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Racconti Erotici Etero

Pulizia delle scale (Beatriz)

By 6 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Beatriz, dopo aver passato la scopa, cominciò a pulire i gradini, uno ad uno, con lo spazzolone e lo straccio.
Faceva quel lavoro tre volte a settimana, in quel condominio.
Era piccolina di statura, ed aveva un bel viso tondo, con gli occhi scuri un po’ a mandorla, contornato da capelli neri e lisci uguali a quelli di tutte le sue connazionali.
Aveva adottato, da poco, un taglio di capelli diverso da quello solito, che portavano tutte, e si sentiva molto più carina così.
Spesso sull’autobus gli uomini la guardavano e questo le faceva piacere.
Certo sapeva di non avere un corpo bellissimo, le donne italiane erano più alte e slanciate, mentre lei era un po’ tozza, con le gambe corte ed un po’ troppo robuste, ma tutto sommato si piaceva così.
Ultimamente si era un po’ ingrassata ed aveva messo su pancia. La maglietta troppo corta lasciava intravedere un rotoletto di ciccia evidenziato dalla minigonna che le andava un po’ tirata.
Le era cresciuto anche il sedere, ma questo non le dispiaceva affatto, anzi, le piaceva il suo posteriore un po’ prominente.
Il seno invece non le era cresciuto, avrebbe voluto indirizzare almeno una parte dei chili in più che aveva preso ultimamente, ma non era stato possibile, ed era rimasta con le sue solite tette, piccole, larghe ed un po’ piatte.
Sotto la minigonna portava una calzamaglia nera molto aderente. Le sue gambe anche se un po’ grosse, erano comunque ben modellate, le piacevano i suoi polpacci robusti, che facevano sembrare le caviglie più fini di quello che erano realmente.
Delle volte pensava che, a trentacinque anni, non era più una ragazzina ed avrebbe fatto meglio a vestirsi in maniera diversa, ma lo sguardo prolungato di molti uomini, quando la incrociavano per strada le faceva piacere.
Certo le scarpe sportive bianche, di plastica, comprate alla bancarella, non era il massimo dell’eleganza, ma lei doveva lavorare tutto il giorno a pulire scale ed androni di palazzi, non poteva certo mettersi i tacchi alti.
Delle volte pensava pure al suo strano nome, retaggio di un’antica dominazione spagnola ormai dimenticata da tutti.
Squillò il suo cellulare.
Aveva lasciato la sua borsetta in cima alla scala, sul pianerottolo.
Risalì i gradini bagnati, appena lavati per rispondere al telefono.
Inciampò proprio sull’ultimo.
La gomma liscia delle scarpe, sul marmo bagnato, la fece scivolare per un paio di gradini, poi si trovò fra le gambe il bastone dello spazzolone e ruzzolò malamente.
Si ritrovò stordita e dolorante alla fine della rampa.
Un forte dolore alla caviglia sinistra e qualcosa di caldo che le colava sulla guancia destra.
Aveva una profonda ferita al sopracciglio, che sanguinava copiosamente.
Aveva fatto sicuramente parecchio rumore, cadendo, ma a quell’ora, di mattina, il palazzo era deserto, probabilmente nessuno l’avrebbe soccorsa.
Provò ad alzarsi ma la caviglia le faceva troppo male.
Sentì una porta aprirsi al piano di sotto.
‘Ti sei fatta male?’.
Era un signore alto, che lei aveva appena intravisto qualche volta.
Non riusciva neanche a parlare, il dolore alla caviglia stava aumentando.
Lui la raggiunse rapidamente, salendo i gradini a due a due.
Lei stava a terra in una posizione scomposta, con una gamba stesa e l’altra piegata e, nella caduta, la gonna le era risalita scoprendole completamente le gambe.
L’uomo la guardò per un attimo in mezzo alle cosce, dove si intravedeva, in trasparenza, lo slip bianco, sotto la calzamaglia, poi distolse lo sguardo.
Chissà se l’aveva trovata carina o aveva visto in lei la solita Filippina tozza e poco attraente.
Scacciò dalla mente questo stupido pensiero.
‘Vuoi provare ad alzarti?’.
Lei fece cenno di sì con la testa e lui la prese da dietro mettendogli le mani sotto le ascelle.
Cercò una presa migliore e spostò le dita più avanti. Sentì che le toccava appena i suoi piccoli seni, ma sicuramente non lo stava facendo apposta, con malizia, voleva solo aiutarla.
Riuscì e metterla in piedi, ma non era in grado di poggiare a terra il piede. La caviglia appariva già molto gonfia, si vedeva anche attraverso la calzamaglia.
Fu complicato scendere le scale. I primi gradini li dovette fare saltellando sul piede buono, appoggiata all’uomo da una parte e dall’altra al mancorrente della scala.
Mancava ancora una rampa.
A questo punto lui, senza dirle niente, la prese in braccio e la portò giù.
La rimise a terra, delicatamente, davanti alla sua porta di casa.
‘Bisogna assolutamente medicare quella ferita’, disse indicandole il viso.
Entrarono in casa.
Per fortuna il soggiorno era proprio all’inizio dell’appartamento e riuscì ad arrivare a sedersi su un divano.
Il sangue le era colato lungo la guancia, scendendo poi per il collo e macchiandole la maglietta.
La lasciò sola pochi attimi e tornò con tutto il necessario per la medicazione.
Le scansò i capelli e la ripulì per bene dal sangue, disinfettò la ferita e ci mise un cerotto, cercando di mantenerne chiusi i lembi.
‘Vado di là a prendere qualcosa per la caviglia ma deve levare le calze, nel frattempo’.
Era in casa di uno sconosciuto. Era prudente tutto questo? Forse sarebbe stato scortese rifiutare di farsi guardare la caviglia. Sembrava una persona gentile e disponibile, sicuramente non c’era nessun pericolo.
E poi ora la ferita al sopracciglio le faceva molto meno male, forse avrebbe sistemato anche la caviglia.
Dopo essersi sfilata le scarpe, faticò parecchio a togliere la calzamaglia e quando lui tornò, era riuscita a farla passare solo fino a sotto le ginocchia. Anche se cercava di essere discreto, lei si era accorta che lui la stava guardando con interesse ed una certa insistenza.
Senza la calzamaglia nera le sue cosce ora le sembravano ancora più tozze. Sicuramente anche lui pensava una cosa simile.
Ci pensò lui a finire di sfilare la calzamaglia, prima la gamba sana e poi, con molta attenzione, l’altra.
Cercò di allargarla e di arrotolarla con cautela, in prossimità della zona gonfia.
Lei ebbe l’impressione che, alla fine, indugiasse più del necessario per sfilare l’ultima parte, sul piede.
Forse si sbagliava: i suoi piedi, piccoli e tozzi, non avevano niente di bello e non c’era motivo per toccarli più del necessario.
Beh, tutto sommato, se pure fosse ‘ non le dispiaceva affatto.
La caviglia era veramente ridotta male: rossa e gonfia, era più o meno il doppio dell’altra.
Prese un tubetto di pomata e ne spremette un bel po’ sopra, poi cominciò a spalmarla con piccoli movimenti, cercando di non farle troppo male.
‘Da fastidio?’.
‘Solo un poco, grazie’.
Il movimento si allargava e la pomata si spandeva prendendo tutta la zona interessata dal gonfiore. Poi iniziò a salire verso il polpaccio.
Avrebbe dovuto dirgli che lì non si era fatta male, ma Beatriz non disse nulla, trovava la cosa piacevole e rilassante, e non solo quello.
Si rilassò e socchiuse gli occhi.
Ora la stava carezzando, inequivocabilmente, entrambe le gambe. Non potevano esserci più dubbi, la caviglia gonfia non c’entrava più nulla. Avrebbe dovuto protestare, pretendere che smettesse, ma non lo fece, anzi, si accorse che non aveva proprio alcuna intenzione di farlo.
Non disse nulla neanche quando le infilò le mani sotto la gonna e cominciò a sfilarle le mutandine, anzi, si sollevò leggermente per aiutarlo a farle passare oltre il sedere.
Quando a lui rimase tra le mani quell’indumento bianco, triste, senza un merletto o un qualsiasi ricamino che lo rendesse più grazioso, provò un po’ di vergogna. Avrebbe dovuto indossare qualcosa che potesse far passare in secondo piano il suo didietro, sicuramente un po’ troppo voluminoso.
Ma l’uomo non sembrava deluso, anzi sorrideva, e così Beatriz si tirò su la gonna, allargò un po’ le gambe e si rilassò del tutto.
