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RICATTO Cap.6 un nuovo lavoro

By 9 Gennaio 2025One Comment

Il giorno seguente andammo allo studio insieme. Elisabetta, una bella ragazza poco più che trentenne si occupava del personale e preparò il mio contratto.
Un tempo mi temeva e rispettava, come tutti del resto, ma capii presto che tutto era cambiato.
E- Il tuo orario di lavoro è dalle 8:00 la mattina alle 15:00, in orario continuato. Simona mi ha detto di preparare un contratto a 7 ore continuate, non vuole che lavori nel pomeriggio perché dice che devi occuparti anche della casa. Non hai più un ufficio, anche perché non ti serve. E cerca di essere puntuale, Simona mi ha detto di riferirle qualsiasi inadempienza, e lo farò.
Fu estremamente imbarazzante e rimasi in silenzio ad ascoltarla. Mi parlava con distacco dandomi del tu, mentre io avrei dovuto rivolgermi a tutti con il lei. Esattamente il contrario di una volta.
Ero molto impegnato, la mattina preparavo la colazione a Simona, poi correvo al lavoro con la bicicletta, l’auto non l’avevo più, e finito quello tornavo a casa dome mi attendevano un mare di cose da fare.
Quando non ero stimolato non pensavo al sesso. Mi resi conto che potevo passare più giorni di fila senza avere il minimo cenno di erezione, forse mi stavo davvero rassegnando alla castità. Simona continuava a vedersi con Aurelio, usciva con lui a cena, a volte dormiva fuori, a volte veniva lui ed ero costretto a subire le stesse umiliazioni della prima volta. Ogni volta che lui restava a dormire, facevano sesso, e la mattina Simona se la faceva pulire dalla
mia lingua, e in quelle circostanze la mia libido si svegliava, provocandomi eccitazione, dolore e frustrazione. Poi mi portava in bagno e pretendeva che bevessi la sua orina , era diventando un rito al quale mi obbligava ogni mattina.
Capitava spesso che Simona mi ispezionasse intimamente, talvolta anche allo studio. Mi chiamava nel suo ufficio, mi faceva abbassare i pantaloni e controllava pene e testicoli.
Non era facile abituarsi a quel genere di umiliazione. Ero terrorizzato dalla possibilità che qualcuno potesse scoprire la mia situazione, ma a Simona sembrava non importasse niente.
Ormai ero diventato lo zimbello di tutto lo studio, gli ammiccamenti, gli sguardi beffardi, i commenti sarcastici non si contavano più e io subivo tutto, in silenzio, per timore delle punizioni che Simona aveva iniziato ad infliggermi.
Due tre volte alla settimana se ne usciva con qualche scusa, una svista, una dimenticanza, qualsiasi cosa che scatenasse il suo disappunto e finivo per prenderle. Di solito mi sculacciava: mi prendeva sulle ginocchia, mi abbassava i pantaloni (le mutande me le aveva vietate a meno che non indossassi perizomi femminili) e mi sculacciava di santa ragione, con forza e veemenza, sia a mano nuda che con una cucchiaia di legno, lasciandomi con le natiche rosse e doloranti.
Aveva anche preso l’abitudine di farsi pulire i piedi con la lingua, di solito la sera quando tornava dallo studio. Si buttava sul divano e mi diceva.
S- Ho i piedi stanchi e sudati, provvedi.
Era una cosa che mi faceva eccitare e lei lo sapeva, così pretendeva che mi spogliassi completamente nudo per osservare i miei attributi gonfiarsi e diventare blu.
Ed in effetti quel contatto mi piaceva, era umiliante ma mi sentivo apprezzato da lei, alimentava la speranza che un giorno sarei tornato nel suo letto.
Tutte quelle angherie, quelle assurde umiliazioni, mi stavano trasformando in un marito servile e completamente sottomesso, ma ancora speravo nel suo perdono.
Fortunatamente non dovevo occuparmi delle pulizie dello studio. Lo faceva Donata, una signora di 45 anni molto formosa, quasi al limite dell’obesità, che incontravo ogni mattina poiché svolgeva il suo lavoro dalle 7 alle 9, quando lo studio era deserto a parte me che entravo alle 8.
