spesso tutti mi possono vedere, senza che questo mi provochi imbarazzo, e non faccio caso all’altrui pensiero, riguardo alla faccenda.
Decido di andare sulla spiaggia, per vedere il mare da vicino. Indosso un prendisole rosso, che mi copre a malapena. Sotto sono senza costume, prima ho intravisto un gruppetto di turisti tutti nudi stesi al sole. Fisicamente mi tengo molto bene, sono tonica, bionda e sempre abbronzata. Arrivo sulla battigia. La sabbia è bianca, e il mare turchese. Un centinaio di metri verso il largo si vede la barriera. Mi levo il prendisole, e inforcando un paio di occhialini impermeabili, mi infilo dentro al mare. L’acqua è tiepida, poco salata. Nuoto lentamente, e intanto inizio a vedere la fauna, che numerosa si muove sotto di me, curiosa e diffidente, sempre pronta a sfuggire. Pesci pappagallo, qualche napoleone, un paio di balestra che mi guardano minacciosi. Il fondo inizia a degradare, e vedo la barriera che emerge, ricoperta di corallo, di spugne e alcionari. Appoggio i piedi sulla sabbia, sperando di non calpestare qualche pesce pietra, e mi volto verso la spiaggia godendomi lo spettacolo di questo piccolo eden immacolato.
Siamo sul grosso gommone che Juanita si è procurata presso un agenzia di noleggio. Abbiamo caricato quello che occorre per un immersione e siamo pronte per partire. I due fuoribordo Yamaha borbottano tranquilli mentre ci allontaniamo lentamente dal pontile. Quando ci siamo allontanati di qualche decina di metri, Juanita che sta al timone spinge in avanti la manetta, e i motori con un urlo strozzato iniziano a spingere forte. Il gommone schizza fuori dall’acqua ed entra in planata, correndo leggero sulla superficie del mare, piatta e luccicante. Sono nella seduta di poppa e osservo Juanita. Ha un paio di calzoncini da calciatore bianchi e rossi, e una canottiera a righe verticali,sempre dello stesso colore. I lunghi capelli neri, lisci, sono legati in una coda che le arriva quasi fino alle natiche, sode e tornite. Carnagione molto scura, occhi neri, zigomi un po’ sporgenti, che tradiscono sangue maya nella discendenza. E’ una gran bella ragazza, ha un fascino esotico, conturbante, esaltato dal suo essere donna moderna, realizzata nel suo lavoro particolare, libera e indipendente. Si gira e mi sorride, facendomi un segno, come per indicare una barriera che si intravede più a sud, sulla rotta che stiamo percorrendo. Mi alzo e afferrando un tientibene sulla timoneria, mi metto in piedi vicino a lei per poter meglio osservare. Siamo quasi alte uguali, forse io un po’ di più, e il contrasto di lei cosi scura e nera di capelli, con il mio biondo,i miei occhi chiari, deve essere per un osservatore esterno di notevole effetto, di attrazione. Mentre osserviamo il punto dove caleremo l’ancora, per fare la nostra prima immersione, che sarà di prova, un primo contatto con l’ambiente, le prime regolazioni della telecamera, gli accordi sui segnali per comunicare, forse causa gli scossoni del gommone, ci sfioriamo le braccia, le ginocchia, i fianchi. Sento che a lei questa cosa non dispiace,anzi mi sorride, e con il dorso di una mano mi sfiora una guancia, un gesto che io interpreto come una richiesta di amicizia, che sono disposta a concederle molto volentieri.
L’ancora ha fatto buona presa sul fondo sabbioso, e ci stiamo preparando. Come sempre tolgo il prendisole e resto nuda. Indosso la muta da mezzo millimetro adatta alle acque tropicali, poi le pinne, il gav con la bombola e l’erogatore e la cintura con i pesi. La maschera e la custodia con dentro la telecamera le butto in acqua. E poi salto dentro al mare. Recupero maschera e telecamera e vado sotto. Tempo un paio di minuti e sono sul fondo una decina di metri di giù. Alzo lo sguardo e vedo Juanita che scende, e mi raggiunge, mi fa il segno dell’ok, e poi muovendo lentamente le pinne si dirige verso la barriera, illuminata dai raggi del sole che precipitando verticali nell’acqua limpida e trasparente creano una specie di muro luminoso, dentro il quale appaiono i primi pesci colorati.