Prima di cominciare lui mise un asciugamano sul divano, per non sporcarlo, e le fasciò strettamente la caviglia, con una benda elastica.
Lo fecero due volte di seguito.
Beatriz non era sposata e viveva con altre donne della sua stessa nazionalità. Tra il lavoro che le prendeva quasi tutto il tempo disponibile e la difficoltà di contatti con altre persone che aveva da quando era in Italia, non aveva certo una vita sessuale molto attiva.
In genere, la sera, prima di addormentarsi, stanchissima, si masturbava nel letto.
Era stata poche volte con degli uomini e, tutto sommato, non aveva provato tutto quel piacere che si sarebbe aspettata.
Questa volta fu diverso e raggiunse facilmente un orgasmo che non provò minimamente a nascondere a quell’uomo che neanche conosceva.
Lo fecero una seconda volta e le sembrò di impazzire quando, dopo essere venuti entrambi, lui si chinò, la aprì leggermente la vagina e cominciò a stuzzicarle con la lingua il clitoride gonfio e duro.
Insomma, per Beatriz fu un’esperienza bellissima, ma una volta finito, le tornò il dolore alla caviglia insieme alla vergogna per aver fatto una cosa che non si sarebbe mai sognata di fare.
Lui le offrì un bicchiere di succo di frutta.
Rimasero per qualche minuto in silenzio, a guardarsi, poi lei si rivestì ed andò via zoppicando.
Tornò a pulire le scale dopo una settimana, il lunedì successivo.
Aveva ancora la caviglia fasciata e zoppicava un po’.
Quella mattina, aveva indossato un paio di mutandine nere con il pizzo ed aveva messo anche un collant al posto della pesante calzamaglia. Si era guardata a lungo nello specchio, prima di decidersi ad uscire. Non era poi così male.
Aveva anche messo delle scarpe rosse, con il tacco un po’ alto, che la slanciavano.
Certo, si era chiesta perché. Magari, inconsciamente, sperava che si sarebbe ripetuto quello che era accaduto il giorno della caduta.
Sapeva che era un’assurdità. Quell’uomo giovane e bello, sicuramente poteva aspirare a qualcuna molto meglio di lei. C’era stato solo un momento di follia, che non si sarebbe più ripetuto.
Purtroppo.
Stava pulendo quel pianerottolo ed era di spalle, proprio in prossimità di quella porta, quando questa si aprì improvvisamente.
La prese da dietro, per la vita e la tirò dentro casa, con decisione, ma senza violenza.
La porta si richiuse.
Le alzò le braccia e glie le appoggiò alla porta, poi le sollevò completamente la gonna.
Beatriz rimase impietrita, mentre lui continuò abbassandole insieme collant e mutandine.
Era senza fiato, sapeva cosa stava per succedere, non l’aveva mai fatto ed aveva una certa paura.
Le fece divaricare le gambe poi le allargò le natiche.
Quando entrò dentro provò dolore, gridò pure, ma tutto sommato, non era così male.
Una volta infilato completamente il suo pene, l’uomo cominciò a muoversi e Beatriz si accorse che le stava piacendo.
Avrebbe voluto toccarsi per provare maggior godimento, ma le sue braccia erano impegnate a tenersi appoggiata alla porta.
Quando lui ebbe finito non dissero niente nessuno dei due, Beatriz si girò e si appoggiò alla porta, infilò una mano nel collant e si masturbò per qualche minuto, poi si rivestì ed uscì.
Quella sera si confidò con una amica che abitava con lei.
‘Inculata’, disse. In Italiano si diceva così, ma doveva stare attenta a dirla, perché era una parola volgare e spesso veniva usata per indicare una grossa fregatura.
Beatriz ribatté con non le era sembrata affatto una fregatura, anzi, le era piaciuto molto e avrebbe voluto ancora inculata.
Due giorni dopo fu lei a suonare il campanello.
Si era truccata, aveva messo delle calze autoreggenti e, per la prima volta in vita sua, aveva lasciato a casa le mutandine.
Era perfettamente consapevole di quello che voleva.
Lui aprì la porta e la fece entrare.
Beatriz si diresse direttamente verso il divano del soggiorno, poggiò la pancia sul bracciolo imbottito, allargò le gambe e si piegò a novanta gradi.
‘ancora ‘ per favore’, disse nel suo italiano stentato, mentre, per togliere ogni dubbio, si sollevava la gonna, mostrando il grande sedere nudo.
Lui scoppiò a ridere e l’accontentò subito.
Questa volta, per Beatriz, andò molto meglio, perché, avendo le mani libere poteva anche toccarsi.
Era contenta, evidentemente lui apprezzava il suo sedere, non lo trovava troppo grosso, e gli piacevano pure le sue piccole tette, perché ora, da dietro, le teneva saldamente nelle mani, come se fossero due maniglie, mentre ‘ come si diceva? Sì, la inculava.
Lo fecero due volte di seguito, poi lui la fece girare.
Quando il suo pene entrò nella sua vagina già abbondantemente sollecitata dalle sue mani, le sembrò di impazzire..
Alla fine, senza parlare, lei si rivestì ed andò via.
Erano passate un paio di settimane e, ormai, si vedevano tutte le mattine in cui lei lavorava lì, tre volte a settimana.
Aveva imparato ad uscire di casa un’ora prima, perché comunque le scale le avrebbe dovute pulire, dopo naturalmente.
Pensò che valeva la pena perdere un’ora di sonno la mattina, e poi ora si addormentava molto più facilmente la sera, senza neanche doversi masturbare.
Era passato quasi un anno da quella caduta per le scale, e la sua vita, in apparenza, scorreva uguale a prima.
C’era, però, qualche piccola differenza: tre volte a settimana, prima di iniziare a lavorare, faceva visita al ‘signore delle scale’, così lo chiamava lei.
Quelle mattine si vestiva in maniera diversa dal solito, minigonna, autoreggenti un po’ vistose e, naturalmente, niente mutandine.
Beatriz aveva avuto un’educazione profondamente cattolica e la sua mamma non le avrebbe mai permesso di uscire con abiti succinti, meno che mai senza mutande.
Questa trasgressione, unita a quello che avrebbe fatto, la eccitava profondamente e, quando, finalmente, dopo il lungo tragitto sui mezzi pubblici, suonava il campanello, si sentiva il cuore in gola ed era già abbondantemente bagnata.
Stava anche cercando di curare maggiormente il suo corpo, infatti mangiava meno e con più attenzione e, soprattutto, si era iscritta ad una palestra.
La sua amica le aveva detto che era matta, perché, dopo aver sfacchinato tutto il giorno a pulire le case della gente, era assurdo sprecare energie per faticare e, oltretutto, pagare pure per farlo.
Lei insisteva ed i risultati si erano visti. Certo, non avrebbe mai avuto un fisico da modella, ma la pancia era completamente sparita, il sedere si era fatto più sodo ed anche le sue gambe avevano un aspetto migliore.
Il ‘signore delle scale’ era molto gentile con lei e spesso le regalava dei vestiti o delle trousse di trucco.
Ultimamente le aveva comprato anche dei reggiseni imbottiti molto carini, e così era riuscita a bilanciare le sue tette troppo piccole con il resto del corpo.
I loro incontri erano molto particolari, perché parlavano poco, e questo tranquillizzava Beatriz, che era restia a fare sfoggio del suo Italiano rudimentale e stentato.
In compenso scopavano furiosamente. In quell’ora scarsa che passavano insieme, lui la penetrava con gran foga, avanti e dietro, e qualche volta, per finire, lei aveva imparato a prenderglielo pure in bocca.
All’inizio le faceva un po’ schifo, poi, piano piano si era abituata, comunque, a lui piaceva tantissimo, lo sentiva impazzire quando, dopo averglielo lavorato per bene, su e giù, ora succhiandolo, ora stringendolo per bene con le labbra, cominciava a stuzzicargli la punta con la lingua, finché l’uomo non gli riempiva la bocca con il suo sperma.
Quella mattina era andata particolarmente bene e, dopo aver pulito le scale, aveva preso la metro per andare in una casa dove lavorava una volta a settimana.
In ascensore si guardò nello specchio.
Aveva un bel musetto, che mostrava tutta la sua soddisfazione.
Sistemò la giacca che ricopriva la camicetta attillata. Il reggiseno imbottito faceva un bel lavoro, migliorando la forma delle sue tette.
Sotto, nonostante fosse passata un’ora e mezza, si sentiva ancora in subbuglio: la vagina, ancora leggermente aperta, nonostante il tempo trascorso e l’aria fresca che le circolava in mezzo alle gambe, sembrava gridare ‘ancora, ancora, ancora’.
