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Racconti di Dominazione

Hotel

By 15 Febbraio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

Hotel

Era tornato prima in albergo. Uno stupido incidente: la lampo della giacca a vento si era rotta ed era stato costretto a rientrare prima.
Non è possibile sciare con la giacca a vento aperta.
Maledizione! Avrebbe perso un mucchio di tempo per questo imprevisto.
L’aveva trovata lì, nella sua stanza, seduta sul letto.
Erano rimasti sorpresi tutti e due.
Lui non sarebbe dovuto rientrare così presto, ma la ragazza non si sarebbe dovuta trovare lì.
L’aveva riconosciuta, era la cameriera giovane che serviva a tavola. Non aveva alcun motivo di trovarsi nella sua camera e, meno che mai di rovistare tra le sue cose.
Le sue carte di credito erano sul letto, accanto ad un piccolo portatile a cui era collegato uno strano apparecchio.
Piccola bastarda! Gli stava clonando le carte di credito.
Era una ragazza bionda e minuta, con i capelli lunghi e due occhi chiari, angelici.
Altro che angelo.
La ragazza scattò in piedi e cercò di guadagnare l’uscita, dopo aver afferrato il computer, con il lettore di schede che pendeva da una parte, appeso per il cavo.
Daniele fu più veloce e, prima che lei riuscisse a fuggire nel corridoio, l’afferrò da dietro.
Sentì, sotto la stoffa leggera della camicetta bianca, il reggiseno e strinse forte.
La ragazza andò ancora avanti per qualche centimetro, seguendo lo slancio della sua corsa e poi rimbalzò indietro.
Daniele fu lesto ad afferrarla per le spalle e la catapultò sul letto.
‘Piccola bastarda, ora ti levo la voglia di rubare ai clienti’, disse mentre chiudeva a chiave la porta della stanza.
Era rimasta sdraiata sul letto, stordita e spaventata. Daniele era un uomo grande e grosso e, quando era in preda ad un attacco di collera, faceva paura a molte persone.
‘Togliti calze e mutandine e tirati su la gonna!’
‘Cosa? …’
Lui si avvicinò minaccioso e la ragazza fece scivolare le mani sotto la gonna blu a pieghe e si arrotolò il collant scuro con la riga dietro, si sfilò i mocassini neri e fece cadere le calze in terra, infine si tolse un paio di minuscole mutandine nere.
‘La gonna. Arrotolala fino alla vita, voglio vederti bene.’
Lei ubbidì mentre due lacrime le scendevano lungo le guance.
Osservò con attenzione la fessura rosea della sua vagina, il piccolo ciuffetto di peli biondi, posto proprio sopra il suo sesso.
‘Toccati.’
‘No per favore …’
Le prese una mano, le aprì le dita e poi glie la mise proprio sopra la vagina.
Tenendole sopra la sua mano, ne guidò il movimento finché lei non prese il ritmo.
Lentamente si stava eccitando, vedeva la fessura rosea, prima piccola e chiusa, allargarsi e scurirsi.
Intanto il ventre della ragazza si muoveva ritmicamente mentre in mezzo alle gambe si notava il luccicare dei suoi umori che cominciavano ad uscire.
Prese il cellulare e le scattò diverse foto, facendo attenzione che si vedesse bene il suo viso e cosa stesse facendo.
‘Basta! Fermati.’
La fece sedere sul letto.
‘Ora togliti la camicetta ed il reggiseno.’
Quando fu rimasta con il busto completamente nudo, con i lunghi capelli biondi che le ricadevano sulle spalle, le passò le braccia dietro la schiena e le legò strettamente gli avambracci con il reggiseno.
Infine le infilò a forza le mutandine in bocca.