Folco ha avuto un attacco di malaria. Ha contratto questa malattia molti anni fa in Africa, durante un lungo soggiorno, e ora la tiene sotto controllo, con una cura specifica, pero ogni tanto è soggetto a queste ricadute, che per qualche giorno lo debilitano, costringendolo al riposo. Elvira è occupata ad elaborare e montare le prime immagini che ho iniziato a girare, e cosi siamo rimaste sole io e Juanita nelle nostre esplorazioni. Ha imparato ad assemblare la mia attrezzatura alla perfezione, e mi supporta nelle riprese, illuminando gli scenari, guidandomi sicura in paesaggi e locazioni che in gran parte conosce a memoria.
Domani andremo in un isolotto disabitato più a sud, Cayo Culebra, dove resteremo per due o tre giorni. Abbiamo lavorato fin dalla mattina per caricare tutta l’attrezzatura sul gommone, le bombole sufficienti per le immersioni, la tenda e le provviste. Ora dopo un bagno e una doccia ci siamo concesse una cena alla posada Roseliz. La proprietaria ci ha apparecchiato fuori, sulla sabbia, alla luce di un lume a petrolio. La cena è tutta a base di crostacei marini, e contorni piccanti, in puro stile messicano. Questa sera ci siamo concesse una bottiglia di vino bianco californiano, non essendo buona regola assumere alcolici, quando si fanno cicli sostenuti di immersioni, ma visto il giorno di riposo, e il fatto che anche domani, tra trasferimento con il gommone e sistemazione dell’attrezzatura difficilmente riusciremo ad entrare in acqua, abbiamo deciso di lasciarci tentare dalla trasgressione. Ci siamo molto sintonizzate io e Juanita. Il perfetto accordo che abbiamo trovato in immersione, si manifesta anche nella quotidianità della vita. Stesse abitudini, tempistiche, riflessioni. Non parliamo molto, ma siamo accomunate da un unità di intenti, per cui spesso, non abbiamo bisogno di comunicare, in quanto le nostre menti elaborano il medesimo pensiero. Ora la sto osservando alla luce fioca del lume, mentre mi racconta la sua vita. E’ la prima volta che parla cosi a lungo. Laurea in biologia marina a Città Del Messico, posto assicurato come assistente in facoltà, ma poi irresistibile il richiamo del mare e della libertà, l’hanno portata su queste spiagge, per iniziare la carriera di subacqueo professionista. Poi con un colpo di fortuna grazie alle conoscenze universitarie, un grosso fondo internazionale, le ha permesso l’apertura di un diving tutto suo, dove coordina e supporta, le spedizioni di ricercatori e documentaristi di mezzo mondo. Non mi parla mai della sua vita sentimentale. Non mi ha fatto cenno di avere un fidanzato o un marito. Vive sola, ha “sposato il mare”.
La giornata è stata faticosa, ma entusiasmante. Due grosse mante ci hanno scortato a lungo, nuotando affiancate a noi. Le ho potute filmare in modo eccezionale. Poi in un anfratto di una parete, una enorme murena verde, arrotolata come un grosso copertone. Ci ha guardate a lungo con la bocca spalancata, mostrando gli aguzzi denti, ruotando i freddi occhi neri, come due biglie di piombo. Juanita le ha accarezzato il mento, e lei docile e calma, per nulla impaurita è sembrata quasi compiaciuta, di quel contatto, con un essere cosi strano e lontano dal suo mondo. Per un momento avrei voluto essere al posto di quella murena, avere una casa, un luogo dove fermarmi, restare per sempre ancorata, godere per qualche istante, l’arrivo di qualche visitatore. Ci siamo rifocillate e ormai il sole è tramontato presto come dappertutto ai tropici. Ho portato fuori il grosso materassino gonfiabile dalla piccola tenda che ci offre rifugio, e l’ho posizionato sulla sabbia, a pochi passi dal mare. Forse questa notte dormiremo fuori. Ho aperto un sacco a pelo e l’ho steso come una coperta sulla tela gommata e ci siamo coricate.
