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Pax, Epilogo (Cap 1)

By 29 Settembre 2025No Comments

Si mosse quasi meccanicamente, in modo disarmonico. La malattia aveva lasciato strasichi che non parevano volersene andare, piagando un corpo altrimenti ben proporzionato ed energico.
Era stanco, nonostante fossero solo le fottute quattro pomeridiane. La testa gli ronzava, quasi fosse stato un rumore bianco che gli impediva di ragionare lucidamente.
Era a pezzi. Ecco cos’era. SI guardò attorno. Nessuno in strada. Con quel tempo, nessuno sarebbe uscito: la pioggia flagellava marciapiedi e stradoni. Solo persone molto risolute avrebbero accettato di andare fuori con un simile tempo, e di certo, lui lo era.
Non voleva vedere gente, non voleva dover parlare. Soprattutto, non voleva la pietà della gente. Voleva restarsene solo. E da solo, attendere la fine.
Recuperò del cibo allo spaccio. Poche parole, nessuna domanda. Il negoziante lo servì con discrezione da primato. Lui gli diede una mancia di un Credito.
Crediti, non Calus. Il nome era cambiato, così come anche il taglio. Molte cose erano cambiate negli ultimi trent’anni.
Per lui come per gli altri. Il Kelreas aveva tagliato i legami con la Confederatio Licanea all’inizio della Guerra di Chin. La Nonia, il Regno di Chin, aveva dichiarato guerra alla Confederatio. Guerra vinta dopo appena un anno dai Licanei grazie a dei soldati particolarmente efficienti. Uomini e donne spinti oltre ogni limite, o quasi.
Un po’ come i Cimanei di antica memoria…
L’uomo emise un gorgoglio di gola. Un bolo di catarro gli risalì in bocca, sputò sul marciapiede saliva biancastra.
Si strinse nelle vesti. La pioggia flagellava la città. In lontananza vide un senzatetto con un cartello. “Sono un veterano, ho combattuto Mons Vetera. Aiutatemi, vi prego.”, lesse.
Mons Vetera. Il luogo dove le forze della Confederatio avevano spezzato i Chin, imponendo la pace. Il fatto che poi il popolo di Chin avesse mal tollerato la pace e dato inizio ad azioni di guerriglia che infine avevano costretto i Licanei a tornare verso occidente era stato semplicemente uno stallo momentaneo. Sul piano militare ed economico la vittoria era degli eredi dell’Impero.
E da lì, avrebbe dovuto tornare la pace, no?
No. Le relazioni diplomatiche erano rimaste tese al cardiopalma. Incidenti di frontiera, attacchi di “ignoti”, carichi commerciali spariti… Troppe zone ombrose che non venivano raggiunte dalla luce della civiltà di Licanes…
L’uomo imprecò sommossamente mentre metteva un piede in fallo, evitando di cadere per meri riflessi.
“Una volta ero… migliore.”, pensò. Certo. Una volta. Quando?
Un anno? Due anni fa? Prima del virus, cinque anni prima?
Era mai stato migliore? Era quella la domanda. Imprecò di nuovo. Simili riflessioni non aiutavano. In realtà non lo aiutava quasi più niente.
Aveva rifiutato i farmaci proposti dai servizi sanitari dopo la pandemia di un anno che aveva costretto l’intera Confederatio a congelarsi, aveva provato con diverse cure palliative, ma il risultato era stato solo parziale.
Gli serviva qualcosa di diverso e per un po’ era stato anche tentato dalla droga. Il Nettare, la droga oppiacea creata da una cabala di bastardi senza scrupoli, era scomparso dal mercato, ma c’erano altre valide alternative. Avrebbe ceduto, se non fosse stato per il suo orgoglio.
Che alla fine era anche quello che gli impediva di votarsi a soluzioni radicali, o a perdere del tutto le speranze.
Forse alla fine era proprio solo l’orgoglio a impedirgli di spararsi un colpo in testa….
Entrò a casa. La porta era rimasta aperta. E la cosa gli fece magicamente sentire come secondario tutto il resto. Estrasse la pistola. Vecchio catenaccio a proiettili solidi.
-So che ci sei.-, disse, Puntò l’arma davanti a sé, presa doppia.
Puntò a destra e a sinistra. Esplorò con lo sguardo la camera da letto e si spostò sino al soggiorno, attenzione massima a ogni rumore, a qualunque cosa fuori posto.
-Hai lasciato due impronte.-, disse di nuovo, -Non esci da qui se non dalla porta, visto che siamo a tre piani d’altezza.-. Si preparò a entrare in sala.
Transizione rapida. Molto Entrata in presa mid-ready, da manuale. Puntò davanti a sé.
Inquadrando una figura che applaudiva.
-Proprio bravo, Marduk.-, disse una voce di donna sotto una cappa grigio topo. Abbassò il cappuccio, -Irruzione da manuale.-.
-Sho-mi.-, disse riconoscendola. Sho-mi, orientale, nata in qualche punto tra le Insulae Japonicae e Chin, era probabilmente una dei pochi Justicarii che ancora vivesse entro i confini della Confederatio Licanea. A parte lei, l’Ordine dei Justicarii era sparito nel nulla, dissolto.
-Hai un aspetto orribile, Marduk. Anche casa tua ha un pessimo qi.-, commentò l’asiatica, fissandoloi. Si alzò, la cappa che pareva avvolgerla, -Fortuna che è casa tua. Fai mai le pulizie?-, chiese, passando un dito su un mobile impolverato.
– Sho-mi, cosa diavolo vuoi?-, chiese sforzandosi di non apparire irato, -Pensavo te ne fossi andata, come tutti gli altri.-. Rinfoderò la pistola, prendendo un bicchier d’acqua e offrendone uno alla guerriera che lo accettò con appena un cenno bevendo qualche sorso.
-No. Ho ancora dei doveri, qui.-, disse.
-E uno di essi è badare a me? Merda, forse avresti dovuto spararmi.-, disse scuotendo il capo.
-Marduk, questo non è da te.-, disse lei, gli occhi neri che lo fissavano con severità.
-E che cosa lo è, Sho-mi?-, chiese l’uomo. Lei non rispose. Lo sapeva bene. Sapeva quanto fosse stato cambiato dal fottuto virus. Un’epidemia improvvisa. Aveva falciato la popolazione della zona europea della Confederatio, aveva colto tutti a braghe calate. Chi non moriva d’insufficienza multiorgano, si riduceva così. Uno schifo immane.
L’epidemia era finita com’era arrivata. Quasi fosse stata un monito. Di fatto, pochi mesi dopo, la Confederatio era finita in guerra con Chin. Qualcuno avrebbe potuto ipotizzare che il virus fosse stato una mossa dei Chin per destabilizzare gli eredi di Licanes prima di affondare il colpo finale, ma se quello fosse stato il piano, allora qualcuno aveva fatto male i calcoli. Molto male: la Confederatio mise in campo forze speciali, unità sperimentali ancora adesso velate dal più stretto riserbo. Armi viventi, qualcuno aveva sostenuto.
I Justicarii non presero parte a quella guerra: si prodigarono per aiutare chi non aveva difese, da un lato e dall’altro. E finito il conflitto, sparirono dalla circolazione. Avevano già cominciato a eclissarsi prima, ma dopo quella guerra, scomparvero del tutto.
Nessuno sapeva esattamente il perché, e Marduk sapeva bene che chiedere a Sho-mi una simile informazione era… quantomeno sgarbato e immemore. Preferiva evitare di chiedere.
-Solo perché credi di aver perso ciò che eri, non significa che tu non possa riaverlo, Marduk.-, spiegò lei, optando per la gentilezza. Lui sorrise, un ghigno irriverente da parte di un cadavere, ecco cosa gli parve il suo sorridere.
-Già. Vado in palestra, faccio esercizi… Faccio tutti quel che facevo e niente cambia.-, sibilò.
-Dovresti cercare di darti una mossa, anche se immagino che tu creda di aver già finito…-, fece l’asiatica. L’uomo non rispose, non per arroganza, parve piuttosto gravato dal peso del tempo. Perso nei meandri del proprio dubbio.
-Sho… Non sono sicuro…-, disse.
-Dico davvero. Un lavoro, uno soltanto, anche piccolo. Ti aiuterebbe.-, insistette la donna.
-Un lavoro…-, Marduk assaporò quasi quella parola.
-Sì, Marduk. Un lavoro. Un incarico. Eri uno dei migliori, nel tuo campo. Dei migliori in assoluto.-, disse lei. Marduk si passò la mano sul viso, dubbioso.
-Merda, Sho…-, sospirò lui, -Anche se lo volessi, chi credi che mi vorrebbe?-, chiese, -Ci sono fiori di professionisti privati ben più in forma e capaci di me.-.
-Ma nessuno di loro è come te. Nessuno di loro ha le tue capacità… Nessuno di loro é…-.
-Un rottame?-, interruppe lui. L’asiatica scosse il capo, con evidente disappunto.
-Ok, Marduk. Fa come vuoi. Ci si vede.-, disse uscendo senza emettere un suono.

