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Racconti di Dominazione

Maledetta sera, maledetta cena (Patrizia)

By 10 Marzo 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Quella maledetta sera, all’uscita del teatro, suo marito Marco aveva proposto di fermarsi in un ristorante vicino, prima di tornare a casa.
Era tardi ed erano gli unici clienti rimasti.
Marco aveva scelto una bottiglia di vino rosso molto forte e lei, che in genere non beveva mai, ne aveva preso tre bicchieri.
Invece di causarle sonnolenza, come le accadeva in genere, quella volta l’alcol le aveva dato una strana euforia.
Si era accorta che il cameriere la stava guardando e, dopo essersi aggiustata con una certa leziosità i lunghi capelli neri, aveva ricambiato maliziosamente lo sguardo.
Il cameriere era un bel tipo, giovane, atletico e con la capigliatura bionda un po’ lunga ma curata.
Lo poteva osservare fermo, in fondo alla sala, che continuava a fissarla con interesse.
‘vado in bagno a risistemarmi il trucco, poi andiamo a casa perché sono stanca.’
Aveva preso la borsetta e si era alzata, appena un po’ malferma sulle gambe, poi si era diretta al bagno ancheggiando in maniera un po’ ostentata.
Sapeva che il cameriere l’avrebbe osservata e sicuramente avrebbe apprezzato il suo culetto sodo e le sue gambe lunghe, messe in evidenza dal vestito corto e dai tacchi alti.
Aveva appena posato la borsetta a lato del lavandino quando la porta si era aperta ed era comparso il cameriere.
Nei giorni successivi si era chiesta cento volte perché.
Perché era successa quella cosa?
Perché aveva bevuto troppo?
Perché, come, dopo, le aveva detto suo marito, era una troia?
Non si erano scambiati neanche una parola.
Lui si era sbottonato i pantaloni e si era tirato giù le mutande.
Lei si era inginocchiata ed aveva cominciato a succhiarglielo.
Marco era entrato giusto in tempo per il gran finale.
Neanche lui aveva parlato. D’altra parte c’era poco da dire: l’aveva trovata nel bagno del ristorante, inginocchiata davanti ad un cameriere con le braghe calate ed il cazzo di fuori, ancora bello eretto.
Inoltre, il filo di sperma che le usciva dalle labbra semi aperte e le scolava lungo il collo, liberava il campo da ogni ulteriore dubbio.
L’aveva trascinata via, prendendola per un braccio, aveva buttato una banconota sul tavolo e le aveva lasciato giusto il tempo di prendere il cappotto all’ingresso del ristorante.
Marco era rimasto in silenzio per tutto il tragitto fino a casa e d’altra parte Patrizia, piena di vergogna per quanto era successo, non sapeva proprio cosa dire.
Era riuscita soltanto a prendere un fazzolettino dalla borsetta per cercare di ripulirsi un po’ la bocca e la faccia.
A casa lui aveva aperto il divano letto del soggiorno ed era andato a dormire senza rivolgerle la parola.
La mattina dopo, era sabato, Patrizia si era alzata tardi, con la bocca impastata e convinta di aver fatto un brutto sogno, poi però, quando aveva visto l’altra metà del letto ancora intatta, si era ricordata della serata finita in malo modo al ristorante.
Aveva aperto la porta che dava sul soggiorno, timorosa di qualche reazione violenta di suo marito, ma si era accorta di essere sola in casa.
Per tutta la giornata Marco non si era fatto vedere e, alla fine, lei era andata a dormire, pensando che probabilmente non sarebbe più tornato.
La mattina della domenica fu svegliata di colpo della luce del giorno che entrava dalle tapparelle aperte.
‘vai a darti una sistemata in bagno perché abbiamo ospiti.’
Il tono era di quelli che non ammettevano repliche e d’altra parte lei non era certo in condizione di poter minimamente controbattere.
Quando uscì dal bagno con una maglietta ed un paio di jeans attillati, lui la squadrò un attimo.
‘perché ti sei vestita? Ti ho detto solo di darti una lavata.
Togliti questa roba, che non ti serve.’
Marco era una persona decisa e, quando voleva, sapeva essere spietato. Con lei non c’erano mai stati motivi di mettere in atto comportamenti crudeli, ma questa volta Patrizia aveva la netta sensazione che le avrebbe fatto pagare duramente l’errore commesso.
Così si tolse i vestiti e rimase in piedi, davanti a lui, con soltanto le mutandine ed il reggiseno.
‘non ti servono neanche questi.’
E Patrizia si tolse anche il resto, restando completamente nuda, ricoperta soltanto dai lunghi capelli, scuri ed ondulati, che le ricadevano sulle spalle e sui seni piccoli e sodi.
La prese per un braccio e la trascinò in soggiorno, con la stessa decisione che aveva usato l’altra sera al ristorante.
Nel grande soggiorno c’erano una decina di persone.
Erano tutti uomini e lei li riconobbe subito: erano amici e colleghi di suo marito.
‘Marco, ti prego. Non puoi farmi questo.’
Lui ignorò completamente la sua supplica.
‘come già vi ho spiegato, ho scoperto che mia moglie è una lurida troia. Quindi ho pensato che sicuramente gradirà molto essere riempita per bene di sperma.
Io non ho intenzione di toccarla, ma penso che voi dovreste bastare. Credo che nove persone, se si impegnano, possono riempirla fino all’orlo.
Vieni cara, mettiti qui su questa poltrona. No, non seduta. Guarda ti aiuto io.’
La fece mettere a pancia sotto sullo schienale, con la testa affondata nel cuscino della seduta e con il sedere in alto.
‘in questa maniera non c’è il rischio che tu ti svuoti. I miei amici provvederanno a riempirti completamente, davanti e dietro, poi io ti attapperò per bene in modo che nulla vada sprecato.’
Prima che lei potesse dire una parola, ammesso che potesse servire a qualcosa, Patrizia sentì la sua vagina allargarsi.
Gridò, un po’ per la sorpresa, un po’ per il dolore di quella penetrazione a freddo, ma l’uomo non sembrava minimamente preoccupato e cominciò a scoparla tranquillamente, mentre le teneva la gambe allargate.
Venne quasi subito, ma lei non ebbe neanche un momento di pausa, perché subito dopo un altro glie lo ficcò dentro senza tanti complimenti.
Il terzo, invece, lo piazzò direttamente nel culo incurante delle sue grida di dolore.
Con la testa semi affondata nel cuscino del divano ed i capelli davanti agli occhi riusciva a vedere ben poco.
Intravedeva a malapena la sagoma di Marco che, seduto sul divano, si stava godendo lo spettacolo.
Quando un quarto le entrò di nuovo dentro si rese conto che il suo sesso cominciava a rispondere alle sollecitazioni.
