Oltre l’amore
Litigavano ormai quasi tutte le sere. Sicuramente aveva l’amante. Lara ne era certa. Solo un altro uomo poteva spiegare il comportamento della madre. Suo padre si struggeva per questo, faceva di tutto per compiacerla, ma lei lo trattava sempre a pesci in faccia. L’ostilità e il risentimento di Lara crebbero fino a diventare incontenibili. Aveva sedici anni, tre in più di Alberta, la sorella, e riteneva di comprendere bene i rifiuti della madre. E non era sicuramente una questione sessuale. L’aveva sentito bene nelle liti furibonde. ‘Sì, è vero’, diceva la madre, ‘Mi facevi godere e tanto, ma ora non voglio più, perché qualcosa è cambiato dentro di me. Non ti amo più: questa è la verità. Non mi costringere a stare col ricatto affettivo delle figlie. Saranno sempre mie e le potrai vedere quando vorrai. Io ho diritto ad un’altra occasione’. Il padre, quindi, la faceva godere eccome. Del resto, lei aveva carpito fino a qualche anno prima i lamenti, i gemiti, le leggere grida della madre quando faceva l’amore con suo padre. Inoltre, lei aveva visto gli attributi paterni: erano più che apprezzabili, a quanto aveva potuto constatare in video porno. Non lo amava più: che balla! Amava il cazzo di un altro uomo: questa era la verità. Ma che se ne andasse pure! Basta che la lasciava stare con suo padre. Se lo poteva scordare che andasse con lei: nessun giudice al mondo l’avrebbe costretta.
‘Papà’, disse una sera al padre, dopo l’ennesimo litigio avuto da questi con la moglie, che, malinconico, s’era abbandonato sul divano, ‘ mi vuoi davvero bene, tanto da non potere vivere senza di me, più di Alberta?’. E si accomodò accanto a lui in canotta e slip.
‘Le figlie si vogliono bene tutte allo stesso modo. Vi adoro. Certo, non riuscirei a vivere senza di voi. E’ così. Non riesco ad immaginarmelo proprio’.
‘Lo so. Però, se mamma se ne va, vorrà portarci via tutte e due. Alberta che è più piccola non si potrà rifiutare, ma io, io voglio restare con te. Se la mamma ti chiedesse chi vorresti con te, se ti dicesse che una delle figlie te la lascerebbe, chi di noi due sceglieresti? Fa conto che un re malvagio ci tiene prigioniere e vuole uccidere una delle due e la scelta la pone a te e, se tu non la fai, per ripicca ci ucciderebbe entrambe. Perciò, sei costretto. Dico sul serio, papà: sei costretto, devi scegliere’.
Il padre la guardò pensieroso. Gli occhi di Lara erano di fuoco, mentre lo fissava. Sì, Lara era serissima: non poteva non rispondere.
‘Sai già la risposta: tu sei la più grande, tu sei la mia preferita. Sei nata prima di Alberta e ti ho tenuta tre anni di più tra le mie braccia. Sei la mia preferita’.
Lara schiuse le labbra in un sorriso leggero, le pupille si erano addolcite.
‘Sei il mio amore, papà, la mia vita. Non ti lascerò mai. Pulirò casa, stirerò, cucinerò: non avrai mai motivo per rimpiangere mamma’.
‘Che cosa dici, figlia mia! Tua madre non andrà via. E’ un momento di crisi: succede in tutte le coppie. Si risolverà e nessuno andrà via. Alberta non potrebbe vivere lontano da me e da te. Siete troppo legate. Tutto si aggiusterà, stai sicura’.
‘Non si aggiusterà nulla. Lo so. Perché vuoi trattenere a tutti i costi una donna che vuole andarsene? Amare chi non ti ama è tempo perduto’.
‘Lara, Lara, è tua madre, non una donna qualsiasi. E io ne sono tanto innamorato’.
Lara non commentò, poi, come inseguendo un suo pensiero, chiese: ‘Mi trovi bella? Non mi rispondere che tutte le figlie lo sono per i padri. Voglio il tuo giudizio come se mi vedessi passare per la strada. E non tirare fuori la storia che i cinquantenni non guardano le ragazze’.
‘Adolescenti, Lara, adolescenti. E di anni ne ho cinquantaquattro. Tuttavia, se una ragazza è bella capita che la guardi. Certo che sei bella, anzi bellissima: giudizio da maschio, non da padre’.
‘Che cosa trovi, da uomo, che abbia di più attraente? Le mie gambe, il mio viso, il mio seno. Trovi che sia ben fatto il mio seno?’.
‘Certo che hai un bel seno. Sicuramente si plasmerà ancora nei prossimi anni. Hai un bel viso e delle splendide gambe. E posso ben dirlo, visto che ho la fortuna di poterle ammirare da vicino e in tutto il loro splendore, dato che cammini per casa sempre seminuda. Vatti a coricare. Lasciami stare con le mie malinconie’.
‘Non voglio che tu sia malinconico. Non sono riuscita per niente, allora, con la mia presenza a strapparti al tuo abbattimento. E’ possibile che ti lasci ridurre sempre così da mamma? E io non conto, non ti basta sentirmi vicina?’.
‘Lara, Lara. Tu e tua sorella contate più della mia vita. Ecco, perché sono così abbattuto! Non solo perché tua madre mi dice esplicitamente che non mi ama più ‘ e non riesco a immaginarmi senza di lei, – ma anche perché vi vuole portare via da me. Non vedervi girare per casa la mattina quando vi alzate, non venirvi a trovare nella vostra camera, sedermi accanto, scherzare, darvi il bacio della buona notte, la mancanza di tutti questi momenti mi fa ammattire. Ti ho vicina ora, ma tremo al pensiero che magari la prossima settimana non ci sarai più qui accanto a consolarmi’.
‘Oh, papà, mi avrai sempre vicina’. Si alzò dal divano per andarsi a sedere sulle gambe del padre, abbandonandosi dolcemente col capo sul suo petto. ‘Non mi porterà via. Non starei neanche un solo giorno senza di te. Compirò sedici anni tra due mesi. Il magistrato non potrà non tenere conto della mia decisione. Urlerò a squarciagola che voglio stare con mio padre. Immagina io e te qui insieme senza di lei che ci affligge. Perché, quando tratta male te, mi ferisce e poi mi ronza. Tienimi, tienimi stretta, papà. Non ti lascerò solo, dovessi morire’.
Anselmo si strinse di più al petto la figlia, mentre le baciava la fronte, i capelli, con la mano destra le accarezzava amorevolmente la coscia. Lei gli prese la mano con la sua e pian piano, senza che lui ci facesse lontanamente caso, la trascinò fino al suo grembo. Voleva che lui ne sentisse il calore e ne provasse desiderio e voleva sussultare di piacere nel sentirsi toccare, sfiorare. Lasciò così che le dita di lui, totalmente e innocentemente abbandonate, sospinte dalla mano di lei, cominciassero negligentemente a scorrere sulla piega del sesso. Si sentì solcare da brividi incendiari nella schiena, nel petto e il grembo pulsare, chiuse gli occhi e, così, stretta a suo padre, si abbandonò alle sensazioni che la percorrevano. Fu ad un certo momento che lui si rese conto che i suoi polpastrelli scorrevano, sopra il tessuto leggero dello slip, sulla piega segreta del grembo e non pensò nemmeno per un istante alla malizia della figlia. Era tutto un caso innocente. Doveva allontanare la mano senza darlo a vedere. Non poté evitare di rilevare il tepore umido di quella insenatura, di percorrerne lungo il solco il tragitto. Sollevò la mano, staccandola da quella della figlia per raccoglierle il viso e baciarla sugli occhi.
‘Su avanti, va a dormire. Domani mattina ci vorranno gli argani per tirarti dal letto’.
‘No, no, ti prego, lasciami stare ancora un altro poco con te. Che faccio sul letto: mi giro e mi rigiro, mi innervosisco di più e rimarrò sveglia tutta la notte. Ti prego, se mi ami, lasciami stare con te, così, in silenzio, ancora un poco. Tienimi solo stretta e accarezzami, accarezzami tanto, fammi sentire che sono tutta tua’.
‘Se tua sorella si sveglia e non ti trova lì accanto, finirà con lo scendere pure lei e, se mamma se ne accorge, succede il finimondo’.
‘Non ci pensare, sta zitto, tienimi solo abbracciata e accarezzami. Sii solo con me, senza pensare a lei’. E, presagli la mano ancora una volta, se la serrò al seno. ‘Non senti che tremo. Stringimi e accarezzami come quando ero piccolina e scacciavi le mie paure come quella dei tuoni’. Come avrebbe potuto lui non avvertire il seno caldo e pieno, stentoreo, della figlia, come avrebbe potuto non avvertire uno dei capezzoli che pigiava prepotente contro il palmo della sua mano? Lo costrinse quasi a stringere uno dei seni, ma questa volta lui non se ne dolse. Sentiva una grande serenità invaderlo, come una nave che dopo una burrasca attracca nel porto sicuro e tranquillo. Si sentiva protetto dall’amore di sua figlia, dal sentirla così stretta a sé. Curiosamente era come se fosse lui il figlio e il seno della figlia che stringeva fosse quello di sua madre. E, sotto la pressione più pressante di lei, lui si aggrappò di più a quella mammella così turgida e calda, sopra il tessuto della canotta, come ad una gomena in un naufragio. Ma lei non si accontentò e volle che anche l’altra mano di lui attraccasse sull’altro seno. Sembravano un gruppo marmoreo, lui, i polsi incrociati sul petto di lei, con le mani strette sui seni, e lei così serrata contro di lui da parere un tutt’uno. Rimasero forse più di un’ora in quella posizione. Poi, lei si addormentò e lui, tenendola in braccio, salì la scala che portava al piano superiore e la sistemò nel suo lettino, di fianco a quello di Alberta. La baciò con commozione, poi si girò a guardare la figlia minore, sorrise e si chinò a baciarla. Guadagnò la sua camera da letto, dove la moglie già dormiva.
II
Anselmo era uscito da un pezzo da casa per andare in agenzia, quando Lara si alzò, seguita poco dopo dalla sorella. Entrata in bagno, si stiracchiò tutta, poi, si guardò allo specchio. Suo padre aveva riconosciuto che era bella e non aveva rifiutato di serrarle i seni. Sicuro, non lo aveva fatto con malizia, ma certamente ne aveva apprezzato la femminilità così superba. Si tolse la canotta e contemplò il suo petto. Era una terza reale il suo seno. Imbronciato, la guardava dallo specchio.
A coppa di champagne, bello, tornito, sodo, sostenuto, i capezzoli un vero e proprio bocciolo che guardavano verso l’alto. Erano perfetti, quasi fossero stati scolpiti nel marmo di Carrara. Ed erano solo di suo padre, perché solo lui li avrebbe potuto stringere, stordire di baci. Al solo pensiero rabbrividì. Li accarezzò orgogliosa. Sì, erano davvero belli e seducenti. Scese con le mani, lentamente, lungo i fianchi fino ad incontrare l’elastico dello slip, che a poco a poco abbassò. Guardò, prima nello specchio poi direttamente, il triangolo scuro del suo sesso, rigoglioso di peli e lo accarezzò. Chissà se suo padre era riuscito a sentirne il turgore delle labbra segrete. Lei ci aveva tentato, ma non avrebbe potuto fare come con il seno. Si sarebbe spaventato e l’avrebbe cacciata via. Avrebbe dovuto avere tanta pazienza se voleva sedurre suo padre e legarlo a sé. Sorrise e si indirizzò al box doccia.
‘Guarda che ci sono pure io’, gridò Alberta. ‘E’ possibile che mi fai arrivare sempre tardi a scuola? Ti vuoi sbrigare. Nemmeno se avessi la rogna. Ci vogliono cinque minuti per farsi una doccia’.
Lara non la degnò di una risposta. Uscì con il suo comodo dal box, guardando con aria di sufficienza la sorella. Si truccò come se fosse dovuta andare ad una festa da ballo, rientrò nella sua camera e scelse un vestito fatale o quasi.
Quando la madre, vicino all’uscita, la vide così truccata e vestita andò su tutte le furie.
‘Tu così non esci. A scuola non si va così stuccate. Quello non è fard , ma stucco. Lavati subito la faccia e non ci vuole altro’.
‘Lasciami. Io esco così. Mi piaccio così. Le mie compagne si truccano, non vedo perché a me è vietato’.
‘Tu, sei tu, perché sei mia figlia e a scuola si va con la faccia pulita. Poi, tu non sei truccata leggermente, ma da puttana, capito, da puttana’.
‘Guarda chi parla. Il mio, se lo fosse e non lo è, è solo un trucco. Puttana è chi cornifica il marito’.
‘Come ti permetti, screanzata. Che vuol dire ‘chi parla!’?’. Le prostitute si truccano così per adescare i passanti. Non adesco nessuno io e tanto meno con un trucco così vistoso, pesante. Tu non esci, se non ti lavi la faccia’. La prese per un braccio tentando di trascinarla verso il bagno.
‘Lasciami. Lo dico a papà, appena torna, e vedi come ti metterà a posto. Che ci stai a fare qui. Lasciami in pace. Io faccio quello che voglio’.