Dietro poi, era letteralmente in fiamme, aveva l’impressione di sentirlo ancora dentro, mentre andava avanti ed indietro spingendo sempre più a fondo.
Aveva le chiavi di casa, perché la signora era al lavoro, quindi, quando la porta si aprì, già al primo scatto, rimase sorpresa.
‘signora? E’ in casa?’
Sentì, dalla camera da letto, una voce maschile:
‘No, mia moglie è in ufficio. Io sono a letto con l’influenza.’
Il marito lo aveva intravisto solo un paio di volte, era un uomo sulla cinquantina, decisamente alto, ma, sinceramente non riusciva a ricordarne il viso.
Si affacciò un po’ timorosa alla porta della stanza.
‘Signore, scusa se ti ho disturbato. Qui pulisco dopo.’
‘Beatrice, mi pare che ti chiami così, vero? Non ti preoccupare per me, non mi dai fastidio, puoi pulire tranquillamente.’
Beatriz tornò dopo un minuto con uno straccio ed uno spray per i mobili in legno.
Si era tolta la giacca.
Aveva quasi finito di spolverare, quando lo straccio le cadde dietro ad un mobile basso.
Era proprio in mezzo e, infilando il braccio di lato era impossibile recuperarlo, così si chinò sopra il mobile piegandosi con le braccia fino a terra.
L’ohhhh di meraviglia dell’uomo, le ricordò che sotto la minigonna non indossava nulla.
Si rialzò e si voltò di scatto.
‘signore, scusa …’
‘… e di che cosa, Beatrice?’
‘Beatriz.’ Lo corresse.
‘va bene, Beatriz ‘ non ti devi mica scusare, sei una gran bella ragazza, ma questo lo sai già, ti si vede da quegli occhioni un po’ furbetti.’
Era rimasta lì, paralizzata, con lo straccio in mano, mentre sentiva crescere, tra le gambe, una vampata di calore.
Quando lui disse ‘vieni qui’, lei si mosse ed andò a sedersi sul letto.
Ora poteva vederlo meglio, anche se abbastanza più anziano dell’altro ‘signore’, era un bell’uomo.
Il calore fra le gambe aumentava e quando lui le infilò una mano sotto la gonna, Beatriz, istintivamente allargò le cosce ed emise una specie di sospiro con la bocca semi aperta.
Arrivò subito a toccarla e le sue dita cominciarono a carezzarle le labbra, che si stavano aprendo rapidamente.
Tempo un paio di minuti ed era sdraiata sul letto, a gambe aperte, con l’uomo che la stuzzicava con la lingua, in profondità, sempre più in profondità.
Le fece mettere un cuscino sotto la schiena e poi le entrò dentro, mentre le sbottonava la camicetta e le faceva salire il reggiseno liberando così le sue tette.
Un pensiero preoccupato passò per la mente della donna: ora che aveva scoperto il trucco dell’imbottitura, davanti ai suoi seni così bruttini, che sarebbe successo?
Da come li stava toccando, non dovevano sembrargli poi così disprezzabili.
Si rilassò del tutto quando lui cominciò a leccargli i capezzoli. Allora Beatriz lo strinse forte per farlo entrare ancora più profondamente dentro di lei.
Lo sentiva crescere dentro. Cominciò a gridare, mentre lui aumentava il movimento.
Quando sentì il calore dello sperma che si spandeva dentro di lei, raggiunse finalmente l’orgasmo.
L’aveva letteralmente allagata e dovette andare a ripulirsi in bagno.
Quando tornò, lui la fece mettere a quattro zampe, le infilò le mani sotto la gonna e cominciò a carezzarle le chiappe.
‘che bel sederotto che hai, Beatrice, lo sai che succederà ora, vero?’
Beatriz lo sapeva benissimo, non aspettava altro, così spinse indietro le natiche, con un movimento inequivocabile, e lui ci infilò dentro un paio di dita, per saggiarne l’apertura.
‘oh, oh, ma è già pronto, non mi sembra il caso di aspettare ancora, vero?’
Era d’accordo anche lei e con le mani tirò vero fuori, in maniera decisa, per divaricare meglio le natiche, mettendo in mostra il suo orifizio ansioso di essere penetrato.
Era più grande di quello del ‘signore delle scale’ e, all’inizio incontrarono qualche difficoltà, ma quando lui riuscì ad infilarlo bene, presero subito un bel ritmo.
Beatriz aveva, proprio di fronte a lei, il grande specchio del comò.
Era la prima volta che riusciva a vedersi in faccia mentre scopava.
Le piaceva il suo viso, con le ciocche di capelli scuri che le danzavano sulla fronte e davanti agli occhi, a tempo con il movimento dei loro corpi.
Aveva gli occhi lucidi, le guance rosse e la bocca leggermente aperta, in una smorfia di gioia inequivocabile.
Sul più bello lui le afferrò nuovamente le tette con le mani, stringendole forte.
Rimasero un po’ sul letto, l’uno a fianco all’altra, stanchi ma visibilmente soddisfatti, poi lei si ricordò che doveva ancora iniziare a fare le pulizie nella casa.
Quando andò via, era terribilmente in ritardo. Già sapeva che avrebbe finito tardi di lavorare, quel giorno, ma non glie ne importava nulla.
In compenso aveva in tasca, su un bigliettino, il numero del cellulare del ‘nuovo signore’, con cui si era già accordata per un nuovo incontro, tra due giorni, nel primo pomeriggio.
Beatriz aveva dovuto riorganizzare i suoi lavori in funzione delle nuove esigenze.
Lunedì, mercoledì e venerdì, aveva spostato i servizi che venivano dopo la pulizia delle scale, così aveva tempo sufficiente per il ‘primo signore’, senza alzarsi all’alba.
Lui passava molte ore dentro casa, perché la sua abitazione fungeva anche da ufficio.
Faceva un lavoro strano, si chiamava ‘montaggio’, almeno aveva capito così. In una stanza aveva due computer con degli schermi molto grandi, con cui metteva insieme pezzi di filmati, in genere pubblicitari, a cui poi aggiungeva titoli e musiche. In una delle poche volte in cui avevano parlato più a lungo, le aveva spiegato che, tutto ciò che vedeva alla tv o al cinema, era realizzato con tanti piccoli pezzi, che poi, appunto, venivano montati insieme.
Il ‘secondo signore’ faceva un lavoro completamente diverso: commercialista.
All’inizio lei aveva pensato che vendesse qualcosa, invece lui aveva a che fare solo con montagne di carte e fatture, di gente che comprava e vendeva le cose più disparate.
Aveva il suo ufficio in un appartamento a dieci minuti di strada da casa e, dopo qualche incontro con Beatriz, le aveva proposto di venire a pulire l’ufficio un paio di volte a settimana.
Lei aveva scelto il martedì ed il giovedì. Arrivava puntuale all’ora di pranzo, mangiavano qualcosa, poi lui apriva il divano che stava in anticamera.
Alle quindici e trenta arrivava una signora che l’aiutava nel lavoro, ma trovava sempre tutto a posto: lui seduto alla scrivania e lei intenta a passare l’aspirapolvere sul pavimento, e non avrebbe mai potuto sospettare quello che era accaduto un’ora prima.
Così Beatriz si era sistemata la settimana e, a parte il sabato e la domenica, usciva ormai regolarmente senza mutandine.
La domenica la dedicava alla messa, alla pulizia della sua casa e a qualche sporadico incontro con qualche amica, sempre filippina.
Il sabato aveva un unico lavoro. Si trattava di una casa grande e lussuosa, dall’altro capo della città, abitata da una signora bionda, ricca ed un po’ scostante, che viveva sola con il figlio adolescente, dopo il divorzio dal marito.
Non le piaceva molto andare lì, però la pagava bene e non faceva mai questioni su come aveva pulito.
Come al solito, anche quella volta aprì con le chiavi. Non fece particolare caso al fatto che la porta fosse chiusa solo con lo scatto: erano persone un po’ distratte e capitava spesso che dimenticassero di chiudere.
Quando aprì la porta della stanza del ragazzo rimase quindi sorpresa di trovarlo lì.
Avrà avuto sedici anni, alto, magro con gli occhiali ed il naso grande con un po’ di brufoli.
Era seduto sul letto con una rivista davanti, quando la porta si aprì, si alzò di colpo e, in maniera convulsa ed un po’ goffa, cercò di chiudere e nascondere il giornale.
Fu proprio questa mossa che attrasse l’attenzione di Beatriz, che non poté non notare la foto enorme di una donna nuda, bionda, con due grandi tette e le cosce completamente aperte.