Juanita si è messa in posizione fetale girata verso di me, sento le sue ginocchia contro il mio fianco, e una sua mano che mi sfiora un braccio . Ha iniziato a parlarmi di lei, e per la prima volta le sento nominare l’amore, le relazioni sentimentali. Ha una voce più calda, più dolce del normale, e anche il suo modo di toccarmi, mentre prima è sempre stato come casuale, mai morboso, questa volta lo avverto come un fremito, come fosse condizionato da una scossa emotiva a lungo repressa, e ora finalmente liberata. Comprendo che anche lei dopo qualche breve relazione adolescenziale, ha tenuto la sua sessualità in un luogo dimenticato, non attratta da nessun uomo, vedendo le altre donne come amiche, in una neutralità di genere poco comprensibile, ma impossibile da contrastare. Poi fa una lunga pausa in cui mi giro verso di lei e restiamo a lungo, a guardarci negli occhi al chiarore di una mezza luna luminosa. Nella testa iniziano a ruotarmi mille pensieri e sensazioni, dubbi, speranze, voglie represse, lontane pulsioni a cui non avevo voluto dare spazio, e che ora si riaffacciavano prepotenti ed impetuose.
La voglia di baciarla, di sentire il calore del suo corpo a contatto del mio, di assaggiare la sua bocca, l’odore del suo sesso, che in quei giorni, mi aveva assalito in brevi istanti di pensiero incontrollato ora si stava facendo strada nella mia mente, sempre più netta decisa, prepotente e irrinunciabile. Poi i nostri corpi si avvicinano piano, e si fondono in un abbraccio con le nostre bocche che si cercano e poi si incollano in un bacio, prima lieve, e poi sempre più profondo e appassionato. E’ la prima volta che bacio in bocca una donna, nella stessa maniera in cui si bacia un amante, un fidanzato. Ed era talmente tanto tempo che non mi succedeva in generale che avevo ne quasi dimenticato le sensazioni, gli afrori.
Siamo distese una contro l’altra e mentre le esploro la bocca con lingua, la sua saliva dolce mi inebria. Passo in rassegna i suoi denti bianchi il palato morbido. Le lecco le labbra le succhio il naso assaporando il salmastro della pelle, i residui del mare. La sento che inizia ad ansimare a premere con il suo sesso contro le mie cosce, che ha voglia di essere toccata, di godere. Premo il mio petto contro il suo, e i suoi capezzoli sono duri, turgidi, rossi come un tramonto infuocato. La sdraio sulla schiena e inizio a baciarle il seno. Ha le tette piccole e dure, inturgidite dal desiderio, dalla voglia di essere leccate. Inizio a succhiarle i capezzoli e sento il sale sulla sua pelle, mi riempie la bocca rendendomi ancora più avida del suo sapore. Vorrei toccarla ma il timore di spezzare quell’incantesimo e l’impaccio della mia prima volta, con un sesso femminile al contatto di una mia mano, mi frenano, mi impediscono di varcare quel confine. All’improvviso mi afferra un avambraccio e mi guida la mano verso quella meta che il desiderio e la paura, impedivano arrivare. Per la prima volta tasto il sesso di un’altra donna con una mia mano. E’ morbido, umido voluttuoso. Inizio a toccare dove penso che come quando lo facevo con il mio, potrebbe procurare il massimo del piacere. Inizia a guaire e con un braccio mi stringe forte, lanciandosi in un bacio soffocante follemente appassionato. Sento un tocco sul mio sesso, e due dita che veloci e precise hanno preso a massaggiarmi il clitoride, prima lentamente, poi sempre più rapide, nervose, frenetiche.