‘Col cavolo. Tu fai quello che dico io, almeno fino a che non fai diciotto anni e stai in casa con me’. E tentava di trascinarla verso il bagno. E, visto che la figlia tentava di sfuggirle, la prese a schiaffi. E a spintoni la portò in bagno, la sospinse sul lavandino e le lavò scompostamente il viso. Lara era furente nella sua umiliazione. Avrebbe potuto difendersi più duramente con la madre, ma non aveva avuto il coraggio di farlo. Giurò dentro di sé che gliel’avrebbe fatto pagare.
Alberta era rimasta impietrita a guardare l’alterco tra madre e figlia. Lei voleva molto bene alla madre, però non avrebbe mai immaginato che si sarebbe così comportata con la sorella. Ma Lara le aveva dato della puttana, anche se la prima pietra in questo senso l’aveva scagliata la madre.
Con la testa china e il viso struccato e pulito Lara le si fece vicino, la fissò con rancore, poi si avviò verso l’uscita. Alberta la seguì.
Quella non fu l’unica lite della giornata. Nel pomeriggio, Luciana convocò le figlie per avvertirle della sua decisione.
‘Avete ormai capito che io e vostro padre non possiamo stare più insieme. So che lo adorate e non vi vieterò in alcun modo di non vederlo anche una volta la settimana, purché stiate con me. Alberta, tu che dici?’.
‘Dico, mamma, che io non voglio stare senza papà. Non voglio nemmeno stare senza di te, ma anche senza papà’.
‘Alberta, hai tredici anni, sei una signorina e sai che, purtroppo, non dipende dalla volontà cattiva di uno dei coniugi rompere una unione. Non trovi che sia meglio vivere con tua madre, piuttosto che immersa in una continua lite tra insulti e risentimenti? La domenica, te lo prometto, la passerai con tuo padre’.
‘Se devo venire con te, che posso fare? Non ci sarà più papà a darmi la buona notte, però’.
‘Mi dispiace, ma è così. Chiederlo a te, Lara, è inutile: conosco già la risposta. Dovevo solo notificartelo ufficialmente dinanzi a tua sorella. Domenica pomeriggio ci trasferiamo’.
‘Te lo puoi scordare: da casa mia, perché questa è casa mia, non mi schiodo’.
‘Vedremo, vedremo’.
‘C”è poco da vedere’, replicò Lara decisa, mentre girava le spalle per risalire nella sua camera. ‘Resterò con mio padre. Se ti piace è così, e se non ti piace è pure così. Non ti basta a tenerti compagnia qualche ganzo?’.
Luciana avvampò. Avrebbe parlato da sola a sola con quella sfrontata.
‘Vieni, Alberta, in cucina: dammi una mano’.
Una mezz’ora dopo, mentre Alberta provvedeva a passare i pomodori, Luciana saliva da Lara.
‘Senti, signorina, la persona che starà con me non sarà un magnaccia, ma per bene e tu gli porterai rispetto. Nessuno chiederà a te di volergli bene, ma rispetto sì. Se pensi di fare la grande offendendo, esasperi me, ma insulti te stessa e la tua intelligenza. Mi auguro che tu possa incontrare un uomo da amare l’intera vita, ma, se questo non accadesse, avresti tutto il diritto di ricostruirtela, non credi? Tu pensi che saper bene scopare è quello che conta. Ebbene, tuo padre lo fa molto bene. Ma, il sesso è un fatto di mente: quando non si ama, non funziona più nemmeno lì sotto. Ti dà fastidio, ti urta. Un po’ come fossi stuprata’.
‘ Tu sei malata, mamma. Di colpo papà non va più. L’amore, puf, è svanito’ perché qualche altro, lì sotto, come tu lo chiami’ Non dire fregnacce’ Non mi interessa ormai più quel che fai, con chi vai: sono cavoli tuoi. So solo una cosa: non voglio stare con te. Ho sedici anni e ho tutto il diritto ‘ visto che mi si costringe ‘ a scegliere di stare con mio padre. Puoi farmi scortare anche dai militari: scapperò e tornerò da mio padre’.
‘Il quale, proprio perché ti vuol bene, non ti riceverà, perché ha cuore e buon senso. Non ti rispondo sul resto: è fiato perso’.
‘Papà, non mi caccerebbe mai sulla strada. Ha bisogno di me, come io di lui. Perché non ti rassegni e mi lasci con mio padre. Non abbiamo alcun bisogno di te. Urlerò al mondo intero che non voglio stare con te, lo scriverò con lo spray sui muri, sui palloncini che lascerò volare in cielo. Io e papà staremo benissimo senza di te. Mi curerò di lui, come tu non hai fatto e non sai fare. Lui mi ama e io lo amo. Non mi sniderai da qui. Non vengo con te’.
‘Tu verrai con me e tranquillamente. Mi basterà accennare alle autorità, se mi costringi, accennare che tuo padre ti rivolge attenzioni non consone ad una figlia’.
Lara annichilì e una furia incontenibile l’assalì. Non vedeva più dinanzi a sé la madre, ma una donna che la ricattava nella maniera più bassa, meschina.
‘Tu non sei solo stronza, ma malata e cattiva, proprio cattiva. Manderesti in carcere un uomo che ti ha amato come una dea. Non sei degna di vivere. Mi fai schifo’.
Luciana la fissò gelida e impassibile sillabando: ‘E’ tutto’.
‘Vaffanculo’.
Quando la madre uscì, la mente di Lara entrò in ebollizione. Aveva capito che amava suo padre di un amore non solo filiale? O aveva sputato quel veleno solo per vincere il suo punto. Sapeva che adorava il padre. Anche se alla fine avrebbe potuto spuntarla, sarebbe rimasto sempre il sospetto nella gente che se la intendeva con suo padre. Oh, sì, lei voleva andare a letto con suo padre, ma senza che alcuno almanaccasse il più remoto sospetto, neanche se fosse stata maggiorenne. Lei lo aveva tentato, ma senza nessuna riuscita. Il fatto era che sia lei che la sorella erano state abituate a girare nude o quasi per casa e, probabilmente, se non fosse stato ostentato con sensualità e malizia, il loro nudo non eccitava papà. Eppure, lei, per provocarlo, tante volte, almeno nell’ultimo anno, lasciando la lampada del comodino appena velata, aspettando che il padre passasse dinanzi alla porta della camera sua e della sorella, si era mostrata nuda sul letto in una posa provocante, fingendo di dormire, sperando che l’accarezzasse nella sua femminilità così esposta. Ed era capitato che suo padre se ne accorgesse, ma si fosse limitato subito a coprirla, con suo grande disappunto. Solo una volta aveva indugiato alcuni minuti a contemplarla e, nel coprirla, le aveva sfiorato un seno. Lei l’aveva sentito tremare. Ne era sicura: lui la desiderava. Sarebbero diventati amanti, ma nessuno avrebbe dovuto immaginare il loro rapporto. Che poteva fare? Non c’era soluzione. Lanciato il sospetto, avrebbero dovuto cambiare paese, se avessero voluto stare insieme. Aveva capito, davvero? Forse. Oltre ad essere sua madre era una donna. Già, ma questo non comportava che infamasse il marito, il quale non aveva mai lanciato nemmeno un sospiro di pensiero non filiale su di lei. Sì, le aveva stretto il seno, la notte precedente, ma perché l’aveva costretto lei. E, poi, aveva, per così dire, parcheggiato la mano sul suo seno. Un gesto protettivo, di grande amore, senza la più larvata malizia. Lei, sì, aveva un disegno di seduzione, ma suo padre era innocente come un neonato. Se quella fosse morta, ah, se fosse morta, tutto sarebbe stato risolto. Invece, avrebbe dovuto trascorrere sempre la sua vita, almeno fino a quando non avrebbe trovato lavoro e starsene per conto suo, con quell’arpia e senza suo padre. E lui non avrebbe finito, giustamente, per cercarsi un altro conforto femminile? Avrebbe baciato il seno di un’altra donna, avrebbe posseduto un’altra donna, sarebbe entrato dentro di lei dopo averne frugato il sesso. E quella avrebbe stretto nella sua mano, chiuso nella sua bocca, la virilità di lui, che le apparteneva, perché l’aveva generata: il solo pensiero di suo padre nelle braccia di un’altra la sconvolgeva, le faceva scoppiare la testa. E, se sua madre morisse per un incidente! Come una macchia di inchiostro questa idea cominciò a slargarsi nella sua mente, fino a prendere una forma precisa. Il piano era da realizzare a notte fonda, quando tutti dormivano. Non vedeva l’ora di rivedere suo padre, di essere stretta da lui. Come farsi accarezzare dove desiderava lei in modo naturale, senza che lui si sentisse in colpa, per sua sola iniziativa? Farsi trovare senza mutandine sotto una camicia da notte? Ma lo faceva da sempre e lui non ci aveva fatto mai caso. Come farsi stringere lì, fargli sentire quanto fosse ammaliante la sua fica? Niente, non riusciva a studiare un modo. Eccitarlo, però, poteva, sia sedendosi sulle sue gambe, sia stendendosi su di esse, coricata sul divano. Se li avesse sorpresi l’arpia, sarebbe stata la fine. Non era forse meglio evitare? No: non poteva fare a meno di suo padre, dopo quel che aveva intendimento di combinare. Erano le sue carezze che l’avrebbero caricata, che le avrebbero dato l’animo per portare a compimento il suo piano.
In silenzio si ritrovarono, tutti insieme, a tavola, giusto perché Luciana informasse il marito della sua decisione di sloggiare con le figlie domenica pomeriggio. Le ragazze entrarono in camera, ma non poterono evitare di sentire le grida del padre dire alla madre che lui le figlie non gliele avrebbe così facilmente lasciate. ‘A costo di spendere in giudizio tutti i soldi che ho le mie figlie non te le lascerò. Alberta come farà senza di me. Ogni sera le do la buonanotte. Come farò senza di lei? Non hai cuore. Non te la lascerò senza lottare, tantomeno Lara, da subito. Voglio vedere il magistrato che mi negherà l’affidamento di Lara, visto che ha deciso di stare con me. Con che coraggio me le puoi togliere entrambe e, addirittura, non lasciarmi nemmeno Lara?’.
‘Le puoi tenere con te la domenica e un mese l’anno in estate e, se vieni a vederle a casa qualche minuto, non ti sbatterò la porta in faccia’.
‘Ma dove sta scritto che le figlie devono stare con la madre? Perché non con me? Perché non invertire le parti? Te le mando io la domenica. Io, però, non lo farei. Per me potrebbero venire a trovarti quanto e quando vorrebbero, basta che la sera rincasino e dormano qui, nel loro lettino. Farò l’impossibile per averle con me. Lara, come puoi togliermi anche Lara? Non riuscirò a vivere senza di lei’. E questa frase la disse più piano. Ma Lara che era sgattaiolata fuori dalla porta poté sentirla chiaramente e il cuore le scoppiò di gioia.
Sua madre qualche ora dopo, presa la sua pillola di sonnifero, si era coricata. Anche sua sorella si era addormentata. Avevano discusso a lungo. In fondo anche Alberta avrebbe voluto restare col padre. E le frasi che aveva urlato alla madre avevano fatto ancora più breccia nel suo cuore; suo padre avrebbe lottato sino alla morte per averla. Non voleva, tuttavia, ferire la madre, che già lo era per la presa di posizione della sorella. Se il padre l’avesse spuntata legalmente, si sarebbe sentita a posto con se stessa, perché sarebbe stata col padre come in fondo desiderava, senza schierarsi contro la madre.
‘Sai, Lara, papà mi ha fatto sentire importante non solo come figlia, ma come donna. Certo che è un fico anche con i suoi cinquant’anni: anche le mie compagne lo guardano con interesse. E Giusy,- chissà già a quanti l’ha data,- Giusy, non mi ha detto, senza pudore, che, se non fosse proibito, se lo sarebbe fatto’.
‘Alberta, sarò io a tenerti il posto caldo. Io non verrò con quella là e riuscirò a trovare il modo per farti tornare qui’.
‘Lara, sai che sono molto legata alla mamma. Non voglio darle alcuno dolore. Ti pare che è contenta di quanto sta accadendo? Dopo che ha litigato con te, in cucina, si è messa a piangere. Mi ha detto che è tremendo fare soffrire una persona che ti ama e che hai amato. Che la vita tra lei e papà è diventato un inferno in mezzo a cui ci aggiriamo pure noi. E per il bene di tutti che deve andare via. Non è che abbia tutti i torti. Chissà da quanto tempo ormai non fanno l’amore! Che senso ha stare insieme e litigare. ‘Ci stiamo odiando’, mi ha detto. ‘E questo io non lo permetto, proprio per l’amore che ci ha legati’. Però, Lara, se tu ci riuscissi, starei con tutto il mio cuore con papà, lui è il mio maschio ideale’.
‘Ci riuscirò, credici, Alberta, ci riuscirò’.