Accidenti, le stava piacendo. Non aveva mai fatto una cosa del genere ed era veramente stupita.
Il clitoride si era gonfiato ed ogni volta che il pene si muoveva dentro di lei, non poteva fare a meno di toccarlo, facendole emettere dei mugolii sempre più forti.
Andarono avanti a lungo, finché Marco disse:
‘ora basta. Davanti è piena. Concentratevi sul culo.’
Ormai era così eccitata che aveva l’impressione che, nonostante la stessero penetrando dietro, i loro arnesi riuscissero comunque a stimolarle la vagina ed il clitoride.
Quando si fermarono era stanca, spossata ed aveva l’impressione di essere piena da scoppiare.
Marco le sollevò i capelli.
‘per evitare di sprecare tutto questo ben di Dio, ora ti metterò due bei tappi.’
In mano teneva due affari di gomma morbida, di un improbabile colore rosa violaceo.
‘ho faticato a trovarli così corti, perché in genere, i cazzi di gomma sono molto grandi, ma a me serviva qualcosa che chiudesse senza occupare tutto lo spazio utile.’
Ci mise un attimo ad infilarli nei suoi orifizi, dilatati e lubrificati da tutto lo sperma che ci era passato attraverso, poi strofinò con cura un asciugamano sulle parti esterne, per asciugare la pelle.
‘ora ci mettiamo un bel po’ di cerotto e vedrai che non uscirà neanche una goccia.’
Quando la rimise in piedi dovette sorreggerla, perché dopo tutto quel tempo a testa in giù, non riusciva a stare dritta.
‘adesso puoi andare a vestirti, perché si va tutti insieme a mangiare al ristorante. Vediamo se indovini quale.’
Patrizia era rimasta in silenzio, guardandosi il largo pezzo di cerotto che le chiudeva il pube, risalendo fin sulla pancia.
Gli amici di Marco erano tutti intorno ed avevano un’aria soddisfatta.
Si avviò lentamente in camera per vestirsi e si accorse che, ad ogni passo, tutto quello che aveva dentro sciacquettava in maniera fastidiosa.
Non riusciva a non pensare che, se durante il pranzo al ristorante i tappi ed il cerotto avessero ceduto, avrebbe fatto una figura terribile davanti a tutti.
Il pranzo fu un vero tormento, tra le occhiate del cameriere, che sicuramente non aveva dimenticato quanto successo nel bagno due sere prima, e gli sguardi degli amici di Marco che tanto si erano adoperati per riempirla.
‘devo andare in bagno.’
Aveva detto, rivolta al marito, quasi sussurrando.
Si era resa conto che ormai erano diverse ore che non faceva pipi, e si sentiva la pancia gonfia.
‘finisci almeno di mangiare, prima di andare a fare un altro pompino al cameriere.’
Aveva parlato ad alta voce, in modo che potessero sentire anche ai tavoli vicini.
Alla fine del pasto, quando lei ormai non ne poteva più, chiamò il cameriere.
‘la mia signora ha apprezzato molto la sua opera, l’altra sera. Potrei dire, per essere più chiaro, che muore dalla voglia di prendere nuovamente, in bocca, il cazzo di un bel cameriere.
Visto che oggi il locale è pieno, temo che il bagno delle donne non sia praticabile, ma suppongo che lei saprà trovare un luogo abbastanza appartato.
Naturalmente, se tra il personale della cucina c’è qualcuno interessato, mia moglie sarà lieta di soddisfare i desideri di tutto lo staff.
Unica cosa, come può ben vedere …’
Sollevò la gonna di Patrizia, mostrando al cameriere il cerotto in mezzo alle gambe.
‘… altri buchi sono momentaneamente indisponibili, quindi dovrete limitarvi alla bocca.
Vai pure, cara, segui il signore.’
Il cameriere la condusse in un piccolo ripostiglio, la fece sedere su uno scatolone e glie lo mise davanti alla faccia.
A Patrizia non restò altro che aprire la bocca ed eseguire, cercando pure di sbrigarsi, perché non ne poteva più e doveva andare in bagno al più presto.
Quando ebbe finito dovette accontentare anche il cuoco, un omone vecchio, grasso e pelato, che ci mise un mucchio di tempo a venire.
Per ultimo si presentò lo sguattero marocchino, un ragazzo magro, con gli occhi scuri che gli brillavano per la gioia, che ci mise invece pochissimo, prima di inondarle la bocca di una quantità spropositata di sperma.
Il cameriere la riaccompagnò nella sala e lei si precipitò in bagno.
Si accorse subito di avere un ulteriore problema: il cerotto aderiva fortemente alla pelle ed ai peli del pube.
Strapparlo via fu un lavoro lungo e dolorosissimo, ma quando arrivò finalmente a togliere quei maledetti tappi, fu una vera e propria liberazione, sentire tutto quello che aveva dentro, defluire finalmente nel water.
Rimase qualche minuto seduta e stremata, poi andò al lavandino per darsi una ripulita.
Si sciacquò a lungo la bocca, anche se praticamente aveva ingoiato quasi tutto, infine cercò un po’ di ripulirsi la faccia, provando ad eliminare le sbavature del trucco con un tovagliolo di carta bagnato.
Il ritorno a casa fu tranquillo, nel senso che Marco non le disse nulla.
La fece scendere dall’auto davanti al portone di casa e se ne andò.
Per tutta la settimana successiva, fece in modo di non incontrarla.
Solo una volta lei rimase in piedi fino a tardi, decisa a parlargli, perché trovava insopportabile continuare in quella maniera.
Era rimasta ad aspettarlo seduta sul divano, con la luce spenta.
‘Marco, senti, io ho sbagliato, ho torto, non so neanche capacitarmi di quello che ho fatto, ma non possiamo continuare così. Ti prego …’
‘e perché mai non possiamo?
Ho già prenotato il ristorante per domenica prossima.
I miei amici trovano che si mangia molto bene.
Pensa, che sentendo i commenti entusiastici di chi ha partecipato domenica scorsa, se ne sono aggiunti altri tre.
Naturalmente, se non ti sta bene, puoi sempre fare le valigie.
Ora vai pure a dormire.’
La teneva in pugno, perché Patrizia non lavorava ed ogni cosa era intestata a lui.
La aveva tolto la carta di credito ed aveva anche provveduto a farle cancellare la firma sul conto in banca.
Lui in casa non ci stava mai e lei, per mangiare, stava dando fondo alle provviste che c’erano in cucina, quando sarebbero finite, sarebbe rimasta anche senza cibo.
Si rese conto che non aveva altra possibilità che rimanere lì a subire le punizioni di Marco, finché non si sarebbe stancato.
E poi?
L’avrebbe perdonata, alla fine, oppure l’avrebbe comunque messa alla porta, dopo averla distrutta?