Fu un paio di giorni successivi a quella visita che accadde.
Per altri due giorni circa, la vita di Marduk riprese il solito confortante, agonico tran-tran.
Per altri due giorni sembrò che nulla, assolutamente nulla, dovesse cambiare.
Poi accadde. Fu inizialmente qualcosa di banale. Uno sguardo scambiato con una donna.
Una bionda, una donna bella, comunque. Fisico piacevole, sportiva senza essere ipertrofica, avvolta in vesti che denotavano un certo amore per la praticità a scapito dell’eleganza.
Ma furono gli occhi di lei a colpire Marduk.
Lui conosceva bene la disperazione, la paura, tuttto il corredo di umane emozioni esistente.
Le aveva vissute, viste vivere e suscitate in altri. Aveva imparato a identificare ogni singola emozione su un viso in pochi istanti. E quel viso, parlava.
Paura. Il terrore folle di venire raggiunta da qualcuno o da qualcosa.
La ragazza era in fuga. Quanti anni aveva? Venticinque? Trenta? Non poteva averne più di trentacinque al massimo, ragionò Marduk.
La vide svoltare in un vicolo, sempre attenta e circospetta, guardandosi alle spalle.
Era concentrata sull’individuare eventuali minacce. Brava. Ma non abbastanza.
Il primo dei due le barcollò contro senza particolare odio o senza intenzioni chiare.
Pareva più un ubriaco che barcollava in preda ai fumi dell’alcool in barba all’orario prestivo per perdersi tra le delizie degli alcolici.
La bionda lo scansò, infastidita, timorosa. Perdendo tempo.
Il tempo necessario perché l’altro le comparisse da un punto cieco.
Lei s’immobilizzò. Dalla sua posizione Marduk non riusciva a vedere cosa fosse accaduto con esattezza, ma l’espressione di lei parlava chiaro. Un coltello. Piccolo, occultato, puntato alle reni, o magari al collo.
Marduk si accorse di star respirando a fatica. Non rapidamente. Lentamente.
“Merda…”, pensò. Non era un buon segno. Di norma avrebbe dovuto accadere l’opposto
“L’ho detto: non sono più così… Cazzo mi credo di essere?”, si disse. Eppure…
Eppure non era disposto a permettere a quei due di fare i loro comodi.
Sentì, come in un sogno febbrile, le dita chiudersi sull’impugnatura della pistola.
Si mosse. Rapido. Più rapido di quanto pensasse. Fose anche più di quanto avesse potuto credere di essere. E puntò la pistola.
-Lasciatela.-, disse. La sua voce era… sua. Non la voce del rudere che era divenuto.
-Sparisci-, sibilò quello dei due che pareva ubriaco. Fece per raggiungere una fondina al fianco, nascosta sotto le vesti lerce.
Bastava. Marduk sparò. Un colpo. Uno solo. L’altro crollò a terra con un buco nel petto.
E il suo compagno strinse la giovane, puntandole la lama alla gola.
-L’ammazzo! Giuro che l’ammazzo!-, esclamò. Qualcuno stava urlando. Qualcuno stava vedendo. I Prefectii stavano arrivando. Per quel che valeva.
Marduk lo fissò, con odio. Nessun’uomo degno di tale nome si faceva scudo di una donna.
-Seriamente?-, chiese. Quella voce non era la sua. Non di lui…. Ora.
Veniva dal passato. Dagli abissi della memoria. Da molto tempo prima.
-Vuoi davvero fare quest’idiozia dell’ostaggio?-, chiese.
-Ascoltami bene, figlio di una puttana impestata…-, iniziò l’altro. Marduk sorrise. Crudele.
-No, ascoltami tu. Le storie con l’ostaggio finiscono sempre da schifo per il rapitore. E tu sei stato così idiota da metterti contro l’unico figlio di puttana capace di centrarti dritto in mezzo agli occhi da trecento passi di distanza senza neppure doversi preoccupare di torcere un solo capello alla ragazza.-, sibilò. Era una voce cattiva, dura, diversa.
-Opzione uno: lasci la ragazza e te ne vai sulle tue gambe.-, disse Marduk.
-Fottiti!-, esclamò l’uomo.
-Opzione due: lasci la ragazza e te ne vai con un buco fumante per respirare in più.-.
Stasi. Frammentazione. Il tempo si era già dilatato. Ora è divenuto una serie di schegge, come se il continuum spazio temporale del luogo fosse stato improvvisamente alterato, da un dio indignato dalla stupidità mortale.
Marduk si accorse di diversi dettagli. Che diavolo gli stava succedendo?
La mano tremava? Merda, non adesso! Non qui e non ora!
Il cuore batteva lento, la mente indugiava ai tempi in cui un simile gesto e un simile scambio erano stati consuetudine e poco più che un aneddoto di cui vantarsi…
-Nervosetto, eh?-, chiese l’altro, strafottente.
-Pessima idea sfottere.-, sibilò Marduk. Ma era fottutamente vero: qualcosa aveva spezzato la sua concentrazione e lui sapeva cosa. Si odiò per quella debolezza.
Doveva chiudera in fretta, finché ancora poteva.
-I Prefectii stanno arrivando. Lascia la ragazza.-, intimò. Sentiva di star sudando.
-Non oseranno sparare. Neanche tu hai le palle per farlo.-, ridacchiò l’uomo.
Tempo-fermo. Marduk strinse la pistola. Mirò. Sparò.
Il tempo parve cristallizzarsi, poi riprendere a scorrere. La giovane crollò a terra mentre il coltello cadeva e l’uomo si portava la mano all’orecchio leso. La pallottola di Marduk gli aveva strappato gran parte del lobo. Un tiro mica male.
-Merda! Figlio di puttana!-, ringhiò l’altro digrnignando i denti con dolore.
-Dicevamo?-, chiese l’uomo. La bionda intanto era in fuga. Dietro di un vicolo. E i Prefectii erano in arrivo, a giudicare dai passi. Marduk rinfoderò la pistola.
-Nessuno si muova!-, urlò un ufficiale a capo di una pattuglia di tre uomini mentre irrompeva nel vicolo, -Mani sopra la testa e armi a terra!-, ringhiarono puntando le bocche da fuoco ad altezza uomo.
-Ok, stiamo calmi.-, disse Marduk. Merda, ora sentiva ogni dolore, il respiro era dolente e la ragazza… La ragazza era andata.
-Non state a sprecarvi. Sarò fuori tra due ore.-, sibilò il teppista mentre veniva ammanettato.
-Intanto hai diritto a rimanere in silenzio. Se non lo farai ogni cosa che dirai potrà essere usata contro di te in sede giuridica secondo lo Jus Civitate. Hai diritto ad un Advocatus, se non ne puoi pagare uno, ne avrai uno a scelta dello stato. Hai diritto a una sola telefonata, sorvegliata.-, l’ufficiale appena giunto, biondiccio, ma con tratti volitivi e naso stranamente poco pronunciato, recitava la litania del fermo con estrema precisione.
-Fanculo. Fatemi fare la mia telefonata.-, replicò l’uomo. Uno dei gregari gli sferrò un manrovescio. Marduk rimase zitto, mani sopra la testa. Sentì uno dei Prefectii alleggerirlo dell’arma da fuoco, lentamente e con estrema cautela.
-Regolarmente detenuta, immagino.-, disse questi tenendola con due dita guantate.
-Sî. Documento di porto, tasca sinistra.-. riuscì a dire lui. Sentiva la voce impastata, la testa che ronzava. Come se tutti i suoi malesseri gli fossero piombati addosso al dissiparsi dell’adrenalina.
-In regola.-, annuì il Praefecto. Era una donna dal viso grassoccio, steroidato e poco piacevole. Non pareva curarsi troppo dell’impressione che poteva fare.
-Ricevuto. Scan retinale?-, chiese l’ufficiale.
-Saluta, uomo.-, berciò la donna avvicinando al viso di Marduk un dispositivo con una lente al trizio che lo inquadrò. Rimase immobile.
-Marduk Atbash Gaius. Ex agente di sicurezza privata. Ex investigatore. Attualmente disoccupato.-, riferì la donna. L’ufficiale fissò il sangue sul cemento, il bruto in manette e infine Marduk stesso.
-Immagino che non sia più disoccupato.-, disse l’ufficiale.
-Immagina male, agente. Sono finito in questa cosa per caso.-, ribatté lui.
-E sempre per caso ha freddato uno di questi due saltimbanchi. Omicidio intenzionale.-, disse l’ufficiale. Marduk lo fissò, senza realmente riuscire a mantenere la calma che avrebbe voluto.
-Aveva un’ostaggio. Una ragazza. Trenta, trentacinque anni massimo, capelli biondi sciolti, occhi marroni. Posso farvi una pictia identificativa se serve.-, replicò.
-Non abbiamo idea di chi si tratti. Non abbiamo visto nessuno in questo senso.-, disse l’ufficiale. Marduk lo fissò, dubbioso tra il definirlo incompetente o temere il peggio.
-È fuggita lungo il vicolo, sino alla Via Piscarissorum.-, disse.
-Nessun avvistamento. Possiamo cercarla, ma la situazione resta invariata: tu hai ucciso un cittadino della Confederatio. E l’hai fatto senza testimoni.-, replicò l’ufficiale.
-Peccato.-, fece la donna che pareva avere il viso di un canide tipo mastino.
-Marduk Atbash, la dichiaro in stato di fermo. La sua posizione è al vaglio.-, sancì l’ufficiale.

C’erano volute tre lunghe ore, ma infine l’ufficiale si trovò costretto ad accettare la verità: Marduk aveva agito per difesa. Sul coltello ritrovato sulla scena era stato trovato il DNA di qualcuno assente dalla scena. Una prova indiziaria ulteriore.
Dopo essere stato rilasciato, Marduk si concesse di riflettere su due cose.
La prima era che si era sentito vivo, più di quanto si fosse sentito in tanto tempo, in quel momento. La seconda, ben più complicata, ben più insidiosa e spiacevole, era una serie di particolari che sollevavano altrettanti interrogativi.
Il primo e il più rilevante, era che l’uomo che avevano arrestato insieme a lui non aveva avuto modo di venire identificato sul posto. Di fatto, era totalmente possibile che fosse stato identificato in seguito, ma Marduk ci credeva poco.
Più probabile era che la sua telefonata l’avesse di fatto scarcerato, e non era un bene.
Inoltre c’era la ragazza, sparita senza lasciar traccia. E per finire, c’era l’altro corpo.
Non un nome, non un accenno né durante i due interrogatori, né sui giornali. Silenzio assoluto, in merito all’intera vicenda. Come se qualcuno avesse voluto tacitare tutto.
Troppo, troppo maldettamente strano. Il sesto senso di Marduk stava urlandogli addosso di stare attento. Qualcosa stava muovendosi, in un modo che lui non capiva, per motivi che non riusciva davvero a spiegarsi, verso cose che di fatto non riusciva a inquadrare.
Era un disegno fosco, tutt’altro che piacevole. Puzzava di collusioni lontano duecento miglia.
Eppure, Marduk si concesse onestamente di pensarci mentre, dopo aver recuperato qualcosa da mangiare, tornava a casa. Per un istante, uno solo, si era sentito come ai vecchi tempi.
Voleva davvero voltare le spalle a una simile possibilità?
Mentre mangiava, si sorprese a riflettere al fatto che la sua vita fosse stata esattamente così, una perfetta, assoluta rappresentazione della tragedia di Espofisio, in cui il protagonista perde tutto per mano degli dei e finisce col rinnegarli prima di uccidersi.
Non era ciò che voleva fare lui, ma l’alternativa era smetterla di vivere alla giornata.
“Un lavoro…”, aveva detto Sho-mi. Sì, forse avrebbe dovuto cercarne uno serio.
Si decise.

L’indomani, colazione leggera, palestra presso il Gymnasium locale e poi doccia e pranzo. Infine, lo fece. Contattò Ferelea.
Esisteva una rete di sottili contatti. Gente che provvedeva dei servizi più o meno legali, chi più chi meno tutti immanicati con qualcuno ai piani alti, a sufficienza da non dover temere l’interferenza dei Prefectii. Ferelea era una di questi individui. Una che trafficava in informazioni. Aveva già in passato procurato altri lavori a Marduk, prima dell’Epidemia.
E aveva tentato di procurargliene anche dopo. Non era finita bene.
Ferelea non era di discendenza del Kelreas, ma amava farsi passare come tale.
Il suo vero nome era Antonia Livia Svea, anche se nessuno lo usava.
Era stata diverse cose: una Prefecta, una cronista e infine era approdata alla sincera convinzione che il solo modo per ottenere giustizia fosse senza passare dal via.
Marduk si diresse al suo ritrovo. Contrariamente a troppi altri intermediari del mondo sotterraneo legato ai traffici più o meno illegali di informazioni, Ferelea operava dal primo piano di un magazzino. Chiunque l’avesse voluta trovare avrebbe dovuto mostrare umiltà e pazienza, in tal senso. Era già una prova per scremare teste calde e affari improbabili o guidati dall’emotività eccessiva.
Lo raggiunse dopo quasi un ora a destreggiarsi tra i servizi pubblici.
Il magazzino era una costruzione bassa. Bussò alla saracinesca primaria. Gli aprì un omone che poteva comodamente essere il doppio di lui in stazza.
-Cerco Ferelea.-, disse soltanto. L’uomo non rispose: si scansò, Marduk entrò e l’uomo richiuse. L’interno del piano era un dedalo di casse impilate, tutte eticchettate con dati riguardo contenuti, scadenze, provenienze e destinazioni.
Fortunatamente, lui era già stato lì una volta. Ricordava abbastanza bene il percorso.
Si fece strada tra le casse errando in un labirinto di merci sino a raggiungere una scala.
Il secondo guardaspalle non lo fermò. Era preavvertito. Salì.
Le luci erano più chiare al piano superiore. Ed eccola. Seduta su un divanetto, con un drink.
Era intenta a negoziare con un tizio. Evidentemente un emissario di qualcuno d’importante. A Marduk capitò di captare frasi come “Il mio cliente esige…”, o “Il mio rappresentato richiede…”. Sì: decisamente un inviato di qualche riccone. Non che ciò fosse l’eccezione alla norma, anzi. Se ne rimase tranquillo in attesa che lo scambio finisse, finché…
-Ah, ecco l’uomo che aspettavo!-, fece Ferelea con un sorriso indirizzato al nuovo venuto.
Ferelea aveva una carnagione lievemente olivastra, che in realtà non era dovuta a parente di qualche grado con il Kelreas ma a un certosino lavoro di abbronzatura artificiale.
Per restare nel personaggio, vestiva abiti in pelle animale (cuoio vero, mica imitazioni) e anche i muscoli e il fisico urlavano chiaramente che l’esercizio fisico lo faceva davvero.
Aveva gli occhi color nero pece, belli profondi. A Marduk quegli occhi piacevano, tutto sommato, e anche il resto del corpo, incluse le labbra forse un pelo troppo truccate.
Ma la regola numero 2 di un buon agente era non farsela con intermediari o clienti. MAI.
-Ferelea.-, disse a mo’ di saluto.
-Marduk Atbash, qui è un elemento di punta. Un agente di ottimi livelli.-, disse lei rivolta al suo altro ospite. Il rappresentativo, un uomo calvo dallo sguardo fisso, pareva scrutare il nuovo arrivato come un Condor delle steppe guardava una carogna.
-Ma davvero?-, chiese, -Ottimo! Il caso è oltremodo complicato.-.
-Ferelea?-, chiese Marduk, -Esattamente di che cosa stiamo parlando?-.
-Diritto al punto, eh?-, chiese lei, -Parliamo del tuo ritorno agli onori della cronaca per buona pace dei Prefectii!-, esclamò. Mostrava delle pittoimmagini riprese sicuramente di nascosto. Lui che veniva portato al Castra Praefectorum, che veniva interrogato… Marduk annuì.
-Sì. Ero io.-, ammise infine.
-Coincidenza non esattamente favorevole. Il suo intervento ha impedito l’acquisizione di una risorsa fondamentale.-, commentò il rappresentante, acido.
-E lei sarebbe?-, chiese Marduk, deciso a non farsi mettere i piedi in testa.
-Licius Carcio Quadro.-, rispose l’uomo. Non porse la mano. Non sorrise.
-I suoi uomini hanno minacciato quella donna. E, peggio ancora, erano dei dilettanti.-, affondò lui, -Ma dei dilettanti con agganci non indifferenti. Nessun nome, nessun verbale. Per risalire a loro stavo per chiedere a Ferelea, ma vedo che siamo ben oltre questo punto.-.
Licius parve valutarlo, sondarlo. Ferelea sorrise, in modo decisamente sincero.
-Buon vecchio Marduk… Vedo che non hai perso lo smalto.-, disse, senza nascondere il compiacimento. Lui non rispose. Fissò Licius.
-Attualmente, il mio rappresentato non ha disposto di ingaggiare nuova manovalanza per questo lavoro. Ma se dovesse farlo, avrei fortissime riserve a suggerire di assumere lei.-, disse infine questi. Marduk non rispose. Ci pensò la donna a farlo per lui.
-Veramente? Mi stai dicendo che preferiresti i due idioti che si sono fatti fermare da un solo uomo?-, chiese senza particolare intonazione.
-Sto solo dicendo che abbattere uno dei nostri e mandare a monte l’acquisizione non è una buona pubblicità.-, replicò l’uomo, asciutto ma piccato. La sua facciata cortese aveva lasciato il posto ad altro. Qualcosa che Marduk conosceva bene.
Sulla carta, tutti i popoli della Confederatio Licanea erano uguali e pari. In realtà, i popoli più recentemente conquistati all’ideologia della Pax Licanea erano visti come cittadini di seconda classe, e spesso ciò andava ben oltre la mera scortesia verbale.
-Forse preferiresti qualcuno un po’ più licaneo, vero? Qualche altro bel bamboccione con manie di grandezza, perché no? Urta meno il tuo senso di vero confederato della prima ora, eh?-, chiese Marduk, stufo di quell’incontro. Non era lì per un lavoro, era lì per delle informazioni e poteva comodamente chiederle in privato a Ferelea se quel bastardo arrogante non le avesse volute scucire. Una parte di lui avrebbe solo voluto poter evitare di continuare quella conversazione e tornare quando quello stronzo avesse lasciato il campo.
Un’altra invece voleva restare lì. Voleva spingersi oltre il limite.
Il silenzio seguente parve una cappa di piombo. Ferelea si schiarì la voce.
-Quel che vorrebbe intedere…-, iniziò.
-So cosa vuole intendere, Ferelea.-, sibilò Licius. Andò a muso duro contro Marduk. Viso a viso. Il fiato del rappresentante pareva una cloaca marcescente appena ammantata di un sentore fugace di erbe, -Vuole la sua libbra di gloria, Marduk? Magari innaffiata del giusto tasso d’introiti?-, chiese. Marduk lo fissò. Con raggelante freddezza.
-Licius, ascolta…-, iniziò ancora Ferelea. Non ascoltò.
-Tu sei sicuro di volere questo, Marduk?-, chiese Licius sputando il nome dell’uomo.
-Tu sei sicuro di sapere cosa vuoi, Licius?-, chiese l’altro con euguale ostilità.
Stasi, ancora. Infine, il rappresentante annuì, apparentemente contento.
Si sistemò l’orlo dell’abito, una toga praetexta viola con risvolti rossi. Il viola era stato anticamente il colore dei dignitari, dei nobili… Degli Imperator…
-E va bene, Marduk. Posso concedertelo: sei un duro. Forse pure un duro con qualche capacità seria, non solo apparenza. Facciamo che ti do… cinque giorni.-, disse.
-Cinque giorni?-, chiese Ferelea. Marduk non chiese nulla. Licius annuì, serafico.
-Cinque giorni per ritrovare le tracce di quella ragazza. Finiti i cinque giorni, lascerò mano libera all’uomo che hai fatto arrestare e ai suoi amici.-, disse, -Ovviamente, se per allora ritroverai la ragazza, potremo parlare di un compenso. Ma ho forti dubbi.-.
Sorrise con un espressione crudele, come un bambino che si accingeva a tagliare le zampe e le antenne di qualche sfortunato insetto finito tra le sue grinfie.
-Conto sulla tua capacità di fornire tutte le info del caso, Ferelea.-, disse a mo’ di congedo.
-E chi ti dice che io accetterò di lavorare per te?-, chiese Marduk.
-Oh, sono convintissimo che Ferelea saprà motivarti adeguatamente.-, cinguettò Licius uscendo. Probabilmente aveva grandemente frainteso il rapporto tra i due.
Ferela sospirò rumorosamente. Marduk si sedette a un angolo del divano mentre un assistente dell’intermediaria giungeva a chiedere se volessero da bere.
-Dimmi tuttto.-, disse lui.