‘oddio! ‘ Bea …’ In casa, le poche volte che avevano occasione di parlare con lei, la chiamavano, così, con questo diminutivo.
‘… per favore ‘ non dire niente a mamma’
La donna non sembrava affatto adirata con lui e continuava a guardarlo sorridendo.
Dopo diversi secondi il ragazzo si accorse che lei stava guardando nella sua direzione, ma abbastanza in basso.
Solo allora si rese conto che aveva i pantaloni aperti, lo slip abbassato ed il pene di fuori, in completa erezione.
‘oh merda! Scusa, scusa’
Avrebbe voluto rimetterlo dentro e richiudersi i pantaloni ma, in quelle condizioni, non era assolutamente possibile.
La filippina, stranamente continuava a sorridere. Aveva un bel viso, prima d’ora non l’aveva mai osservata con attenzione.
Lei, senza dire nulla, fece un passo avanti e glie lo prese tra le mani, cominciando a massaggiarlo, poi lo spinse a sedere sul letto.
Il ragazzo era rimasto senza fiato, osservava le tozze dita della donna che maneggiavano il suo ‘coso’, regalandogli sensazioni per lui nuove e piacevolissime.
Lo vedeva crescere, ergersi prepotentemente, fino ad uscire parzialmente dal ‘baccello’ che lo conteneva.
Naturalmente anche lei osservava l’evolversi della situazione e, quando gli sembrò abbastanza pronto, si sfilò rapidamente le mutandine e salì a cavalcioni del ragazzo.
Aveva sempre pensato che una persona di quell’età dovesse averlo piccolo, ma quando le labbra della sua vagina si schiusero al suo passaggio, pensò che quel corpo magro ed acerbo era decisamente ben equipaggiato.
Il ragazzo le infilò le mani sotto la gonna prendendola forte per le chiappe e la strinse a sé, per penetrarla fino in fondo.
Aveva tutta la goffaggine dell’inesperienza unita alla carica emotiva di chi prova, per la prima volta un’avventura nuova ed esaltante.
Tornando a casa, pensò che era stata una cosa completamente diversa da quello che provava con i due signori, ma, in ogni caso, le era piaciuto molto.
Quando la sera, a cena, ne parlò con la sua amica, successe un finimondo.
L’amica aveva diversi anni più di Beatriz, era venuta in Italia giovanissima, aveva sempre fatto l’infermiera in ospedale e si considerava una specie di sorella maggiore in grado di consigliarla sempre per il meglio. Non si stancava mai di ripeterle che doveva sforzarsi di parlare Italiano, perché se non imparava bene la lingua, sarebbe rimasta per tutta la vita a pulire i pavimenti.
Faceva presto lei a dire. In un ospedale si sta tutto il giorno a contatto con la gente. Beatriz non poteva certo esercitarsi parlando con l’aspirapolvere o la scopa, visto che passava quasi tutto il suo tempo a pulire case vuote.
Così avevano preso l’abitudine, lei e l’infermiera, di parlare tra di loro in Italiano.
‘cosa?! Ma sei impazzita? Già ti fai scopare da due uomini diversi cinque giorni a settimana, non credi che possa bastare?
Ma ti rendi conto che puoi cacciarti in un mucchio di guai, che rischi di finire addirittura in prigione? Beatriz, è minorenne, capisci?’
‘no, no, guarda che ce l’ha bello grande …’
L’amica non poté fare a meno di scoppiare in una risata.
‘Ma sei proprio una bestia, possibile che non capisci mai nulla?
Minorenne non vuol dire che ha l’uccello piccolo, vuol dire che non ha ancora diciotto anni, è come se lo facessi con un bambino’
‘no, no, non è affatto un bambino, anzi …’
‘ma allora non vuoi proprio capire? Se la madre scopre la faccenda e ti denuncia, finisci dritta in prigione’.
Beatriz era cocciuta: le era piaciuto e non ci vedeva niente di male, pensò che era molto meglio così che masturbarsi da soli, come era stata costretta lei, a fare per anni.
Il sabato successivo, quindi, uscì di casa senza mutandine, decisa, se ce ne fosse stata l’opportunità, a ripetere l’esperienza della settimana precedente.
Mentre l’ascensore saliva, si sistemò i capelli, doveva apparire il più carina possibile agli occhi del suo nuovo giovanissimo partner.
Quando la porta di casa si aprì solo con lo scatto fu contenta, quasi sicuramente il ragazzo era lì ad aspettarla.
Si diresse subito verso la sua stanza. Era già molto eccitata: per tutto il tragitto in autobus aveva pensato a come sarebbe stato il loro secondo incontro.
Aprì la porta e lo trovò in piedi, completamente vestito in mezzo alla stanza.
‘ciao’
‘buongiorno Bea’
Aveva l’aria imbarazzata e guardava di lato, come se non avesse il coraggio di fissarla negli occhi.
Si accorse che non erano soli, in fondo alla stanza, seduta sulla sedia della scrivania, c’era la madre, la signora.
Fu come se qualcuno avesse preso la sua vagina, ora calda e bagnata, e l’avesse strizzata duramente, spegnendo di colpo tutto il desiderio, che si era accumulato durante il tragitto da casa sua fino a lì.
‘Beatriz’
Per la prima volta, da quando lavorava lì, l’aveva chiamata con il suo nome per esteso, ed il tono della voce non prometteva nulla di buono.
‘sono anni che lavori in questa casa e non ho mai avuto motivi per lagnarmi di te. Mi dispiacerebbe doverti licenziare.
Non capisco proprio cosa mio figlio ci possa trovare in una filippina con il culo grosso e le gambe corte.’
Nelle sue parole si avvertiva tutto il disprezzo che provava nei confronti di una persona che considerava inferiore.
‘naturalmente, poi, non mi interessa minimamente sapere perché una donna della tua età si debba far montare da un ragazzino.
Io ti dico solo una cosa, che, se succede qualche guaio, ti faccio pentire di essere venuta in Italia.
Tieni presente che io non ti ho detto nulla e non so nulla di questa faccenda.
Tu vieni in questa casa per pulire, bada di continuare a farlo bene, poi, quello che fai con lui, in questa stanza, è affar tuo.
Un’ultima cosa, al ragazzo mettigli uno di questi, tutte le volte, proprio per evitare guai.
Sono sicura che sei molto pratica di queste faccende e che potresti farlo ad occhi chiusi.’
Le mise in mano una confezione di preservativi ed uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Il ragazzo era sul punto di scoppiare a piangere.
‘Bea ‘ Bea ‘ scusa.
Mi dispiace.
Mamma ha scoperto tutto, non volevo.
E poi non è vero che hai il culo grosso e le gambe corte.
Sei carina, sei molto carina.
Sei una bella ragazza e mi piaci molto sai?
Ho buttato tutte le riviste e questi giorni l’ho fatto tante volte pensando a te, mi bastava solo pensare a te, per riuscirci, capisci?’
Aveva parlato senza neanche respirare, tra una parola e l’altra, come se temesse che, dopo una pausa, non avrebbe più trovato il coraggio di dire quelle cose.
Beatriz, istintivamente lo abbracciò.
Ora sembrava più tranquillo, a parte qualcosa di gonfio e duro in mezzo alla gambe.
Lui non si mosse quando lei gli abbassò i pantaloni.
Rimase immobile anche quando gli mise una mano nelle mutande e lo tirò fuori.
Si inginocchiò e cominciò a leccarlo sulla punta.
Ci mise tutto l’impegno e l’esperienza accumulata dal lunedì al venerdì, in quegli ultimi mesi.
Quando le sembrò cotto a puntino lo fece sdraiare sul letto, si tolse le scarpe e gli salì sopra a cosce larghe.
Cominciò a muoversi sopra di lui in modo da strofinare la vagina sulla punta del suo pene.
Era una specie di giochino, perché, quando lui sentiva la punta pronta sul ‘bersaglio’, lei, malignamente, si scostava, impedendogli di entrare, poi, subito dopo, ricominciava a strusciarsi.
Andò avanti per un bel pezzo, finché, ad un certo punto, il ragazzo, che evidentemente non ne poteva più, lo bloccò con una mano e cercò di infilarglielo dentro.
Lei fu più rapida e, a sorpresa, si abbassò in maniera decisa, facendolo penetrare completamente dentro di sé.
Cominciò a cavalcarlo furiosamente e il ragazzo, già abbondantemente stuzzicato dal gioco di prima, ci mise veramente poco a venirle dentro, ma lei non lo mollò e continuò finché non ebbe raggiunto l’orgasmo a sua volta.