Una mattina ebbi un diverbio, avevo rovesciato un secchio d’acqua nel bagno e lei mi aveva insultato pesantemente, provocando la mia reazione. L’avevo mandata a farsi fottere.
Donata era una donna scontrosa e arrabbiata, il marito l’aveva lasciata per una più giovane e sembrava avercela con tutti gli uomini. Sta di fatto che si lamentò del mio comportamento con Simona, che ci convocò entrambi nel suo ufficio, alle sette la sera.
Quando arrivai Donata era già li, gli altri per fortuna erano usciti tutti.
S- Sei arrivato finalmente! – esordì con tono autoritario
S- Premesso che non mi interessa ascoltare la tua versione dei fatti, non devi permetterti più di mandare a fanculo qualcuno, tanto meno una donna, ancor più una donna che lavora per me.
La cosa si metteva male e per evitare il peggio abbassai lo sguardo e rimasi zitto.
Donata era seduta su una sedia, il suo volto sprigionava un’arrogante soddisfazione e mi guardava con disprezzo.
S- Ti meriti una punizione, una severa punizione, e ho deciso che Donata potrà assistere mentre ti sculaccio. Mettiti a nudo.
Si era alzata in piedi e stava sistemando una sedia davanti a Donata, che assisteva incuriosita dalla mia sottomissione.
L- Simona….. ti prego…. non farlo, non farlo davanti a lei.… per favore ….
S- Donata mi ha assicurato discrezione. Terrà per lei questa cosa, ma tu di un’altra parola e ti giuro che lo faccio davanti a tutto lo studio.
Quelle parole furono sufficienti ad ammutolirmi completamente. Una vampata di calore al volto mi investì violentemente mentre abbassavo i pantaloni, esibire la mia castità davanti a quella donna fu un’umiliazione devastante, non avevo mai provato una vergogna simile, volevo morire.
D- Ma signora, cosà al pene? una gabbia? – Chiese Donata divertita.
S- Si, esattamente. E’ una gabbia di castità, lo sto educando a rispettare le donne e le assicuro che niente è meglio della castità forzata per rendere un marito obbediente e rispettoso.
Io non sapevo più dove guardare, ero pietrificato dalla vergogna.
S- Adesso vieni qua, forza, non abbiamo tempo da perdere.
Un attimo dopo ero sulle sue ginocchia, completamente nudo, a due metri da Donata che assisteva comodamente seduta su una sedia. Non era la prima volta che mia moglie mi sculacciava, ma in quella circostanza diverso. Non era più una cosa tra di noi, c’era una donna estranea ad assistere ed era a causa sua che venivo punito.
Simona iniziò a sculacciarmi, la supplicavo di smettere scalciando come una monella, ciò nonostante lei continuò a suonarmele fino a che, bruciandole la mano, prese un righello di legno dalla scrivania e riprese a battermi con maggior forza e intensità.
Ormai non pensavo più alla vergogna ma al dolore che saliva dalle natiche fino al cervello, sconvolgendomi i sensi.
Fu la più severa punizione che mi aveva inflitto, almeno fino a quel momento.
S- Credo che così possa bastare – disse Simona spingendomi sul pavimento.
Avevo gli occhi gonfi di lacrime e le mani sulle natiche, come se servisse a lenire il bruciore che provavo. Non credevo potesse arrivare ad umiliarmi così, sculacciato davanti a quella donna, tutto nudo, completamente depilato e con una cintura di castità.
Mi domandavo cosa pensasse Donata dopo aver assistito ad una simile scena, e come si sarebbe comportata d’ora in poi, conoscendo la mia natura sottomessa.
S- Adesso inginocchiati davanti alla signora Donata e scusati baciandole i piedi.
Rimasi di stucco. Non poteva chiedermi una cosa simile, non credevo alle mie orecchie. Donata, che ormai aveva capito che poteva osare, con un ghigno beffardo sul volto alzò un piede porgendomi la suola.
Non volevo, non volevo farlo assolutamente, ma nel timore che Simona potesse ricominciare, mi rassegnai a subire anche quell’onta.
Donata Calzava un paio di ballerine grigie vecchie e slargate, la suola era sporca e molto usurata, ma chiusi gli occhi e le baciai
L- Mi scusi signora Donata, non accadrà più. – Le dissi nella speranza che potesse bastare.