La domenica successiva, quando Patrizia sentì il rumore delle tapparelle che si alzavano, aprì gli occhi e scorse, nella stanza da letto, inondata dalla luce del mattino, la sagoma di Marco, suo marito.
Ci mise solo un attimo per ricordare quello che era successo esattamente una settimana prima e che ora, inesorabilmente, si sarebbe ripetuto.
Pensò che se avesse provato a supplicarlo, forse si sarebbe impietosito, ma le bastò solo uno sguardo, per capire che non sarebbe servito a nulla, così andò in bagno a prepararsi.
Prima di andare in soggiorno, dove l’aspettavano gli amici del marito, per riempirla di nuovo, si depilò completamente il pube, per evitare il ripetersi del dolore dello strappo del cerotto.
Sapeva già esattamente cosa doveva fare e così si diresse verso la poltrona e si mise docilmente in posizione.
Prima di cominciare, questa volta la stuzzicarono a lungo con le mani per farla eccitare, e così, quando fu penetrata per la prima volta, era già abbondantemente bagnata e cominciò a muoversi ed ansimare da subito, al punto che raggiunse l’orgasmo quasi immediatamente.
Fu una faccenda lunga e faticosa per lei, sia perché erano passati da nove a dodici, ma anche soprattutto perché la prima volta erano un po’ imbarazzati dalla situazione strana, mentre ora, vista anche la notevole partecipazione della donna, si diedero molto da fare.
Quando, dopo averla nuovamente sigillata con tappi e cerotto, Marco la mise giù, si sentì piena da scoppiare.
Si diresse camminando con circospezione verso la camera da letto, ma si accorse che un po’ di sperma stava filtrando attraverso il cerotto.
‘la prossima volta dovrò prendere dei tappi un po’ più grandi, perché, con l’uso intenso, i tuoi buchi si sono un po’ allargati.
Aspetta un attimo, che ci metto un altro po’ di cerotto, non vorrei che macchiassi il sedile dell’auto.’
Quando arrivarono al ristorante il cameriere le riservò un sorriso smagliante.
Cercò di mangiare velocemente e bevendo il meno possibile, perché sentiva già uno stimolo molto forte, ma sapeva benissimo che Marco non le avrebbe permesso di andare in bagno prima di aver soddisfatto il personale del ristorante.
Quando il cameriere la fece alzare per portarla nel ripostiglio aveva la vescica così gonfia che quasi non riusciva a camminare.
Patrizia aveva fretta ma lui era di tutt’altro avviso e pretese un servizio molto più accurato della volta precedente.
Lei prima dovette leccarglielo per bene finché non fu duro a sufficienza, poi, dopo averlo stretto dolcemente con le labbra, cominciò a muoversi in su ed in giù.
Ogni tanto la fermava, perché evidentemente voleva che durasse più della volta precedente, finché ad un certo punto lei sentì che si era fatto particolarmente duro.
Lui con una mano che le premeva dietro la nuca, la costrinse ad aumentare la velocità e l’escursione del movimento, finché non lo sentì irrigidirsi un attimo, poi si sentì inondare e soffocare.
La costrinse ad inghiottire tutto, poi dovette anche ripulirglielo per bene con la lingua, finché non rimase neanche la minima traccia di sperma.
Per fortuna le fu risparmiato il cuoco grasso, perché era a letto con la febbre, ma il giovane sguattero marocchino ne approfittò per avere una doppia razione.
Era eccitatissimo e la prima volta, nella concitazione dell’orgasmo, lo tirò fuori dalla sua bocca, proprio sul più bello, impiastrandole così la faccia ed il vestito.
La seconda volta stette più attento, e riuscì a venirle dentro la bocca.
Quando Patrizia finalmente riuscì ad andare in bagno, a parte il disastro che le aveva combinato il giovane marocchino, stava praticamente facendosela sotto ed aveva le gonna e lo cosce bagnate, nonostante il triplo strato di cerotto.
La seconda settimana passò esattamente come la prima: sola, in attesa del pranzo domenicale, con un’unica differenza: in casa stavano finendo le provviste.
Aveva pensato di vendere o impegnare qualche gioiello per fare la spesa, ma si era accorta che Marco aveva fatto sparire tutto.
Finì la settimana nutrendosi solo di pasta e biscotti, le uniche cose rimaste.
Poi il sabato pomeriggio ci fu una novità.
Marco, inaspettatamente, si presentò a casa.
‘vestiti, che ti porto a cena fuori. Suppongo che avrai fame?’
Certo che aveva fame, dopo due giorni passati a mangiare pasta al burro e biscotti!
‘ho trovato una trattoria un po’ rustica, in campagna, sono sicuro che ti piacerà.’
Più che una trattoria rustica era una specie di bettola, frequentata da muratori romeni e camionisti.
Un posto sudicio e mal tenuto, il cui unico pregio, oltre al costo contenuto, erano le porzioni abbondanti.
La qualità del cibo era decisamente scarsa ma Patrizia aveva una fame da lupi e divorò tutto, sotto lo sguardo divertito del marito.
Quando alla fine, dopo essersi fatto portare anche l’amaro si presentò il padrone con il conto, arrivò la sorpresa, poco piacevole, per Patrizia.
‘senta, sono veramente mortificato, ma mi sono accorto di essere uscito di casa senza il portafogli, quindi temo di non essere in grado di pagare i 48 ‘ del conto.
Come le sembra la mia signora?’
Patrizia aveva fatto un salto sulla sedia, ora cominciava a capire il perché di quello strano invito a cena.
‘beh, niente male direi, ma ‘ i miei 48 ‘?’
‘quanto sarebbe disposto a sborsare per scoparsi mia moglie?
Intendo una cosetta fatta per bene, del tipo che la passo a riprendere con calma domani mattina.’
Il padrone della trattoria si fece una bella risata e strappò il conto in mille pezzi.
‘benissimo, affare fatto. Lei signore può andare tranquillamente a casa, in quanto a te, bella mora, vedrai che questa sera ti faccio divertire.’
Patrizia vide il marito che usciva dal locale, mentre quest’uomo sconosciuto, la trascinava nel retro della trattoria.

Il padrone della trattoria aprì una porta, nascosta da una tenda scura, e la spinse dentro.
Si trovava in un corridoio semi buio, con diverse porte, su entrambi i lati, lui la spintonò senza tanti riguardi fino all’ultima sul lato di destra e poi la fece entrare.
Quando fu passato anche lui attraverso la porta, la chiuse a doppia mandata e si mise la chiave nella tasca dei pantaloni.
Per la prima volta Patrizia osservò con una certa attenzione quello che avrebbe potuto definire il suo nuovo padrone.
Era abbastanza vecchio, ed aveva un’aria sudicia e trasandata, sicuramente non lo avrebbe scelto mai per passarci una notte insieme, ma cominciava a rendersi conto che questa faccenda, per quell’uomo, era assolutamente ininfluente.