Non contenta, si chinò su di lui e, dopo averglielo ripulito per bene con la lingua, cominciò a succhiarglielo vigorosamente, finché non lo rivide dritto e duro come prima.
‘prima hai detto che il mio sedere non è troppo grande, che sono carina. Vediamo.
Fai piano, però’
Si era messa di schiena, in ginocchio sul letto e si era arrotolata la gonna fino alla vita.
Il ragazzo cominciò ad accarezzarle le cosce ed il sedere. Evidentemente, a differenza della madre non la trovava affatto disprezzabile.
Quando le passò una mano in mezzo alle gambe, toccandole la vagina, lei quasi gridò.
‘scusa. Ti da fastidio?’
‘no, nooo. Ma che dici. Dai adesso, mettilo dentro, dietro, ma fai piano.’
Ripensò alla sua prima volta, in piedi, appoggiata alla porta di casa.
Allora era spaventata, aveva anche sentito un po’ di dolore, ma poi, alla fine, le era piaciuto.
In questi tempi l’aveva fatto un mucchio di volte, si era abituata, ora non c’era nessun problema.
Il ragazzo all’inizio si muoveva timidamente, forse aveva paura di farle male, poi, piano piano, aveva preso coraggio ed ora lo sentiva, dentro di lei, andare avanti e indietro con gran foga.
Nel frattempo si era aperta la camicetta ed aveva slacciato il reggiseno. Quando gli prese le mani e glie le poggiò sulle tette, il ragazzo le entrò ancora più in profondità ed aumentò il ritmo.
Certe erano più piccole e più brutte di quelle della donna bionda sul giornale, me le sue erano vere, vive, e le poteva toccare.
Lo sentiva ansimare sempre di più, finché non avvertì lo sperma che le entrava dentro mentre lui le strizzava forte i seni.
A quel punto cominciò a toccarsi con una mano e in pochi secondi lo raggiunse.
Ora restava soltanto la parte meno piacevole: pulire l’appartamento.
Sull’autobus che la riportava a casa, Beatriz pensava che ora aveva un nuovo impegno: ai due ‘signori’ si era aggiunto anche il ‘signorino’.
Era anche sicura che l’amica infermiera si sarebbe arrabbiata molto, ma, se doveva essere sincera, glie ne importava ben poco.
Beatriz era passata a casa, all’ora di pranzo e si era cambiata, dopo essersi fatta una bella doccia.
Era mercoledì, uno dei giorni in cui si vedeva con il signore delle scale.
Era molto affezionata a quell’uomo che l’aveva iniziata ad una vita sessuale particolarmente soddisfacente.
Il pomeriggio doveva invece andare in una casa vuota. Tre ore di lavoro, le prime due a stirare, l’ultima a pulire a fondo i bagni di quel grande appartamento lussuoso.
Aveva scelto un paio di jeans attillati ed una maglietta ed era uscita di casa tranquilla.
Il vantaggio di andare a lavorare in un appartamento, quando non c’erano i proprietari, era nella possibilità di fare un po’ come le pareva, per l’orario.
Si fermò davanti alla porta di casa e cominciò a frugare nella borsa: aveva sempre molti mazzi di chiavi con sé.
Solo più tardi ripensandoci, ricordò che il legno della porta, tra le due ante era profondamente segnato e scalfito.
Quando infilò la chiave nella serratura, la porta, sotto la leggera pressione esercitata, si aprì, come se fosse stata soltanto accostata.
‘Signora? è in casa?’
L’ingresso era in disordine. Strano perché la signora era molto precisa.
Lo sguardo le andò sulla mensola di vetro, sotto la specchiera, dove la signora le lasciava sempre i 25 ‘ (tre per otto ventiquattro, più un euro per fare conto paro).
Si era dimenticata di lasciarle i soldi. Strano.
O forse non era mercoledì. No, no, era proprio mercoledì. Quella mattina era stata dal signore delle scale.
In quel momento li vide, ma era troppo tardi per provare a fuggire.
I due uomini la bloccarono e le misero una mano sulla bocca per non farla gridare.
La trascinarono nella stanzetta dove lei avrebbe dovuto stirare.
Era tutto pronto, l’asse con il panno bianco, il ferro, l’acqua distillata, l’appretto e la grande cesta con i panni.
La misero a cavalcioni dell’asse e la costrinsero a piegarsi in avanti.
In un attimo, prima che riuscisse a rendersi conto di quanto stava accadendo, Beatriz si ritrovò con polsi e caviglie legati tra di loro, con del nastro adesivo, caviglia e polso sinistro da una parte e caviglia e polso destro dall’altra.
Completarono il lavoro usando dell’altro nastro per bloccarla alle gambe dell’asse da stiro, infine, le ficcarono un fazzoletto in bocca, fermandolo con un paio di giri dello stesso nastro adesivo.
‘Ora gli diamo una bella stirata, alla signora.’
Il più grosso dei due rideva e teneva in mano un paio di lunghe forbici da sarto.
Tagliò la stoffa dei jeans di Beatriz proprio in mezzo alle natiche.
Lei sentiva il metallo freddo delle forbici, che avanzava, mano mano che procedeva con il taglio. La stoffa era dura e, alla fine, spazientito, l’uomo posò le forbici, prese con le mani i due lembi di stoffa e tirò forte.
Il rumore secco della stoffa che si strappava e Beatriz capì che i suoi jeans si erano aperti completamente. Ora il suo sedere nudo, appollaiato sull’asse da stiro, era a loro disposizione.
L’altro intanto si era aperto i pantaloni, non c’era più alcun dubbio sulle intenzioni dei due.
Le strapparono le mutandine e presero a toccarla.
Beatriz era spaventata, ma non poteva far nulla, non poteva parlare e neanche muoversi.
Dicevano che non si erano mai scopati una filippina, che gli mancava un bel sederone grande e morbido, poi uno di loro la penetrò.
Lo fece di colpo, senza preavviso, e lei emise un gemito di dolore, soffocato dal bavaglio.
La sua vagina, secca ed assolutamente impreparata, era stata costretta ad aprirsi a quell’intruso grande e duro, che era entrato profondamente ed ora si muoveva dentro di lei.
Il dolore non durò molto, perché il suo sesso impiegò poco tempo ad ammorbidirsi, lubrificato dagli umori che avevano preso ad uscire.
Ora Beatriz gemeva, sommessamente, mentre l’uomo aumentava il ritmo.
‘Ero sicuro che avresti apprezzato.
Ti piace il cazzo vero? Vedrai che bello quando ti sfonderemo il culo.’
L’uomo le venne dentro, poi si allontanò mentre l’altro le ficcò due dita nell’ano per allargarle l’orifizio.
Quando sostituì le dita con qualcos’altro, spingendolo dentro con forza, Beatriz gridò, o meglio provò a gridare.
L’asse da stiro, alto e stretto, con lei legata sopra, era estremamente instabile, ma l’uomo, mentre entrava ed usciva nel suo ano dilatato, la teneva ben ferma, con la mani piazzate ai lati delle natiche, impedendole così di cadere.
I due ladri si alternarono a lungo: uno frugava in armadi e cassetti, alla ricerca di soldi ed oggetti di valore, mentre l’altro si occupava di lei.
Quando se ne andarono, dopo aver rovistato ogni angolo della casa, Beatriz era sfinita.
La posizione scomoda e le difficoltà di respirazione che le dava il fazzoletto appallottolato in bocca, l’avevano completamente fiaccata.
Si sentiva sporca, appiccicosa ed indolenzita.
Si vergognava anche di quello che le era successo, perché si rendeva conto che non le era dispiaciuto troppo. Anche quei due se ne erano accorti ed avevano riso a lungo quando lei, non riuscendo più a trattenersi, aveva raggiunto l’orgasmo, dimenandosi e mugolando disperatamente nel bavaglio.
Ora era sola, nella casa messa a soqquadro.
Era lì da un mucchio di tempo.
Una filippina tozza e grassoccia, legata ad un’asse da stiro, in una posizione buffa ed innaturale, con il sedere nudo pieno di sperma.
Tra un po’ sarebbe arrivata la signora e l’avrebbe liberata. Doveva stare tranquilla, senza muoversi troppo, altrimenti sarebbe solo riuscita a cadere, rischiando di farsi male.
Sentì la porta di casa aprirsi, poi dei rumori.
Non poteva chiedere aiuto con il bavaglio, doveva aspettare ancora, che la signora, girando per casa, la trovasse.
‘Ma che è successo? Sono venuti i ladri.
Beatriz, cazzo! Non ha chiuso bene.’
Era una voce maschile. Sicuramente il marito.