‘Quando avrò finito con te, vedrai che ti sarà passata completamente la voglia di rubare’, disse mentre la metteva a pancia sotto sul letto.
Aveva un bel culetto, morbido, roseo e rotondo.
Lei sobbalzò e proruppe in un grido appena soffocato dall’insolito bavaglio, quando la cinghia dei pantaloni si abbatté sulle sue chiappe nude.
La colpì molte volte, finché i segni rosso violacei non furono diffusi su tutto il sedere della ragazza e finché lei non ebbe smesso di lamentarsi e dimenarsi.
Passò più volte il dito sulla sua pelle. Dove l’aveva colpita si era sollevata, formando come delle bolle in rilievo, e, in qualche punto si era anche spaccata, facendo vedere il rosso della carne viva sottostante.
Pensò che avrebbe portato a lungo i segni della sua punizione.
Meglio così, la prossima volta starà più attenta.
La fece mettere a sedere sul letto e le sfilò delicatamente dalla bocca le mutandine.
La ragazza, con il trucco sfatto e la guance solcate dalle lacrime, piangeva in silenzio.
Quando Daniele, dopo essersi aperto i pantaloni le avvicinò alla bocca il pene completamente eretto, lei prese a singhiozzare.
‘Spiacente, se non vuoi finire in galera dovrai farmi un bel pompino. Ora apri la boccuccia e comincia a succhiare.’
Le aprì bene le labbra infilandole le dita di lato e poi glie lo spinse dentro.
La ragazza ebbe solo un piccolo conato di vomito, poi lui le piazzò le mani sulle guance e cominciò a farle muovere la testa avanti ed indietro.
Lentamente si stava abituando e dopo un po’ poté toglierle le mani dal viso.
Lei adesso si muoveva bene, con un buon ritmo ed aveva smesso di piangere.
Gli cadde lo sguardo in mezzo alle gambe nude della ragazza: si stava eccitando di brutto a giudicare dalla sua fica aperta e completamente bagnata.
Lo tirò fuori sul più bello, schizzandole di sperma il viso ed i capelli.
‘Brava, fai un bel sorriso’, il flash del cellulare scattò diversi primi piani di una ragazza che aveva appena fatto un pompino.
La rigirò e la sbatté di nuovo sul letto con la faccia sul lenzuolo.
‘Basta per favore ‘ mi lasci andare.’
‘Non prima di aver sistemato il tuo bel culetto.’
Le assestò una violenta sculacciata sulle natiche ferite, poi cominciò a colpirla, sempre più forte, con il dorso della mano.
Quando si fermò, la pelle sollevata dalle cinghiate, si era aperta e spaccata in molti punti.
La ragazza ebbe un ultimo sussulto quando Daniele cominciò ad infilarglielo brutalmente nell’ano, poi rimase immobile.
Lo spingeva dentro con veemenza, emettendo dei versi animaleschi, finché non si fermò e lo tirò fuori.
‘Dai che adesso finiamo in bellezza.’
La ragazza sentì il suo pene, lungo, duro e bagnato, poggiarsi sulla sua vagina semi aperta, poi entrò dentro, di colpo.
Bastarono solo pochi colpi decisi, poi lei sentì lo sperma caldo che la invadeva e pensò che non era una cosa buona farsi scopare senza preservativo.
Troppe cose non buone erano successe quel giorno.
La mandò in bagno per ripulirsi e rivestirsi.
Quando uscì, nonostante si fosse risistemata il trucco, aveva un’aria sofferenze ed abbattuta.
‘A che ora prendi servizio in sala, la sera?’
‘Alle diciannove.’
‘Benissimo ti voglio qui domani alle diciassette. Abbiamo tutta la settimana per divertirci.
La ragazza uscì mesta dalla stanza, portandosi dietro il computer.