-Alma. Nessun altro nome disponibile. Com’è fatta l’hai già visto.-, esordì. Marduk annuì.
-Il suo viso pareva… leggermente fissile. Come se non fosse stato naturale. Una chirurgia plastica?-, chiese.
-Esattamente. Una ricostruzione facciale di proporzioni notevoli. Per sparire. Anche Alma non è il suo vero nome. Era una ricercatrice. Bioingenieria ad alti livelli. Una di un gruppo di tre ricercatori. Lei è la prima che abbiamo potuto individuare. Gli altri due sono ancora invisibili ai nostri servizi, nessuno sa dove siano… o cosa stiano facendo.-, spiegò Ferelea.
-Perché sento puzza di armi battereologiche?-, chiese l’uomo.
L’intermediaria non celò un sorriso, mesto nonostante la soddisfazione che aveva già palesato prima davanti all’intuito di Marduk.
-Perché ce n’é. E neanche poca. Il trio lavorava a una serie di progetti top secret prima di sparire. Ufficialmente, sono morti, ma la storia della loro morte non ha retto a lungo.-, spiegò.
Marduk annuì appena. Certo, pareva un caso bello grosso, eppure…
-Ci sono parecchie incognite.-, disse, -Dove portarla una volta che l’ho trovata, quanti altri la stanno cercando, che appoggi ha, c’è troppo che non viene detto. Se dovessi dare retta al mio istinto, ti direi che è una vera schifezza. Una matassa di filo spianto.-, disse.
-Marduk, lo so che è un casino, ok? Ma è anche la tua occasione di tornare a fare ciò che facevi… prima.-, mormorò lei.
-Quel Licius non mi piace.-, disse Marduk con un sospiro pesnte. Ferelea annuì.
-È un viscido, oltre che un porco. Mi ha guardato le tette tutto il tempo.-, commentò.
-Scommetto che gli spareresti volentieri.-, sorrise lui.
-Io? Nah. Le amazzoni del Kelreas uccidono con arco e frecce, amico mio!-, esclamò lei.
Risero brevemente, bevvero, poi Ferelea lo fissò, seria.
-Allora?-, chiese.
-Io… non lo so. Devo… devo pensarci.-, ammise lui.
-Non hai molto tempo, lo hai sentito. Cinque giorni e ti scatenerà contro i mastini.-.
Marduk annuì. Forse alla fine era giusto così: aveva oltrepassato un limite cercando di aiutare quella ragazza. Aveva fatto la cosa giusta, forse per i motivi sbagliati.
E ora? Avrebbe fatto la cosa sbagliata per i motivi giusti? Non lo sapeva.
Sapeva solo che non voleva ricadere nell’autocommiserazione che l’aveva ghermito prima.
Sentì la gola grattare. Bevve dell’acqua. Annuì appena.
-Si. Ci sto. Mandami tutte le info, canale sicuro. E mi serviranno delle armi. Da pugno e da taglio. Roba non tracciabile.-, disse.
-Altro?-, chiese Ferelea, già al lavoro su un palmare.
-Ci sarebbero alcune cosette.-, annuì lui.
Se ne andò dopo altri dieci minuti.

Appena Marduk fu uscito, Ferelea si concesse un sorriso.
-Ottimo piano. Sapevo che non avrebbe resistito, ma l’idea di spostare questo appuntamento con Licius a quest’orario è stata… sublime. La ciliegina sulla torta, il tocco finale per spingerlo ad accettare.-, disse.
-L’idea è stata mia, ma la gestioe della cosa è stata tua. Ottima come sempre, Antonia.-, la figura in ombra parve uscire dagli incubi, senza quasi un suono, invisibile e inudibile.
E aveva usato il suo vero nome. Ferelea sorrise appena. Non amava che la gente usasse il suo vero nome, ma per quella persona, poteva fare un’eccezione.
-Ora dobbiamo solo aspettare che si muova.-, disse l’informatrice. La figura annuì. Sedette sul divano con un movimento fluido, senza sbavature.
-Immagino che tu abbia già in mente come procedere.-, continuò Ferelea. Nessuna risposta.
-Immagino tu abbia già un piano.-, pressò. Nessuna risposta. Sospirò.
-Un piano che non m’include.-, mormorò, non senza stizza.
-Non per cattiveria. Meno sai meglio è.-, disse la figura mentre beveva dell’acqua.
-So già molto. Non ti pare?-, chiese l’informatrice.
-Non quanto basta a farti uccidere.-, commentò il misterioso interlocutore. Si protese, la mano guantata nera che afferrava il collo di Ferelea. La donna fece una smorfia.
Non se lo aspettava. Non si era aspettata molte cose: quel patto, il sottile gioco per convincere Marduk Atbash a rientrare nel giro…
Non si aspettò neppure le labbra che baciarono aggressivamente le sue. Durò un lungo, lunghissimo istante. Troppo e troppo poco. Si trovò ad ansimare semidistesa sul divano, il cuore come un tamburo da guerra del Kelreas antico, il viso imporporato dall’emozione e il bassoventre illanguidito da un’eccitazione improvvisa quanto selvaggia.
-Merda…-, sussurrò cercando di riconquistare un tono e una respirazione decenti.
La figura la fissava, senza dare modo di capire se fosse intenzionata a riprendere il bocca a bocca o meno. Ferelea esitò. Per un istante, desiderò lasciare tutto. Il discorso, i prossimi incontri, solo tornare a quel luogo oscuro e proibito dove le emozioni assumevano un peso tale da essere schiaccianti, e a parlare non era il cervello, ma il cuore. O forse solo il corpo.
Si volse a versarsi un bicchiere d’acqua, che tracannò.
-Merda, se avessi saputo che volevi questo…-, si volse sorridendo verso l’interlocutore, solo per trovare il vuoto. Era svanito nelle stesse ombre che l’avevano visto emergere.
Ferelea si sfiorò le labbra, pensierosa. Aveva altri appuntamenti. Non poteva indugiare.

Una serie serrata di domande aveva condotto Marduk verso un primo, insignificante passo avanti. Un nome. Giulia Aquilia Placida. Un nome di copertura, sicuro. Un’identità cedevole, di comodo. Ma era un primo inizio. Interrogò metodicamente i proprietari di mansio e ostelli di sorta, ricevendo risposte negative, salvo un oste rubicondo e dalla pancia abbondantemente vasta che sosteneva di aver visto Giulia Aquilia Placida. Si era fermata lì solo per usare il bagno, poi era uscita. Altrove.
Dove? Marduk se lo chiese senza posa mentre leggeva le informazioni mandategli da Ferelea.
Giulia aveva un nome diverso, e un viso diverso. Minah Ahn, una scenziata di biongenieria applicata, un’erudita della scienza più profonda, quella che cambiava la materia.
Bioingenieria. Mutare profondamente la sostanza delle cose, all’origine.
Creare il nuovo dall’usuale senza utilizzare altro che ciò che c’è già, solo ricombinandolo.
Marduk annuì. Puzzava di armi batteriologiche lontano miglia.
Il file non era chissà che esaustiva sul cursus honurm di Ahn: triplice specializzazione in biologia, chimica e bioingenieria. Summa cum laude. Cinque anni di studio serrato, immersivo, alla migliore università che la Confederatio avesse avuto modo di mettere a disposizione a quel prodigio.
Dettaglio interessante: nessun’accenno di vita privata o di crimini o sregolatezze. Una donna tutta lavoro. Un genio puro.
Salvo che poi le cose erano andate in malora. Assegnazioni censurate. Progetti top secret, buchi nelle informazioni, buchi voluti. Roba che non era possibile recuperare, neppure a Ferelea. Ma bastava e avanzava a Marduk per avere un’idea della donna.
Confrontò le foto. Capelli neri e viso asiatico prima, capelli biondi e viso con tratti europei poi.
Addio Minah Ahn, benvenuta Giulia Aquila Placida.
Altro viso, stessa donna, stesso sguardo così atrocemente piagato da qualcosa.
Colpa? Orrore? Odio? Difficile dilro, ma traspariva dalle immagini.
I dati riguardo i suoi traffici economici non erano meno esaustivi, ma erano molto più complessi: pagamenti immani, somme da capogiro, che di fatto erano scomparse nel nulla un giorno prima della sua scomparsa, ma non prima di un massicccio prelievo.
Fatto da lei. Perché? Motivazioni ignote, causali in bianco.
Era fuggita pianificando la sua fuga. Fin dove? Per dove? Perché? Rimorsi di coscienza?
Marduk non era uno psicologo, ma poteva essere ragionevolmente sicuro che la scelta di Ahn fosse largamente dovuta a un dubbio etico, a un bivio che in qualche modo si era trovata davanti. Un ordine troppo estremo, una prospettiva troppo orribile… Qualcosa di simile.
Mostrò le foto di Giulia in altri posti. Niente. Pareva scomparsa. Totalmente.
Ma c’era anche da dire che gli stessi Prefectii non l’avevano vista. Era svanita pure dal loro sguardo? Troppo semplice da credere.
Quindi, chi era Ahn? Chi era quella donna, davvero?
Mentre cenava in una taverna di quart’ordine, Marduk si domandò se non fosse stata in realtà un’infiltrata di Chin. Forse l’intera sua reputazione di esperta di bioingenieria e scenziata era servita a penetrare il sancta sanctorum della difesa della Confederatio. Se era così, poteva ben comprendere la fretta nel ritrovarla, ma non il fatto che l’intera questione non fosse stata improvvisamente resa pubblica, invece pareva che qualcuno volesse che quella donna restasse lontana, ben lontana dall’attenzione dei media e del grande pubblico.
E ciò significava due cose: servizi segreti e guerre-ombra.
Un fottuto casino.

La donna stava succhiando. Piano, a tentoni. Non era una virtuosa del pompino, pareva piuttosto una alle prime armi che ci provava. Capelli biondi, viso piacevole ma fisso in modo strano e occhi color nocciola. Seradius non si chiedeva chi fosse quella donna, sapeva appena il suo nome, Giulia. E poco, pochissimo altro.
Lei cercò di aumentare il ritmo, con la mano di Seradius che le premeva la testa.
Rumori umidi e gorgoglii segnalarono che la donna era arrivata al limite delle sue capacità.
Seradius sorrise, sentendo l’orgasmo montare, ma venirle in gola non era ciò che voleva.
La fermò, estraendo il pene della bocca della donna. Lo scrollò appena, giusto due tocchi e uno schizzo di sperma biancastro centrò in pieno il viso della giovane mentre un secondo arrivò a lambirle il collo. Lei lo fissò, neutra. Se c’era odio nei suoi occhi, non lo dava a vedere.
Ma a lui in quel momento non sarebbe importato: era in paradiso.
-Il nostro patto è siglato.-, disse con un sorriso mentre lei si toglieva filamenti traslucidi dal viso, -Puoi restare qui per il tempo che ti occorre. Io non farò domande e nessuno ne farà a me.-. Lei annuì appena mormorando un ringraziamento mentre lui si ricomponeva.
Quella tipa l’aveva abbordato in un bar, uno dei tanti. Aveva parlato poco, quasi con distacco, ma altre cose (come ad esempio la sua mano intenta a frugare alla ricerca del suo sesso sotto il tavolo) gli avevano reso ben chiaro cosa potesse offrire in cambio di ospitalità.
L’orgasmo l’aveva lasciato squassato, sentiva il bisogno di un riposino, principalmente perché ormai erano le 23.45 e l’indomani avrebbe dovuto alzarsi alla svelta.