Nei loro letti entrambe pensavano al padre e al modo di farsi desiderare disperatamente da lui. Il giorno dopo le fanciulle, quando si ritrovarono a casa, fecero di tutto per stargli addosso, a fargli sentire il loro amore e la loro femminilità. Lui, d’altra parte, in quei pomeriggi che precedettero la partenza non si recò al lavoro: rimase a casa e si ubriacava della vicinanza delle figlie. Ora correva dall’una che fino a un momento prima gli si strusciava addosso, ora dall’altra che solo da poco si era avvinghiata a lui con sensualità. Alberta, quando a lei china sui libri aveva poggiato le mani sul collo e, piegatosi le aveva baciato la nuca, gli aveva preso le mani e le aveva tirate sullo scollo. Le sentì lievemente tremare e, sospirando, disse: ‘Papà, papà mio adorato, non voglio stare senza di te, non voglio. Ti mancherò, vero? Ti mancherò?’.
‘Come l’anima al corpo. Non riesco a vederti senza di me. Bambina, piccola mia, meravigliosa bambina, non poterti più ogni giorno stringerti tra le mie braccia!’.
Alberta in un impeto di desiderio e d’amore tirò più in giù le mani del padre sopra i suoi piccoli seni. Non portava reggipetto e la pelle nuda di lei si ritrovò nei palmi di lui. Fu alcuni secondi. Anzi, forse meno. Le mani di lui si contrassero su quelle piccole sfere ammalianti, per tentare subito di fuggire. Lei, però, le trattenne spingendole sopra di esse.
‘Oh, papà, papà’, sospirò con languore, ‘stringili, stringili sono tuoi, tuoi. Quanto ti amo, quanto!’.
Lui, chino, la baciò sulla guancia, mentre con uno strappo si staccò da quella stretta voluttuosa. Alberta, però, aveva colto il tremore del padre, il suo desiderio.
E Lara, anche se molto più controllata dalla madre, non aveva insidiato il padre mentre era in bagno!
Si denudò davanti a lui per farsi la doccia, poi, finse di scivolare e di essersi fatta male, invocando l’aiuto del padre vicino che, corse preoccupato, ma abbagliato dalla nudità luminosa della figlia che gli indicava l’osso sacro.
‘Si è rotto, si è rotto: non posso muovermi’ e trascinava la mano del padre sopra il suo inguine che non c’entrava con il suo di dietro. Lui aveva capito. Anche in questo caso, la mano di lui indugiò, anche se trattenuta da quella di lei, su quella pelliccia proibita e ondeggiò di tremore e di desiderio non confessato.
‘Non ti sei fatta niente: una semplice ammaccatura. Ti verrà un livido. Devi stare più attenta a non scivolare’.
‘Non ce la faccio ad alzarmi’, finse lei tutta lamentosa. Lui la prese per le ascelle e finì per ghermirle una mammella. Lei vibrò tutta.
‘Lara’, gridò una voce imperiosa e sferzante. ‘Lara cosa stai facendo? Non ha niente’, sibilò al marito. ‘Si può alzare da sola. Alzati via’, disse alla figlia, ‘Corri di corsa a rivestirti: ti sei lavata abbastanza’. E le scaraventò l’accappatoio contro. Lara la fulminò d’odio.
Ancora una volta a letto le due sorelle confessarono il loro proposito di restare col padre. Il compito di trovare la soluzione se lo assumeva Lara che era la più grande. Per il momento voleva sedurre suo padre. Aveva ancora addosso la febbre della mattina, quando si era trascinata la mano paterna sul grembo ed era smaniata dalla voglia di sentirselo serrare. Cosi, addormentatasi la sorella, indossando una lunga maglia larga e lunga e traforata che pericolosamente stava appoggiata tra un omero e l’altra spalla completamente scoperta, scese a trovare il padre che sicuramente, arrabbiato e triste, se ne stava sullo sconsolato divano, ammantato dalla luce soffusa della lampada.
‘Ehi, signorina, vuoi anche stanotte tenermi compagnia? Sei un sogno radioso. Ci hai sentito urlare, lo so. E’ finita ormai. Meglio così. Io ce l’ho messa tutta, ma lotterò con tutte le mie forze per tenervi con me’.
‘Non sarà facile papà. Con Alberta, addirittura, impossibile, almeno fino a quando non raggiungerà almeno la mia età. Lei vorrebbe stare con te, ma non ha il coraggio di lottare come me. E’ remissiva, più debole. Con me non la spunta quella là’.
‘E tua madre’.
‘Col cavolo. Mi tratta come uno straccio vecchio, solo perché non le garba che voglio stare con te. Credimi, papà, è un’arpia: me ne ha detto di tutti i colori. Stamattina mi ha nuovamente preso pure a ceffoni per l’episodio della doccia. Mi accusa di averlo fatto apposta. E, se anche fosse stato, che male c’è? Come se non mi avessi mai visto nuda’.
‘Cosa? Lara, Lara, come ha potuto! Domattina mi sentirà, eccome mi sentirà. Amore mio, amore mio, solo per difendere me, solo perché vuoi stare con papà. Vieni qui, amore mio. Come, come si è permessa di picchiarti. Qualche sculacciata, quando era piccola, ma non schiaffeggiarti. Vieni qui, tra le mie braccia, piccola mia’.
‘Lascia perdere, papà’, replicò lei, mentre si rifugiava tra le braccia di lui. Non voglio che litighi e poi me la farebbe pagare ancora di più: e quando te l’avrei raccontato, se non quando dormiva. Ormai è andata. Le ho risposto per le rime. Voglio solo godermi questi momenti miei, solo miei, qui con te. Tieni stretta e baciami’.
La serrò forte a sé con un braccio, mentre con la mano dell’altro l’accarezzava i capelli, le spalle.
‘Balliamo un po’, anche senza musica. Cantami tu, sussurrando, una canzone’. E lui sospirò una canzone sul suo orecchio, mentre, avvinti, si muovevano in un lentissimo ballo a ridosso del divano. Fece in modo che le sue gambe si insinuassero tra quelle di lui, in modo tale che il suo grembo strusciasse incollato su quello di lui. Perché non lievitava il suo sesso? Possibile che non avvertisse il calore di quello di lei? La teneva a sé da figlia, non da donna. Cosa escogitare? Si sarebbe potuto disegnare un livido grosso lì, vicino all’inguine, facendogli vedere che si era fatta male sul serio e non solo sul deretano. E se l’avesse capito che era una macchia fatta apposta? Un crampo. Un dolorosissimo crampo alla natica. Ecco. Ma doveva recitare da attrice provetta. Ma figurati: con la voglia che aveva! Doveva fare un movimento più che plausibile per fingere un crampo. Ecco, ballando, ballando e celiando, l’avrebbe spinto a cadere sul divano e, rovesciandosi con lui, avrebbe gridato un dolore atroce su tutta la coscia, irrigidendo tutta la gamba. Doveva abbagliarlo col suo corpo nudo.
‘Perché ridi. Mi trovi un po’ scemo? Sono stonato?’.
‘No, no, che dici? Mi viene da ridere, perché penso che se qualcuno ci vedesse così allacciati e non ci conoscesse, ci scambierebbe per due innamorati’, disse Lara, scostandosi un poco da lui e guardandolo negli occhi.
‘A parte che mi assomigli. Sei troppo giovane per non far pensare a mia figlia’.
‘Sei un fico, papà. Lo ha detto pure Alberta. Lo sai che una sua compagna ha fatto un pensiero poco casto su di te. Non gettarti così giù. Si, credo che mi scambierebbero per una tua giovanissima fidanzata. Sediamoci’, disse, mentre lo spingeva sul divano che era proprio dietro, ‘ma, prima, fammi fare una piroetta, mio principe.’
Lui la prese per una mano e la girò su se stessa. Con quel brusco movimento, lei fece in modo che la maglia scivolasse giù, rimanendo totalmente nuda. Poi, fingendo di perdere l’equilibrio, lo spinse giù sui cuscini del divano, rotolando su di lui. Un grido di dolore insopportabile, gridato pianissimo, quasi trattenuto, ma intenso, deciso. La gamba sinistra tesa spasmodicamente, si torse tutta distesa sul divano. Anselmo si terrorizzò. Cosa le era successo? Si era rotta la schiena nella caduta? Non era una sceneggiata. Si era fatta male davvero.
‘Lara, Lara, che ti sei fatto? Oh Dio, dov’è che senti dolore?’.
‘La gamba. Tutta la coscia col culo. Un crampo. Sto morendo dal dolore. Massaggia, massaggia tutta la parte forte forte. Presto, papà, che dolore!’.
Non si accorse nemmeno che la figlia fosse totalmente nuda. Non capiva nulla. Sapeva solo che lei stava male e che doveva massaggiarla per farle calmare il dolore.
‘Stai calma, non ti spaventare, passa subito. E’ solo un crampo, perché sei caduta male. Ma perché non sono stato attento. Oh, Lara’. E, intanto, con entrambe le mani cingendole tutta la coscia andava su e giù lungo di essa, risalendo tutto il gluteo. Solo quando lei cominciò a rilassare la gamba e gli disse che il dolore diminuiva, lui si accorse della sua nudità, del sesso di lei che con il collo di una mano doveva giocoforza incontrare. Vide rilucere il vello folto del pube e il cuore accelerò i suoi battiti. Rimase come se avesse toccato della lava, alcuni istanti con il taglio della mano a premere nel solco del sesso di lei. E, meccanicamente, per altri interminabili attimi, poggiò stordito, come una grande conchiglia, quasi volesse coprirlo, la grande mano sul pube di lei. Lei capì a volo e, ancora prima che lui si riprendesse, si alzò rossa a sedere, abbracciandolo felice.
‘Sei stato meraviglioso, me lo hai fatto passare quasi subito’, disse, mentre lo tempestava di baci. Lui fece per scostarla impacciato, ma la mano finì per incontrare una mammella di lei. Si chinò pronto a cercare la maglia, la raccolse e la porse a lei.
‘Copriti, ché mi stai facendo venire un infarto’.
‘Ti sei scandalizzato? Ma se mi hai visto cento volte nuda!’.
‘Non così, così’
‘Non mi dire che ti ho eccitato. E’ la cosa più bella che mi puoi dire. Allora mi vedi anche come donna, mi trovi seducente?’.
‘Lara, Lara, non è questo. E’ che sei bellissima, radiosa e io’ Sarà meglio che ti accompagni di sopra’.
‘Ma se siamo ancora da poco insieme’. Non insistette di più. Capì che il padre era molto turbato. Non riusciva nemmeno a guardarla. Però, una cosa era certa: gli piaceva da morire come donna. Si lasciò sorreggere, mentre salivano le scale e la mano di lui, ancora una volta, circondandola sotto l’ascella, finì per raccoglierle un seno, anche se solo per qualche attimo. La scortò fino al suo lettino, lei si infilò sotto la coperta leggera, lui la baciò e fece per andare via.
‘Resta un poco ancora vicino a me, ti prego. Sai che mi addormento subito’.
Come dire di no a quello sguardo supplichevole e luminoso. La luce del corridoio illuminava abbastanza la camera e al suo riverbero contemplava il viso della figlia. Lei chiuse gli occhi poco dopo e lui si girò per andarsene non prima di dare uno sguardo e sfiorare con un bacio l’altra figlia che dormiva lì accanto. Non era proprio notte quella. Coperta solo dal ginocchio in giù, Alberta mostrava tutta la fulgida bellezza di un’incipiente, luminosa femminilità. Rimase abbacinato. Non poté non ammirane i seni svettanti, quasi macchiati dai capezzoli in cima, il vello, una macchia accennata, quasi dipinta. Un dipinto di Veronese. Era così bella che gli venne istintivo con le punta della dita di trascorrerla tutta come una brezza innamorata mentre la copriva con la coperta. Si chinò lo stesso a baciarla sui capelli, poi uscì. Davvero: aveva due figlie radiose. Avrebbe lottato con tutte le sue forze e i suoi soldi per tenerle con sé. Intanto quel giovedì notte non l’avrebbe più dimenticato.
III
Erano le 11,40 del mattino dopo, quando la porta di ingresso si aprì e Lara furtiva sgattaiolò in casa, salì di corsa le scale ed entrò nella camera sua e della sorella, cominciando a trafficare rumorosamente, volendosi far sentire dalla madre che era in cucina, che, infatti, si affacciò subito sull’uscio di essa, chiedendo chi ci fosse su. Ma Lara non rispose, continuando a tramenare. Perplessa, Luciana decise di andare a vedere. Sicuramente sopra c’era qualcuno. Non un ladro, certo. Forse il marito. Giunta al piano di sopra capì che il tramestio veniva dalla camera delle ragazze. Aprì la porta e vide Lara che accatastava roba in una valigia, aperta sul tavolo.
‘Che diavolo ci fai, qui. Non dovresti essere a scuola?’.
Lara non rispose. Anzi, le sfilò davanti, uscendo nel corridoio e fermandosi a ridosso della ringhiera, all’inizio della scalinata, e fissando il salone di sotto.
Luciana la seguì arrabbiata, portandosi al suo fianco.
‘Signorina, stai superando ogni limite. Certamente non sei andata a scuola. Allora, dove sei stata fin’ora? E che accidenti ci fai con quella valigia? Vuoi rispondere? Guarda, ieri mi sono mortificata per averti presa a ceffoni, ma, giuro che me li tiri. Vuoi rispondere?’.
‘Certo che ti rispondo. Sono venuta perché volevo riprendere con te il discorso di ieri mattina e farti cambiare idea. Sei sempre decisa ad impedirmi di restare con mio padre, ricorrendo all’infame ricatto delle molestie o abusi sessuali perpetrati da lui nei miei confronti?’.