‘fatti un po’ dare un’occhiata. Voglio capire se ho fatto un affare oppure il tuo caro maritino mi ha tirato una sola.’
La stava guardando come se stesse scegliendo delle verdure al mercato.
‘beh, che fai?
Non penserai mica che io debba stabilire se sei vestita bene o meno.
Voglio vedere quello che c’è sotto.
Su, spogliati! O preferisci che ci pensi io?’
Patrizia, rassegnata, aprì la lampo del vestito e lo fece scivolare ai suoi piedi.
L’uomo le girò rapidamente intorno, poi le palpeggiò il sedere.
‘culetto un po’ magro, ma niente male, tutto sommato.’
Infilò le mani dentro il bordo del collant, sui fianchi e glie lo abbassò, insieme alle mutandine, fino alle ginocchia, poi le passò una mano in mezzo alle cosce.
Patrizia era rimasta impietrita, incapace di parlare e di muoversi.
‘bene, bene. Per 48 ‘ ci posso stare proprio.
Dai, che aspetti ancora? Togliti tutto e sdraiati sul letto.’
Solo allora lei si guardò intorno per osservare la stanza in cui si trovava.
Era un ambiente piccolo, con un letto ad una piazza, sudicio e semi disfatto, vicino alla finestra. Di fronte c’era un armadio a due ante, vecchio ed un po’ sbilenco, mentre completavano l’arredamento un comodino ed una sedia.
Patrizia si sfilò le scarpe e poi si tolse la biancheria intima, mettendola, piegata per bene, sulla sedia, infine andò a sedersi sul letto, con le gambe strette e le mani premute sulle cosce.
L’uomo la prese per le spalle e la scaraventò con il viso contro il cuscino, poi le allargò le gambe mettendola praticamente a cavalcioni del letto.
Lei cominciò a dimenarsi ma quando lui le diede un paio di forti sculacciate sul sedere, capì che non era il caso di fare storie.
‘allarga ‘ste chiappe, ‘ché io non ho tempo da perdere.’
Ora le stava sopra e con le mani le strizzava le tette così forte da farla gridare, mentre cominciava a ficcarglielo dentro.
Quando si fu accomodato bene, spinse ancora, fino in fondo, allargandole ulteriormente le chiappe con le mani, poi la prese di nuovo per le tette e cominciò a muoversi con una energia insospettata per un uomo della sua età.
Fu una cosa parecchio dolorosa per Patrizia, penetrata così brutalmente ed a freddo, ma per fortuna durò solo pochi minuti.
La fece girare e la costrinse a pulirglielo per bene, facendole raccogliere con la lingua anche il più piccolo grumo di sperma.
Quando gli fu tornato nuovamente in piena erezione, la fece rimettere nella posizione di prima e cominciò a massaggiarla in mezzo alle cosce.
Patrizia, già in parte eccitata da quello che aveva dovuto fare con la lingua, sentì il suo sesso bagnato che si apriva e lui subito ne approfittò per penetrarla.
Ora lei stava collaborando, anzi partecipava attivamente, seguendo i movimenti dell’uomo e gemendo.
Quando riprese a strizzarle i capezzoli, duri e gonfi, lei si sciolse letteralmente in un orgasmo incontrollabile, mentre lui le scaricava dentro, con gran foga, una bella quantità di sperma.
La girò e glie lo piazzò di nuovo davanti al viso, per una seconda pulizia.
Quando lei ebbe finito, le spinse la testa verso il basso e le disse semplicemente:
‘continua.’
Lei se lo ficcò in bocca e cominciò a succhiarlo.
Sentiva che lentamente il suo pene cresceva e si faceva duro. Tra un po’ sarebbe stato nuovamente pronto.
‘bene, fino in fondo, lo devi prendere tutto, dai che ci riesci.’
Ora, tenendola con una mano per la nuca, la stava costringendo ad aumentare l’escursione del suo movimento e, quando il collo era completamente piegato verso il basso, si sentiva quasi soffocare.
L’eiaculazione la prese di sorpresa e quando lo sperma le inondò la bocca, finendole anche in gola, quasi si strozzò, ma lui fu inflessibile e la costrinse ad ingoiare tutto, fino all’ultima goccia, recuperando con un dito quello che le era colato fuori dalle labbra.
Questa volta non dovette leccarlo perché lui si limitò a ripulirselo strofinandoglielo prima sulle guance e poi sulle tette.
‘brava. Devo dire che ho speso bene i miei soldi.’
‘per favore. Devo andare in bagno …’
Prese la chiave dalla tasca dei pantaloni, che aveva poggiato ai piedi del letto e la fece uscire dalla stanza.
‘è la porta di fronte, ma bada bene di non fare scherzi.’
Si sentiva uno schifo, sporca ed impiastrata dappertutto.
Il bagno non si poteva chiudere da dentro e c’era solo l’acqua fredda, ma doveva assolutamente darsi una ripulita.
Mentre in punta di piedi e a cosce larghe, davanti al lavandino, cercava di sciacquarsi per togliersi lo sperma ormai essiccato del vecchio, la porta si aprì.
‘ooohhh! E tu chi sei?
Ma che bella fica calda calda e già pronta che vedo!
Ah ‘ già, devi essere quella che non aveva i soldi per pagare la cena. Papà me l’aveva accennato.
è inutile che ti lavi ora, visto che dovrai ricominciare da capo con me ed il mio fratellino.’
Non aggiunse altro e la trascinò fuori dal bagno.
‘papà, se tu hai finito, la signora, adesso, si fa un giro con me e Felice.’
Aprì la porta della stanza a fianco e la spinse dentro.
La stanza era un po’ più grande della prima, visto che doveva contenere due letti, ma era arredata alla stessa maniera, cioè era sporca, puzzolente e trasandata.
I figli erano esattamente la copia del padre, brutti, sudici e violenti, con l’unica variante che, essendo molto più giovani, erano più forti e più resistenti.
Passarono gran parte della notte a scoparla ed incularla con grande impegno e quando lei, ormai troppo stanca, provò timidamente a rifiutare di fare un pompino ad uno dei due, l’altro la tenne ferma bloccandole le braccia dietro la schiena, mentre il primo le mollava degli schiaffoni sulle tette.
Vide i suoi poveri seni sballottati a destra ed a sinistra, diventare rossi e ricoprirsi di lividi, finché non la lasciarono andare e lei rimase accucciata sul pavimento a piangere.
Dopo un po’ si sentì tirare su per i capelli, uno la fece mettere in ginocchio mentre l’altro gli avvicinò nuovamente il cazzo alla bocca.
Questa volta Patrizia, succhiò, leccò, se lo ficcò bene in bocca, stringendolo con le labbra, senza più fare storie e, quando il primo ebbe finito, passò subito al secondo, con lo stesso impegno.