Dopo che l’uomo fu uscito, Minah Ahn, o Giulia come si ostinava a ricordare di pensare a sé stessa, andò in bagno. Vomitò. Si odiava per quel che aveva dovuto fare. Si ripulì. Non c’era mai stata scelta. Nessuna. Cose maledette stavano arrivando.
Lei era fuggita, ma non era stata l’unica.
Eppure, era semplicemente folle anche solo pensare che uno solo degli altri l’avrebbe raggiunta. Era parte del piano. Avevano una via tracciata.

Erano le 23.52 quando Marduk procedette verso casa.
La sequela di domande che aveva fatto avevano fruttato poche, labili tracce. Neppure i Prefectii erano stati utili, ma lui aveva avuto modo di rivolgersi a un vecchio amico.
Era un uomo sfatto e grassoccio, un informatore di piccolo calibro, ma capace di captare cose che talvolta sfuggivano ai pezzi grossi del mercato delle informazioni.
Tossì brevemente sputando un bolo biancastro. Si sentiva stanco.
Eppure, allo stesso tempo, non poteva negare di provare qualcosa. Come un sincero senso di profonda soddisfazione per l’essere nuovamente attivo.
Mentre svoltava un angolo sentì all’improvviso un rumore. Un passo, o qualcosa di simile. Dietro di sé. Si voltò, pronto a fronteggiare eventuali aggressori. Nulla. O almeno, apparentemente. Indugiò per un istante, poi decise di voltarsi e continuare a camminare.
C’era poca gente per strada. Era tardi ed era una settimana lavorativa. La città stava preparandosi a una notte breve e a un lungo domani.
Marduk continuò a camminare, verso un vicolo. Poi lo sentì.
Passi. Ancora. Si voltò di nuovo. Niente. Il cuore gli stava battendo accelerato.
Stava venendo pedinato? Da chi? Sicuramente poteva essere più furtivo. Il che voleva dire che realisticamente voleva farsi sentire… Oppure era un dilettante.
Svoltò in un altro vicolo. Sentì a un livello completamente discosto dai sensi ordinari che chiunque fosse il pedinatore, era lì. A poca distanza. Ruppe gli indugi: girò l’angolo appena sentì il passo. Ebbe una fugace visione di un viso orientale vagamente femminile e di uno sguardo sorpreso mentre colpiva. Montante al fegato e pugno.
La donna, perché donna era, sciorinò una breve frase in lingua chin o qualche idioma simile mentre schivava e parava, colpendo a sua volta. Calcio alto, alla coscia. Dolore. Marduk imprecò. Lei piroettò come una prima ballerina prima di sferrare un secondo calcio. Evitò la testa dell’uomo per mera fortuna. Lui tentò di afferrarla a mezz’aria. La strattonò scaraventandola contro una pila d’immondizia. La donna si rimise in piedi, posizione di guardia, mani alte, postura rilassata.
Lui fece lo stesso, pugni semichiusi al viso, postura di guardia classica della Pugnus Artis.
Lei fintò. Lui ci cascò, riuscendo solo in extremis a evitare almeno in parte il pugno che gli centrò il viso. Ignorò il dolore, cercando di entrarle nella guardia. Sferrò colpi corti al petto ma l’altra si levò. Caricò e attaccò. Calcio alto, poi spazzata bassa. Marduk crollò a terra.
-Figlia di puttana!-, imprecò. Brancò la caviglia sinistra di lei, incassando un calcio che gli ruppe il naso. La strattonò tirandola giù. Balzò sull’asiatica assestandole due ceffoni.
Il labbro della donna si fese con uno schizzo cremisi. Lui continuò. Pugni. Uno due al viso.
La donna boccheggiò, stordita. Marduk fece per tirarle un’altra serie di percosse.
Lei reagì: testata. Mancò il naso, ma fece male uguale. Riuscì a divincolarsi, rialzandosi barcollante. Marduk ringhiò facendo lo stesso. Lei pareva poco convinta a voler continuare.
Le aveva prese, o meglio, ne aveva prese abbastanza.
-Stai alla larga da quella donna.-, sibilò l’asiatica. Il suo viso gonfio e insanguinato era una maschera grottesca tra i capelli neri sfatti e sporchi.
-Dovrai impegnarti di più.-, ribatté lui. Lei scosse il capo. Sputò un bolo di saliva rossastra.
-Non sai in cosa ti stai cacciando.-, disse.
-So quanto basta. E deduco che tu sei dei servizi di Chin.-, ribatté lui.
-Io sono solo un’emissaria.-, chiarì lei, -Il mio capo voleva consegnarti questo messaggio.-.
-Ci credo.-, fece Marduk massaggiandosi il naso leso, -Avrebbe potuto anche scrivere…-.
-Sei ancora in tempo a tirartene fuori.-, avvisò lei.
-Chi è il tuo capo? Puan-Yi? Chan Fong?-, chiese Marduk ricordando un paio di nomi dei servizi di spionaggio di Chin. Lei scosse il capo.
-No. È un’altra persona. Ti vuole vedere. Domani alle otto, al Dionisus. Da solo e senz’armi.-.
Dopo quelle parole, l’asiatica si girò per andarsene. Marduk sospirò. Era un fottuto casino.
Riuscì ad arrivare a casa senza troppi altri problemi, salvo le occhiate di un paio di curiosi.
Si medicò sommariamente le ferite poi cercò di fare il punto.
Minah Ahn, anche detta Giulia Aquilia Placida, sicuramente stava tenendo un basso profilo e anche il suo contatto gli aveva messo ben in chiaro che la donna aveva parlato poco e niente.
Era sicuramente in zona, ancora in zona. Anche considerando le ingerenze di terzi, se l’avessero presa, se chiunque l’avesse presa, il suo informatore lo avrebbe saputo…
Toccava aspettare. Aspettare l’indomani. Sperando portasse buone nuove.
Si sdraiò sul letto sentendosi vecchio di mille anni. Scivolando nel sonno.

L’indomani fu svegliato dal campanello. Si alzò con una serie di dolori dalla scazzottata del giorno prima. Imprecò potentemente contro déi vari ed eventuali mentre si rendeva conto che alla fine essi non erano colpevoli di ciò che gli era accaduto.
Aveva voluto indagare, e quelle sofferenze erano parte del pacchetto.
Andò ad aprire trovandosi davanti il ghigno sorridente di uno dei collaboratori di Ferelea.
-Sorgi e splendi, Marduk!-, esclamò con somma ironia e un sorriso divertito sul viso da babbuino con qualche capello biondiccio che sormontava un corpo gonfio di steroidi vari.
-Vaffanculo e crepa.-, ribatté Marduk in tono caustico che alla fine si risolse in un sogghigno quasi divertito, -Come va, Svalok?-, chiese infine.
Svalok era uno dei tanti sottoposti di Ferelea. Non era né particolarmente furbo, né particolarmente intelligente, ma era leale.
La combinazione lo rendeva perfetto per la sua padrona. Inoffensivo e incorruttibile.
-Come sempre. Ieri qualche buffone ciondolava in giro per i magazzini. Faceva casino. Ora ne farà molto meno.-, disse con un sorrisetto. Marduk annuì appena.
-Vuoi del Caf?-, chiese. Svalok scosse il capo.
-Mi piacerebbe ma il capo vuole che mi sbrighi. Posso?-, chiese mentre entrava.
-Come fosse casa tua.-, ribatté il padrone di casa. Il grosso adagiò il carico sul tavolo al centro della sala che costituiva il solo locale primario dell’appartamento.
-Dunque, ecco i giocattoli.-, disse aprendo la custodia antiurto.
Marduk annuì. Una pistola e un coltello, oltre a un silenziatore e una mitraglietta a proiettili solidi. Armi serie. Parecchio.
-Calicus da 9 millimetri.-, annuì prendendo la pistola e valutandola con occhio attento.
-Sì. Ho anche tre scatole di munizioni per ambo le armi. Il capo fa le sue congratulazioni per il ritorno in campo.-, aggiunse Svalok.
Il coltello era un pugio. Doppio filo, acciaio al molibdeno, forgiatura a pezzo unico.
Il tutto completo di fondine. Semplicemente notevole. Ma fu l’ultimo articolo a colpire Marduk. Una mitraglietta. Una Retributor MX-9.
-Questa è roba di spessore.-, disse maneggiandola.
-Ferelea voleva che tu avessi solo il meglio. Sa che la situazione non sarà piacevole.-, annuì Svalok con un espressione truce che lo faceva sembrare un pezzo di tufo.
-Ci investe parecchio nel rottsme che sono…-, fece l’uomo mentre osservava la mitraglietta.
-Marduk, tu eri uno dei migliori. Merda, c’era gente che chiedeva di te, sin dalla Sarmatia!-, esclamò Svalok con stizza, -Abbi un po’ di fiducia, cazzo!-.
Per tutta risposta, l’altro tossì scatarrando in un fazzoletto.
-Senti, vorrei restare, ma devo andare. Buona caccia.-, disse Svalok congedandosi.
Appena fu uscito, Marduk riprese in mano le armi. Erano delle signore armi, roba che solo elementi di punta delle forze della Confederatio potevano vantare.
Ferelea ci teneva molto che quel lavoro non finisse con lui steso sul tablinum di un obitorio…
Il rumore fu appena percettabile. Marduk non si disturbò ad alzare la pistola.
-Sho-Mi.-, disse.
-Allora era vero. Sei di nuovo in azione.-, disse l’asiatica in cappa grigia osservandolo.
-E tu sei di nuovo in violazione della mia proprietà.-, commentò lui.
-È quello che penso? Un lavoro grosso?-, domandò lei.
-Perché ho come la sensazione che tu lo sappia?-, chiese l’uomo, infastidito.
-Perché sai che ho le mie fonti. Ma no, non lo so.-, disse la donna.
Non lo sapeva? Marduk la fissò, ma l’espressione della Justicar era totalmente illeggibile.
Per quanto ne sapeva, poteva essere la verità.
-Allora, per il tuo interesse e per la tua salute, penso che continuerò a tenerti all’oscuro.-, concluse mentre rimetteva giù la mitraglietta.
-Marduk, è così brutta?-, chiese lei. Pareva genuinamente preoccupata.
-No.-, riconobbe lui, -Ma ci sono punti oscuri, e diversi giocatori in campo.-.
Sho-mi annuì appena. Un cenno di assenso tanto sottile da apparire un sogno.
-Me ne starò fuori, perché capisco che per te è importante, ma fa’ attenzione, ti prego.-, sussurrò infine. La sua preoccupazione era toccante, questo doveva ammetterlo.
-Sai che la farò. E poi… sto meglio. Credo. La tosse c’è ancora e la testa non è al top. I muscoli fanno ancora male, ma… sto meglio.-, Marduk si rendeva perfettamente conto di quanto poco fosse convincente quella frase. Sho-Mi sorrise, annuì. Si volse verso la porta.
-Sho.-, la chiamò lui. Lei si fermò.
-Grazie.-, disse soltanto.
-E di cosa?-, chiese lei.
-Lo sai.-, ribatté lui. L’asiatica fece appnea un cenne col capo. Poi uscì, lasciando Marduk alle sue riflessioni.

Il successivo passo fu recarsi al Lux Noctae. Era una sorta di bar dove si poteva ballare ed eventualmente mangiare qualcosa. Un esercizio nuovo rispetto alle Tabulae classiche, con un design tecnologico. Marduk vi arrivò che ancora stava aprendo.
Mostrò una foto di Giulia al barista.
-Ah, questa. Sì, l’ho vista di sfuggita l’altra sera, è andata via con un tizio.-, disse lui mostrando un’ottima memoria.
-Sai come si chiama il tizio?-, chiese Marduk.
-Non ricordo…-, ammise l’altro. L’agente sospirò. Fece scivolare una banconota da cinquanta Calus sul bancone, con discrezione. -Ora?-.
-Credo si chiamasse Sidarius… No, Seradius! Sì, era un tizio abbastanza grosso. Lei… è andata via con lui.-, disse. Marduk annuì. Seradius.
Ora aveva una pista. La domanda era se anche altri l’avevano.
Non era da solo in quella caccia, c’erano sicuramente dentro anche i servizi di Chin. E forse altri.
Girò l’angolo e la sentì. Il sibilo di una pallottola. Istintivamente si chinò estraendo la sua pistola. La Calicus rimase puntata verso il nulla. Presa copertura dietro un cassonetto, lo vide. Un uomo, un nero con abiti scuri, pistola silenziata in pugno. Sparò altri due colpi.
Marduk imprecò. Si sporse e sparò. Mancò. L’altro sparò a sua volta.
Il bruciore al braccio fece capire all’agente che era stato colpito. Di striscio, ma sanguinava.
Finse di sporgersi da sinistra salvo poi sporgersi da sopra. Sparò tre colpi.
L’alro non rispose: si era beccato tre colpi tra petto e stomaco. Addio interrogatorio. E prima che arrivassero i Prefectii a beccarlo con armi non regolarmente possedute, aveva bisogno di risposte.
Perquisì il morto. L’arma era una replica cinese a basso costo. Roba povera.
I documenti erano a nome di un tale Hassain Bur’ah. Ufficialmente nato sul territorio licaneo di Karthourum, Africae Sudanica. Ma quel che era peggio era che non c’era altro. Solo una foto di Marduk. Una foto datata. Da archivio. E un palmare. Con password.
Marduk prese tutto, inclusi i pochi Calus che quel disgraziato si era portato appresso. Ripose la pistola uscendo dalla stradina. Le urla e i richiami ai Prefectii giunsero meri istanti dopo.