A svegliarmi fu la voce ferma e risoluta di Simona.
S- Cosa diavolo stai facendo? Baciale i piedi come si deve.
Ormai ero completamente asservito, l’umiliazione era così devastante che mi aveva tolto ogni capacità di reazione, così mi posizionai meglio inginocchiandomi proprio di fronte a lei e le sfilai la scarpa.
Mi trovai davanti una pianta larga e sporca, annerita sul tallone e nei pressi delle dita, che erano corte e tozze. Ne percepivo l’odore intenso e pungente e sostenendo il tallone con le mai poggiai il naso tra le dita e le baciai la pianta. Era una situazione quasi surreale, sapevo bene quello che dovevo fare, quello che Simona si aspettava da me, voleva che mi umiliassi totalmente, ma era troppo disgustoso.
S- Muoviti, non ho tempo da perdere – mi ordinò Simona.
Senza pensarci troppo chiusi gli occhi e mi staccai dalla realtà. Iniziai passando la lingua sulla pianta raccogliendo i piccoli pezzetti di tomaia intrisi di sudore che le erano rimasti attaccati alla pelle. Era nauseante. Leccai le dita infilando la lingua negli spazi per pulirle bene, poi le succhiai ad una ad una, infine le succhiai l’alluce, un ditone enorme, tozzo e largo, sudato e maleodorante.
Donata sembrava gradire il servizio, mi strofinava il suo piedone sul viso, raggiunto quasi subito dal secondo, aveva capito che poteva umiliarmi a piacere e ne approfittò, facendosi leccare e annusare i piedi per almeno 15 minuti, insultandomi in modo ignobile.
D- Sei proprio un pervertito eh? Tua moglie non mi aveva detto che sei un leccapiedi.
Io ormai avevo rinunciato alla mia dignità, leccavo spudoratamente le sue piante assorbendone l’odore davanti a mia moglie che assisteva tenendo il righello in mano, pronta a ricominciare.
D- Continua, lecca, annusa, forza vagabondo, chiedimi scusa leccapiedi che non sei altro, datti da fare, puliscimeli come si deve svergognato che non sei altro.
In realtà mi vergognavo da morire a farmi vedere così. Il costante uso della crema anti ricrescita mi aveva reso completamente glabro dal giorno dell’epilazione dall’amica estetista, non avevo più in pelo e questo rendeva la mia esibizione ancora più umiliante.
Simona rideva divertita e lasciò fare. Donata si rivelò una donna sadica ed esigente, e mi fece smettere solo quando ritenne che i suoi piedi fossero stati adeguatamente puliti.
Mi ero annullato davanti a mia moglie leccando i piedi sporchi ad un’altra donna per la quale, oltretutto, non nutrivo alcuna attrazione. Avrei voluto sparire.
Purtroppo la cosa non finì li. Incontravo Donata ogni mattina e da quel giorno iniziò a perseguitarmi, non perdendo occasione per ricordarmi il mio posto nello studio. Iniziò a chiamarmi leccapiedi e pisellina (evidentemente suggerito da Simona), a darmi ordini, minacciandomi di riferire a mia moglie mie presunte mancanze, e in più di una occasione pretese che le annusassi e leccassi ancora i piedi.
Per fortuna se ne andava prima dell’arrivo degli avvocati e degli assistenti, ma ogni mattina era uno strazio passate quell’ora con lei. Mi sentivo impotente, incapace di reagire, completamente succube del ruolo che mia moglie mi stava imponendo.
Simona lo sapeva, ma non se ne curò. Non le interessava se Donata mi umiliava, anzi. Quando le dissi quanto mi metteva a disagio, che mi insultava e pretendeva che le leccassi i piedi, decise di offrirle di venire a lavorare a casa nostra un paio di pomeriggi a settimana, così mi avrebbe aiutato con le faccende, disse lei.
Al solo pensiero mi vennero i brividi. Non sapevo se parlava seriamente, ma l’idea di averla in casa mi terrorizzava.
L- Ti prego Simona, ti supplico. Farò qualsiasi cosa tu mi chieda, ma non farla venire, non farla venire a casa. E’ cattiva, è veramente cattiva con me.
S- Qualsiasi cosa? Vedremo, vedremo se sei così ben disposto. Vedremo.

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