La mattina fu svegliata dal vecchio.
‘su principessa, è ora di alzarsi.
Mi ha appena telefonato tuo marito.
Purtroppo ha avuto un contrattempo e non può passare a prenderti, quindi dovrai rimanere qui qualche giorno.
Io gli ho spiegato che non posso tenerti gratis, ma lui ha detto che non vuole spendere neanche un centesimo per la sua troia.
Sì, ha detto proprio così.
A questo punto dovrai lavorare, se vuoi mangiare.
Potresti dare una mano in cucina, oppure ti potrei far servire a tavola.
Ma no. Che stupido!’
Disse dandosi una gran manata sulla fronte.
‘Potresti intrattenere i clienti.
Mi sembra che stanotte te la sei cavata piuttosto bene.’
Il primo, quella mattina, subito dopo colazione, fu un camionista turco.
L’idea che, per diversi giorni, sarebbe stata a disposizione di chiunque passasse per quel posto, la terrorizzava: sicuramente, se per caso fosse scampata all’AIDS, si sarebbe beccata tutte le possibili infezioni e malattie veneree conosciute.
Già il vecchio ed i suoi due figli non le davano molto affidamento da questo punto di vista, ma farsi scopare da una moltitudine di camionisti, che sicuramente si accompagnavano con le peggiori prostitute di strada, le sembrava la maniera più sicura per ammalarsi.
Il turco conosceva solo poche parole di italiano e quando lei accennò al preservativo, lui disse: ‘tu preservativo?’
‘no, non ce l’ho.’
‘allora scopare senza preservativo’, e per evitare ogni dubbio, le sollevò la microgonna a pieghe che le aveva fatto indossare il vecchio e glie lo schiaffò subito dentro, senza tanti preamboli.
Il resto della mattinata lo passò con tre muratori romeni che pretendevano di farlo tutti contemporaneamente, uno davanti, uno dietro, mentre lei doveva succhiarlo al terzo.
Provarono a lungo ed alla fine, quando ci riuscirono, andarono via tutti contenti come se avessero vitto alla lotteria.
Dopo pranzo riprese il lavoro. Era un viavai continuo di camionisti, muratori, operai, spesso brutti e puzzolenti, che entravano ed uscivano dentro di lei, a volte con il preservativo, a volte senza. Nella maggior parte dei casi, erano degli uomini che lei, in condizioni normali, non avrebbe minimamente degnato di uno sguardo e invece, ora, doveva sottostare ai loro desideri, senza neanche fiatare.
Verso sera era completamente distrutta, fisicamente e moralmente.
Pensò che non avrebbe resistito ad un altro giorno così, ma aveva dimenticato il vecchio proprietario del ristorante ed i suoi due figli, che vollero assolutamente ripetere quello che avevano fatto la notte prima.
Quando la mattina successiva il vecchio la svegliò e le porse la microgonna a pieghe, piena di patacche di sperma del giorno prima, dicendole che c’erano già un paio di clienti che aspettavano, Patrizia scoppiò a piangere, ma non ci fu nulla da fare e si dovette rimettere subito al lavoro.
Marco la venne a riprendere solo dopo una settimana.
Il padrone della trattoria gli disse che se voleva la poteva portare anche tutti i giorni, perché i clienti avevano molto apprezzato i suoi servizi.
Quando furono in macchina le diede appena un’occhiata.
‘Accidenti come sei ridotta, si vede proprio che ti sei data molto da fare.
Puzzi così tanto di cazzo che quasi mi viene da vomitare.
Ma quanti ne hai presi?
Sicuramente hai perso il conto, vero?
Ero sicuro che ti saresti divertita, ma non mi aspettavo fino a questo punto.’
Quando arrivarono a casa, stranamente Marco, invece di aprire con le chiavi, suonò il campanello.

Pochi secondi dopo che Marco ebbe suonato il campanello la porta si aprì.
Patrizia era stupita perché nessuno viveva con loro e quindi nessuno avrebbe dovuto trovarsi in casa.
Si trovò davanti una donna alta e bionda, robusta e formosa, che la guardò con sospetto prima di farla entrare.
‘ah, scusa. Dimenticavo le presentazioni.
Bogdana, questa è la troia di cui ti ho parlato.’
Poi, rivolto a Patrizia ‘naturalmente avevo bisogno di qualcuno che si occupasse della casa e Bogdana è molto brava. Viene dalla Moldavia, mi sembra di aver capito, ma ancora non parla bene l’Italiano.
No ‘ aspetta dove stai andando.
C’è stato qualche piccolo cambiamento in questi ultimi giorni.
Non potevi certo pensare che io avrei continuato a dormire in soggiorno per sempre.
Ora io e lei dormiamo in camera da letto, non è brava solo nelle faccende di casa, mentre per te ho preparato una stanza deliziosa in soffitta.
Vieni, che te la faccio vedere.’
Bogdana la guardava con aria di sfida, mettendo in mostra le sue tette grandi e prominenti.
La stanza della soffitta era una specie di cubicolo, senza finestra, in cui c’era soltanto un letto con un materassino di gommapiuma, una sedia, un cesso ed un lavandino.
Prima di farla entrare, Bogdana si fece consegnare tutti i vestiti, compresa la biancheria intima e le scarpe.
La soffitta era proprio sotto il tetto spiovente della casa e mancava di riscaldamento.
L’unica cosa che Patrizia poté fare fu avvolgersi nell’unica coperta, ruvida e sporca, presente sul letto e sedersi.
Prima di andarsene Bogdana tirò fuori da sotto il letto una grossa catena che terminava con un anello e glie la fissò ad una caviglia, chiudendola poi con un lucchetto.
La catena era ancorata al muro e le permetteva di arrivare al massimo alla porta della stanza, quindi, anche se fosse riuscita a sopraffare la sua carceriera, cosa improbabile data la stazza di Bogdana, non sarebbe mai riuscita a fuggire.
Dopo un paio d’ore tornò con il pranzo. In un piatto c’era una patata lessa che galleggiava in un brodino giallastro, oltre ad una fetta di pane.
Visto che non c’erano posate, Patrizia dovette mangiare la patata con le mani, poi, cercando di non sbrodolarsi, bevve il brodo inclinando il piatto.
Per l’acqua c’era il lavandino e, mettendo le mani a conca sotto il rubinetto, riuscì a dissetarsi.
Studiò meglio la sua prigione. Sul lavandino, da cui usciva solo acqua fredda, c’era un pezzo di sapone da bucato e il piccolo specchio attaccato alla parete non aveva neanche la luce.
L’unica fonte di illuminazione era una lampadina appesa ad una trave di legno del tetto, che si poteva spegnere tirando una cordicella.