-Marduk? Che succede?-, chiese Ferelea. Aveva risposta al secondo squillo.
-Faccio progressi, ma non chiamo per questo. Ho lasciato un cellulare dove sai. Mi serve sapere di chi è, chi chiama e cosa si sono detti.-, rispose lui.
-Agente, voglio sperare che lei sia più vicino all’acquisizione di Giulia Aquila Placida-, disse la voce odiosa di Licius. L’uomo era evidentemente con Ferelea. Ascoltava la comunicazione.
-Forse. Al momento non posso dire altro su un canale non sicuro.-, replicò Marduk. Più aveva a che fare con quel tizio e meno gli andava a genio. Chiuse la chiamata.
Tornare a casa, medicarsi, prendere munizioni dopo aver raccolto i bossoli sulla scena del crimine, riprendere un aspetto umano, tutto fatto.
Poi ricevette la chiamata da Ferelea.

-Hussain Bur’ah. Ha connessioni di un certo spessore con il sottobosco criminale africano. È noto per aver ucciso due Prefectii ad Addis Abeba, ed eliminato un individuo protetto, un testimone chiave nell’indagine sui traffici di Qat in zona.-, disse Ferelea.
-L’Aethiopica non fa parte della Confederatio, formalmente.-, notò Marduk.
-No. Ma c’è un patto di supervisione.-, spiegò l’informatrice.
-Capisco. Sei risalita a chi l’ha contattato?-, chiese lui.
-Numeri criptati. In gran parte non associati, salvo due. Uno è quello di un’intrattenitrice, Saida Pulchra Rea. L’altro è quello di un traffichino minore che i Prefectii hanno catturato due giorni fa.-, spiegò lei. Marduk tacque per un lungo istante. Misurò la sala dell’antro di Ferelea a passi quieti. Si avvicinò a una statua in marmo raffigurante la Dea Madre.
-Questa Saida Pulchra Rea…-, iniziò lui.
-È una puttana.-, commentò Ferelea con assoluta e totale neutralità.
-Già, ma è anche l’ultima possibilità che abbiamo di capire chi muoveva esattamente Hussain.-, disse lui.
-Oh, posso immaginare.-, sbuffò Ferelea.
-Gelosa?-, chiese Marduk.
-Un’amazzone? Mai!-, fece lei, rientrando nel personaggio, -Per noi, l’amore non esiste.-.
-Dammi l’indirizzo della nostra intrattenitrice. Intanto io devo andare.-, disse lui.
-Dove?-, chiese lei. Lui non rispose subito.
-A un incontro.-, disse.
-Con chi?-, chiese Ferelea. Grave errore: stava mostrandosi debole.
-Questo è ininfluente.-, ribatté Marduk. Lei annuì. Accettò.
-Capisco, Marduk. Scusa. Sono stata… poco professionale. È che rivederti sul campo… è una cosa che mi fa veramente agitare.-, ammise.
-Ma dai! Eri tu a volere che tornassi ad agire, no?-, chiese.
-Sì… ma non in questa cosa. È grossa, va bene? Non capisco fin dove arriva ma è grossa.-, mormorò lei. Lui si avvicinò. Tanto da accarezzarle il viso.
-Marduk…-, iniziò lei. Non se lo aspettava. Si accorse di non volerlo fermare.
E la cosa la spaventò davvero.
-Va tutto bene. Posso farcela. E ce la farò.-, promise lui.
Lui uscì. Rimasta sola, Ferelea chinò il capo prendendosi il viso tra le mani.
-Stai vacillando.-, disse la figura uscendo dall’ombra. L’altra non rispose. Non subito.
-Pensavo tu potessi essere più distaccata. Vedo che mi sbagliavo.-, c’era delusione nel tono della figura, una nota stridente con l’algida dizione che solitamente usava.
-È grossa davvero.-, sussurrò Ferelea.
-Sì. E lui è l’uomo giusto. Farà ciò che deve.-, disse la figura. L’informatrice la sentì alle spalle. Sentì le mani della figura stringerle le spalle, massaggiarla piano.
Ferelea emise un verso inarticolato di pura goduria mentre quelle mani scivolavano, sino ai seni. Strinsero appena, oltrepassando il tessuto. Il corpo della donna reagì.
-Troverà chi deve trovare.-, il sussurro della figura fece voltare Ferelea verso la voce, gli occhi socchiusi, protesa in cerca di un bacio. L’informatrice sentiva quel languore decuplicato.
Una bocca trovò la sua. Una lingua invase la sua bocca, non fu romantico: fu animalesco.
Una presa di possesso. Una dichiarazione di superiorità, una conquista veemente.
Ferelea sentiva il cuore battere forte, il respiro farsi rado, il sesso bagnarsi aprendosi al piacere mentre le dita della figura velata si immergevano fra le sue vesti e in mezzo alle sue cosce, violando, rivendicando, sollecitando ed eccitando.
-Scopami…-, supplicò l’informatrice. La figura non rispose. Tolse la mano. Piano. Non senza accarezzare ancora punti che pareva in grado di individuare con facilità disarmante.
-Provavi lo stesso quando ti ha toccata Marduk?-, chiese.
-No…-, sussurrò Ferelea, completamente persa mentre la mano della figura riprendeva fare la sua magia. L’amazzione trasalì quando sentì un dito scivolarle dentro, bagnato dei suoi succhi più intimi. Il dito la stava scopando piano. Avanti e indietro, ancora e ancora, sfregando contro le grandi labbra e arrivando sino alla nocca durante la penetrazione.
Con una parte ancora razionale del cervello, pensò che era solo un dito, fin lì…
Ferelea era al limite. La figura la fissava, baciandola piano, con solenne, totale, controllo.
-Vorresti il resto, vero?-, chiese. L’informatrice ansimò un assenso.
-Voglio tutto…-, mormorò.
-Certo. E io voglio dartelo. Ma prima, mi serve che tu ricordi bene cos’è Marduk.-.
-Una pedina… sacrificabile.-, sussurrò Ferelea. La mano compì un lungo giro. Andò a stimolare un punto che causò un urletto di piacere all’informatrice. Un gridolino che non riuscì a sopprimere. Qualcuna delle sue guardie avrebbe sicuramente sentito…
La martellata di un primo orgasmo le riverberò dentro come un gong di Chin.
-Esatto.-, sibilò la figura, -Quindi vedi di non permettere mai più ai tuoi sentimentalismi del cazzo di renderti debole. Questo è un gioco pericoloso, Ferelea. Ben più dei soliti. O vinciamo tutto o perdiamo tutto quel che possiamo perdere.-. Tolse il dito da dentro la donna.
-Lo so… ora…-, l’informatrice aprì le gambe, come a invitare nuovamente il piacere.
-Ora devo andare.-, disse la figura alzandosi. Si portò il dito lordo di smegma alla bocca. Succhiò. Solo quella vista fece fremere Ferelela.
-Dove…?-, iniziò. Poi capì.
-Lo sai.-, rispose la figura. Si chinò sfiorando ancora le labbra dell’informatrice con le proprie.
Poi scivolò nell’ombra.

Dionisus. Un locale che attirava giovani e meno giovani. Uno dei tanti.
Un locale che cercava di apparire moderno, ma che appariva dozzinale a dispetto di ogni sforzo. Semplicemente un ritrovo per gente che voleva ballare, ubriacarsi e magari drogarsi in relativa pace e col beneplacito dell’autorità. Marduk aveva già visto posti così.
L’ingresso era abbastanza sobrio, con tanto di buttafuori. Bastò presentarsi lì per entrare.
L’anticamera mischiava luci violette e tinte fosche al rumore della musica poco più in là. C’erano statue di uomini e donne in pose adamitiche classiche, sculture dappoco, ma fatte per dare l’idea di classicismo che tanto garbava ai nostalgici dell’Impero.
Ma l’interno era esattamente come prometteva di essere a giudicare dal nome: un baccanale.
La musica pareva poter disgregare i neuroni. Diversi ballavano, molti bevevano, tutti parevano intenti in qualche affare tutt’altro che legale.
Marduk, là dentro, si sentiva esposto e odiosamente debole. La folla sulla pista poteva nascondere un coltello, una pistola, una marea di minacce appena percettibili contro cui poteva non esserci difesa alcuna.
Le sue precauzioni però furono immotivate: dalla folla emerse un uomo, tratti asiatici.
-Marduk, giusto?-, chiese con pesante accento straniero. Lui annuì.
-Seguimi.-, ordinò l’altro voltandosi. La folla lo fece passare, con una disciplina che aveva dell’incredibile. Pur non smettendo di dimenarsi al suono della musica, i ballerini (o qualunque imitazione sciatta e disarmonica degli stessi) fece passare l’uomo e Marduk.
Arrivarono alla porta di uno degli spazi privati.
-Ti aspetta dentro.-, commentò l’uomo. Marduk entrò.
All’interno c’erano due uomini. Davano le spalle alla porta, i visi coperti e le tenute in nero.
Thugii, o come erano chiamati nei servizi e nel sottobosco criminale di Chin e di tutto l’oriente, Uomini-Scure. Esecutori. Guardie. Tutto questo e anche altro.
Non mossero un muscolo, ma lui sapeva bene che avrebbero potuto ucciderlo anche a mani nude. Gli grattò la gola. S’impedì di tossire. E vide la figura seduta sul divanetto.
Accanto a quella, un’altra figura. Una donna, dal viso pesto. L’emissaria…
Lo fissò con sguardo neutro, con appena una punta di odio frammisto a rispetto.
-Marduk Atbash. Benvenuto.-, disse una voce. L’uomo sul divano. Un uomo dal viso proporzionato, il cranio glabro, occhi neri, tunica color celeste con risvolti bianchi.
Un uomo che suo malgrado lui conosceva bene.
-Chien Lie.-, disse Marduk con un cenno del capo, -Ancora in piedi, vedo.-.
L’uomo accese una pipa, inalando una prima boccata. Non offrì. Marduk distinse l’odore.
Oppio. Lo fissò, aspettando che parlasse.
-Hai la tendenza a incappare in questioni più grandi di te, Marduk.-, disse l’uomo, la parlata resa lenta dall’oppio. Una donna entrò, splendida visione in vesti orientali variopinte. S’inchinò. Prese la pipa e la svuotò del suo contenuto. S’inchinò e uscì.
Era davvero un bel pezzo di donna, Marduk si concesse di riconoscerlo.
-Ji Xie è così servizievole…-, commentò l’uomo, -Discreta, educata… Non come te, Marduk.-.
-Oh, ti ho rotto le uova nel paniere?-, chiese lui, stanco, -Forse ci sei tu dietro alla fuga della dottoressa Ahn.-. L’asiatico sorrise appena, un sorriso che però non mascherava interamente il fastidio. La sua facciata era ancora presente, ma si era incrinata.
-Non hai idea di quanti ci siano dietro. Lo sai già che la tregua tra Chin e la Confederatio è al lumicino. Sia da una che dall’altra parte vogliono la guerra. Vogliono il sangue.-, disse Chien.
-E tu cosa vuoi?-, chiese Marduk. Prese un bicchiere d’acqua dal vassoio che Ji Xie gli stava porgendo, imponendosi di non guardarle il seno appena coperto dalla veste.
Impresa oltremodo ardua. Ma riuscì. Chien sorrise.
-Quello che vogliono tutti, Marduk. Un vantaggio.-, disse, -Ahn rappresenta quel vantaggio. Pensi che sia la sola a star fuggendo? Non lo è. Qualcuno, qualcosa, ha scosso l’equilibrio.-.
-Tra Licanes e Chin?-, chiese l’uomo, -O in Ahn e gli altri?-.
-Acuto. Come sempre. Sei un dannato testardo, Marduk, e un avversario di ottima leva. Hai saputo pestare duro. Lie Nu non è una dilettante, ma ho voluto andarci piano quando ho saputo che sei rientrato nel giro. Peccato che tu ci sia rientrato nel momento sbagliato, con l’incarico più sbagliato di tutti.-, replicò l’asiatico.
-Non mi dire. E adesso che farai? La classica offerta che non posso rifiutare? Come a Zhoughanzuou?-, chiese Marduk. Ricordava bene quella città, e la sua unità. Chien aveva negoziato. Ritirata senza venire inseguiti. La sola possibilità per lui e altri dieci di uscire vivi da una morsa che sennò li avrebbe stritolati, anche se ognuno di loro si sarebbe portato dietro dieci nemici. La ritirata aveva segnato la fine della spedizione licanea contro il nemico. E l’inizio della fine del conflitto. Né Chin né la Confederatio avevano avuto forza per continuare.
-Precisamente, Marduk.-, annuì l’asiatico senza emozioni, -Un offerta che non ti consiglio di rifiutare. I dettagli non sono interamente chiari neppure a me, ma so quanto basta da capire che in questa faccenda sono coinvolte più parti, tutte interessate alla ragazza e ai suoi. E tutti determinate a infrangere ogni regola se serve ad arrivare a lei. Tu sei un pesce rosso nella vasca degli squali. Esci da questa storia, Marduk. Escine ora. Prenditi ottomila Calus per il disturbo, Ji Xie come diversivo stasera per festeggiare la tua ritorvata sanità mentale e tornatene alla tua vita prima che sia tardi.-.
Marduk fissò Chien. Lesse diverse cose su quel viso. Nessuna piacevole.
Persino la musica parve svanire dalla percezione. Ottomila Calus e una notte da re.
In cambio, doveva solo voltare le spalle. Doveva solo accettare di andarsene.
Doveva chiamare Ferelea e Licius e dir loro che non ci stava più. Semplice.
-No.-, disse.
Chien sospirò. Un sospiro che parve divenire abissale, oceanico. Con dentro tutta l’immane stanchezza del mondo.
-Capisco. Non approvo. Ma capisco.-, disse. L’emissaria, Lie Nu si mosse appena. Un irrigidimento del braccio, insieme a un accenno di movimento. Chien scosse il capo.
-Ti è concesso uscire vivo da qui, Atbash. Ma nient’altro. E non sperare in un secondo accordo. La tua decisione l’hai presa. Ti posso solo garantire che avrai a che pentirtene.-, disse. Marduk fissò l’altro. Erano passati anni, ma il ricordo di quella città in fiamme nella parte occidentale di Chin e i morti di quel giorno parevano avvilupparli ancora come un incubo senza tempo. Senza requie.
-E sia.-, annuì l’uomo, -Ma lascia che te lo dica, Chien. Eri un gran bastardo durante la guerra e lo sei rimasto. Non so cosa tu speri di ottenere da tutto questo, ma sappi che non avrai sconti.-.
-Lo immagino. Ora vattene. Non sei più gradito qui.-, sibilò l’asiatico.
Marduk uscì, sentendosi guardato da almento tre persone. Tra quelle c’era sicuramente Lie Nu. Poco ma sicuro, l’avrebbe affrontata di nuovo. Meglio essere pronti.