Ora l’avrebbe vista in quelle condizioni.
Sentì dei passi che si avvicinavano, poi una mano che le toglieva il nastro adesivo dalla bocca. Ne approfittò subito per sputare il fazzoletto e respirare a pieni polmoni.
‘Aiuto! Mi hanno …’, non riusciva a trovare le parole giuste.
‘Vedo bene cosa ti hanno fatto.’
Sentì i passi che si allontanavano.
‘Signore, dove va? Per favore, mi liberi.’
Sentì la voce dell’uomo, prima lontana, poi più vicina.
‘Dopo, dopo ti libero, non ti preoccupare.’
Era ricomparso, tenendo in mano un catino di plastica pieno d’acqua, con dentro una spugna gialla.
‘Prima ti do una bella ripulita.’
‘Signore, no, per favore, mi vergogno. Mi liberi, faccio io, per favore, non mi tocchi.’
L’acqua era tiepida e l’uomo prima tamponò delicatamente con la spugna impregnata di liquido, poi iniziò a strofinare, prima piano, poi con più energia.
Insisteva particolarmente sull’orifizio dell’ano, rimasto bello dilatato, poi scese più in basso ed il movimento si fece più attento.
Beatriz non parlava più e assecondava leggermente con le anche il suo movimento.
‘Ti pare che mi lascio sfuggire l’occasione unica di ficcarlo nel tuo bel culone morbido? Mia moglie questa sera torna tardi ed abbiamo tutto il tempo che vogliamo.’
Beatriz sentì il rumore di una lampo che si apriva, poi qualcosa di duro che si appoggiava in mezzo alle natiche.
Non dovette neanche aiutarsi con le dita, perché i due ladri avevano allargato per bene il suo ano.
Glie lo ficcò tutto, fino in fondo; era grande e duro e Beatriz si lasciò andare completamente. Sospirò, mugolò e gridò di gioia, quando alla fine raggiunse l’orgasmo, poi lo pregò di scioglierla, promettendo che lo avrebbero fatto ancora.
Gli chiese solo due minuti di pazienza, che trascorse a massaggiarsi polsi e caviglie indolenziti, poi si sdraiò di nuovo sull’asse, spinse in fuori il sedere e lui la penetrò per la seconda volta.
A metà lo estrasse e lo infilò nel suo sesso, gonfio, zuppo e dilatato.
Beatriz, sussultò, gridò, poi prese a muoversi.
Venne quasi subito e lui la seguì a ruota, piantandole le unghie corte e forti nella carne delle natiche.
Quando finalmente la fece scendere dall’asse da stiro, la donna, completamente sfinita, quasi gli cadde addosso.
Quella sera Beatriz, quando tornò a casa, con i jeans tenuti insieme da alcune spille da balia e con un giaccone, prestatole da lui, abbastanza lungo da coprirle il sedere, sapeva già che il prossimo mercoledì sarebbe dovuta venire prima in quella casa: c’era un nuovo signore che richiedeva i suoi servigi.
Lo dicevano molte persone, alcune delle signore ed anche diverse sue colleghe filippine, ma Beatriz tutta ‘sta crisi proprio non la vedeva.
La città sembrava ricca e piena di movimento come prima. Negozi, automobili, gente ben vestita.
Sì, i prezzi erano un po’ aumentati, ma tutto sommato riusciva a tirare avanti bene.

‘Quella chi è?’
‘Ah ‘ è Beatriz, la domestica di mia madre.’
Il signorino la guardava con aria fredda e distaccata, mentre la ragazza al suo fianco stava effettuando una vera e propria scansione del corpo della filippina.
Era tutto l’opposto di Beatriz: alta, magra, con i seni tondi e sporgenti, i fianchi stretti, un bel culetto sodo e due gambe lunghissime e dritte.
Il viso regolare, truccato con cura e circondato da una massa di capelli biondi ed ondulati, aveva un’espressione dura ed i suoi occhi verdi osservavano Beatriz dall’alto in basso.
‘Beatriz, la camera mia la pulirai un’altra volta, perché io ed Eleonora dobbiamo studiare, mi raccomando, non ci disturbare.’
Era passato qualche anno ed il signorino non era più un ragazzino brufoloso con gli occhiali. L’acne era scomparsa, gli occhiali erano stati sostituiti dalle lenti a contatto, mentre il suo corpo gracile si era irrobustito.
Era diventato un bel ragazzo ed ora lei, non serviva più.
La settimana successiva la signora la chiamo e le diede il benservito.
La sua amica infermiera le disse che si diceva così.
Una bella parola per non usare il termine licenziamento. Il benservito è una busta con dei soldi ed un calcio nel sedere.
All’inizio aveva pensato che tutto dipendesse dal signorino, che si era stancato di lei, poi un’altra filippina, che era in confidenza con la portinaia del palazzo, la aveva detto che la signora aveva problemi economici ed aveva tagliato l’aiuto domestico.
Comunque, la signora era riuscita ad essere sgradevole. Nel discorso finale aveva usato nei suoi confronti il termine nave scuola.
Non aveva ben chiaro cosa significasse. Dalle parti sue c’era molta gente che viveva in case barca, quindi la nave scuola poteva essere una barca grande dove i bambini di quei quartieri andavano a a scuola.
Ma in Italia nessuno viveva sulle barche e la frase doveva fare riferimento a quello che aveva fatto con suo figlio, lo capiva dal tono duro di disprezzo con cui aveva pronunciato quelle parole.
La crisi.
Quando tre mesi dopo, il signore delle scale, il primo ed il preferito, le aveva detto che di lì a poco si sarebbe trasferito in un’altra città, quasi si era messa a piangere.
Purtroppo era costretto a trasferirsi perché non aveva più lavoro.
La crisi, sempre la crisi.
Con il commercialista invece andava tutto bene.
Un giorno, stavano a studio da lui e proprio sul più bello ,,,
‘ahhh!’
‘Che ti succede?’
L’uomo si era accasciato, boccheggiando.
Infarto.
Per fortuna era stato leggero e l’ambulanza era arrivata subito, appena il tempo di rimettere a posto il divano e di rivestirsi.
L’avevano dimesso quasi subito ma quando era tornato a casa, non era più lui.
Forse era la paura di un altro infarto, ma il suo affare non si rizzava più, nonostante i disperati tentativi di Beatriz.
E la crisi ora mordeva forte, aveva perso diversi lavori ed anche i suoi ‘signori’.
Anche quello della tavola da stiro non era durato molto.
La moglie le aveva detto che avrebbe stirato da se, perché il marito era in cassa integrazione e non potevano più permettersi questo lusso.
Poco lavoro, pochi soldi per mangiare e vestirsi ed ora niente sesso.
Ormai aveva quasi quaranta anni ed il suo corpo cominciava a cedere.
Faceva meno attenzione al cibo e si stava ingrassando.
Si guardò allo specchio prima di uscire. Una delle tante donne filippine, basse, tozze, dalla pelle olivastra.
Il viso senza trucco cominciava a mostrare i segni del tempo ed era comparso anche un accenno di doppio mento.
Pettinò i capelli lisci che non vedevano da tempo un parrucchiere decente ed uscì di casa.
Aveva fatto tardi, ma importava poco, perché aveva le chiavi e la signora sarebbe tornata sola all’ora di cena.
Aveva tutto il tempo per stirare. Solo stirare, naturalmente, erano finiti i bei tempi.
Fuori l’aria era calda ed appiccicosa e quando arrivò a casa era zuppa di sudore.
Era già tutto pronto in camera da letto: l’asse, i panni ed il ferro.
Ripensò a quella volta, non ci sarebbero stati né ladri né un signore pronto a scoparla.
Non c’è niente di peggio che stirare d’estate, si era arrotolata la canottiera fin sotto ai seni, scoprendo la pancia che era decisamente aumentata in questi ultimi tempi ed aveva fatto una treccia ai capelli, per poi legarla dietro la nuca, sperando di sentire meno caldo.
Stava al telefono con un’amica, mentre stirava teneva il cellulare poggiato sulla spalla e non aveva sentito la porta di casa aprirsi.
‘E tu chi sei? Ah già, quella che viene a stirare.’
Lo sguardo dell’uomo si era abbassato.
Jeans stretti, perché si era ingrassata e quasi non le andavano più, poco sotto al ginocchio, polpacci robusti, caviglie grosse ed i piedi, corti e tozzi, che poggiavano nudi sul pavimento di marmo.
Un disastro, faccio veramente schifo, pensò Beatriz, mentre con lo sguardo cercava di inquadrare le infradito con cui era uscita di casa, e che erano finite vicino al comò.