‘Ricatto? Chiamalo come vuoi, se mi costringi. Ed è la pura verità. Certo non è tuo padre che ti vuole sedurre. Sei tu che vorresti portartelo a letto e figurati se non ci riusciresti. La sceneggiata della doccia: te lo vuoi scopare! Te lo impedirò. Per il bene tuo e di tuo padre anche. Nega se puoi, che vuoi scopare con tuo padre’.
‘Tu sei pazza, pazza di gelosia, perché sono bella, giovane e papà mi adora. Tu non mi porterai via da lui. Può darsi che io voglia, come dici tu, scopare con lui, ma questi sono cazzi miei’. Ferocemente sputò queste parole sul viso della madre, mentre la teneva per gli omeri.
‘Tu sei mia figlia e, checché tu ne pensi, io ti voglio bene e verrai via con me. Come ti ho già detto, la discussione è chiusa e le tue insolenze non mi toccano più di tanto. Un giorno mi ringrazierai. Sei solo una ragazzina viziata da tuo padre. Io te lo toglierò almeno fino ai diciotto anni, se ti comporterai così’.
‘Tu non mi toglierai nessuno, sono io che toglierò te dalla mia vita’, rispose sprezzante Lara e, inferta una violenta spinta alla madre, la fece ruzzolare lungo tutta la scalinata’.
Il gesto fu così rapido che Luciana non ebbe nemmeno il tempo per gridare. La scalinata era una mezza chiocciola che il corpo della donna fece fino alla fine.
‘Aiutami. Che hai fatto? Aiutami’, implorò in un lamento Luciana, gli occhi supplichevoli, un filo di sangue che le colava da un angolo della bocca.
Lara, in piedi accanto a lei, la guardò gelida, con odio, senza rispondere. Quindi, risalì le scale, prese il cuscino da bambina che conservava nel baule insieme ad altri oggetti suoi e della sorella e ridiscese.
La madre giaceva immobile, gli occhi semiaperti. Un flebile lamento dalle labbra. ‘Aiutami, ti perdono’, sussurrò.
‘Io no’, sillabò spietata Lara, calcando il cuscino sul viso della madre, fino a quando si rese conto ch’era morta. Risalì in camera sua, infilò il cuscino in una busta di cellofan, lo sistemò in fondo al baule, rinchiuse ed usci subito. L’ora di religione, da cui era dispensata, stava per finire e lei doveva essere a scuola prima che suonasse la campana. Nessuno avrebbe mai saputo, perché non se n’era accorto, che era uscita dalla biblioteca, ch’era andata a casa e tornata a scuola. Forse aveva commesso un delitto perfetto. Aveva tutta la vita da trascorrere in pace con suo padre.
Quando ritornò, ufficialmente questa volta, da scuola, era in compagnia della sorella. Già da lontano vide un crocchio di gente raccolta davanti al cancello della sua villa e parcheggiata lì vicino un’automobile della polizia. Fingendo sorpresa e preoccupazione corse verso casa. Alberta la seguì spaventata. Si fece strada tra la piccola folla che sostava e tra gli sguardi contristati di quelli che la conoscevano e entrò di corsa in casa.
Il commissario stava parlando con il padre in un angolo del salone, mentre c’era qualcuno che scattava fotografie ed altri tre uomini che confabulavano tra di loro. Dove era ruzzolata la madre c’era un disegno della sagoma. Non provò nessun dolore, mentre lo ostentò con perizia, buttandosi tra le braccia del padre, che, scortala, la guardò sconsolato, gli occhi bagnati di pianto. Alberta era annichilita. Non aveva nemmeno il coraggio di chiedere cosa fosse successo. Aveva capito che era successo qualcosa alla madre, ma non cosa. Anche lei si incamminò verso il padre, che abbracciò pure lei.
‘Che è successo? La mamma, vero? E’ di sopra, sta male, o è in ospedale?’. Alberta guardava smarrita il padre, la voce si era spenta in gola. Aveva pura di sentire la risposta.
‘Ragazze’, disse il padre, la voce incrinata dal pianto trattenuto, ‘mamma è precipitata dalle scale ed è morta. L’hanno portata via per farle l’autopsia. No ci posso credere. La vostra mamma non c’è più’. Non riusciva a parlare. Voleva solo stringere più che poteva le figlie, quasi le avesse contemporaneamente voluto proteggere e proteggersi.
‘Scusate ragazze’, intervenne il commissario. ‘Dovrei parlare con voi. E’ doloroso, ma devo rivolgervi delle domande. Come avete lasciato vostra madre quando siete andate via? Vostro padre mi ha detto che prendeva un sonnifero prima di dormire. L’avete lasciata un po’ intontita stamattina? Era depressa? So che voleva andare via da casa con voi. Litigava spesso con vostro padre? Hanno litigato pure stamattina’.
‘No’, rispose, la voce incrinata da una finta commozione, Lara. ‘No’, rispose pure Alberta con un vocino appena udibile. E Lara continuò: ‘Certo, discutevano mio padre e mia madre. Sono delle persone civili. Avevano di comune accordo deciso della cosa. Papà è innamorato della mamma, ma lei aveva deciso. Domenica pomeriggio saremmo dovuti andare via. Papà è uscito prima di noi. Non era in casa, quando siamo abbiamo fatto colazione: va via sempre prima di noi’.
‘Papà non avrebbe mai fatto male alla mamma, mai’, balbettò Alberta in lacrime. ‘Oh, papà, come facciamo, ora?’, e si strinse ancora di più al padre.
Qualche ora dopo non c’era più nessuno. Tutte e tre in silenzio, Anselmo con il capo abbandonato sul petto della figlia maggiore, che gli nascondeva tra le braccia il capo, come fosse un bambino, Alberta, abbandonata sul costato del padre e circondata da un suo braccio.
La sera, quando andarono per coricarsi, Alberta disse che non se la sentiva assolutamente di dormire, anche se c’era la sorella vicina, nella loro camera.
‘Possiamo dormire tutte e tre, insieme, almeno per alcuni giorni? Non voglio stare sola nel mio lettino. Ho bisogno di sentirti vicino a me, di sentirmi sicura, perché ho paura, tanta paura ed angoscia’.
‘Sicuro’, approvò subito Lara. ‘Ha ragione Alberta: ci dobbiamo dare coraggio tutte e tre insieme. Nessuno di noi deve restare solo soprattutto di notte. Tra poco più di un mese chiude la scuola e potremmo andare da qualche parte in montagna. Lasciare per qualche mese casa ci farebbe bene’.
‘Va bene’, disse Anselmo. ‘Mi sistemerò da un lato’.
‘No, no, papà’, obiettò Alberta. ‘Tu devi stare in mezzo a noi’.
Poco dopo erano tutti e tre a letto, le ragazze con le loro camice da notte, lui in pigiama. Era notte inoltrata, ma lui non riusciva a prendere sonno. Anche Lara era sveglia, pure se fingeva di dormire. Solo Alberta sembrava riposare serenamente.
Anselmo pensava alla moglie, allo strano gioco del destino che, anche se con una tragedia, aveva risolto il nodo dei loro litigi. Le figlie erano con lui come desiderava, tutte per sé, ma lei non c’era più. E lui aveva amato quella donna e aveva un gran dolore nel cuore. Rivedeva nella mente alcune, tante scene di gioia e d’amore con lei. Com’era potuta ruzzolare dalle scale? I litigi. Il commissario forse pensava che lui l’avesse buttata giù per le scale. Era orribile immaginarlo. Lui era al lavoro: c’erano tutti i suoi impiegati a testimoniarlo.
Ad un tratto Alberta si girò sul fianco e si strinse di più a lui, mormorando qualcosa. Lei era legatissima alla madre e certamente era distrutta dal dolore, pensava Anselmo. Le accarezzò dolcemente i capelli. Lei, come per sistemarsi meglio contro di lui, scivolò più in giù, stringendosi con un braccio alla vita di lui e risalendo con tutta una gamba su quella sua. Fece per accarezzarla per il braccio che lo cingeva così stretto e s’accorse che la camicia da notte s’era raccolta tutta sotto il costato di lei e, tentando di tirarla giù, finì per incontrare il pube di lei. Il tepore di quella ogiva appena crespa lo rincuorò. Quella era la vita che sconfiggeva il dolore e la morte. Doveva pensare solo a loro e mettersi alle spalle dolore e passato. Affettuosamente accarezzò la patatina della figlia per poi riuscire a ricoprirla con la camicia da notte. Ripassava tutto quello che avrebbe dovuto fare il mattino successivo. Preparare la colazione per le figlie, anche se Lara, forse, lo avrebbe preceduto. Magari era opportuno che le accompagnasse a scuola almeno per qualche giorno. Ne avrebbe parlato con loro. C’era il funerale da preparare, quindi doveva sapere quando gli avrebbero rilasciato il corpo della moglie. Ruminava tutto questo nella mente, quando si sentì improvvisa la mano di Alberta che, lasciato il fianco, vagabondò sul suo ventre infilandosi sotto il pigiama per andare ad abbarbicarsi a tenaglia sul suo sesso. Era un movimento inconscio e naturale, come farebbe un bambino nel sonno quando si aggrappa al dito della madre. Si sentiva a disagio con quella presa. Fece per allungare la mano e allontanare quella di lei con delicatezza per non svegliarla. Ma lei lo stringeva forte, quasi da fargli male. Chissà cosa stava sognando. Nel tentativo delicato di toglierle la mano dal suo genitale, finì involontariamente per cozzare contro il vello della ragazza nuovamente del tutto scoperto. Fu a questo punto che una punta di languore lo prese, una tenerezza o un desiderio estenuato di femminilità ritrovata, fresca, tenera e innocente e prima col dorso della mano, poi con il palmo e le dita trascorse delicatamente il sesso della figlia. Era perfetto nella sua tiepidezza vellutata. Credeva di avere compiuto quel gesto senza un’ombra di erotismo, eppure il suo membro si inarcò – o accadde per la mano della figlia, che si sistemò meglio, come fosse abbarbicata a un ramo di albero?-.
Comunque fossero le cose si stava eccitando. Non voleva assolutamente più tastare quella impubere intimità, e, d’altro canto, non poteva di certo farsi stringere il membro dalla figlia. Solo che voleva assolutamente evitare di svegliarla per non metterla in imbarazzo. Tentò di schiuderle le dita. Lei si agitò nel sonno, borbottò qualcosa, accavallò di più la gamba su di lui, ormai a ridosso dalla propria mano, che cominciò ad aprire e schiudere, pur senza abbandonare la presa, illanguidendolo. Il turgore del suo sesso si era dilatato. Se avesse permesso ancora un po’, avrebbe finito per eiaculare. Era meglio che si svegliasse, piuttosto che sciogliersi sulla mano di lei. Gliel’aprì decisamente e la tirò via dal suo grembo. Lei mugolò qualcosa. Si girò e rigirò per sistemarsi in forma fetale sull’altro fianco, girandogli le spalle, ma col culetto incollato a lui. Che respirò di sollievo. Constatò con una punta di eccitazione che la figlia era sempre denudata dalla vita in giù, le accarezzò le natiche fino a incontrare la fica con la punta delle dita, e, penetrandola impercettibilmente, ne assaporò il tepore umido, che constatò deliziato con le labbra. ‘Sono impazzito’, si disse. ‘Mia moglie è morta e io sono impazzito. Nemmeno nelle più accese fantasie avrei mai immaginato un gesto del genere’.
Si girò pure lui sul fianco dando le spalle a quelle di Alberta e si addormentò. Non seppe mai che, nel sonno, come faceva con la moglie quando si amavano, lui si aggrappò con la mano, cercandolo sotto la scollatura della camicia da notte, al seno di Lara, che, ancora sveglia, soddisfatta, vi serrò la sua e finalmente anche lei prese sonno.
Quando si alzò alla sette del mattino le ragazze ancora dormicchiavano. Era vero che si era ai primi di maggio, ma non c’era canicola. Eppure loro erano seminude, lenzuolo e la leggera coperta scantonate al centro del letto, coperte da un lembo di essi solo sulle spalle. Non gli restava solo che ammirare quello spettacolo meraviglioso di femminilità segreta, che, ai suoi occhi, ormai si rivelava sempre più scoperta. Ma erano le sue figlie. Questo solo contava.
Lara fu solerte quel giorno. Contrariamente a quanto aveva creduto Anselmo, le ragazze non si recarono a scuola e lui non insistette più di tanto. Lui sarebbe andato solo per qualche ora in agenzia, poi al commissariato. E a svolgere altre incombenze. Lara faceva la madre di casa, comandando la sorella a bacchetta, che, ogni tanto, sbuffava. A pranzo si ritrovarono insieme. Era la prima volta che con loro non c’era Luciana, ma nessuno ne parlò, tranne un accenno del padre sul funerale. Lui non uscì nel pomeriggio. Vennero delle compagne delle figlie a trovarle, che rimasero con loro quasi fino a sera. Lara andava e veniva dallo studio del padre in cui lui si era rifugiato. Apprezzava l’affetto delle compagne, che la ritenevano affranta dal dolore, ma avrebbe voluto solo essere tra le braccia di suo padre. Lui aveva bisogno di lei in questo frangente. Lei doveva consolarlo, allontanare dalla mente la moglie. Come avrebbe fatto a fare l’amore con lei di nascosto della sorella? Ci avrebbe pensato col tempo. Intanto per ora lui avrebbe dormito in mezzo a loro e soprattutto con lei. Che aveva così tutti i modi naturali per sedurlo la notte.