“Riassumendo: Chien e i suoi, quindi non solo i Chin ma anche una branca potenzialmente criminale dei loro servizi, qualcuno dell’elitè della Confederatio e ora forse anche gli africani…”, pensò mentre sedeva su uno sgabello di un bar.
Aveva bisogno di una breve pausa, e di prepararsi ad andare da Seradius. Aveva deciso di farlo all’alba, ma ciò significava poco sonno.
Era corso a casa e aveva recuperato la pistola e un giubbotto protettivo.
Anzi, nessuno. Non intendeva correre rischi: Minah Ahn sarebbe potuta andarsene in qualunque momento. Doveva arrivare a lei per primo.
Il bicchiere di liquor che stava assaporando era puro veleno e lo sapeva. Il medico gliel’aveva detto di evitare gli alcoolici.
Ma in qul momento, gli pareva una rivendicazione. Marduk si era crogiolato nel dolore e nel rimpianto di tempi più lieti per troppo a lungo. Finalmente era riuscito a uscirne.
Per quel solo miracolo, avrebbe continuato. E questo era qualcosa che Chien non capiva.

Giulia, come si ostinava a farsi chiamare, si svegliò nel cuore della notte.
C’era qualcosa che non andava. Qualcosa di non chiaro. Un presentimento opprimente.
Pessime sensazioni. Spiriti malvagi, avrebbero detto i suoi avi, cattivi presagi.
Ecco che le superstizioni della sua terra d’origine ricomparivano…
Eppure, forse era per un buon motivo. Da quando aveva iniziato a fuggire, aveva imparato a dar retta alle sue sensazioni. E fin lì, le era andata bene.
Si alzò dal giaciglio. Raccattare le sue cose, muoversi a uscire, lasciare Seradius ed eclissarsi.
Era già rimasta in quel posto troppo a lungo.
Prese la borsa. Seradius non c’era. Un bene: non avrebbe voluto dover spiegare perché se ne andava. Di fatto non voleva parlarci. Anche per il suo bene…
Aprì la porta e scivolò verso la strada. Poi lo sentì. Un respiro. Veniva da un angolo buio della sala. La luce si accese. Di colpo.
Agli occhi di Giulia si palesò Seradius, il viso inespressivo.
-Vai da qualche parte, bellezza?-, chiese seduto su una poltrona sfatta. Sarebbe potuto essere totalmente colloquiale. Ma la pistola che impugnava raccontava ben altra storia.
-Seradius…-, iniziò lei. Lui sorrise, con un ghigno tutt’altro che piacevole a vedersi.
-Vedi, all’inizio pensavo di aver avuto un colpo di fortuna: quale donna si offre di spompinarti per una notte o due da te? Una tossica, dipendente dal Nettare, o da qualche altra roba. Ma non sei una tossica, né una ninfetta. No, tu sei una che scappa, mi sono detto. Da cosa? Un marito geloso? Un matrimonio fallito? Da cosa scappavi con tanta paura da decidere di abbordarmi senza neanche considerare tutti gli altri in quel postaccio?-, chiese l’uomo.
Le cose si stavano mettendo male. -Ascolta…-, iniziò lei, le mani avanti a sé in un gesto difensivo che le sembrò stupido e controproducente.
-Altri che peraltro erano pure più belli di quanto lo fossi stato io. Ma tu no, hai scelto me. E non ti avevo mai vista prima. Inoltre, c’è anche il fatto che a succhiarlo non sei chissà quale cima. Quindi non sei una moglie annoiata che molla il marito impotente. Non hai fatto domande, né hai roba con te. E questo vuol dire che sei disperatamente bisognosa di non farti scoprire. Magari per qualcos’altro. Qualche reato.-, continuò Seradius. Giulia sentì il palato secco. Panico. Assoluto. Non stava andando male, peggio.
-Seradius, io…-, lui la interruppe di nuovo, incurante.
-Non so chi sei, né dove tu voglia andare. Ma sono sicuro che i Prefectii pagheranno una bella cifra se ti porto da loro.-, disse, -Ma, ragionandoci bene, mi sono reso conto che, se i Prefectii pagheranno bene per te, chiunque ti stia cercando pagherà anche di più.-.
Seradius non sapeva molte cose. Lei scosse il capo, dispeata, sull’orlo delle lacrime.
-Ti prego, non lo fare… non hai idea…-, sussurrò, supplice.
-No. Non ce l’ho.-, ammise serafico lui, -Ma è anche vero che possiamo accordarci. Cosa offri?-, chiese. Lei esitò. Poi le mani corsero alla veste.
“Prima la mia mente, ora qualcuno si prenderà anche il mio corpo.”, pensò mentre se la sfilava. Lasciandola cadere a terra, si sentì così esposta da voler piangere.
Seradius osservava, apparentemente compiaciuto. Minah Ahn non era cambiata molto nel corpo. L’uomo sorrise alla vista dei seni piccoli. Si leccò le labbra.
La giovane si forzò a muoversi. Le mutandine erano tutto ciò che le rimaneva a salvaguardare la sua dignità. Dignità che perdeva di minuto in minuto.
-Che aspetti?! Fammela vedere!-, esclamò lui, impaziente. Si era estratto il sesso dalla veste masturbandosi piano. In attesa.
Minah esitò ancora un istante. Poi lo sentì. Fu come un tuono.
Qualcuno che bussava alla porta.
-Chi cazzo è?!-, imprecò sonoramente Seradius alzandosi e ricomponendosi.
Lei esitò. Incerta sul da farsi. Lui imprecò, infilando la pistola nei calzoni.
Si girò, per muoversi verso la porta. Ahn decise.
Si gettò sull’uomo.

Rumori di lotta. Un verso animalesco e poi un grido di dolore. Di una donna.
Marduk non attese. Si abbatté contro la porta, impugnando la pistola. Entrò appena la porta cedette. Non ci volle molto. Lo stabile dove viveva Seradius non era né particolarmente nuovo né troppo sicuro. Perfetto per non dare nell’occhio.
Lanciandosi verso i rumori, attraversò la cucina, trovandosi davanti la scena in sala.
Due figure che lottavano per una pistola. Infine, l’inevitabile accadde. Prima che lui potesse fare alcunché o dire alcunché. Partì un colpo, che riusonò come un tuono.
L’uomo s’irrigidì e la donna sotto di lui, vestita solo di mutandine e scarpe, si alzò. Impugnando la pistola. Fu il puro riflesso a portare Marduk a mirare a lei mentre lei lo puntava.
-Tu sei Minah Ahn.-, disse lui.
-Non sono nessuno!-, sibilò lei, -E ora vattene.-. Lottava per mantenere una voce calma.
In una situazione del genere, avrebbe potuto fare follie. Marduk la fissò.
-Ci siamo già visti. Nel vicolo, ricordi?-, chiese. Lei parve esitare.
-Io… Sì… Tu…-, alzò la pistola correggendo la presa, -Come hai saputo che ero qui?-.
-Non sei stata discreta quanto avresti voluto. E so di non essere l’unico a cercarti.-, rispose lui, pacato, -Ma a differenza degli altri, tutti gli altri, io non voglio le tue conoscenze.-.
-Cazzate! È proprio quel che direbbero!-, sbottò lei. Il peso dell’arma si faceva sentire.
-Lo so. Senti, non abbiamo molto tempo! Qualcuno si renderà conto di quel che è successo e se anche i Prefectii non stanno arrivando, sicuro lo faranno gli altri. Quelli che ti vogliono per quel che sai.-, replicò Marduk.
-Mi serve tempo… Io… chi mi garantisce che non sei dei loro?-, chiese.
-Nessuno, lo so. Se non questo.-, usando solo tre dita, Marduk posò la pistola sul linoleum.
-Io… merda.-, sussurrò Minah Ahn. Tutta la sua mente iper razionale stava collassando sotto il peso della tensione. Poi sputò quella che pareva un imprecazione in qualche patois asiatico.
Fuori, un mezzo si fermò all’esterno.
-Merda! Ti hanno trovata! Allora?!-, incalzò Marduk.

Minah Ahn non poteva più esitare e lo sapeva. Soppesò le alternative. Se quell’uomo era un agente, sicuramente aveva preferito un approccio molto diverso da quello di chi le dava la caccia. E viceversa, se fosse stato uno di loro, non sarebbe certo venuto da solo.
No: doveva esserci dell’altro. Doveva capirlo e per farlo, doveva fidarsi.
-D’accordo. Ci vediamo a Ruamaillia, tra tre giorni. Sarò al Banatleus. Chiedi di Seravia.-, disse infine. Non era la miglior soluzione e l’avrebbe obbligata ad accettare altri compromessi, un ulteriore dilazione per poter continuare ad agire, a fuggire.
Eppure, era l’unica. L’alternativa era la morte e lei non voleva morire. Non ancora.
Non se prima non fosse stata in grado di annientare ciò che aveva creato.
-Ruamaillia. Banatleus. Seravia. D’accordo.-, annuì lui. Riprese la pistola. Lei s’infilò il vestito alleggerendo il morto Seradius di diversi Calus.
-Sono sulle scale!-, esclamò sentendo i passi. L’uomo annuì.
-Te li terrò a bada. Tu scappa. Dalla finestra della camera da letto dovresti atterrare nel cassonetto. Da lì, puoi fuggire.-, disse. Lei lo guardò. Come poteva star veramente offrendosi di sacrificare la sua vita per lei? Forse, un agente al soldo di qualche nazione o della Confederatio non l’avrebbe fatto.
Non ebbe tempo di chiederlo.

Passi, almeno tre uomini, forse di più. Uomini addestrati. Marduk si posizionò contro l’angolo della sala, occhio sull’ingresso. Sparò appena il primo fu in vista. Due colpi al petto.
L’uomo andò giù. Niente antiproiettile. Uno di meno.
-Merda! C’è qualcuno armato!-, ringhiò una donna. Voce… Voce familiare? Forse.
-Accecante!-, a quelle parole, qualcosa fu lanciato nella sala. Con la coda dell’occhio, Marduk vide Ahn entrare nella camera e scavalcare la finestra, buttandosi di sotto.
Poi il bagliore bianco fu devastante. Marduk sentì le orecchie fendersi, fischiare.
Lottò per mantenere la presa sull’arma. Barcollò, usando il tatto per non esporsi al fuoco.
Riconquistata una parvenza di campo visivo sparò. Due colpi. L’uomo che era entrato si beccò i due proiettili al petto. La donna sparò in risposta. Schegge d’intonaco volarono. Pareti furono traforate. Pistole e armi da irruzione. Roba seria.
Marduk decise: la voleva viva. Sparò due colpi. Anche la donna sparò.

Correva. Aveva una pistola in mano. La gente non doveva vederla! Un ubriacone le fischiò dietro. Lei ignorò. Doveva andarsene, allontanarsi quanto più possibile.
Si guardava attorno freneticamente. Fu con dita tremanti che riuscì a sfilare dei calus dalle tasche e consegnarli a un ufficiale per prendere un trasporto pubblico. A quell’ora era quasi sicuro che nessuno l’avrebbe intercettata. La pistola era nascosta nella veste, in modo dilettantesco. Patetico. Semplicemente patetico.
S’impose di tenere duro.