Un calore mai provato mi si diffonde nelle viscere, mi riempie l’addome, sento la vagina che si contrae, che mi pulsa, che si allaga, come mai prima in vita mia era capitato. Poi mi gira sulla schiena e sempre baciandomi nella bocca, mi apre le cosce, e inizia a strofinare il suo sesso contro il mio. Sento l’osso pubico che sfrega contro il suo in un movimento circolare, poi lei inarca la schiena e i nostri clitoridi iniziano a sfregarsi uno contro l’altro, in alto e in basso, a destra e a sinistra, sempre più veloce, sempre più premuti. Arriviamo al godimento nello stesso istante, sincronizzate come in tutto quello che abbiamo fatto fino ad allora. Un grande calore e delle pulsioni incontrollate mi scuotono il corpo e devo gridare, per sfogare la tensione accumulata, che di colpo si è trasformata in piacere. Anche Juanita emette un grido, e poi inizia a rantolare, si accascia su di me e sussulta per qualche istante, per poi restare immobile con la bocca che si rincolla alla mia in un lungo dolce bacio.
Siamo rimaste sul Cayo per una settimana. Abbiamo avvisato Folco con il satellitare che avremmo prolungato per qualche altro giorno, e deciso di rimanere fino a che sarebbe bastata la scorta d’acqua. Di viveri ne abbiamo in abbondanza, e poi alcune piante di mango e di banane, hanno fatto il resto. Gli ultimi due giorni abbiamo interrotto le immersioni e dedicati solo a noi due, a coltivare il nostro amore. Penso per la prima volta nella vita di essermi veramente innamorata, e anche per Juanita è cosi. Ce lo siamo confessate la sera dell’ultimo giorno. Il pomeriggio era trascorso lento, dilatato. Avevamo fatto l’amore sul bagnasciuga, con l’acqua che ci lambiva quieta, mentre ci baciavamo tra le cosce, assaporavamo i nostri umori. Ora siamo coricate sul materassino coperte con il sacco a pelo, abbracciate stiamo rimirando una grossa luna ormai piena, che disegna una lunga scia argentata sul mare, e che finisce sulla spiaggia a pochi metri dai nostri piedi. Per la terza o quarta volta facciamo l’amore. Questa volta pero sentiamo un bisogno di fusione con l’altrui corpo finora sempre cercata, ma mai cosi potente e incontrollata. Ci stringiamo follemente quasi a farci male, e poi con il sesso a contrasto cerchiamo il piacere che ci arriva quasi feroce, doloroso, devastante. Per la prima volta squirtiamo entrambe e i nostri liquidi si mescolano lavandoci le cosce e il ventre. Restiamo appiccicate a strofinarci, a sentire il rumore della pelle fradicia che si appiccica, e si stacca. Poi mi prende per mano e mi porta nel mare, dove entriamo fino a che l’acqua non ci arriva al petto, e ci abbracciamo. E ci confessiamo quello che mai avremmo potuto credere essere vero.
Folco ed Elvira si girano e con un gesto rapido della mano ci salutano e poi si incamminano verso il gate dove li attende il volo per Miami, e poi per il ritorno a casa.
Non tornerò a casa con loro. La mia casa ora finalmente l’ho trovata e so che è qui accanto a Juanita. Lavorerò con lei nel diving, e troverò sicuramente ingaggi per girare filmati, oppure come dive master insegnerò nei corsi per ottenere il brevetto da cineoperatore subacqueo. L’idea almeno per ora, di vivere l’una senza l’altra è per noi inconcepibile, e fino a che il destino vorrà resteremo unite come una entità sola.
Juanita mi sorride, mi prende per mano, e incamminandoci verso l’uscita mi dice :
“Andiamo guapa, che al diving ci aspettano per un immersione”.
Dive master
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Complimenti, un racconto delicato e sensuale….