Il giorno successivo fu puntualissima.
Lui era appena uscito dalla doccia, con l’accappatoio addosso, e la ragazza aprì la porta, che Daniele non aveva chiuso a chiave.
Era vestita come il giorno precedente ma non indossava le calze.
Non si era truccata ed aveva un’aria stanca e sofferente.
Sicuramente, il dolore delle cinghiate non l’aveva fatta dormire bene.
La fece voltare e le sollevò la gonna per controllare.
Sotto era nuda, perché le ferite, su cui ora si erano formate delle leggere crosticine, le impedivano di portare le mutandine.
La fece piegare in avanti in modo che poggiasse le mani sul bordo del tavolinetto della stanza.
‘Oggi te ne darò solo una ventina, tanto per tenere in esercizio le tue chiappe.’
‘Per favore non lo faccia! Mi fa già troppo male, la prego, farò tutto quello che vuole …’
‘Oh, su questo non ho dubbi.’
Riprese a colpirla con la cinghia dei pantaloni. La ragazza si lamentava a bassa voce, mentre le crosticine saltavano via scoprendo la carne rossa.
Quando ebbe finito dovette sorreggerla sotto le ascelle, altrimenti sarebbe caduta a terra.
‘Spogliati completamente.’
Lei obbedì rassegnata.
‘Hai delle belle tette. Sembrano due arance, tonde e con i capezzoli sporgenti. Potrei fare assaggiare la cinghia anche a loro, sarebbe interessante.’
‘Oddio! No per favore, lì no!’
Si era portata le mani al seno come per proteggerlo dal morso crudele della cinghia.
‘Pensa solo a succhiarmelo bene, se fai un bel lavoro lascio stare le tue tette.’
Era stato convincente: la ragazza si inginocchiò e gli fece un pompino favoloso.
La lasciò fare fino alla fine e glie lo tenne in bocca finché non fu sicuro che lei avesse inghiottito quasi tutto.
‘Alzati e mettiti sul letto di schiena. Voglio scoparti come una cagna, e tu sei una cagna.’
‘Per favore signore, nella borsetta ho dei profilattici, la prego, lo usi, non vorrei rimanere incinta.’
‘Ragazza mia, impedire la nascita di un piccolo ladro bastardo non è affar mio.
Ti scoperò senza preservativo, tutte le volte che ne avrò voglia.’
La fece distendere sul letto e le fece allargare le cosce.
Aveva due belle gambe, lunghe e snelle.
Le infilò una mano in mezzo alle cosce e la ritirò umida.
‘Ma sei già tutta bagnata. Ti piace farti dare le cinghiate sul culetto’
‘Fa male …’
‘Certo che fa male ma ti piace, vero?’
‘Sì, mi piace ma ora, per favore, non me ne dia più.’
La scopò a lungo, con gusto e si accertò di venirle per bene, dentro.
‘Ora basta, vattene via. Continueremo domani.’
‘No, non devi andare in bagno. Prenditi un paio di fazzolettini per ripulirti la faccia e la fica e lasciami solo.’
La ragazza ubbidì e, dopo essersi rivestita, uscì dalla stanza con passo malfermo.

