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Il passo alternato è fluido, veloce, il respiro ben armonizzato col movimento, la spinta dei bastoncini incrementa la mia azione. Mi godo il Nordic Walking in questa luminosa mattina di Maggio. Stanco e smagato di tutto, la noia come polvere sottile, invadente ricopre la mia esistenza, sigilla le crepe che si formano, tentativo velleitario per rompere la cappa che mi soffoca. Stempero la mia insoddisfazione nella bellezza del percorso collinare che a tratti, nei pertugi fra il rigoglio del fogliame a lato della strada, mi lascia intravvedere la striscia del mare, lamina d’argento per l’angolo di incidenza dei raggi solari di quest’ora del giorno. Scorgo il monte Titano che, da questa prospettiva, ha la forma di una pinna di squalo. Il verde, intenso e dalle innumerevoli gradazioni, è interrotto da macchie di colore brillante: giallo delle ginestre adagiate come nuvole soffici sulle rive, l’occhieggiare del medesimo colore dei ranuncoli singoli o a gruppi, le varie tonalità di viola della malva e della verbena, il bianco dei fiori di sambuco sui rami. E i profumi. Delicati o intensi si spargono come polline odoroso nell’aria: gelsomino caprifoglio, acacia, ligustro in attesa di quello inebriante del tiglio. Colori e odori. Un tripudio per gli insetti impollinatori che si danno un gran da fare. Mano a mano le fantasmagorie visive e olfattive scacciano i fantasmatici e cupi pensieri che popolano la mia mente. Sopraffatto da tanta bellezza della natura son sicuro che nulla di banale, nessun pensiero grezzo, corrivo mi distoglierà da questa beatitudine e dai miei puri, alti sentimenti che si elevano e levitano spirituali sulla volgare, materiale realtà.
Percorsa e superata una curva che la strada descrive, la vedo. É ancora una figura piccola per la distanza, che però sto colmando: spinto dal mio istinto aumento il ritmo, mi avvicino e ora i miei occhi zoomano e si concentrano sulla silhouette femminile, mentre tutto ciò che la circonda si sfoca fino a dissolversi. Le sono praticamente alle spalle. La scruto, esamino, scannerizzo: dalle scarpette bianche emergono sottili caviglie che proseguono con polpacci affusolati, cosce tornite e due terga alte e compatte – un bel culo in sintesi – che mi ipnotizzano all’ oscillare armonico della sua elegante, dinoccolata andatura. I suoi capelli sono raccolti in una coda che fuoriesce dall’apertura posteriore del cappellino. Una canotta arancione lascia scoperte spalle toniche e abbronzate. I miei pensieri la frugano, si insinuano sotto i suoi indumenti, scivolano alla radice delle cosce e si figurano i deliziosi profumi ed aromi prodotti, a causa del movimento, dallo sfregamento delle grandi labbra. Desidererei tanto che le mia lingua potesse collocarsi là dove gioca la mia fantasia,
La sorpasso e mi volgo per un educato saluto: il suo volto, attraente peraltro, rivela più anni di quanti gliene avessi attribuiti dall’esame del suo fascinoso lato B. Barando, fingo di essere pieno d’energia – in realtà ho consumato tutte le mie forze in questa rincorsa dissennata e fra poco crollerò miseramente – faccio qualche passo quando una voce morbida, impostata si rivolge a me.
– Hey, che fretta Max! Non mi riconosci più?
Mi fermo – il mio cuore, interrotto finalmente lo sforzo, sentitamente ringrazia – e mi gìro indietro.
– Ludovica, quanto tempo…. Fatti guardare….sempre più bella.
– Grazie galante, mendace adulatore.
Ridiamo.
– No, sei veramente uno splendore.
Il mio sguardo è calamitato dalle sue stupende tette che si innalzano e s’abbassano al ritmo del respiro e la cosa non le sfugge.
– Voi uomini sempre inesorabilmente attirati dagli occhi, eh?
Non arrossisco perché purtroppo, ormai, non ci riesco più.
– Ah già, la nostra combattiva ecologista e femminista, dimenticavo.
Camminiamo affiancati e l’onda dei ricordi ci accompagna lieve. Si rievocano episodi divertenti e poi il presente assurge al ruolo di protagonista e da quel momento per entrambi finisce la voglia di ridere.
Noto in lei una zoppia, dapprima quasi impercettibile e via via manifesta; glielo faccio notare.
– Una lieve distorsione. Come avresti potuto raggiungermi altrimenti?
Mi sento sminuito nella mia performance atletica.
Dalla strada principale che stiamo percorrendo si diparte un vialetto in lieve salita che in altre occasioni avevo notato.