La donna era a terra. Due palle nel ginocchio. Marduk sospirò. Si toccò il fianco. Sangue.
Allontanò con un calcio la pistola della donna mentre quella lo copriva d’insulti attraverso il passamontagna nero.
-Poco creativa. Ma vediamo se ricordo…-, disse. Le tolse il passamontagna.
Nessuna sorpresa: la prefecta steroidata che l’aveva scansionato.
-Ma guarda. Che piacere…-, sibilò, acido, -Straordinari pagati? Extracurricolari.-, chiese.
-Non ti dico un cazzo, Marduk.-, sibilò lei mentre lui le stringeva un laccio emostatico improvvisato sopra la gamba dopo aver fatto a pezzi l’abito di Seradius.
-No, lo so. Sicuramente non lavori per Licius. Forse per qualche altro pezzo grosso. Magari licanei, magari no. Ma al punto a cui siamo, non ha poi tutta questa importanza.-, annuì lui.
Silenzio, poi lei ghignò.
-Omicidio di due Prefectii e ferimento di una terza. Non ti basteranno tutte le preghiere al tuo dio per uscirne…-, sorrise. Lui la fissò.
-Certo. Come se i tuoi capi volessero esporre quest’operazione in questo modo. Penso proprio di no, sai?-. Sorrise a sua volta vedendola incupirsi.
-Credo che andrà molto diversamente. Credo che ti farai recuperare. Ti metteranno una bella protesi sostituitva della rotula e ti daranno qualche soldo e una pacca su quel culo ipertrofico che ti ritrovi, per sancire la fine del tuo deludente rapporto con loro, visto che oltre a far fuggire la tua preda, sei pure riuscita a perdere la tua squadra.-, disse, -Una prestazione pessima, da vera incompetente di primo grado.-.
-Vaffanculo, Marduk!-, ringhiò lei con rabbia, -Ti ammazzerò. Forse non oggi, ma lo farò!-.
-Altra pessima idea.-, annuì lui alzando la pistola, -Minacciare quello con l’arma in pugno.-.
-Non hai le palle per farlo.-, sputò lei.
-Grave errore.-, corresse lui, -Non ho bisogno di farlo. Lo faranno i tuoi. O magari gli altri sulle tracce di Ahn. Non c’è bisogno che mi scomodi oltre.-.
Pressò sulla sua ferita un impacco alla meglio. Tempo di andarsene e fare il punto.
Scavalcò la prefecta che ancora sbraitava e uscì.
Doveva chiamare Ferelea. Riferire. E soprattutto, capire la situazione.

Leonia Tavisa Urma. Quello era il nome della Prefecta. E continuava a ripeterselo.
Quanto tempo era passato? Dieci minuti? Quindici? Il segnale di soccorso l’aveva inviato.
Stavano venendo a prenderla. Doveva solo resistere, poi avrebbe personalmente dato la caccia a quel cane idrofobo di Marduk Atbash.
Aveva dei contatti e aveva i soldi per pagarli. Lo avrebbe ucciso, sicuro.
Solo il pensiero di piantargli una palla in corpo la faceva sorridere.
Poi percepì qualcosa. Una presenza. Occhi che la osservavano.
-Ehi! Chi sei? Sono ferita, non lo vedi, idiota? Vieni ad aiutarmi, cazzo!-, sbottò.
Si girò verso l’ingresso. C’era una figura in vesti scure.
-Marduk.-, disse la figura. Impossibile dire se fosse uomo o donna.
Prima non c’era e ora era apparsa, come vomitata dalle tenebre stesse.
Leonia si accorse di aver paura.
-Sono un Prefectus! Chiama aiuto! C’è un fuggitivo, quel Marduk, sì! Verrai pagato bene se mi aiuti ad assicurarlo alla giustizia!-, esclamò. Poteva essere quella la missione di salvataggio? No. Ma allora erano concorrenti, nemici. Magari…
-Ha ucciso gli altri due e… Penso che stia cercando… vabbé, lo sai! Non mi sorprenderebbe se l’avessimo mancata di poco…-, continuò a ruota libera.
Doveva offrire qualcosa. Non tutto. Poteva cavarsela, girare il tavolo, ribaltare la situazione.
Doveva solo persuadere quell’essere della sua utilità. La figura si chinò.
-Ti ha tenuta in vita. Non eri un pericolo, né una risorsa.-, annuì come parlando tra sé e sé.
-Sì… ma lui… io ho accesso agli archivi del Prefectorium. Posso trovarlo! Possiamo prenderlo!-, esclamò lei, -Aiutami…-.
-Un vero peccato che io sappia che tu non sei qui come Prefectus, Leonia.-, sussurrò la figura.
Il brivido gelido investì Leonia Tavisa come una folata invernale.
-Tu sei agli ordini di qualcuno. Marduk ha saggiamente preferito evitare di perdere tempo con te. Non gli interessa sapere chi altro vuole Minah Ahn. Ma a me interessa molto.-, continuò.
-Posso… posso parlare! Darti dei nomi!-, esclamò Leonia.
-Certo, ma poi saresti una scheggia impazzita, un proiettile vagante. Faresti danni, molti, senza neppure rendertene conto, magari. Senza curartene. E lui ha capito anche questo.-.
La figura estrasse qualcosa dalla cintura. Una lama. Venti centimetri di acciaio.
Foggia sconosciuta a Leonia. Strumento da incubi, presagio di dolori.
-Non… non serve… Io ti dirò tutto…-, sussurrò. Sentì qualcosa cedere. La viscica. Si stava pisciando addosso. Era terrorizzata e sapeva anche il perché.
Perché tutte le sue suppliche non le avrebbero evitato quel supplizio. La figura ridacchiò.
-Dirai tutto in ogni caso. Ma vedi, io ricordo. Ricordo un certo arresto finito male, un giovane ucciso da un’agente troppo zelante. Tu ricordi?-, chiese.
Sì. Ovvio che sì. Leonia ricordava. E capiva.
-Mi dispiace…-, mormorò appena. Una supplica, l’ultima.
Al dio sbagliato. La figura la fissò. Poi si massaggiò appena all’altezza dell’inguine.
-Non sei eccitata? Io lo sono, se ti può interessare.-, disse. Leonia tremava tanto da non riuscire a parlare quasi, paralizzata dall’orribile consapevolezza di essere a pochi minuti dalla fine. Ma per come le sarebbe stata inflitta, la morte le sarebbe apparsa lunga e terribile.

-Pronto…-, mormorò Ferelea assonnata e svegliata dalla suoneria del comunicatore.
-Ho incrociato la ragazza. Ho una pista. Mi serve un apotecario, e presto. E manda qualcuno all’indirizzo che ti sto mandando, c’è una Prefecta corrotta che va medicata e ricollocata.-, disse Marduk. Chiuse la chiamata pochi istanti dopo.
Il sonno svanì l’istante successivo mentre l’informatrice procedeva a organizzare tutto.
Il piano proseguiva come previsto, anzi, anche meglio.
Ora però bisognava stare attenti. Ed essere molto cauti.
Perché Marduk presto avrebbe visto cose, saputo cose che avrebbero cambiato notevolmente la sua percezione di quel lavoro. Non era certa che sarebbe rimasto lucido.

L’Apotecario aveva lavorato bene ricucendolo alla grande. L’indomani, Marduk non aveva neppure dolore. Ferelea lo aspettava la mattina, insieme a Licius.
Un incontro tutt’altro che piacevole. Saltarono alla grande i convenevoli.
-Deduco che ci siano progressi.-, disse il rappresentante.
-Questo sei tu a dirlo.-, disse cauto l’agente. Ferelea fissò Marduk, con vaga disapprovazione.
-Ieri mi hai detto che hai incrociato il bersaglio.-, disse.
-Sì. Ma non sono certo che intenda fidarsi di me.-, ammise l’uomo.
-Comprensibile. Ecco perché allerterò l’altra squadra e…-, iniziò Licius.
-No.-, obiettò Marduk. L’altro lo fissò, decisamente scontento.
-Non credo di aver chiesto la tua opinione, agente.-, disse.
-Non credo di aver richiesto assistenza.-, replicò lui. Licius si riposizionò di qualche grado, lo sguardo duro che frugava negli occhi di Marduk senza però trovarvi breccia alcuna.
-Non sei tu a comandare. Sei sotto contratto e rispetterai i tuoi obblighi, sono stato chiaro?-.
Marduk si mosse appena, un movimento che evocava un passato oscuro.
Ferelea fece per parlare, ma lui la tacitò con uno sguardo.
-Non ci siamo capiti, Licius. Io ho le info, io so dove riapparirà tra breve Minah Ahn. Se la vuoi, dovrai fare a modo mio.-, disse.
Licius lo fissò, con rabbia. Ferelea richiamò l’attenzione.
-Attualmente in realtà concordo con Marduk. Se possiamo far sì che lei si consegni senza resistere, propongo di farlo. Anche perché meno gente sa, meno sono le probabilità di un tradimento.-, commentò. Il rappresentativo annuì, di palese malavoglia.
-Hai la certezza che tra tre giorni quella donna sarà in mano nostra?-, chiese questi.
Marduk scosse il capo.
-Ho una pista. Che è più di quanto abbiano molti altri. Ma non è questo il problema maggiore. Ci sono almeno tre fazioni alla ricerca di Minah Ahn. E almeno un altro individuo, capace di organizzare una squadra. Una squadra di Prefectii-, disse.
-Sì, abbiamo trovato i corpi.-, annuì Ferelea.
-La bionda steroidata vi è stata utile?-, chiese Marduk. L’espressione dell’informatrice non era lieta, per nulla. Anche Licius parve improvvisamente cupo.
-La bionda era morta. Non è stato né rapido né piacevole. Non si sa chi sia stato né perché. Deduco che non sia stata opera tua.-, rivelò lei.
Gelo. Marduk lo avvertì quasi subito. Un senso di profondo gelo dentro.
Qualcun altro stava muovendosi nell’ombra, con scopi suoi. E questo qualcuno era sicuramente molto più letale, molto più efficiente di tanti agenti schierati.
“Merda.”, pensò. Decise.
-D’accordo. Nuovo piano. Io mi recherò da quella donna, Saida Pulchra Rea. Voglio sapere chi è e che ruolo ha in questa storia. Ferelea, procurami dei documenti di viaggio. Identità di copertura e tutto il resto. E mi serve anche un regolare porto d’armi a nome della nuova identità. Mi serve tutto entro domattina.-, disse.
-Che cos’hai in mente?-, chiese Licius, sospettoso.
-Chiunque sia stato a uccidere quella donna, deve avere delle fonti. Fonti qui, in questo gruppo. Non posso permettermi di dirti altro, Licius. Dovrai farti andar bene la cosa. Mi hai assunto per trovare quella donna e la troverò, ma per garantire il buon esito della missione, ho bisogno di assicurarmi che questo posto non sia compromesso. Per farlo, dovremo modificare le comunicazioni.-, spiegò Marduk.
-Non credo che la falla sia qui. Nessuno ha ascoltato a parte noi tre.-, disse Ferelea.
-Forse. Ma anche se la falla fosse uno di noi, voglio avere la sicurezza che non possa far danni. Sarò io a contattarvi. Singolarmente.-, chiarì l’agente.
-Non è una decisione che spetta a te, agente.-, sibilò Licius.
-Credo proprio che mi spetti, invece. E la prendo ora. Non ho altro da aggiungere.-, replicò Marduk mentre usciva.

-Il tuo agente è un indisciplinato bastardo!-, esclamò Licius.
Ferelea non parlò. Sul momento, sapeva che qualunque cosa avrebbe potuto dire non avrebbe in alcun modo migliorato le cose. Casmoai l’opposto.
-È semplicemente inconcepibile che quell’uomo possa fare questo!-, esclamò ancora il rappresentante, tutt’altro che domo.
-Va messo in riga, Ferelea. Va messo al suo posto! Devi fargli capire che questo non è un fottuto gioco, e che a comandare siamo noi, nello specifico colui che io rappresento, perché è da lui che Marduk riceve i soldi!-, ringhiò Licius.
-Calmati, Licius. Ti si sta gonfiando una vena. Pessima politica coronaria.-, suggerì l’informatrice senza neppure alzare la voce.
-Non provare a dirmi cosa devo fare!-, esclamò lui.
-Altrimenti?-, chiese una voce. E all’improvviso, Licius parve congelarsi, immobilizzarsi.
La figura era emersa dalle ombre di un angolo del locale. Impossibile dire quanto avesse visto, o sentito. Impossibile anche solo averla lontanamente percepita.
-Continua, Licius. Mi parevi giunto a un punto fondamentale del tuo monologo.-, insistette la figura, -O magari era solo l’ennesimo sfoggio di onnipotenza? In tal caso, suggerirei che tu riveda le tue posizioni. Adesso, prima che siano altri a obbligarti a farlo.-.
-È una minaccia?-, chiese Licius.
-Precisamente. Tu sei un rappresentante. Non il migliore né il peggiore, e sicuramente non l’individuo con maggior potere in questa faccenda. Non fare l’errore di sopravvalutare le tue capacità o la tua importanza. Sarebbe un errore fatale. Forse l’ultimo che farai.-, la voce della figura non cambiava, ma le parole che aveva usato…
Ferelea provò improvvisamente il fortissimo sospetto che Licius non avrebbe lasciato vivo il magazzino. Più che un sospetto, l’idea parve prendere corpo.
-Chi sei?-, sussurrò Licius. Forse, per la prima vera volta, Ferelea lo sentiva spaventato.
Non c’era più l’ombra della sua arroganza nelle sue parole. Solo la consapevolezza di essere davanti a qualcuno che apparteneva a una categoria totalmente aliena a quelle che lui era solito opprimere o su cui spadroneggiare.
-Chi io sia non importa. Il mio messaggio importa.-, replicò la figura. Si avvicinô, dando appena una spinta a Licius che barcollò cadendo a sedere sul divano.
-Inizio messaggio: lascia che Marduk faccia il suo lavoro. Fine messaggio.-, sibilò.
-Io… ho bisogno di garanzie. Il mio cliente le chiede!-, riuscì a dire l’uomo. Tremava.
A suo credito, Ferelea riconobbbe che aveva il coraggio di parlare senza balbettare troppo.
-Il tuo cliente si accontenterà di quel che ha. Oppure diventerà un problema. Mio. E io non amo i problemi. Ma amo le soluzioni efficienti e rapide.-, nel tono della figura ora c’era LA minaccia. E Licius intuì che tacere forse stavolta sarebbe stata una buona opzione.
Ferelea si alzò. Contrariamente all’uomo era quasi a suo agio. Quasi.
-Credo che possa bastare, no? Sono certa che Licius ha capito la lezione.-, disse.
-Sì. Sì…-, sussurrò lui, -Io… lo lascerò fare…-, mormorò.
-Precisamente. Se bisognerà intervenire, lo dirò io.-, disse la figura.
-Ferelea… chi è quest’uomo?-, chiese Licius, terreo in viso.
-Qualcuno capace di camminare con le ombre.-, sussurrò l’informatrice. Si avvicinò alla figura, con calma, con reverenziale timore. Con la consapevolezza che niente, assolutamente niente, in quel momento, le garantiva una qualsiasi sicurezza. Ed era questo sopratttutto a eccitarla in modo incredibile. Sorrise. La figura scosse il capo.
-Non c’è altro da dire.-, disse. Le luci nel locale tremolarono. Fu appena un istante di buio. Pochi secondi. Quando la luce si riaccese, la figura era svanita.
Ferelea annuì. Licius emise un gemito appena udibile. Paura. Una paura comprensibile.
L’informatrice si accorse di provare altro, un senso di eccitazione sottile.