E la notte giunse presto. Tutte e tre insieme guardarono la televisione distrattamente, Alberta la testa abbandonata sulla spalla del padre, Lara con la mano intrecciata in quella di lui. Verso le 23,00 le accompagnò nella camera da letto.
‘Io me ne starò un’oretta sotto. Devo riflettere su tante cose’.
‘Non lo puoi fare insieme a noi?’, osservò Alberta. ‘Non voglio stare qui sopra senza che tu ci sia. Ho bisogno di te, non sai quanto’.
‘C’è Lara vicina. E, poi sarò con te tutta la notte. Pure io ho bisogno di te e non sai quanto’.
La baciò e la sistemò nel letto.
Una mezz’ora dopo Lara era giù con lui.
‘E di me non hai bisogno?’, disse avvicinandosi al solito divano, vestita solo da una larga camicia allacciata da un solo bottone. Era più eccitante se si fosse presentata tutta nuda.
‘Non c’era bisogno che te lo dicessi. Non ci sarebbero parole, poi, per esprimere il bisogno che ho di te. Sei il mio unico punto di riferimento’.
Lei si accomodò sulle sue gambe e il grembo di lei si scoprì luccicando alla luce delle lampade. Ormai lui non si curava più di riprenderla per questo. Sentiva fosse naturale vederla così.
‘Ti ricordi, papà, quando avevo sei, sette anni e, mentre ero seduta sulle tue gambe, mi riempivi di storie fantastiche e ogni tanto ti protendevo le labbra e tu puntualmente me le baciavi? Mi dicevi che ero la tua principessa e io ti rispondevo che eri il mio principe azzurro e che, da grande, ti avrei sposato. Raccontami anche ora una bella storia e poi mi baci’.
‘Te ne ho raccontate tante. Le sai tutte e, poi, non sei più una bambina. Perché non me la racconti tu?’.
Gli occhi di lei ardevano come carboni accesi e gli rodevano il viso. Lo desiderava con tutte le sue forze. E lui era fragile, troppo fragile, per resisterle. Un lampo. Aspetta, vado a prendere un libro. La storia la conosci, ma te ne leggo un passo.
Qualche minuto dopo aveva un libro in mano, ‘La marchesa di O..’ di Heinrich von Kleist. Cercò tra le pagine e, infine, trovò il passo.
”Allora, finalmente, poté aprire la porta e vide ‘ e il suo cuore, a quella vista traboccò di gioia ‘ che la figlia stava sprofondata, in silenzio, il capo reclinato e le palpebre serrate, tra le braccia paterne. E il padre era seduto sulla poltrona, gli occhi dilatati, gonfi per le lacrime che ancora luccicavano, e le premeva sulla bocca lunghi ardenti baci pieni di avidità, e pareva essere il suo innamorato! La figlia non parlava, e nemmeno il colonnello parlava; rimaneva seduto con il volto chino sul capo della donna, come fosse la fanciulla del primo amore e, spostando la sua bocca verso di sé, andava avanti a baciarla’. Perché non segui il suo esempio? Baciami con avidità e passione. Baciami’. E schiuse le labbra tumide e tremolanti. Lui la guardò ipnotizzato. Era come una immane calamita che prepotentemente l’attirava verso di lei, quella bocca. Sempre più vicino, più vicino. E poi furono un uomo e una donna. La sua mano scivolò arsa a raccogliere il sesso di lei e, serrandolo, la senti sussultare come la pelle di un tamburo. L’adagiò sul divano, poi si spogliò, mentre lei lo attendeva anelante. Si piegò su di lei, la fissò estasiato, le sfilò l’unico bottone del camicione e naufragò il viso in mezzo ai seni di lei.
Era notte fonda quando salirono nella loro camera. Alberta dormiva al solito tutta scoperta. Lui la sistemò, salì per primo nel letto, poi Lara. Piena di lui, appagata, presto si addormentò. Lui era troppo stordito, la mente incendiata da quanto era successo per dormire. La lucciola accesa rischiarava tenue la camera e lui ripassava nella mente immagini e sensazioni di prima. Avevamo fatto l’amore. Sua figlia era diventata la sua amante. Era impazzito dalla voglia di lei e l’amava alla follia. Come la notte precedente, Alberta, così, supina com’era, gli si addossò, il cordoncino che teneva legato lo scollo della camicia era sciolto completamente e i magnifici seni erano pressoché scoperti. Erano certo più piccoli della sorella, ma non per questo meno seducenti e luminosi. Aveva delle figlie bellissime, questa era la verità e lui si inebriava di questa bellezza. Era così acceso dal corpo della prima figlia che la vista della nudità della seconda lo rinfocolò. Allungò la mano verso quelle sfere di sensualità e le sfiorò con una carezza. Si accorse che i delicati, piccoli capezzoli erano inturgiditi, ma non osò fare di più, anche se anelava tanto accarezzarla di più, baciarle quei capezzoli rosa. Ma Alberta, inconsciamente desiderosa di protezione, gliela riprese, stringendola forte. ‘E’ normale’, si disse ‘che non riesca più a vedere le mie figlie come tali? Che un padre le veda nude è ovvio e naturale, ma desiderarle sessualmente è un’altra cosa. E’ da depravati. E me lo dico ora. Ma quando facevo l’amore con Lara non lo pensavo. O Lara quanto sei bella! Ma anche tu, così diversa da lei, sei bellissima!’.
Lei blaterò qualcosa, insofferente scalciò scoprendosi tutta.
‘A questa età sentono caldo, ma finiscono così col raffreddarsi’, e fece per ricoprirla. Ma come faceva a rimanere insensibile davanti a quelle gambe levigate che si chiudevano in quella lussuriosa, serica ogiva? Era come se urlasse ‘accarezzami’, ‘baciami’. Mentre era così tormentato dal desiderio, lei si trascinò la mano di lui sopra un suo seno. Si sollevò a sedere sul letto, la mano sempre incollata al petto della figlia. Guardò Lara che dormiva serena e il cuore accelerò i suoi battiti. Gli sarebbe venuto l’infarto. Sicuro. Non aveva mica venti, trent’anni. Erano troppo intense le emozioni con queste due figlie. Ma sapeva che non sarebbe stato capace di sottrarsi alla loro malia. Alberta si agitò un’altra volta e, come la notte precedente, lo cinse per i fianchi col braccio e con la mano che cominciò a vagare fino a che si impossessò del suo sesso. Era sicuro che dormiva, che fosse tutto un caso? O lo voleva mettere alla prova, perché si era accorta di lui e della sorella? Il suo sesso si inarcò subito sotto quella presa e con il desiderio che lo agitava. Questa volta non fece nulla. Voleva vedere che avrebbe fatto Alberta, conscia o inconscia che fosse. Almeno per questo non poteva sentirsi in colpa, se lui non era la causa di questa situazione. La lasciò così scoperta e con la mano che, dentro il suo pigiama, impugnava il suo membro. Dopo qualche minuto, pur se timidamente, lei cominciò ad agitarla in una quasi masturbazione. Quando si sentì prossimo alla eiaculazione, svelto le aprì con forza la mano. Temette ancora una volta che si svegliasse, invece non lo fece; si agitò solamente da un lato e dall’altro, borbottò qualcosa di incomprensibile, per riaggrapparsi nuovamente a lui, quindi si calmò, il respiro regolare. Ma lui era rimasto con la voglia dentro. Voleva scaricare l’orgasmo contenuto. Avrebbe richiesto l’aiuto di Lara. Sorrise al pensiero di penetrarla mentre dormiva. Fece per scostare Alberta, ma lei si teneva sempre più stretta a lui e, nel tentativo di scrollarsela, la camicia si era aperta del tutto e lo splendido seno era compiutamente scoperto. Il desiderio di accarezzarlo, di raccoglierlo nelle sue mani e di baciarlo si fece, eccitato com’era, incontenibile. Delicatamente cominciò ad accarezzarlo. Se non si era svegliata con lo strattone di prima, non sarebbe accaduto nemmeno ora. Ne volle constatare la consistenza: quelle mammelle d’adolescente erano nel contempo morbide e marmoree. Solo che, sistemata su un fianco, non riusciva a palpeggiarle per bene. Così la sospinse dalle spalle per farla distendere supina. Sotto quella spinta leggera, lei si girò, docile, sulla schiena, la camicia da notte tutta raccolta sotto i fianchi, rivelando la sua luccicante nudità. Piegatosi su un fianco, lui prima la contemplò col fiato mozzo. Era bellissima e sensuale nel fulgore di quella adolescenza impubere.
Prese ad accarezzarle i seni, a sentire scorrere sotto la pelle della mano i morbidi capezzoli. Si chinò a baciarli lievemente, prendendoli tra le labbra. Trasudavano la dolcezza del miele e profumavano come rose. Gli parve che trasalisse, che si fosse leggermente inarcata. Quelle morbide sfere di carne erano di una voluttà struggente. Coricarsi su di esse e assorbirne l’effluvio. Non poté fare a meno di distendervi il viso, come fosse il più soffice dei cuscini. Inconsciamente la figlia lo abbracciò per il collo, stringendolo al suo petto. Riposò su quelle turgide colline per alcuni lunghi minuti. Poi, si sospese per ricominciare ad accarezzarla, fino ad incontrare la sua intimità. Ne sfiorò trepido il vello, scese a cercare nell’ogiva genitale e la trovò, morbida, calda, bagnata. Ne trascorse, il dito tremante dall’incanto, il solco, e il cuore gli morì in gola. Pareva cesellato, al tatto, nel velluto più prezioso. Lo percorse più volte e poi si fermò sul nascosto rubino del godimento, vellicandolo con esasperata dolcezza. Increspata dal piacere, nel sonno, Alberta cominciò a sospirare. E questo lo accese di più: la stava facendo godere. Voleva, però, pure lui godere, tanto lancinante era il piacere, lì, nel profondo del sesso. Steso, incollato al fianco di lei, con una mano le custodiva un seno, titillando con il pollice e l’indice il capezzolo, con l’altra la masturbava. I sospiri di lei diventarono lamenti. La sentì sussultare nella sua mano e subito bagnarsi. Ma lui non si fermò. Anzi, ne accentuò il movimento. Lei leggermente si inarcò: godeva intensamente. A questo punto, si tolse il pigiama: voleva sentirla tutta o in parte sulla sua pelle nuda, quando tornava a stringerlo. E voleva, ora, anche, che gli afferrasse il suo membro. Le prese la mano e la depositò sul di esso. E lei, puntuale, lo serrò, cominciando un lento saliscendi. Ormai era prossimo all’orgasmo. Ma non poteva, non poteva inondarla col seme. Ancora una volta, deciso, le allontanò la mano. Lei si agitò vivamente, arrampicandosi per tre quarti su di lui. Il membro di lui scivolò turrito sotto il perineo di lei. La serrò tutta contro di sé. Quelle piccole cupole del seno gli scavavano il petto. La voglia di penetrarla era suprema. Non poteva. Mai. Non sarebbe successo. Non poteva essere perverso fin a tal punto. Si sarebbe rivolto a Lara seppure nel sonno. Sì, con Lara e tentò di staccarsi da lei. Ma lei gli si era avvinghiata e fu costretto a spingerla vivamente. Si lamentò, mentre si opponeva. La vide schiudere gli occhi. L’aveva svegliata. Lo stava guardando innamorata. ‘Papà, papà’, sussurrò flebilmente, quasi un lamento, ‘accarezzami, stringimi a te, prendimi, prendimi, lo voglio’. Si sollevò a mezzo il letto e si sfilò dai fianchi la camicia da notte, offrendosi tutta nuda allo sguardo di lui. Poi, presolo per la mano, lo tirò su di sé. E lui non seppe sottrarsi a quella richiesta così perentoria e supplichevole d’amore. La accarezzò, la baciò intera, nelle pieghe più nascoste, la fece gemere ancora più di prima, torcere dal piacere, sino all’intontimento, fino a quando, finalmente senza ritegno, lui sciolse il suo seme caldo sul petto di lei, che spalmò come un unguento profumato su tutto il seno. Poi, stretto, a quella piccola dea nuda, tutta raccolta contro di lui, vergine aulente di seduzione, sfinita dal godimento, si addormentò. Anche lui, quando ormai era l’alba, si abbandonò al sonno.
IV
Le scuole avevano chiuso i battenti e Anselmo e le figlie, conclusa e archiviata l’inchiesta sulla morte di sua moglie, vivevano in perfetta armonia. Lara era un’ottima donna di casa e un’appassionata amante, che, però, per avere un rapporto sessuale col padre doveva studiare una miriade di espedienti. Quella che era una situazione di qualche settimana continuava a rimanere tale: dormivano insieme tutte e tre. Capitava solo che Lara, certe sere, fosse, stranamente, colta da un sonno pesante, che lasciava spazio ad Alberta per restare di più sola col padre. Era così dipendente dalle carezze di suo padre che le sembrava di impazzire, se lui non trovava il modo e il tempo per soddisfarla. Lara non sospettava nulla, tanto era accorta la sorella. La notte con il padre, i sensi esasperati al massimo, che la paura di essere sorpresi da Lara che dormiva accanto tendeva al parossismo, intrecciavano i giochi erotici più intriganti e sottili per raggiungere l’apice del godimento, pur non avendo alcun rapporto carnale. Su questo il padre era stato irremovibile. Avrebbe dovuto raggiungere almeno l’età della sorella. Talora, capitava che, in quel talamo nuziale ch’era diventato il letto, non avendo potuto penetrare la figlia minore, si rivolgeva a quella maggiore, possedendola nel sonno. E lui si eccitava sentendola godere mentre dormiva.
