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Racconti Eroticisenza censurasorella

É tornata mia sorella – Capitolo 3

È tornata mia sorella

Capitolo 3

Per contattarmi, critiche, lasciarmi un saluto o richiedere il racconto in PDF, scrivete a william.kasanova@hotmail.com. Il mio profilo Telegram è @williamkasanova

Per quanto possa esserci gente anche nel negozio, almeno si respira. Quell’odore di sudato e fiato che gravava nel corridoio qui viene scacciato da un leggero mischiarsi di profumi provati dai clienti e il brusio che mi rimbombava nella testa è stato sostituito da qualche brano musicale che non ricordo di aver mai sentito; qui, almeno, le casse acustiche sono decenti.
Mi fermo appena oltre le barriere antitaccheggio. «Se vuoi comprarmi un regalo, magari è meglio se non ti seguo».
Patrizia, che mi sta precedendo, si volta verso di me. «Eh? Ah, sì, torno tra un minuto, aspettami qui».
Una commessa ci vede e si avvia verso di noi, ma mia sorella le fa cenno che non ha bisogno. La donna nasconde la propria contrarietà dietro ad un sorriso fasullo.
Per non sembrare un buttafuori piantato all’ingresso del negozio, mentre Patrizia va a comprare qualcosa, mi avvicino ad un espositore di orecchini nichel free per bambine pacchiani, sperando che la commessa non decida di venire da me: non vorrei comprare nulla, e sono certa che, se quella prova a vendermi qualcosa, finirei con l’aprire il portafogli.
Le pareti del negozio sono coperte da espositori pieni di profumi, creme e oggetti di vario tipo; sopra campeggiano i nomi di brand famosi e altri che non ho mai sentito nominare, per quanto sia una fissata di queste cose. Potrei passare le giornate a vagare tra questi scaffali, a scoprire quale sarà il mio prossimo profumo preferito.
[Ma tanto a Saverio non importa se profumi o puzzi, lui ti farebbe stare sopra comunque. Forse a Manuele interesserebbe… ma probabilmente ti ritroveresti a odorare di sudore, sborra e trasudo dopo dieci minuti che ti ha denudata, gettata sul letto e scopata senza fermarsi.]
Subito mi torna alla mente la fantasia di questa mattina, il mio amore segreto che possiede la mia bocca, il suo cazzo che sprofonda nella mia gola, la sua cappella che sfrega contro la mia lingua, le sue mani che tengono ferma la mia testa, lui che geme di piacere…
«Manuele…» sussurro.
Stringo le cosce, mentre quel prurito alla vulva torna ad assillarmi. Non abbasso lo sguardo, ma sono certa che i miei capezzoli sono due bozzi in rilievo nella mia camicetta bianca.
Chiudo gli occhi, cercando di scacciare quel pensiero. Respiro a fondo, di nuovo. Di nuovo. La mente sembra liberarsi da quel pensiero, o per lo meno il bisogno di ditalinarmi sta scendendo sotto un livello di pericolo.
Li riapro quando qualcuno mi colpisce. «Ehi…»
Un uomo basso si allontana verso l’uscita, alza una mano e senza nemmeno voltarsi. «Scusa…». Se ne va e scompare nel flusso di gente nel corridoio del supermercato.
Che stronzo…
Provo a distrarmi con quello che ho vicino, come l’espositore alla mia destra. Titillo un orecchino a forma di unicorno tagliato al laser su una lamina di metallo spessa qualche frazione di millimetro, e mi chiedo perché Patrizia abbia deciso di buttare via un’ora di macchina per raggiungere quella profumeria. Che diamine ci sarà di così interessante che quelle più vicine non hanno…
Sobbalzo quando sento mia sorella parlare. «Eccoci, sono a posto. Possiamo andare».
Mi giro verso di lei. L’unicorno di metallo sta ancora dondolando. Scuoto la testa al suo sorriso. «Come? Hai già finito?»
Lei mostra una bustina di carta che sembra contenere qualcosa che ha meno valore della benzina che ho consumato per arrivare fino a lì. Dietro di lei, la commessa la fissa con uno sguardo che lascia intendere quanto la considera una morta di fame.
«Sì, possiamo tornare a casa…»
«Ma…»
Patrizia appoggia le mani sul mio braccio sinistro e mi spinge letteralmente. È più forte di quanto sospettassi. «Dai, dai… muoviamoci, che con il caldo che fa, la macchina lasciata sotto il sole si scalda come un forno a legna che poi facciamo la sauna quando torniamo indietro».
Faccio un paio di passi di lato per non cadere. Ma mi sta prendendo per il culo? Cosa ci siamo venuti a fa-
Il petto mi si stringe quando una sirena strilla e delle luci stroboscopiche lampeggiano accanto a me. Sono in mezzo alla barriera antitaccheggio e questa è scattata. È scattata mentre ci sto passando io. Un senso di allarme inonda le mie vene e scioglie le mie viscere.