Chien Lie sospirò.
Il suo piano non aveva funzionato. Marduk si era rivelato molto più capace del previsto.
-Lascia andare me, mio signore.-, supplicò Lie Nu, prostrata. Insisteva ormai da un po’.
-Ancora no. La tua rabbia ti priva della lucidità.-, sentenziò lui, deciso, -Marduk è un nemico capace, l’hai visto tu stessa. Affrontarlo nelle tue condizioni è un invito alla disfatta!-.
Lie Nu tacque. Il capo aveva parlato. Chinò la testa e uscì.
Chien espirò. La nottata non era stata latrice di buone nuove, anzi, aveva piuttosto rivelato una sorpresa tutt’altro che piacevole: la ragazza era ancora in fuga. Era l’unica del suo gruppo che fosse anche solo lontanamente rintracciabile. Gli altri erano scomparsi.
A peggiorare le cose, era stato un messaggio, univoco e perentorio. Una comunicazione dell’arrivo del Celeste. Chien Lie aveva avvertito il cuore saltare un battito quando aveva letto il messaggio criptato in triplice codice.
Il Celeste era uno dei principali direttori dei servizi di Chin, rispondeva direttamente al Consiglio Imperiale di Chin e aveva mantenuto la sua posizione nonostante l’uragano politico scatenatosi dopo la guerra con la Confederatio e durante le purghe successive.
Lo chiamavano anche con altri nomi, ma “Il Celeste” era il suo titolo ufficiale.
Era uno di quegli uomini a cui era difficile dare un’età. Sicuramente tra i quaranta e i cinquanta, ma la verità era che poteva essere anche più vecchio. Il viso glabro era solcato da poche rughe. Probabilmente anche grazie a qualche trattamento anti-età.
In ogni caso, Chien Lie sapeva benissimo di essergli inferiore. Totalmente.
-Nobile signore.-, si prostrò quando il Celeste entrò. Certo, dall’aspetto il nuovo venuto non pareva granché. Era magro, poco muscoloso, e sicuramente molto meno avvezzo alle attività in prima linea di quanto lo fosse Chien, ma, a differenza di quest’ultimo, aveva il potere.
Non aveva con sé una scorta: non ne necessitava e lo sapeva.
-Ho udito notizie poco rassicuranti, Chien Lie.-, disse l’uomo.
-Sono certo che siano state fortemente esagerate dai miei detrattori. La ragazza è stata individuata. Siamo sulle sue tracce. Solo non siamo i soli.-, disse Chien. Sapeva bene che dire la verità era la sola strategia possibile. Il Celeste era oltremodo ben informato.
-Questo lo so già. Ma sembra che una tua agente abbia avuto la peggio. Perché è ancora viva?-, chiese, diretto. Fu come un pugno diretto nello stomaco.
-Lie Nu ha dovuto solo consegnare un semplice messaggio. Una delle parti in lotta è un agente straniero, un diavolo occidentale di nome Marduk Atbash.-, spiegò Lie.
-Capisco. Un uomo che tu già conoscevi?-, chiese il Celeste.
-Ho tentato di levarcelo di torno, ma non sembra corruttibile.-, disse Chien.
-Molto interessante. A che io sappia, son pochi gli uomini in grado di rifiutare offerte generose. Mi chiedo se quest’uomo non cerchi altro, oltre alla ricchezza. Forse persino oltre alla prosperità della sua Confederazione. In realtà, posso supporre che abbia i suoi motivi per rifiutare. Un nemico del genere è irriducibile, indomito. Sarà un vero peccato, ma dovrai assicurarti che muoia. E la ragazza dovrà essere assicurata alla nostra custodia quanto prima. Il Consiglio Imperiale teme che questo esperimento avrà conseguenze impreviste. Assicurarci di avere contromisure appropriate è vitale per il futuro del regno di Chin, e per la sua posizione tra le potenze mondiali.-, decretò il Celeste. Chien annuì, incapace di dire alcunché.
In altre parole, la sua missione era appena stata dichiarata come totalmente prioritaria.
A questo punto non avrebbe avuto scuse. Si guardò attorno.
-Nobile signore, certamente, comprenderete che le forze a mia disposizione sono poche e limitate.-, disse. Il Celeste alzò una mano, tacitando ogni obiezione.
-Il Consiglio ha deliberato che ti verranno fornite forze aggiuntive. Avrai accesso a uomini e risorse, ma quella ragazza deve tornare a Bejing con noi. È imperativo.-.
Chien aveva annuito. Lo scambio si era protratto per quasi un’altra ora durante la quale il Celeste l’aveva istruito su tutta una serie di protocolli e informazioni rilevanti.
Dopo quell’incontro, avvenuto in mattinata, Chien Lie fu lunatico e di pessimo umore. Mise sotto i suoi informatori, ma la ragazza aveva agito bene, le sue tracce si perdevano alla cittadina di Fuligio Urbique
Ovviamente Chien decise: vi avrebbe mandato parte dei suoi. Non tutti: Marduk Atbash restava un ottima pista per trovare quella giovane, ma gli altri avrebbero comunque indagato.
In tal modo, avrebbe coperto tutti i fronti.
Dopo un pranzo leggero, decise di concedersi un massaggio rilassante.
Ji Xie non era solo una servizievole cameriera o una cortigiana. Aveva la capacità di farlo rilassare totalmente. Ovviamente, il tutto avrebbe incluso un finale degno del nome.
Solo a pensarci, Chien sentiva l’erezione montare. Sorrise.
La giovane asiatica si presentò in una veste avvolgente che pareva dipinta addosso a lei.
Lie si spogliò. Le mani di Xie incominciarono a compiere la magia. Sciolsero tensioni, nodi.
L’eccitazione di Chien aumentò mentre le mani della giovane manipolavano gruppi muscolari delle gambe e della schiena, lentamente, con perizia.
Sorrise. Poi la sentì smettere di toccare, per un breve istante.
-Non hai finito…-, disse di malumore improvviso. Quel Nirvana interrotto lo innervosiva alquanto. Di solito, Xie non si fermava a metà dell’opera.
-Riprenderà presto.-, la voce non era né da uomo né da donna. E le mani che sentiva sul collo erano indubbiamente più forti e meno delicate di quelle di Ji Xie.
-Guardie!-, esclamò. Non udì passi, o suoni d’allarme.
-Non possono rispondere. Al momento, quantomeno. Ma per quando torneranno operative, tu sarai morto. A meno che tu non faccia esattamente come dico.-, replicò la voce.
-Chi sei?-, chiese Chien, -Come sei entrato…?-. Era spaventato al pensiero che lì, dove virtualmente avrebbe dovuto essere al sicuro, qualcuno era stato in grado di violare il suo più intimo santuario cogliendolo in un momento di capitale debolezza.
-Le domande le faccio io. Cosa ti ha detto il Celeste?-, chiese l’intruso. O intrusa.
Impossibile definirne il sesso. Chien si sforzò di riflettere.
-Nulla di importante… Chiedeva informazioni sulla ragazza!-, esclamò.
Le meni si mossero. Tutt’altro che delicate. Chien s’inarcò dal dolore quando premettero un punto sensibile. Ansimò, la pelle coperta da un sudore improvviso.
-Tang-wou. Un punto vitale. Ne conosco abbastanza da farti pentire di essere nato, se menti un’altra volta.-, la voce riposizionò le mani lungo il collo.
-Mi ucciderai…-, sussurrò Chien. Lo capiva. Con sua sorpresa, la risata spezzò il silenzio.
-No, Chien Lie. Non ti ucciderò. Per ora. A patto che tu ti riveli utile. Ricominciamo: cosa ti ha detto il Celeste?-.

-Saida Pulchra Rea?-, chiese Marduk.
-Sono io. Desideri compagnia?-, chiese lei.
-Potrei. Oggi alle 14.00?-, chiese lui.
-Ho un impegno. Va bene per le 18?-, rilanciò lei. La voce evocava piaceri sconosciuti, il piacevole calore del sole africano. E i mille pericoli del deserto.
-Vada per le 18.-, disse Marduk. Chiuse la chiamata dopo che lei gli diede l’indirizzo.
Doveva ingannare il tempo. Per farlo mise in atto una serie di manovre di controsorveglianza, atte a svelare eventuali pedinatori.
C’erano troppi giocatori in quella partita. Gli africani erano un ennesimo interrogativo e un pericolo, capaci e subdoli quanto gli altri. Era tempo di livellare il campo da gioco.
Il palmare emise un trillio. Ferelea chiamava. Voleva notizie.
-Marduk, dove ti trovi?-, chiese.
-In giro. Notizie?-, chiese lui.
-Solo una: qualcuno parla di una sparatoria. Prefectii e bande in zona Recundus Ablinus.-, spiegò lei, -Il fatto è che nessuna banda ingaggia i Prefectii a cuor leggero.-.
-A meno di non venir pagata benone. Sei stata chiara. Mi guarderò le spalle.-, disse lui.
Chiuse la chiamata, infilandosi in un bar. Aveva tempo, fino alle 18.00.

Chien Lie soffriva. Aveva rivelato tutto. O quasi.
Il dolore che quell’essere gli aveva inflitto si sommava all’umiliazione. L’avrebbe pagata.
Ma non subito. Doveva prima convincere l’intruso della sua utilità. E forse, dopo quasi due ore di tortura, ce l’aveva fatta. Sentì le mani sollevarsi dal suo collo. Piano. Si girò, più per istinto che altro. Si trovò davanti una figura in cappa color nero. Non vedeva il volto.
-Justicarii?-, chiese. La figura ridacchiò.
-Non scomodare un mito del genere. Non serve.-, disse. Impugnava qualcosa. Una pistola.
Una pistola silenziata, alto calibro, minimo rumore. Perfetta per azioni furtive. Come quella.
-Ji Xie sta bene?-, chiese.
-Starà bene. Se tu farai il bravo, nessuno di voi si farà male.-, rispose la voce.
Lui annuì. Fissò quell’essere inidentificabile, cercando qualcosa con cui riconoscerlo, con cui restringere il campo. Niente.
-Tu… Tu me la pagherai. Non so chi sei, né per chi lavori, ma me la pagherai.-, sibilò.
-Cauto, Chien Lie. Molto cauto con le minacce.-, la figura sfilò qualcosa dalla tasca e lo lanciò a terra, -Non le prendo bene.-.
Il fumo esplose in una nube grigiastra. Lie tossì. Si agitò nella coltre soffocante. Uscì a tentoni dalla stanza. Tossì e rantolò come un asmatico in preda all’attacco terminale.
-Signore! Che succede?-, chiese uno degli uomini-scure, disorientato, precipitandosi verso di lui. Lie si accorse di essere nudo. La guardia allertò le altre.
-Trovatelo! Trovate quel bastardo!-, ringhiò il loro capo.
-Signore?-, chiese. Chien scosse il capo. Lucido: doveva restare lucido. E pensare.
-Raddoppia le ronde. Fai perquisire tutto l’edificio e contatta Bejing. Abbiamo bisogno di una linea sicura. E ne abbiamo bisogno ora.-, disse.
Doveva rivalutare i suoi piani. Al Celeste forse non sarebbe piaciuto, ma fortunatamente aveva già un paio di idee. Non era arrivato sin lì per caso.
Avrebbe fottuto anche quel bastardo. Sarebbe arrivato in cima, veramente in cima.
Quell’incontro a tu per tu con l’ignoto lo aveva convinto di questo, oltre ogni dubbio.

Il Celeste si aspettava quella chiamata. Non si aspettava quel che gli fu detto, ma sorrise.
“Chien Lie, razza di stupido vanesio. Quando imparerai che la sicurezza è eternamente mutevole e che nessuna garanzia è mai sufficiente?”, si chiese.
-Cambieremo i canali di comunicazione. Ti verranno comunicati al tempo dovuto.-, si limitò a dire. Chiuse la chiamata, ignorando gli ossequiosi ringraziamenti e le promesse di efficienza da parte del sottoposto.
Il tavolo da gioco stava venendo livellato. Presto i giocatori casuali avrebbero compreso di dover lasciare la partita o sarebbero stati annientati.
Era solo questione di adattarsi al nuovo livello, di seguire il flusso, ma il Celeste aveva vissuto in quegli ambienti abbastanza a lungo da sapere che non tutti ce l’avrebbero fatta.

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