‘Papà’, gli disse Alberta, una di quelle notti in cui la sorella dormiva profondamente, mentre, nel salone, sul divano, nuda, seduta sulle gambe del padre, il membro strusciante tra le cosce, questi le titillava, strappandole di tanto in tanto un gemito, la fragola del piacere, ‘perché non mi scopi il culetto? Sono sicura che non mi farò male. Ti desidero tanto dentro. Almeno, mi prendi di dietro’.
‘Non ti faccio godere abbastanza così’, e le raccolse prima un capezzolo e poi l’altro con le dita.
‘Oh, sì, così, che bello! Strofinali ancora e poi succhiameli voracemente’.
Quando gli parlava con quella voce delicata e così profondamente sensuale, lui si smarriva e doveva fare una violenza titanica alla sua volontà perché non la penetrasse. Lei si sospese in ginocchi, tra le gambe di lui, sul divano, protendendo il suo petto. Lui vi affondò avido la bocca devastando di voluttà le turgide mammelle, succhiando quasi a sangue i capezzoli rosa. Lei singhiozzava dal piacere, si torceva tra le braccia di lui che la serravano per i fianchi. Poi, la fece rovesciare, le gambe appoggiate sulla spalliera del divano, le mani sui suoi ginocchi, la sua testa in mezzo alle sue gambe. La rovistò, la frugò in quell’ogiva lussuriosa con le labbra e la lingua senza tregua, fino a che lo supplicò di smettere, tanto insopportabile era il godimento continuo: il mare di rugiada, che sgorgava dal suo sesso, inondava il viso di lui. Quel miele di vergine lo inebriava. Forse voleva mantenerla così, vergine, perché si potesse pascere di un grembo intatto, che spasimava di essere infranto. Del resto, aveva già Lara che gli offriva la sua intimità non più immacolata. Lui aveva bisogno di quel grembo vergine.
‘Prendimi, prendimi il culo’, implorava intanto lei, ‘ fammi godere almeno in quel vestibolo più segreto’. E gli prendeva il sesso per adagiarvisi con le sue terga. Ma lui non voleva. La distese tutta intera sul divano e con le gambe aperte in ginocchio si mise a ponte sopra la sua testa. Lei la sollevò appena per ricevere in bocca il membro di lui, che cominciò a scoparla. Entrava ed usciva dalle labbra di lei come se fosse stato il suo sesso. Lei teneva schiuse le labbra in modo che quel maglio di carne fosse stretto al passaggio come un guanto: avanti e indietro. Lei ormai sapeva come farlo godere in quel modo. E lui venne copioso, quasi soffocandola col suo seme.
‘Ora che ti ho dato il piacere che tu preferisci, dai a me quello che ti chiedo: prendimi il culo’, disse eroticamente leziosa, mentre si girava e faceva baluginare i suoi glutei torniti come il marmo. Si chinò in avanti, in ginocchio, appoggiando le mani sul bracciolo. Lui era indeciso. Era da qualche settimana che glielo chiedeva. L’accarezzò da dietro sul sesso, risalendo sino all’ano, aspergendolo con le stesse secrezioni che le grondavano dal sesso. Spinse piano un dito in quell’orifizio più stretto, fino a quando non scivolò dentro per intero. Poi, ci ripensò. No, non l’avrebbe fatto. Le avrebbe fatto molto male. Lui per nulla al mondo le avrebbe voluto arrecare anche il più piccolo dolore. La prese in braccio dicendole: ‘Sarà per un’altra volta. Ti porto a letto’. E, stringendola a sé, come una bambina, la portò sino alla camera da letto, sul quale la adagiò. Quindi, nudo com’era, si distese accanto a lei, ma anche accanto all’altra figlia. ‘Potremmo anche dormire, non credi? Non sei ancora appagata?’.
‘Perché tu lo sei? Io sento benissimo la tua voglia. Quello è sempre rizzato: mi desidera. Vuole il mio culetto’.
Era vero: aveva voglia di penetrarla. Quando si fosse addormentata, avrebbe preso la sorella: si sarebbe così placato. Ma, lei non gli dava tregua. Lo tastava sempre lì, strusciandovi di continuo le terga.
‘Ti voglio. Non la senti la smania che mi tormenta?’.
‘Dormiamo’, la invitò lui.
‘Tienimi stretta a te’, rispose lei, girandogli le spalle.
E lui la serrò a sé, tenendola per il seno. Lei, però, continuava a strusciare, ad agitare le natiche sul sesso di lui, accrescendone la voglia. Lo sentì ansare su di lei. Forse stava per vincere. Cercò con la mano il sesso di lui e vi si sospinse contro. Per cercare di calmare il desiderio di entrambi, lasciò che il suo membro si insinuasse sotto il perineo. Ma lei non chiuse le gambe per stringergli il sesso. Si spostava su e giù, perché scivolasse sul suo di dietro. Smaniava perché la penetrasse in quella grinza lubrica.
‘Ti prendo, come vuoi, purché tu non avverta nemmeno il più leggero dolore. Promettimi che mi avvisi. Lo faccio prima con le dita. Dimmi se ti faccio male. Promettilo’.
E lei, fremente: ‘Sì, sì, te lo prometto’.
‘Giuralo’.
‘Te lo giuro, te lo giuro. Prendimi, prendimi’.
Allora lui si decise. Da dietro, nel sesso, prima la masturbò con tutta la mano, facendola venire copiosa, quindi, bagnatala più volte con il suo miele, la penetrò con un dito mulinandolo un po’.
‘Ti faccio male?’, richiese, mentre la baciava sulla guancia.
‘No, no. Prendimi, prendimi’, supplicò smaniosa.
Allora, quando la sentì, nello sfintere, più distesa ed allargata, si asperse il glande con abbondante saliva e l’appoggiò sull’orifizio ambito. Lei sentì il cuore smorzare i battiti, il fiato sospeso. Lui cominciò a spingere e, ad un tratto, le scivolò tutto dentro, come se il suo ano avesse risucchiato quel turrito randello come una grossa supposta. Lei si sentì mancare dal piacere. Era finalmente ricolma dentro la sua carne.
‘Toccati’, chiese lui, ansante. ‘Toccati come ti ho insegnato’. Lei ubbidì. ‘ Ora, girati: mettiti a pancia in giù’. Lei si stese bocconi. Lui, che era uscito da lei, la penetrò nuovamente, mentre l’abbrancava per i seni adorati. E fu un andirivieni estasiante, fino a quando non svuotò il fuoco del suo desiderio in quelle vietate mucose. Esausto si accasciò accanto a lei. Se Lara non fosse stata così profondamente addormentata, sicuramente questa volta si sarebbe svegliata. Appagata, Alberta si raccolse contro il suo petto e poco dopo si addormentò. Era davvero disfatto. Era stata una nottata di fuoco. Si girò verso la figlia maggiore, le cercò il magnifico seno e, stringendolo, si addormentò.
Lara era perdutamente innamorata del padre e, se avesse sospettato della sorella, sarebbe stata una tragedia: l’avrebbe uccisa. Come avrebbe fatto con qualsiasi donna. Alberta sapeva benissimo che i due erano amanti e sapevano anche loro due che lei sapeva, ma tutti e tre facevano come se lei lo ignorasse. Invece, lei e il padre sapevano benissimo che non doveva trasparire il più banale segnale del rapporto intimo tra i due, che era ai due estremi di comportamento: o passionale, perduta amante, o perfida, feroce vendicatrice. Eppure, Alberta, nel suo profondo, ora che aveva conquistato l’interesse fisico di Anselmo, non era così serenamente disposta a dividerlo con la sorella. Capì di essere gelosa una mattina. Aveva l’abitudine, ora che non doveva alzarsi per recarsi a scuola, di poltrire fino verso le 09,30-10,00. Quella mattina, era una domenica, invece, scese giù una decina di minuti dopo suo padre e Lara. Lui, quando poteva, restava nel letto con lei fino a quando Lara non gli gridava di scendere. Così aveva il tempo e l’occasione per scherzare con lei, di accarezzarla e di farla eccitare. Le piaceva tanto, quando si girava verso di lei e la cercava subito lì sotto, facendola presto venire. Generalmente, però, la sorella lo tirava subito dal letto, trascinandolo giù, in cucina, e lei sapeva benissimo perché, anche se non lo aveva mai visto. Era anche vero che, quando erano tutti e tre a letto, la notte, non aveva mai visto lui fare l’amore con la sorella. Si stringeva a lei, ma non la scopava. La notte, quasi sempre, quando Lara dormiva profondamente, si dedicava solo a lei.
Quella mattina, lei scese quasi insieme a loro, che non se lo aspettavano, anche perché, in qualche modo, lei si faceva sentire che stava arrivando. Si avvicinò in silenzio e, senza essere vista, sbirciò in cucina. Lara era appoggiata contro il piano di cottura in vestaglia e sorrideva, il padre le stava di fronte e le stava dicendo: ‘Sei gelosa, vergognosamente gelosa. Possibile che non posso invitare un’amica, una mia impiegata a casa? Che cosa puoi temere, se non potrei mai fare a meno di te? Sei così bella, bella’.
‘Sono gelosa, perché devi essere solo mio. Ogni donna ti vorrebbe per amante. Io non lo sopporto. Ti devo bastare solo io’.
‘Ma se i miei ritagli di tempo li trascorro con te, di cosa puoi essere gelosa?’
‘Devi desiderare solo me, amare solo me, capisci, solo me’.
Lui si fece più vicino. Sospinse il braccio in avanti e la sua mano andò verso lo scollo di lei, mentre la guardava negli occhi. Le scostò da un lato il bordo della vestaglia, fino a scoprirle uno spicchio di un seno, poi spinse dall’altro lato, facendo baluginare parte dell’altro seno. Lei si piegò leggermente all’indietro. Lui spinse il dito lungo l’apertura della vestaglia, fino ad incontrare la cintura che la teneva chiusa e la tirò. Come un raggio di sole, uno squarcio del suo corpo si irraggiò dalla vestaglia schiusa. Lui si fece dappresso e la prese per il volto. Lei si girò su se stessa, offrendogli il dorso. Lui l’allacciò per la vita e affondò le sue labbra sul collo di lei. Le tirò giù la vestaglia e la nudità di lei abbagliò la stanza. Le imprigionò i seni mentre le tormentava una guancia, il collo, con baci voraci. Poi, le cercò il sesso con una mano, mentre con l’altra le stritolava una mammella. Alberta vedeva nitidamente le dita del padre frugare nel sesso di lei e vide se stessa tra le braccia paterne, mentre l’amava, e una fitta mai immaginata di dolore le serrò il cuore. Sentì la sorella che gemeva. E avrebbe voluto che quelle dita fossero a frugare solo lei lì in quella grotta di lussuria. Le aveva profumate ancora degli umori di lei. Ma Lara se lo era preso per prima e, per tenerselo, sapeva che avrebbe fatto di tutto. Lei la temeva. Era dispotica nei sentimenti. Godeva, a piene mani godeva. Si piegò di più in avanti, scorse il membro del padre ritto come la stele di Axum mentre la penetrava, le scosse di lei ad ogni colpo vibrato e i gemiti sempre più incontenibili, fino a quando la vide prostrata sul piano della cucina, vinta dall’orgasmo paterno. Lei aveva più punti da spendere di Lara, ma doveva essere astuta nell’utilizzarli. Doveva agire in modo che il padre la preferisse in assoluto. A Lara solo un contentino per tenerla tranquilla e poi spedirla in qualche università lontana.
Ritornò immalinconita sui suoi passi e si ricoricò, per rialzarsi alla solita ora. Quando scese, non indossava né slip, né reggiseno. Avrebbe trovato il modo di eccitare suo padre. Non voleva aspettare solo la notte perché la facesse godere. E fu un vero tormento per l’uomo, quando s’accorse della nudità nascosta della ragazza. Lei gliela ostentava e lui non si tirava indietro nel palpeggiare le sue intimità. A volte, pochi secondi, a volte, alcuni minuti, che esasperavano i sensi e il desiderio di entrambi. E, quando Lara si accinse a cucinare, anche se si affacciava di continuo nel salone, loro, coperti dalla spalliera del divano, si davano da fare. Arrivarono sino al punto che, seduta, sorridendo sulle gambe di lui, si era fatta scivolare il membro paterno tra le cosce, imprigionandolo e scorrendovi sopra e lui, sempre con gli occhi rivolti all’ingresso, trovava i momenti per ramingare con le sue mani sotto la maglietta sopra i turgidi piccoli seni. E così lo sentì godere sopra il suo pube, intridendo il suo vello col tiepido tulle della passione di lui, che le irrorò l’inguine e le cosce. E, con la mano sul sesso, corse in bagno felice a pulirsi.