Lo sguardo dell’uomo si spostò in alto.
Un disastro anche lì: la pancia spuntava dalla maglietta arrotolata e si sporgeva oltre la cintura dei pantaloni, la canottiera era zuppa di sudore ed le spalline del reggiseno erano scese fino all’incavo del gomito, le aveva abbassate lei per stare più comoda.
Lo sguardo si soffermò solo un attimo nella sua scollatura, poi l’uomo la guardò in viso.
Una filippina quarantenne, non bellissima, poco curata, stanca e sudata, ecco cosa ci vedeva.
Beatriz posò il ferro e si passò la mano sulla fronte per asciugarsi il sudore e in quel momento vide il leggero cambiamento nel suo sguardo.
Solo un attimo, ma sapeva bene cosa significava, lo aveva già visto in altri uomini.
‘Fa molto caldo oggi, lo vuole un po’ di succo di frutta?’
Lei aveva fatto cenno di sì con la testa e come l’uomo se ne era andato, aveva recuperato le infradito, sistemato la canottiera ed il reggiseno e sciolto il nodo alla treccia.
Quando lui era ricomparso con il bicchiere in mano, aveva sfoderato il suo miglior sorriso mentre cercava di capire se si era sbagliata o meno sullo sguardo di prima.
Lui era stato gentile, ma tutto sommato freddo e distante, era un bel tipo, sui quarantacinque cinquanta, e non c’era alcun motivo particolare perché dovesse interessarsi a lei.
Non sarebbe successo, non sarebbe più successo, lei stava invecchiando, si stava sciupando, anni ed anni passati a pulire, lavare e stirare, nelle case, negli uffici, per le scale dei condomini, senza la possibilità di curare adeguatamente il proprio corpo, chi poteva interessarsi a lei?
Beatriz ti stai solo illudendo e ci rimarrai male, non succederà nulla, già lo sai.
Eppure, nonostante questi pensieri, la volta dopo era andata tardi di proposito, pensando che se il marito della signora tornava sempre a quell’ora dall’ufficio, l’avrebbe incontrato.
Dando fondo agli ultimi soldi rimasti, era andata dal parrucchiere ed aveva fatto sistemare ed accorciare i capelli, poi aveva indossato la canottiera più carina e più scollata che possedeva, sostituito i jeans con una gonnellina corta e, al posto delle infradito, aveva messo le scarpe rosse con il tacco.
Faceva meno caldo quel pomeriggio, ma quando lui era rientrato, aveva accettato l’offerta del succo di frutta.
Aveva allungato la mano per prendere il bicchiere ma l’uomo, rapidissimo, lo aveva rovesciato.
Un intero bicchiere di succo di frutta ghiacciato era finito nella sua scollatura.
Era rimasta impietrita, bloccata dalla sensazione di freddo e di bagnato, che pervadeva i suoi seni ed ora scendeva lungo la pancia.
L’uomo posò il bicchiere ormai vuoto sul comò e le sollevò la canottiera.
Arrivato al reggiseno infilò le dita sotto il bordo delle coppe e continuò a tirare verso l’alto, lasciando Beatriz con il busto completamente nudo.
‘Veramente buono questo succo di frutta.’
Le stava leccando i seni bagnati e lei si sentì avvampare.
Forse la crisi era finita.
Continuò a lungo, finché ogni goccia non fu asciugata e lei si ritrovò con i seni gonfi e duri ed i capezzoli diventati grandi e sporgenti.
Quando si inginocchiò davanti a lei e le infilò le mani sotto la gonna, Beatriz era così bagnata che pensò quasi di essersela fatta sotto.
Le mutandine le scivolarono lungo le gambe fermandosi sopra i suoi piedi tozzi.
La prossima volta verrò senza, non ti preoccupare, pensò lei.
Le dita di Beatriz cercarono febbrilmente il bottone e la lampo dei pantaloni dell’uomo, senti il pene caldo e duro dentro le mutande e lo liberò.
A quel punto si sentì alzare sotto le ascelle, le sue scarpe rosse con il tacco, aperte dietro, caddero a terra, seguite dalle mutandine e si ritrovò stretta a lui, sollevata da terra.
La fece scendere lentamente, la sua pancia ancora bagnata dal succo di frutta, strusciava contro il petto dell’uomo, poi lo sentì entrare dentro.
Rimase aggrappata a lui, con le gambe allargate, mentre l’uomo la scuoteva.
Quando fu stanco della posizione, la sbatté sul letto, in mezzo ad i panni già stirati, finché non raggiunse l’orgasmo. Lei era già venuta, prima di lui, ma l’uomo preso dalla foga non se ne era accorto.
Lo fecero una seconda volta e, passato il furore iniziale, fu più tranquillo, poi la girò.
All’inizio fu doloroso, non bisognerebbe mai perdere l’allenamento pensò Beatriz, mentre gridava per il dolore, ma alla fine il suo ano tornò ad aprirsi, come una volta e lasciò entrare il suo nuovo signore.
Quella sera Beatriz tornò a casa stanca, dolorante e con la canottiera macchiata dal succo di frutta, ma soddisfatta.
Forse la crisi era veramente finita, ed i suoi quarantanni che si avvicinavano non erano poi la fine del mondo. ‘Tieniti libera sabato pomeriggio, ed anche per la sera, mi serve una cameriera per una festa’.
Erano diversi mesi che stirava in quella casa una volta a settimana ed aveva sistemato l’orario in modo da incontrarsi con il suo nuovo signore.
Era un tipo di poche parole e così non le era restato che accettare la proposta, o meglio l’ordine, senza neanche chiedere di che si trattasse e quanto sarebbe stata pagata.
Era arrivata alle sedici, come stabilito e l’uomo l’aveva fatta accomodare in camera da letto.
‘Mettiti questo grembiulino’, le ordinò lui porgendole in pezzo di stoffa bianco, leggermente stondato e circondato da un merletto dello stesso colore.
Beatriz se lo poggiò sulla pancia e cercò di annodare dietro la schiena la fettuccia di stoffa che pendeva dai lati.
Il signore scoppiò a ridere. ‘Ma che combini? Non devi metterlo sopra ma al posto dei tuoi vestiti.’
‘Devo andare di là nuda? Signore, per favore, mi vergogno.’
‘Di cosa dovresti vergognarti, sei una bella ragazza e poi nel salone troverai soltanto tre miei amici. Stiamo facendo a partita a poker e tu dovrai portarci ogni tanto qualcosa da bere e da mangiare.
Dai che ti aiuto io.’
Prima ancora di rendersene conto, Beatriz si trovò in mutandine e reggiseno. I suoi vestiti erano finiti sul letto e lui la guardava soddisfatto.
Senza pensarci, allora, si liberò della biancheria intima e prese il grembiulino.
Era molto corto, le arrivava solo a metà coscia e lasciava completamente scoperti i fianchi.
Ci pensò lui a legarle le fettuccia sul retro, facendo un grande fiocco.
‘Mettiti queste, saranno perfette’, le disse porgendole una paio di calze scure.
Beatriz si sedette sul letto e le infilò, tirando bene il bordo superiore, allora l’uomo prese un paio di scarpe rosse, aperte dietro, con il tacco altissimo e glie le infilò.
Strinse forte il cinturino intorno alla caviglia e la fece alzare.
La fece girare su se stessa e poi disse, con aria soddisfatta: ‘perfetto, la mia mini cameriera sexy, con autoreggenti e tacchi alti, farà un figurone con gli amici.’
Poi aggiunse ‘datti una bella truccata, ma non sulle labbra, per quello che devi fare il trucco lì si sciuperebbe subito’, le disse ridacchiando.
Dieci minuti dopo Beatriz fece il suo ingresso trionfale nel soggiorno portando un grande vassoio con quattro birre ed una ciotola con pistacchi e noccioline.
Camminava lentamente, un po’ per paura di cadere o di versare il contenuto dei bicchieri, ma anche perché le mancava il coraggio di avvicinarsi al grande tavolo, dove sedevano il signore ed i suoi tre amici.
Gli sguardi dei quattro uomini puntarono su di lei, che cercava di tenere alto il vassoio per coprire i suoi seni nudi.
Alla fine dovette però poggiarlo sul tavolo.
Mentre distribuiva i bicchieri, dopo aver sistemato i sottobicchieri di metallo quello seduto alla sua destra allungò una mano sul suo seno.
‘Ha le tette un po’ piccole.’
‘Però ha un bel culone’, gli fece eco quello seduto dall’altro lato, e Beatriz sentì una mano che le tastava le chiappe.