– Sono arrivata. Qui abito da un paio d’anni. Sono spesso sola, mio marito infatti è per lunghi periodi impegnato all’estero, come in questo periodo. Ma la lontananza non ci pesa, in verità, granché. Lo gradisci un caffè?
Percorrendo pochi metri ecco apparire una graziosa villetta: entriamo. Prepara il caffè che gustiamo seduti fianco a fianco su un divano. Una ampia finestra affacciata sul giardino ci regala la luce e i profumi di questa primavera tanto bella da esser quasi arrogante nel suo fulgore.
– Stavo dimenticando. Mostrami la tua caviglia infortunata.
Mi appoggia sulle ginocchia il piede e lo esamino: è caldo fra le mie mani e molto ben fatto e mi verrebbe voglia di baciarlo. Mi scuoto dai miei pensieri
– Se hai un buon cerotto ti confeziono un “taping” della caviglia e così te la stabilizzo.
– Magari dopo.
Il suo tallone e la pianta inaspettatamente si spostano, appoggiano e sfregano sulla mia zona genitale. Adesso le dita del suo piede si piantano sul mio pene che, già di suo in agitazione, lievita sotto quella stuzzicante pressione.
Mi sorride invitante e nell’atto di sciogliersi i capelli scopre le ascelle, che mostrano il vello, germogliato sotto le braccia, madido per il sudore.
Sarò un po’ fuori allenamento, ma se non è un incoraggiamento questo…..
Ora non posso fermarmi e il mio primo obiettivo son proprio quelle cavità spalancate come fauci che mi attirano lussuriose. Quell’afrore mi appare dolce e inebriante come una spezia dalle mille sfumature che tocca ed esalta tutte le corde del mio odorato. Delicatamente con le mie narici catturo quel bouquet dolcemente aspro e stordente nel timore che si disperda. La voglio coi suoi odori, con la sapidità del suo sudore. Desidero mangiare tutto di lei senza che nulla sia escluso, cancellato.
Mi guarda rapita e compresa in quel gioco inusuale. Penso che ormai abbiamo rinunciato a usare di alcuni nostri sensi, riducendo l’attivazione del sistema limbico e negandoci una sessualità più completa, appiattendoci così a una pinevitabile abitudinarietà nelle nostre esperienze. Eccitato ma allo stesso tempo calmo procedo a spogliarla e lo spettacolo che mi si presenta esalta un appassionato come me de “L’origine du mond” di Coubert: un folto pelo bruno si estende dalla zona pubica all’ano.
Mi getto su quella figa odorosa e la mia bocca si riempie di quello stillante miele, dal sapore acuto e feroce e non mi fermerei mai nel divorare quella delizia.
– Basta , adesso concentrati sul clitoride.
Obbedisco a malincuore ma glielo devo.
La mia lingua si muove dapprima delicatamente e poi sempre più rapida: il successo della mia azione è testimoniato dai suoi gemiti, dall’accelerazione del suo respiro, dall’inarcarsi della sua schiena e dall’agitarsi del bacino, dall’incitazione reiterata a non fermarmi. Quando poi lei esplode le sue cosce mi serrano il capo come per trattenerlo.
Ludovica spalanca le gambe e offre il suo corpo caldo e sudato, si apre nell’accogliere il mio cazzo, solleva il bacino per rendere più profonda la mia penetrazione. La guardo mentre il suo respiro si fa più veloce e mente socchiude la bocca lanciando gemiti di piacere all’incrementarsi del ritmo con cui la sbatto. Finalmente sotto le ondate di piacere Ludovica si scioglie nel suo orgasmo di femmina appagata. Poco dopo la seguo, raggiungendo l’estasi.
Passiamo ore dolci giocando con i nostri corpi, rilassandoci e mangiando qualcosa. Il tramonto inonda il giardino con la sua luce calda sorprendendoci ancora lì, grati e increduli della bella giornata trascorsa. Accarezzo l’idea di una relazione stabile con Ludovica, ma capisco che non esistono le condizioni dentro e fuori di me.
Si è fatto tardi e devo proprio andare. Mi accomiato e un velo di malinconia mi ricopre come ormai, sempre più di sovente, mi capita. La parentesi piacevole é già in archivio, è solo memoria.
Il tramonto scolora nella sera sulla via del ritorno, mentre una luna lattiginosa si solleva, inclina sullo scrimolo della collina boscosa di fronte a me, facendo riluccicare le cime degli alberi agitati dalla brezza fresca che soffia dal mare e che si carica di profumi.
Nulla di carnale – penso – potrà distrarmi e distogliermi da tanta magnificenza.
Sorrido amaro e riconosco che, in fondo, sono solo un inguaribile romantico, incoerente, malinconico paraculo

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