Una malattia erotica cominciava a prendere piede nelle fibre di Anselmo. Il fatto di dovere rinunciare a scopare con la figlia minore, gli lasciava un sentimento di insufficienza, di insoddisfazione. E’ vero: aveva eiaculato, ma senza entrare in lei, senza averla potuto scoprire alla luce nella sua intimità. Si alzò a trovare la figlia maggiore. In camicetta annodata sul ventre e calzoncini jeans armeggiava tra pentole e tagliere. I capelli legati a coda di cavallo la rendevano ancora più bella, facendole risaltare il collo tornito. Le si accostò da dietro e, affacciandosi sullaspalla, aspirò l’odore che si innalzava dalla pentola del ragù.
‘Stai diventando una cuoca provetta. Che profumo’. E le raccolse i seni sopra la camicia.
‘Lasciami stare, ché devo cucinare. Non voglio essere distratta’.
Ma lui aveva voglia e continuò a stuzzicarla, pizzicandole i capezzoli.
‘Dai, smettila! Potrebbe entrare Alberta’.
‘Come se non sapesse di noi! Ti amo, ti guardo e mi ecciti. I tuoi seni sono una sorgente di voluttà. Vorrei che le mie mani fossero il tuo reggiseno’.
‘Sono senza e te ne sei accorto. Va, smettila, che brucia tutto e mi secco. E’ mezza giornata che ci lavoro e voglio che tutto riesca perfetto’.
Lui scorse la bottiglia dell’olio, la prese e si unse bene tre dita.
Lei lo guardò perplessa. Che voleva fare?
‘Non mi vorrai ungere il petto di olio, insozzandomi la camicia! Non ti permettere sai’.
‘Sta zitta’, disse lui, la voce roca, riposizionandosi alle spalle di lei. Con una mano tornò ad imprigionarle un seno e con l’altra, unta di olio, la cercò dentro i calzoncini, scivolando su dall’inguine.
‘Sei scemo. Che vuoi fare?’. E, già le mancava il respiro, mentre Anselmo le accarezzava il sesso, sfregandole il clitoride.
‘No, no, smettila. Mi fai bruciare tutto. Ah, oh. Smettila, uh, mi fai impazzire’. E rovesciava il capo contro la spalla del padre, che la baciava nell’ansa del collo, l’altra mano dispersa tra i seni, scorrazzando frenetico tra l’uno e l’altro. Lui imperterrito la masturbava nel sesso. Lei raggiunse subito l’orgasmo, ma lui proseguì, finché si sciolse ancora nella sua mano. Di colpo la lasciò, la prese per gli omeri e la girò verso di lui.
‘In bocca, prendilo in bocca’, comandò, spingendola in giù.
‘No, no. E non mi spingere così. Non voglio così. Alberta. Se entra Alberta?’.
Lui la costrinse ad inginocchiarsi. Lei lo guardò ansante e smarrita. Voleva, ma non così.
‘Prendilo. Tu lo devi prendere. Lo desideri. Dimmi che lo desideri, che ti piace. Voglio sentirtelo dire che ti piace. Dimmi: ‘lo voglio in bocca, mi piace il tuo cazzo”.
Alzò gli occhi a guardarlo. La voce imperiosa la eccitò.
‘Lo voglio in bocca, voglio il tuo cazzo in bocca. Mi piace, lo desidero’, ripeté vogliosa, la voce arrochita.
Armeggiò su la patta, trepida infilò la mano e ne estrasse il sesso torreggiante del padre. Con una mano lo afferrò, con le labbra vi scivolò sopra, andando e venendo e aspirando sul glande come una ventosa. Con le mani sulla nuca lui accompagnava il ritmo della testa di lei. Finché venne dentro la sua bocca, estasiato. Lei inghiottì tutto sino all’ultima goccia.
Il padre la ricompensò con un lungo e appassionato bacio, mentre ancora una volta le cercava il sesso. L’odore di bruciato li sorprese.
‘Te lo avevo detto che me lo avresti fatto bruciare’, gridò precipitandosi verso la pentola. ‘Vattene e non ti fare vedere più’.
Soddisfatto, lui usci dalla cucina, ma, quando stava andando per accomodarsi sul divano, la testa gli vorticò e, per alcuni attimi vide tutto nero. Si terrorizzò. Alberta era andata di sopra a cambiarsi la gonna. E, forse, fu meglio così, ché si sarebbe spaventata. Aveva preteso troppo dalla sua età. Stava fisicamente bene, ma doveva rendersi conto che non poteva spendersi come quando aveva venti o trent’anni. Il fatto era che le sue figlie l’avevano intossicato con la loro sensualità. E, poi, non si saziavano di fare sesso o l’amore. Era una febbre e insieme un gioco il loro? O l’intimità filiale che si sposava con l’incendio dei sensi? Fatto sta che questa febbre gliela stavano attaccando. Appena stava vicino a loro sentiva un impulso incoercibile di tastarle, di impossessarsi della loro intimità, di farle godere. E, così, erano tutti e tre sempre con i sensi accesi e mai sazi. Perché questa febbre insana e distruttiva? Si sedette con il cuore in tumulto. Era l’avviso di un ictus quel malore? O il risultato di tutte le prestazioni sessuali? Accontentarle tutte e due più volte al giorno l’avrebbe ucciso. Doveva frenare drasticamente questo delirio dei sensi o febbre d’amore.
Pranzarono, poi le sorelle insieme riassettarono, quindi, nel pomeriggio, uscirono. Lui rimase in casa a controllare alcune pratiche, poi, prese un romanzo e si inoltrò nella lettura.
Erano le 19,00 inoltrate, quando le ragazze si ritirano pieni di pacchi. Sicuramente non badavano a spese. Sapevano che il papà era perso di loro e spendevano a piene mani. Avevano entrambe le guance rosse. Erano bellissime ed erano sue. La sua virilità subito tumultuò. Era questo l’effetto che gli facevano, quando se le trovava davanti. Entrambe lo guardarono innamorate e compiaciute del suo sguardo. E il desiderio incalzò anche loro. Essere accarezzate, vagheggiate con quella febbrile bramosia, le lusingava, le rassicurava, le eccitava, e, se lui latitava, allora erano loro, di nascosto l’una dall’altra, a prendere l’iniziativa. Lara, però, aveva più volte pensato di palesare il suo rapporto d’amore alla sorella. Era rendere ufficiale quel che lei già tacitamente sapeva. Sembrava stupido, infantile, lei che pareva così sfacciata, disinibita nel sesso, non comportarsi da figlia davanti alla sorella, vergognarsi. Ne avrebbe parlato. Alberta avrebbe capito. Così avrebbe potuto baciarlo sulla bocca o avere qualche gesto più ardito anche quando lei fosse stata presente. Intanto, insieme a lei, era andata nella loro camera a sistemare la roba comprata. Lui sotto attendeva fra fregola e paura, quando si sarebbero, ora l’una, ora l’altra, date da fare per eccitarlo con la loro femminilità. Era come il fuoco in un camino che aspettava di continuo di essere attizzato. Quella fiamma della passione, una vera e propria libidine, doveva essere alimentata tante volte nella giornata. Se non lo faceva lui, lo facevano loro. Anche perché in esse subentrava un incontrollabile timore che non le desiderasse più con la stessa intensità o che si potesse stancare della loro femminilità. Lui le desiderava entrambe, ma, se avesse dovuto leggere nel suo profondo, era la figlia minore che lo arrapava di più, forse perché non ne prendeva la verginità. Ed eccole tutte e due fare il loro ingresso nel salone: Lara con una vestaglietta leggera e cortissima, Alberta con un camicione. E lui ci avrebbe scommesso che sotto non portava nulla. Tra poco il delizioso supplizio sarebbe cominciato.
‘Cosa stai leggendo papà?’, chiesero entrambe.
‘Ormai nulla, visto che i miei occhi sono presi solo da voi due. Siete il mio respiro, la mia passione, l’amore senza confini’.
Alberta si accomodò sulle gambe del padre, Lara accanto. E cominciarono a fare l’inventario di quel che avevano comprato, di ciò che avevano visto, degli amici incontrati e delle avances di alcuni di loro. Poi, Lara si alzò per cominciare a preparare la cena, invitando la sorella a dare una mano di aiuto.
‘Io te la darei. Solo che sei una schiavista. Ogni cosa che faccio non ti sta bene e mi insulti. Quindi, vai a quel paese’.
‘Ti dovrei lascare senza cena. Tu ti devi attenere a quel che ti dico io, non intrufolarti in quel che cucino. Ancora sei piccolina’.
‘Certo, ha parlato madame Bovary’.
‘Tu sai chi era madame Bovary?’, chiese sorpreso Anselmo.
‘Certo che lo so. Una grande opportunista che si voleva convincere di essere un’eroina romantica’.
‘L’amore é l’amore’, commentò Lara.
‘L’amore, il cavolo. Voleva soldi in abbondanza e un blasone’.
‘Hai visto la sorellina. A tredici anni è così saputella in letteratura’.
‘Meglio di te, che ti sbrodoli per quei teleromanzi deficienti’.
‘Certo. Ora, mentre cucino, sto a guardare programmi di cultura raffinata. Mi passo solo il tempo e non mi distraggono da quel che cucino’.
‘Tranne i libri di scuola, è raro che ti veda con un romanzo in mano’.
‘Quelli che ho letto in un anno tu non li leggerai in una vita’.
‘Che fanfarona. Va a cucinare che è meglio. Abbiamo fame’.
‘Se non fosse per papà, ti lascerei a stecchetto. E’ meglio che me ne vada’. E, con l’aria di finta offesa, si diresse verso la cucina.
‘Che fai, non mi abbracci? Niente coccole? Non hai voglia di me? Sapessi quanta ne ho io. Camminavo per strada e mi sentivo sempre le tue mani sul mio seno e sulla mia cosina. Se mi tocchi, sono già bagnata al pensiero’.
‘Alberta, ricordati di tua sorella. Oggi siamo stati di un’incoscienza sovrana. Se si accorgesse delle nostre effusioni’ Non ci voglio nemmeno pensare’.
‘Papà, non devi essere schiavo di lei. Tu non ne parli, vi nascondete, ma io so che andate a letto insieme e non solo a letto. Ti dico solo che Lara è pericolosa. Guardati da lei. Solo io ti posso dare sicurezza’.
‘Cosa intendi con ‘pericolosa’?’.
‘Niente, niente. Insomma, quando si vede toccata in qualcosa che ritiene di sua totale proprietà, perde il senno. Lei ti considera di sua proprietà’.
‘Perché tu no?’.
‘No. Tu sei l’amore mio assoluto, non la mia proprietà’. Gli prese una mano e l’adagiò sulla sua coscia. Ho voglia: accarezzami’.
Anche lui aveva la smania di sentirla di sotto, ma aveva paura di Lara e del malore che aveva avuto.
‘Che fai, non mi desideri più? Ho bisogno delle tue carezze, che tu mi frughi, che ti ubriachi di me’.
Titubante, ma già infervorato, con la mano risalì la coscia verso l’inguine semiscoperto, fino a lambire il lato estremo del pube. Si fermò. Lei si era abbandonata dolce e tenera sul suo petto in attesa. Con un dito frugò nella serica peluria del pube. Il suo sesso era già insorto all’attacco. Lui tergiversava. Alberta non capiva perché indugiasse. Lo baciò, con le sue, le labbra fanciulle. E lui si inebriò di quel bacio. Le raccolse tutto il grembo nella mano e poi dolcemente ve la agitò. Sapeva che voleva godere. E lui seppe farla godere.
‘Su’, disse alla fine, ‘vai ad aiutare tua sorella’. Lei aveva goduto. Ma non era stato come altre volte. Era stato più svogliato ed affrettato. Che cosa gli era successo: non aveva più tanta voglia di lei? Nella notte avrebbe verificato.
Squillò il telefono. Alberta fu lesta a prenderlo. Dopo alcuni saluti e scambio di convenevoli, lo passò al padre.
‘E’ zia Marianna: vuole parlare con te’
‘Marianna, che piacere’ Sì, capisco. Però, potevi chiamare più spesso. Parlare di lei avrebbe fatto bene ad entrambi. Tenersi affetti, ricordi, tutti dentro: questo fa male. Cosa? Figurati: mi faresti felice. Avervi qui tutte e due è come il sole a mezzogiorno. Dopodomani alle 17,00? Sarò puntuale come un orologio svizzero. Ti voglio bene’.
‘Cosa? La zia con quella snob di mia cugina? E quanto vogliono stare?’.
‘Un mese. Devo prenderle all’aeroporto dopodomani’.
‘Ho sentito, ho sentito. La zia non ha ancora trovato marito. Quella è innamorata di te. Vuol prendere il posto della sorella. Erano molto legate, come me e mia sorella, che si atteggia a fare la mamma’.
‘Solo che lei aveva otto anni di meno. Ha avuto Tiziana quando aveva appena sedici anni, l’età di tua sorella. Si sposarono per la bambina, non perché si amassero tanto. Dieci anni di matrimonio, lei che sopportava i suoi tradimenti e infine scomparve, fuggì con una sua dipendente. Nessuno più seppe di lui. Lei pensò solo alla figlia e non si è più risposata. Certo, mi vuole un gran bene, solo questo. E io ho vent’anni di più’.