In alto c’era una piccola griglia da cui sentiva provenire uno spiffero di aria fredda.
Il letto non aveva lenzuola, a parte un copri materasso di cotone, mancavano anche gli asciugamani e perfino la carta igienica.
Marco aveva studiato alla perfezione, nei minimi dettagli, le dotazioni della sua prigione, per renderle il più scomoda possibile la detenzione. L’avrebbe fatta sopravvivere, ma in condizioni limite, come una bestia.
Dopo qualche giorno si rese conto che, senza la possibilità di vedere fuori, le era impossibile conservare il senso del tempo.
Poteva al massimo dedurre, dai pasti che gli portava Bogdana, se fosse mattina o pomeriggio, ma se lei si fosse divertita a portarle il pranzo alle tre di notte, non se ne sarebbe mai potuta accorgere.
Una volta notò che il brodo aveva un sapore diverso dal solito, un po’ amaro.
Dopo un paio d’ore dovette alzarsi in preda a dolori di pancia fortissimi e, praticamente, passò tutta la notte (o almeno quella che lei credeva fosse la notte) sul cesso.
La mattina successiva, Bogdana, dopo aver sfoderato un gran sorriso le disse:
‘piaciuta cena, signora troia?
Piccolo scherzo. Messo solo purga, tanta tanta purga. Si dice così, vero?’
Le lasciò una tazza di latte con una fetta di pane e se ne andò ridacchiando.
Ci mise parecchio prima di trovare il coraggio di bere il latte. D’altra parte, se non mangiava sarebbe morta, quindi doveva correre il rischio e sperare che Bogdana non ripetesse di nuovo quello scherzo, o peggio, non la avvelenasse.
Nel giro di un mese Patrizia si rese conto che, stare chiusa in quella stanzetta, senza vestiti e nutrita soltanto con quel brodo schifoso e qualche patata lessa era una cosa peggiore delle esperienze precedenti.
Avrebbe preferito mille volte essere riempita di sperma dagli amici di Marco o, addirittura, essere scopata giorno e notte da una moltitudine di camionisti puzzolenti di ogni parte del mondo.
Il piccolo specchio del bagno ogni giorno le restituiva l’immagine del suo viso e del suo corpo che si deterioravano inesorabilmente.
Il ruvido sapone per i panni e l’uso dell’acqua fredda, uniti alla temperatura gelida della soffitta, stavano massacrando la sua pelle.
L’impossibilità di pettinarsi aveva trasformato la sua lunga capigliatura in una massa informe.
Aveva provato a lavarsi i capelli, ma senza shampoo e con l’acqua fredda, era stata un’esperienza terribile.
L’anello di ferro a cui era legata la catena, strusciando sulla caviglia, le aveva causato, all’inizio, una dolorosa ferita, che aveva impiegato molti giorni a rimarginarsi.
Un giorno, dopo circa tre mesi (lei aveva preso l’abitudine di incidere delle tacche sul muro, con le unghie, ogni volta che le sembrava fosse passato un giorno), Bogdana le sciolse la catena e la fece scendere al piano di sotto.
Marco la aspettava in soggiorno.
‘buongiorno, volevo vedere a che punto era la mia troia.
Fatti dare un’occhiata.
Mamma mia, sei diventata un vero cesso.
Hai una faccia orribile, con delle occhiaie enormi e sembra che al posto dei capelli ti sia messa in testa un cespuglio.
Che è successo alle tue belle tette?
Guarda come si sono ammosciate, evidentemente non erano di buona qualità.
E le tue gambe? Rinsecchite e piene di peli.
Ho l’impressione che ormai non sei più adatta neanche ai camionisti, che sono notoriamente di bocca buona.’
Bogdana, a fianco a lui, la guardava con aria trionfante.
Era vestita in maniera elegante e sembrava fresca di parrucchiere, il suo aspetto, rispetto alla prima volta che l’aveva vista, sulla porta di casa, era molto migliorato. Sicuramente poteva usufruire dei migliori estetisti, mentre lei marciva in quella stanzetta gelida.
‘sono veramente soddisfatto, sta procedendo tutto secondo i miei piani.
Oggi, visto che è il tuo compleanno, ma forse non te lo ricordi neanche, abbiamo pensato di farti prendere un po’ d’aria.
è ora di pranzo e sono sicuro che sarai onorata di apparecchiare la tavola e servire me e Bogdana.
Certo, mi rendo conto che non sei abbigliata nella migliore delle maniere, ma purtroppo i tuoi vestiti li ho regalati tutti alla parrocchia, d’altra parte serviva fare spazio per i suoi’, disse indicando Bogdana.
Patrizia fu costretta ad assistere al pasto di Marco con la sua nuova compagna, completamente nuda, in silenzio, pronta ad accorrere ad ogni loro richiesta.
Quando ebbero finito, Bogdana la mandò in cucina a prendere il suo pranzo (la solita patata con il brodo) che dovette mangiare seduta in terra, come un animale.
‘ti sarai chiesta perché non ti ho più fatto riempire dai miei amici.
Sicuramente comprenderai che nella settimana trascorsa nella trattoria, ti sei accoppiata con un mucchio di uomini, direi poco sicuri dal punto di vista igienico.
Quindi ora, per non far correre rischi inutili ai miei amici, bisognerebbe usare il profilattico e poi travasare il contenuto dentro di te, ogni volta, ma, onestamente, mi sembra una soluzione inutilmente complicata.
E poi, sinceramente, ora non ti troverebbero particolarmente gradevole, come aspetto.
Non ho ancora deciso cosa fare di te nei prossimi mesi ma, in ogni caso, escludo di portarti fuori da qui.
Ora Bogdana ti riporterà su.’
Quella breve visita al piano di sotto, che per un’ora le aveva fatto ricordare come era la sua vita prima di quella disgraziata cena al ristorante, l’aveva gettata in uno stato di depressione ancora più profonda.
Un giorno, durante una di quelle brevi visite in cui le portava da mangiare, Patrizia provò a parlare a Bogdana.
‘senti, per favore, io non ce la faccio più, sto impazzendo. Sola, qua dentro, da mesi, senza poter far nulla.
Ti prego, portami almeno qualcosa da leggere, un libro, una rivista, quello che vuoi.’
‘ah ‘ tu ti annoi?
Va bene.’
Non disse altro e se ne andò.
Aveva capito?
L’avrebbe aiutata?
Era rimasta impassibile alle sue parole, fissandola con quegli occhi gelidi, tra il grigio ed il celeste, senza far trapelare nulla.
Dopo un po’, sicuramente troppo presto per essere l’ora del pasto, sentì il rumore della chiave che girava nella serratura, allora capì che Bogdana non era rimasta insensibile alla sua supplica.
Quando la vide entrare, seguita da due uomini il suo stupore fu grande.