La sera a cena la osservò mentre serviva a tavola. Camminava in maniera guardinga, evidentemente nel tentativo di evitare movimenti che potessero risvegliarle il dolore. Aveva uno sguardo strano ma evitava sempre di incrociare i suoi occhi, quando si avvicinava al suo tavolo per portare qualcosa o per ritirare un piatto sporco. In compenso, quando era lontana, i suoi occhi azzurri erano sempre puntati su di lui.
Con il passare dei giorni si era fatta tranquilla ed obbediente.
Si faceva frustare il sedere con la cinghia senza emettere un lamento. Il suo bel culetto era ridotto veramente male, ormai non c’era neanche un centimetro della sua pelle che non fosse duramente segnato dai colpi di cinghia e le piccole ferite, causate dal ripetersi e dal sovrapporsi dei colpi, erano ormai numerosissime.
Dopo questo trattamento eseguiva con impegno e precisione qualsiasi cosa lui le chiedesse.
Quando se ne andava, lasciandolo sul letto stanco e soddisfatto, aveva un’aria decisamente meno sofferente del primo giorno.
Si era fatto una schiava perfetta, peccato che, con la sua partenza sarebbe finito tutto, non poteva certo portarsela a casa, in città.

La mattina della partenza, dopo colazione era risalito in camera per finire i bagagli.
Era stata una vera e propria sorpresa, dopo qualche minuto, veder aprirsi la porta della stanza.
Gli aveva fatto un gran sorriso ed era entrata. Si era diretta tranquilla e decisa verso il tavolinetto ed aveva preso posizione, con le mani poggiate sul ripiano, ed il busto piegato a novanta gradi.
Lui le aveva sollevato la gonna e la ragazza aveva allargato bene le gambe lunghe e snelle.
Era veramente ridotta male. Pensò che forse era stato un peccato aver fatto una cosa del genere ad un culetto così carino, ma era necessario per renderla accondiscendente, e poi gli era sempre piaciuto fare cose simili.
‘Dammene ancora una bella razione, lasciami il tuo ricordo, prima di partire.’
La colpì a lungo, più delle volte precedenti, e lei non emise neanche un lamento.
Quando posò la cinghia sul letto, la ragazza, senza che lui le dicesse nulla, si spogliò completamente e gli si avvicinò.
Gli aprì i pantaloni e glie li abbassò, insieme alle mutande, fino alle ginocchia.
Si inginocchiò e gli fece un pompino favoloso, inghiottendo lo sperma fino all’ultima goccia e non si rialzò finché non lo ebbe ripulito perfettamente, poi si sdraiò sul letto a gambe larghe e cominciò a toccarsi.
La sua fica era fradicia e completamente dilatata, mentre le dita si muovevano febbrili, in profondità e lei gemeva di piacere.
Raggiunse presto l’orgasmo e, a questo punto, rimase immobile, con le cosce completamente divaricate.
Allora si avvicinò alla ragazza e, per la prima volta in quella settimana, la penetrò da davanti.
Quando lei lo sentì dentro, gli strinse forte i fianchi con le ginocchia.
Mentre sentiva il suo sperma che riempiva prepotentemente il sesso della ragazza, pensò alle proteste di lei, la prima volta.
Ora era una schiava perfetta, ubbidiente, remissiva e lieta di far felice il suo padrone, dopo essere stata punita, anzi sembrava quasi provare piacere, perfino nella sofferenza.
Si alzò in piedi, aveva una strana luce negli occhi, con le spalle rivolte al tavolinetto e le mani strette intorno al bordo del ripiano.
‘Poi colpirmi anche sui seni, se vuoi. Voglio un ultimo ricordo di te.
Non farlo troppo forte, però, ho solo ventiquattro anni e voglio mantenere le mie tette in ordine per un po’.’
Aveva spinto in fuori il petto e quelle due arance, tonde e sode, si protendevano nell’aria, pronte ad assaggiare le sue cinghiate.
I capezzoli, rosei, duri e gonfi, puntavano dritti verso verso Daniele, che prese la cinghia posata sul letto e si avvicinò alla ragazza.
Le prese delicatamente i capelli biondi, lunghi ed ondulati, li scansò dai suoi seni e li fece passare dietro, facendoli scendere lungo la schiena della ragazza.
Le diede una ventina di cinghiate.
I seni della ragazza si muovevano sotto i colpi e lei se ne stava immobile, con le labbra serrate, per non gridare, mentre le lacrime le scendevano lungo il viso.
Si lamentò debolmente solo quando un paio di colpi le presero in pieno i capezzoli.
Quando smise, la ragazza piegò le ginocchia e lui fece appena in tempo a prenderla tra le braccia.
La adagiò dolcemente sul letto.
Sanguinava.
Le baciò i capezzoli, dopo averle asciugato le gocce di sangue che le scendevano dai suoi seni feriti,
poi la ragazza si rialzò lentamente, si rivestì ed uscì dalla stanza per l’ultima volta.
Aveva lasciato solo il suo piccolo reggiseno nero e qualche goccia di sangue sul letto.
Tra mezz’ora sarebbe partito e non avrebbe più rivisto la sua piccola schiava bionda.

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