Ebbe un sobbalzo, mentre la mano si incuneava in mezzo alle sue cosce, e qualche goccia di birra cadde sul panno verde del tavolo.
Le dita stavano frugando e Beatriz si spostò leggermente avvicinandosi al giocatore di sinistra per agevolarne il compito.
Si sbrigò a sistemare i bicchieri sul tavolo, appena in tempo, perché due dita erano entrate in profondità, dopo averle carezzato le labbra e le scappò un gemito sordo, mentre di istinto allargava le gambe.
‘Allora, che ti sembra?’
‘Ha una bella ficona calda e bagnata, credo proprio che sarà una serata piacevole.’
Le dita uscirono di botto, per conficcarsi, nell’ano di Beatriz, che gridò di sorpresa e di dolore, ma fu un attimo, perché in quegli ultimi mesi, il suo nuovo signore, prima di farla stirare aveva sempre provveduto a ficcarglielo più volte, anche di dietro, così lo sfintere si allargò docilmente e le dita, bagnate dei suoi umori, entrarono con facilità.
‘Anche il culo non è niente male, largo e confortevole, senza essere sfondato.’
‘Ora Beatriz, porta via il vassoio, che dobbiamo finire la mano, ripassa magari tra cinque minuti.’
Quando lei tornò nel salone, il tizio che l’aveva esplorata con le dita stava seduto in mezzo alla stanza, lontano dal tavolo ed i suoi pantaloni erano aperti.
Non c’era neanche bisogno che le spiegassero cosa doveva fare.
Lo liberò dalle mutande e lo prese subito tra le labbra.
Ora la raccomandazione di non mettere il rossetto le era perfettamente chiara.
Quando lo strinse tra le labbra, avvertì come un sussulto e l’uomo le carezzò delicatamente i capelli neri e lisci.
‘Brava, come ti chiami? ‘ Beatrice. Succhia, succhia bene, così’.
Si sentì toccare dietro, due mani robuste le allargarono con decisione le natiche, poi avvertì una pressione forte e cercò di rilassarsi.
‘Hai ragione non è affatto male. Non mi ero mai inculato una Filippina e devo dire che mi ero perso qualcosa di interessante.’
Era in ginocchio, con le gambe leggermente divaricate e si muoveva sotto la spinta di quello che si era piazzato dietro a lei.
Devo fare fare attenzione a non perdere l’altro, quello davanti, penso Beatriz e cominciò ad assecondare con il collo e la testa il movimento che le veniva impresso, per evitare che il pene dell’uomo uscisse completamente dalla sua bocca.
‘Io quasi ci sono, cerca di ingoiare tutto perché non voglio sporcarmi i pantaloni buoni.’
Beatriz attese pazientemente, mentre quello dietro aumentava il ritmo, spingendolo sempre più in profondità, ma fu quasi presa di sorpresa, quando avvertì la prima contrazione e, un attimo dopo si trovò la bocca piena di sperma.
Riuscì a non far cadere nulla, neanche una gocciolina, poi anche l’altro, con le unghie affondate nella sua carne morbida, raggiunse l’orgasmo.
L’aiutarono a rialzarsi, le facevano male le ginocchia e le bruciava il sedere.
Il signore si alzò e le si avvicinò.
‘Brava, hai fatto un buon lavoro’, le disse mentre le puliva la bocca con il grembiulino.
Nel fare ciò scoprì totalmente il suo ventre mostrando la sua vagina rossa e completamente aperta.
‘Vedo che ti è piaciuto, allora possiamo continuare? Vero?’
Non aspettò la risposta di Beatriz, si sedette, dopo essersi aperto i pantaloni e la costrinse ad inginocchiarsi di nuovo.
Aveva appena iniziato, quando avvertì di nuovo una presenza alle sue spalle, evidentemente anche il quarto giocatore di poker voleva prendere parte alla festa.
Strofinò più volte il suo pene eretto in mezzo al suo sedere pieno di sperma che continuava a colare fuori, poi lo abbassò ed indirizzò la punta proprio sulle labbra spalancate.
Beatriz, istintivamente, si spinse indietro per farsi penetrare e lui ne approfittò subito.
‘Ma è proprio una cagna favolosa. Dai muovi le chiappe, fammi vedere quanto ti piace.’
Il pene dell’uomo le era entrato dentro completamente e lui aveva subito iniziato a muoversi avanti ed indietro, mentre l’altro le teneva ferma la testa.
Beatriz sentiva una donna che faceva dei versi animaleschi, era lei, che stava godendo esattamente come un animale.
Si fermò solo un attimo, e prese a gemere in preda ad un orgasmo incontrollabile, mentre quello dietro continuava a scoparla furiosamente.
‘No, che fai, continua, ci sono quasi’, le disse il signore costringendola a muovere la testa in su ed in giù.
I due vennero quasi in contemporanea e questa volta non riuscì a trattenere in bocca tutto lo sperma.
‘Accidenti, guarda cosa hai combinato, dovrai lavarmi i pantaloni.’
‘Sì, va bene, scusa signore.’
Si era alzata barcollando e si stava dirigendo verso il corridoio.
‘Dove stai andando?’
‘In bagno, a pulirmi.’
‘Ma no, stai benissimo così, guardati.’
La fece girare verso il grande specchio dorato della parete di fronte.
‘Guardati’, ripeté, ‘sei una troia favolosa’.
Le passò le mani in mezzo alle gambe e lei gemette di piacere, poi, con le dita impiastrate dello sperma che le continuava a colare, le strofinò la faccia, i capelli ed i seni.
I quattro ripresero a giocare e Beatriz, stanca ed ancora eccitata si sdraiò sul divano.
Dopo un po’ di tempo li sentì alzarsi.
Il signore si tolse completamente i pantaloni e le mutande e si sedette sulla poltrona di fronte a lei, che era stata completamente rivestita con un lenzuolo bianco.
‘Vieni qui.’
Beatriz ubbidì e si diresse lentamente verso di lui.
‘Girati.’
Le sue mani le allargarono il sedere, sentì un dito che le entrava dentro, poi diventarono due.
Le dita un po’ spingevano per entrare in profondità, un po’ si divaricavano ed il suo orifizio si apriva sempre più.
Quando fu certo di averla allargata a sufficienza, la fece sedere ed il suo pene le entrò profondamente dentro.
‘Ti piace essere inculata?’
Beatriz rispose con un mugolio, si mise comoda e cominciò a muoversi leggermente.
Fu allora che uno degli altri si avvicinò, teneva il pene completamente eretto stretto in una mano, lo puntò dritto in mezzo alle cosce di Beatriz, le sollevò il grembiulino e lo affondò in un colpo.
Non le era mai capitato di farlo con due uomini contemporaneamente, aveva la strana sensazione di essere completamente piena, ma ci pensò solo per pochi attimi, perché fu presa dal piacere che riprendeva a montare, come un fiume in piena.
Si sentì carezzare la guancia e, istintivamente, si voltò, uno di loro si era seduto sul bracciolo della poltrona.
Le fece girare la testa e lei aprì prontamente la bocca, ingoiando completamente il pene che lui era stato lesto a spingerle dentro.
Ad un certo punto sentì una mano che le faceva girare il viso dall’altro lato.
Lo sputò via e prese prontamente quello del quarto giocatore.
Alla fine accadde tutto rapidamente: il sapore dello sperma che le inondava la bocca per poi sfuggirle dalle labbra, scendendo sul mento, altro sperma che le inondava i seni e, poco dopo, si sentì aprire con forza le gambe.
Quello che la stava scopando lo spinse dentro con più forza, ora poteva sentire i suoi testicoli premere sul ventre finché non arrivarono le contrazioni ed anche la sua vagina si riempì di sperma.
L’uomo si staccò subito da lei, ora rimaneva solo il signore su cui Beatriz era seduta.
Le aveva piazzato le mani sulle chiappe, stringendole forte la carne e la faceva salire e scendere con sempre maggiore energia.
Beatriz gridò quando lui raggiunse l’orgasmo e rimase infine immobile, mentre lo sperma le usciva lentamente finendo sul ventre dell’uomo e sul lenzuolo che fortunatamente avevano sistemato sulla poltrona.
Beatriz tornò a casa che era quasi l’alba, dopo essersi fatta una doccia ed essersi rimessa i suoi vestiti.
Furono molto gentili con lei e le pagarono pure il taxi.
Nella borsetta aveva un bel po’ di soldi, perché avevano stabilito di accantonare il 10% di di ogni vincita per la loro ‘mini cameriera sexy’.
Si sarebbero rivisti il sabato successivo, a casa di un altro di loro, e, naturalmente, avrebbero avuto bisogno di una cameriera.

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