‘questi sono miei amici, di Moldavia.
Arrivati da poco. Non parlano Italiano, ma vedrai ‘
‘ meglio di libro, molto meglio.’
Uscì dalla stanza ridendo e si tirò la porta dietro si sé.
Impiegò qualche secondo per rendersi conto di essere completamente nuda sotto una coperta sudicia, sdraiata su un letto, incatenata al muro per una caviglia ed in presenza di due sconosciuti che la fissavano in maniera poco promettente.
Erano suoi fratelli, oppure parenti?
Magari tutti in Moldavia avevano gli occhi così.
Ma che cavolo era ‘sta Moldavia?
Quando andava a scuola c’era l’Unione Sovietica; certamente era uno dei tanti staterelli nato dall’esplosione dell’impero comunista, ma non riusciva assolutamente a collocarlo sulla carta geografica.
Sicuramente a est, probabilmente a nord.
Sì, a nord. Alti, biondi e con gli occhi molto chiari.
Aveva importanza?
Loro si stavano spogliando, parlottando in una lingua incomprensibile, e non sembravano minimamente toccati dal fatto che lei sapesse o meno in quale angolo del globo fossero venuti al mondo loro ed i loro cazzi.
Era alti e robusti, con una faccia che le sembrava allo stesso tempo cattiva ed inespressiva.
Uno dei due, dopo averle tolto di dosso la coperta, le aprì il lucchetto che le bloccava la caviglia (evidentemente Bogdana gli aveva lasciato la chiave) e le allargò le gambe mentre l’altro, che si era messo alle sue spalle, le teneva ferme le braccia.
Dopo mesi di quasi immobilità, chiusa in quella stanzetta ed alimentata solo a brodo e patate lesse, Patrizia non era certo in grado di opporsi minimamente a quei due, e così assistette immobile alla preparazione.
Aveva un pene grande e lungo, parzialmente eretto.
Se lo toccò un po’ finché non ritenne che fosse pronto, poi prese una scatolina e ne estrasse con cura un profilattico.
Le scritte sulla scatola erano strane. Pensò che stava per essere scopata con un profilattico moldavo.
Sicuramente era fuori di testa, se si preoccupava della nazionalità dei preservativi.
Lui impiegò diversi secondi per infilarselo, ma poi fu rapidissimo nel passare all’azione.
Mentre l’altro, da dietro, la teneva saldamente, le allargò ancora di più le cosce e la tirò in avanti fino a portarla con il ventre alla fine del letto.
Patrizia gridò solo quando, con una certa brutalità, le afferrò i peli del pube con una mano e tirò verso l’alto per sollevarla.
Un attimo dopo il profilattico moldavo, con tutto il suo contenuto, era già dentro di lei.
Dopo mesi di inattività e così a freddo, senza nessun preambolo, fu molto doloroso.
Passato qualche minuto, accortosi che lei non reagiva, quello che stava dietro le lasciò libere le braccia e cominciò a toccarla.
Iniziò a palpeggiarle i seni con una certa cattiveria, finché decise che era meglio strizzarle i capezzoli.
Patrizia gridava per il dolore mentre l’altro, eccitato dalla scena, aveva aumentato il ritmo.
Ora lo sentiva di più, dentro la sua vagina che si era aperta, nonostante la debilitazione fisica dovuta a quei mesi di prigionia.
Il dolore causato dal crudele trattamento riservato ai suoi capezzoli, ora diventati duri e prominenti, aveva evidentemente risvegliato i suoi istinti e sentiva il clitoride indurirsi progressivamente.
Anche i due moldavi si erano accorti del suo cambiamento.
Quello davanti le aveva piazzato le mani sui fianchi e lo stava spingendo fino in fondo, sempre con più energia, mentre l’altro si accaniva sempre di più sui suoi capezzoli arrossati.
Dopo che ebbe raggiunto l’orgasmo si tolse delicatamente il profilattico e lo avvicinò al viso di Patrizia.
Le fece aprire la bocca e le versò dentro tutto il contenuto, strizzandolo fino all’ultima goccia.
Si fece subito avanti il secondo, e lei raggiunse quasi subito l’orgasmo mentre l’uomo continuava imperterrito a scoparla con grande energia.
Seguì naturalmente l’esempio del suo compagno e lei fu costretta di nuovo ad aprire la bocca ed inghiottire tutto il suo sperma.
Poi la girarono e si dedicarono al suo culo.
Le allargarono per bene l’orifizio con le mani finché lei non gridò per il dolore, poi, repentinamente, le dita furono sostituite da un bel cazzo made in Moldavia.
Dopo averla inculata entrambi, la girarono nuovamente di schiena sul letto e le versarono in bocca il contenuto dei profilattici.
Patrizia era sfinita e quasi non si accorse quando loro abbandonarono la stanza, dopo averle rimesso la catena alla caviglia.
Quando Bogdana venne a portarle la cena, era ancora sdraiata sul letto, incapace di alzarsi.
‘stanca?
Bello il libro, vero?
Guarda, oggi due patata, perché lavorato tanto.’
Lasciò per terra il piatto con due patate a mollo nel solito brodo e richiuse la porta.
I due moldavi vennero a trovarla diverse volte, riservandole sempre lo stesso trattamento.
Ormai il suo letto era ridotto ad una vera e propria porcheria, con il lenzuolo e la coperta pieni di macchie.
Quando andava a dormire il tanfo che proveniva dal letto le dava il voltastomaco.
Alla fine decise di provare a lavare almeno il lenzuolo, rimandando il turno della coperta alla stagione più calda.
In quella stanzetta senza sole e senza riscaldamento il lenzuolo, lasciato piegato sulla sedia, impiegò tre giorni ad asciugare, costringendola a dormire sulla gommapiuma del materasso.
Aveva appena finto di risistemare il lenzuolo pulito che si riaprì la porta e ricomparvero i due moldavi.
Questa volta, probabilmente in segno di disprezzo, vanificarono tutti i suoi sforzi tesi a mantenere il suo letto in condizioni accettabili, perché alla fine, pensarono bene di farsi masturbare da lei e, dopo averla abbondantemente schizzata di sperma, la lasciarono sporca e demoralizzata, in un letto ancora più sudicio.
Quella sera Bogdana venne a portarle la cena insieme a Marco.
‘mamma mia che schifo!
Che puzza!
Ti stai veramente trasformando in una scrofa.
Dovresti proprio farti una bella doccia calda.’
‘Marco ‘ ti prego, basta! Cosa vuoi ancora da me?
Lasciami andare via. Non ne posso più.’
‘e dove vorresti andare, combinata così?
E poi sei appena all’inizio.
Ora mangiati la tua bella cena. Anche stasera doppia razione di patate.’
il giorno dopo Bogdana le portò quattro Moldavi.