La commessa, sempre quella fottuta commessa, ci raggiunge a passo svelto. «Signorine… signorine, per cortesia,» ma non c’è cortesia nella sua voce, e il suo sguardo lancia saette di pura stizza. Quella morta di fame e quella stronza…, sta pensando di certo.
Sono un avvocato, troia, non fotto orecchini di merda, prova a contestar-
Sento il cuore fermarsi. La mano che ho, non so per quale motivo, infilato in tasca, ha toccato qualcosa, ha toccato una scatola piccola che fino ad un istante prima non c’era. Il caldo che fino ad un istante prima gravava in quel negozio diventa un freddo glaciale ma, nonostante questo, gocce di sudore prudono sulla mia fronte e altre scendono lungo la mia colonna vertebrale. Ho bisogno di pisciare, sento che da un istante all’altro un liquido caldo scorrerà lungo le mie gambe, insozzandomi i pantaloni, e non sarà nemmeno la cosa più imbarazzante a giudicare da come si sta liquefacendo il mio intestino.
Patrizia mi guarda come se nulla fosse. Quasi si tratti di un inconveniente che succede spesso, quei contrattempi che uno quasi ci resta male quando non si…
Mi scopro a sgranare gli occhi in risposta. Cosa cazzo hai fatto, stronza? Cosa cazzo mi hai fatto?
La commessa ormai ci ha raggiunto. «Per favore, potete svuotare la vostre tasche?»
Deglutisco qualcosa che non sono sicura sia saliva quanto piuttosto cotone. In un altro momento saprei cosa la legge dispone a mio onere e a mio diritto, ma adesso non sono quasi nemmeno in grado di ricordare il mio nome. L’unica cosa di cui sono sicura è che le mie gambe corrono veloce, più veloce di un predatore. O di una commessa del cazzo…
Patrizia è offesa. «Come si permette? È la vostra cosa qui che non funziona bene, che… che scatta a caso».
La commessa ha dell’esperienza pregressa a riguardo, è evidente. «No, glielo posso assicurare. Siate cortesi, e mostratemi cosa avete nelle tasche».
«Non si permetta! Sono sicura che mia sorella ha qualche vestito addosso con quei chip nascosti nelle etichette che ha dimenticato di staccare: cosa deve fare, restare in mutande?»
«In tal caso, avrebbe suonato anche quand’è entrata». La ragazza si è stancata della sceneggiata, si volta verso le colleghe al bancone. Una ha in mano la cornetta di un telefono vecchio modello. Gli avventori ci fissano come se fossimo delle ladre di professione scoperte con la refurtiva. «Lia, chiama la sicurezza!»
«Non c’è bisogno, dolcezza».
Una voce maschile bassa e autoritaria risuona pochi passi dietro di me. Un uomo con indosso una divisa blu si avvicina, ha una mano sulla pistola (è finta è finta vero?) e ci fissa come se fossimo due merde. È alto almeno un metro e novanta, i muscoli riempiono la divisa, e ha uno sguardo che mi mette soggezione. Sulla targhetta compare il cognome: Borio.
Ci scruta per un istante, come se stesse per decidere quale condanna affibbiarci. Da come ci guarda, sembra qualcosa di molto spiacevole.
[Userà quella pistola, ma non per spararti. Sarà anche peggio.]
In qualche modo, ritrovo la voce, o almeno un filo; se non avessero spento l’allarme, non riuscirebbe a sentirmi. «Sono un avvocato…» E lei, credo, un’accompagnatrice. O una stripper.
«Allora dovresti sapere che quando porti via qualcosa da un negozio, prima ci lasci del denaro», ribatte lui, come se stesse parlando ad un bambino cretino.
Patrizia alza la voce. «Non abbiamo fatto niente!»
«Certo, è quello che dite tutte, voi taccheggiatrici». Fa cenno ad un altro agente della sicurezza che sbuca dalla fiumana di gente, che si è in parte fermata a guardare le due pitocche che rubano in un negozio. La vergogna si mescola alla rabbia: devo trattenermi dal mettermi ad urlare contro quei ficcanaso.
«Moretti, porta queste due stronze in ufficio».
«Ehi, non si permetta a…»
Borio mi fulmina con lo sguardo. «Chiudi la bocca, che sono sicuro che poi te la faremo aprire per bene. Anche alla tua socia nel crimine».
Moretti sogghigna a quella palese battuta sessuale. «Sì, capo». Poi si rivolge a noi due: «Muovetevi!»
Mi sento malissimo, sono un avvocato che sta per sposarne un altro, e in questo momento sono trattata come una troia che ha il vizio di mettersi i profumi in tasca. Cosa può succedere di peggio?
Il cuore mi si blocca quando la barriera antitaccheggio si attiva di nuovo. Mi giro e scovo Patrizia che sorride fingendosi imbarazzata. «Ops…»
«Stupida troia…» sibilo.
«Proprio come mi chiamano i miei clienti. Anche se usano il termine hure, visto che sono crucchi».

Continua…

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