Non li aveva mai visti, ma a giudicare dall’aspetto, in quel paese dovevano avere una specie di macchina che sfornava persone tutte più o meno uguali.
Fecero esattamente quello che avevano fatto tante volte i primi due, come se Bogdana li avesse ben istruiti prima.
Naturalmente, essendo in quattro, ci impiegarono molto più tempo e, quando andarono via era parecchio tardi e la sua cena, che era stata lasciata in un angolo era ormai completamente fredda.
Dopo una breve primavera arrivò un’estate particolarmente torrida e la stanzetta di Patrizia, così gelida per tutto l’inverno, si trasformò in un autentico forno.
Gli uomini che venivano regolarmente per scoparla, ansimavano e sudavano e, alla fine, le lasciavano addosso la puzza del loro sudore, oltre a tutto il resto.
Lei cercava disperatamente di lavarsi a pezzi, nel piccolo lavandino, ma aveva l’impressione che la loro puzza l’avesse ormai impregnata in profondità.
Marco ogni tanto si faceva vedere e controllava il suo stato, nel senso che sembrava gioire particolarmente al suo disfacimento fisico e psichico.
Seguiva con particolare interesse la trasformazione di quella che era stata una donna giovane ed attraente in una specie di orribile befana, un essere che ogni giorno si abbrutiva di più.
Naturalmente non mancava di fare commenti sarcastici sul suo stato e sulla sua bruttezza.
Un giorno si presentò insieme alla Moldava, con un vassoio con dentro una siringa, un contenitore di plastica ed un laccio emostatico.
‘niente paura, Bogdana nel suo paese faceva l’infermiera.
Voglio solo farti fare delle analisi per vedere se nel periodo in cui ti sei accoppiata senza preservativo, hai contratto qualche malattia.’
Patrizia si fece togliere il sangue docilmente. Ormai era completamente sottomessa e non aveva più la forza per opporsi a qualsiasi cosa volessero farle.
La comunità moldava della città continuava a frequentare la sua stanzetta, anzi, più passava il tempo e più le visite si facevano intense.
Con il tempo aveva imparato a riconoscerli e non li trovava più tutti uguali.
Di qualcuno aveva pure imparato il nome.
Ce n’era uno in particolare che temeva, perché quando era con lei, si comportava in maniera sadica e crudele; non che gli altri fossero buoni, visto che la trattavano come una specie di animale, ma quello in particolare, che veniva sempre da solo, sembrava godere enormemente a vederla soffrire.
Lei un po’ sotto sotto, doveva ammetterlo, aveva sempre provato piacere ad essere maltrattata, ma quell’uomo le faceva veramente paura.
La prima volta, prima di penetrarla, l’aveva picchiava, aveva detto per ammorbidirla e poi, dopo averla scopata, le aveva allargato ancora di più le cosce ed aveva cominciato a colpirla con la cinghia dei pantaloni.
Lo aveva fatto in maniera metodica: un colpo a sinistra ed uno a destra, partendo dalle ginocchia.
Ad ogni colpo, che lasciava una striscia violacea sulla pelle delle sue cosce, si avvicinava di qualche centimetro alla sua vagina.
Quando l’avrebbe colpita sul suo sesso, esposto, dilatato ed eccitato, sarebbe morta per il dolore, ne era sicura.
Non aveva neanche il coraggio di immaginare cosa si poteva provare ad essere frustata proprio .
Avrebbe almeno dovuto provare, per istinto, a chiudere le gambe, per cercare di preservare quella parte così delicata.
Sarebbe sicuramente stato un tentativo inutile, ma avrebbe comunque dovuto tentare.
Invece era rimasta immobile, a guardare i segni delle cinghiate che si facevano sempre più vicini, accorgendosi che la cosa, tutto sommato, la stava eccitando.
Il primo colpo era arrivato di striscio, ma il bruciore, su una delle labbra, completamente aperta e dilatata, era stato fortissimo, nonostante lui avesse ridotto di molto l’energia che aveva impiegato fino ad ora, per colpirle le cosce, evidentemente per non rovinarla troppo.
La seconda cinghiata le era entrata dentro, ed aveva sentito come una scossa fortissima che attraversava tutta la sua schiena, per poi esploderle nel cervello.
Aveva l’impressione che qualcosa di rovente le fosse entrato dentro, e le stesse mangiando la carne.
La colpì ancora tre o quattro volte. Il dolore si era fatto insopportabile, ed il suo clitoride, gonfio e duro, le mandava delle fitte terribili.
Quando la penetrò nuovamente, comprese di essere in preda ad un orgasmo incontrollabile.
Quando l’uomo abbandonò la stanza, la lasciò, incapace di fare il minimo movimento, in preda a delle sensazioni fortissime e contrastanti: dolore e piacere.
Tornò spesso, quell’uomo, ed ogni volta si ripeté lo stesso copione.
Patrizia, con il passare del tempo aveva sempre più orrore e paura di se stessa.
Era diventata una specie di animale, completamente sottomesso a chiunque entrasse nella sua prigione. Un animale che provava piacere quando qualcuno le infliggeva il dolore.
Il suo aspetto, con i capelli lunghi, arruffati e sporchi, con la carne flaccida e segnata dalle cinghiate di quel terribile aguzzino, era finito in secondo piano. Provava schifo ed orrore per quello che era dentro, ma non poteva fare a meno, ogni volta, di godere, anche nella sofferenza, anzi, di godere di più proprio grazie alla sofferenza.
Era tornato l’inverno e quindi il freddo, ma ormai si era abituata anche a questo.
Aveva anche smesso di contare i giorni, facendo tacche nel muro con le unghie.
Quella porta continuava ad aprirsi per lasciare entrare uomini biondi e con gli occhi chiari, Bogdana che gli portava il solito schifo di pasti e, qualche rara volta, suo marito Marco che veniva a vedere come procedeva il suo annichilimento.
Si aprì la porta, per l’ennesima volta.
Era Marco.
Teneva su un braccio una vestaglia rossa e nella altra mano un paio di pantofole da donna, dello stesso colore.
‘Patrizia …’
L’aveva chiamata con il suo nome. Era un secolo che non lo faceva.
‘… oggi è un anno esatto. La tua punizione è finita, ti riporto giù.’
‘… e Bogdana?’
‘le ho dato la liquidazione. è già in volo per la Moldavia. Puoi riprendere il tuo posto.’
L’aiutò a mettersi la vestaglia e le pantofole.
Era morbida e pulita, era un mucchio di tempo che non metteva addosso qualcosa di pulito.
Quando si alzò, franò addossò al marito: era troppo debole per stare dritta e poi, non era più abituata a camminare con qualcosa ai piedi.
Marco dovette sostenerla per tutto il tragitto fino al piano di sotto.
‘spero che tu abbia imparato che non si fanno i pompini ai camerieri.’

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