‘A parte che sembri un trentenne, figurati se lei pensa all’età. Non viene in mente a me, figurati a lei’.
‘C’è il fatto che tu sei mia figlia, non scorgi che sono attempato, perché sono il tuo principe azzurro. Mi vedi con gli occhi del cuore, non quelli del chiaro intelletto’.
‘Infatti, alcune mie amiche verrebbero a letto con te, se solo potessero farlo. Io dico che zia è innamorata. Non vorrei che pure Tiziana si mettesse a far concorrenza a me e a Lara’.
‘Alberta, non siamo in un film porno!’.
‘Dipende dalle prospettive. Comunque, io voglio bene alla zia. E’ Tiziana che mi scoccia un po’. Figurati ora che è all’università! Ho capito’Mi precipito dalla cuoca di casa’ E, mentre correva in cucina, pensava alla frase sfuggitele prima: ‘concorrenza a me e a Lara’. ‘Speriamo che non ci rimugini sopra. E, se fosse? Avrebbe dovuto accettarlo. Non l’aveva fatto pure lei, Alberta?’.
Erano ormai le 23,00, quando Alberta spuntò con due bicchieri di latte, uno che sorseggiava lei e l’altro che recava per la sorella.
‘Guarda che non sono la tua cameriera. Potevi pure alzarti a prenderlo’.
‘Che palle! Io mi rompo a cucinare e tu ti scocci pure quando vieni a portarmi la notte un bicchiere di latte! Sei una irriconoscente!’.
‘Hai capito, papà! Mi fa sgobbare, quando sono in casa, come un somaro. I mobili, i vetri, pulisci qua, pulisci là, l’aspirapolvere. La lucidatrice che mi fa ripassare più volte, perché, oltre che allo specchio, si deve riflettere pure per terra: sei una negriera, ecco!’.
Lara non le rispose e sorseggiò il suo bicchiere di latte. Dopo alcuni minuti le venne il solito gran sonno.
‘Ho un sonno tremendo. Non venite a letto?’.
‘Andate voi intanto. Tra poco salgo anch’io’.
Le due sorelle si avviarono. Alberta aspettava che la sorella dormisse per scendere da suo padre.
In camera si cambiarono per la notte: Lara una canotta leggera, Alberta una camicia da notte in tulle corta, completamente aperta davanti.
‘Te la sei messa per forma. Vorrei sapere che cosa nasconde!’.
‘Il bue che dà del cornuto all’asino! Quella canotta è più arrapante che se fossi nuda, e l’hai messa apposta, a parte la fica alla vista’.
‘La mia, certo. Piccolina, non è che vuoi incantare papà? Non c’è trippa per gatti’.
‘La trippa continuala a mangiare tu. Qualora piacesse anche a me, non chiederei il tuo permesso’.
‘Figurati: il mio permesso! Quando sarai cresciuta almeno di altri cinque anni, potrai interessare sessualmente a qualcuno’.
‘Ha parlato madame Pompadour! Per ora faccio solo la figlia’.
‘E ti conviene. E sai quello che dico. Ti concedo qualche toccatina,ma nulla di più’.
‘Vaffanculo, Lara. E’ vero mi fai tanta paura’Buuhhh’.
‘Sta pure nuda, se vuoi: io t’ho avvisata. Sto crepando di sonno!’. E cadde di colpo addormentata.
‘Sogni d’oro’, sorrise Alberta: il sonnifero, che prendeva sua madre e di cui ora si serviva lei, faceva subito effetto. Stava per scendere giù, ma suo padre le aveva raggiunte. Varcava la soglia. Lei gli corse incontro, sorridente. L’aveva tutto per sé. Lui l’accolse con affetto tra le braccia.
‘Ti sei preparata per la notte, eh. Sei davvero sexy’. E cominciò a spogliarsi. Indossò il pigiama.
‘Non trovi che sarebbe come andare vestiti in un campo di nudisti?’, commento lei, faceta, indicando i calzoni del pigiama.
‘Il paradosso è questo: sono obsoleto o fuori luogo io e non voi due che i vestiti li mettete di necessità quasi sempre quando uscite’. Si tolse i calzoni, adagiandoli su una sedia. ‘Così va bene?’, disse sardonico.
‘Ce l’hai con me, con Lara o con tutte e due? E’ dal pomeriggio che sei cambiato’.
‘Non sono cambiato: sono i troppi pensieri che si accavallano. Dopo i cinquant’anni ci sono molte più probabilità di morire di chi ne ha quaranta, e devo cominciare a pensare concretamente alle mie femmine, se non dovessi esserci più. Ho una bella assicurazione sulla vita, ma questo non basta. Dovrei pensarvi a cercarvi un tutore, la zia, per esempio”.
‘Che pensieri allegri!’, lo interruppe la figlia, mentre lui si infilava sotto le lenzuola. ‘Ci volevano proprio dopo la morte della mamma. Lara non credo che l’avesse in grande simpatia, ma io le ero molto legata. Non ti far passare per la testa di piantarmi in asso: non te lo perdonerei mai’.
‘E’ l’unico viaggio che non è deciso da noi, almeno che ci si uccida. No, mettiamoci a dormire, piccolina. Vedi: tua sorella è cascata come un sasso. Mi preoccupa: non è la prima sera che si corica prima e si addormenta così pesatamente. Anima mia, si stanca troppo con le faccende di casa. Le ho detto cento volte di assumere una collaboratrice. Si incavola. Che devo fare! Se è colta così dal sonno, non ci piove: è perché e così stanca.
Si sporse verso Lara e la baciò sulla fronte. Le tirò un po’ giù il lenzuolo e scorse la canotta con cui s’era coricata. Sorrise. Volgeva le spalle all’altra figlia, ma lei dal movimento capì quel che il padre stava facendo. L’accarezzò sul seno, i cui capezzoli risaltavano sotto la maglia seducente, per adagiarsi in mezzo a loro. Alberta si fece da presso tutta languida, ma il padre restava tranquillo. Lei gli prese la mano e la trascinò sul sesso. Lui la guardò con un sorriso leggero, la scompigliò nel vello leggero, poi ritrasse la mano. Lei scalò il bacino e la coscia di lui con la sua gamba e con la mano lo tentò nel fallo, che rimaneva avvizzito. Scivolò giù per il letto. Era inerte il corpo di lui. Con il viso raggiunse il suo pube, lo baciò tenera, affettuosa, per prenderlo con le labbra e poi nella bocca.
‘Lascia stare, tesoro, non è notte’.
Lei non lo stette a sentire e, tenendo il membro tra le dita, ne succhiava la cappella. Si gonfiava e rizzava superbo quel maschio rigoglio, ma lui non voleva venire. Qualcosa forse s’era oscurato nel suo ardore.
‘Fermati, non farmi venire’.
‘Non voglio farti venire. Voglio che tu mi accarezzi, che tu goda di me, mentre mi tiri il piacere’.
‘Non è notte, questa. Domani, dopo alzati, ti darò il piacere che vuoi’, e con la mano le cacciò il capo indietro.
‘Non mi vuoi bene stanotte. Capisco. Non è colpa mia se non vuoi scoparmi come fai con Lara. Tu le vuoi più bene, perché la scopi. Se mi scopassi, mi vorresti bene almeno quanto lei’.
‘Alberta, che cianci? Che c’entra l’amore col sesso? Io ti amo quanto o forse più di Lara, e tu mi hai donato il tuo culetto adorato. Ma non per questo ti ho amato di più. Ti amo a prescindere’.
‘No, non è vero’, piagnucolò lei, dandogli le spalle e, in silenzio, cominciò a singhiozzare. ‘Non mi scopi, perché ami più lei’.
‘Perché sei troppo piccola. Mi sento in gran colpa per averti penetrato il culetto. Ti farei male. E, comunque, non è giusto’.
‘Come se la fica di Lara può accogliere il tuo cazzo meglio della mia’, disse risentita. ‘A tredici anni ‘ e io sono prossima ai quattordici ‘ si fanno già i bambini’.
‘Alberta, non sai quel che dici’. Lei non rispose più e in silenzio lacrimava.
Non poteva vederla così. Avrebbe pianto in silenzio tutta la notte e questo gli faceva male al cuore. Si addossò alle sue spalle e cominciò ad accarezzale il braccio, a baciarla sulla guancia e sul collo.
‘Tu mi ricatti così. Non ti posso vedere disperare, perché pensi che, se non faccio l’amore con te, è perché non ti amo o ti ami di meno. Su facciamo la pace’. E continuava le sue carezze. Poi, con la mano le cercò un seno, poi l’altro più riposto, giocò coi capezzolini, le fece sentire il membro che ormai era rigido sulle sue terga e con la mano lo sospinse sotto il perineo. Le prese il sesso e cominciò a masturbarla. Lei cominciò ad ansimare, serrandosi più stretta a lui ed agitando i glutei contro il pube di lui.
‘Scopami’, gli sussurrò anelante,’scopami, avanti, ti prego’.
‘No, non posso e non lo farò. Vieni, facciamo un sessantanove. Guizzò come un felino e col volto fu sopra il pube del padre. Si inebriò dei testicoli gonfi, dell’intero suo genitale, stimolandolo in ogni suo anfratto. Così s’impegnava anche lui nella sua giovane ogiva, strappandole gemiti struggenti. E così, in tutte le pose, andarono avanti per più di un’ora. Alla fine lei soddisfatta e lui troppo sfibrato, abbracciati si addormentarono, con lui, però, sempre stretto al seno della sua figlia maggiore.
La prima a svegliarsi fu Lara. Le dava una sensazione di benessere erotica ritrovarsi con la mano paterna infilata sotto la canotta, stretta sul seno. Comunque lei si rigirasse durante il sonno, lui finiva sempre per ritrovare il suo seno a cui aggrapparsi, e questa non era la prova più vistosa del suo amore per lei? Lo faceva inconsciamente, perché era radicato nel suo profondo l’amore che le portava. Subito dopo si accorse che era nudo dalla cintola in giù. Lo cercò subito sotto con la mano. Era instancabile suo padre: ce lo aveva drizzato come un obelisco e lei si sentì illanguidire. Cavolo! Non è che stava diventando una ninfomane? Possibile che se ne sarebbe stata con l’uccello del padre infilato nella sua passera tutto il giorno. ‘Cazzo, ho sedici anni’, si disse. ‘E, se non ne ho voglia così prepotente ora, quando devo averla: a sessant’anni. E, poi, credo che la mia voglia sia insaziabile, perché si tratta di lui. Lo amo da morire, che dico: da impazzire. Sì, per lui farei qualsiasi follia. E che? Forse non l’ho fatta? Senza di lui la mia vita sarebbe inutile. Ora glielo prendo e me lo infilo da dietro, vediamo se si sveglia’. Detto fatto. Si accovacciò con il suo di dietro a ridosso del suo pube e con la dita indirizzò il membro dell’uomo dentro la sua vagina, che lo risucchiò golosa. E, tenendolo dentro, si agitava lentamente per non farlo uscire. Essendo nella fase finale del sonno, lui si svegliò e s’accorse subito della manovra. Due sentimenti di prepotenza uguale e contraria cozzarono contro: il desiderio di tenerla contro di sé, con la mano abbarbicata al seno di lei. E staccarsene subito, se non voleva morire d’infarto e non godersi più per sempre le sue bellissime figlie. Optò per questa soluzione. Quindi, accontentata la figlia per qualche minuto, uscì da lei, deciso ad alzarsi.
‘No, che fai: mi lasci così sul più bello? Mi farai stare male fino all’ora di pranzo, quando torni.
Stanotte non abbiamo fatto niente, perché mi sono addormentata, ora mi tocca’.
‘Lara, non così: toccata e fuga. Da un istante all’altro si sveglia tua sorella. E’ vero che sa che scopiamo, ma, così, farglielo in faccia, che dici: non è bello?’.
‘E va bene’, disse lei con un grosso sospiro. Coccolami un po’, però, prima di alzarti. Il caffè, te lo preparo sempre io’.
Lui la baciò, l’accarezzò un po’ dappertutto, la masturbò fino a farla venire, quindi, si alzò e lei dietro di lui. Insieme scesero in cucina, lei solo in canotta, lui in pigiama. Insieme si fecero la doccia, lei cercò di corromperlo, lui la fece di nuovo venire, poi, usciti dal box, lei preparò il caffè.
‘Non mi piace questa storia. No, davvero non mi piace. Anzi, non mi è mai piaciuta lei, come quella secchiona della figlia, che se la fa con la mano sempre nella fica’.
‘Lara, di prima mattina con le parolacce! E’ tua zia, che è una bella donna, proprio bella, e ti vuole bene. E Tiziana è altrettanto bella’.
‘Bella! Che cosa ci trovi di bello? Solo tu mi pare, visto che nessuno se l’è filata’.
‘E’ lei che non si è filato nessuno: s’è dedicata anima e corpo a Tiziana, che è una ragazza studiosa, non secchiona. Ha una cultura pregevole ed è molto sensuale. Non credo che stia sempre con le mani a fare manovre’.
‘Le fa eccome, quando siamo davanti alla televisione e, forse, pensa che nessuno la guardi, e quando è a letto, se non si fa mezz’ora di masturbazione, non si accontenta’.
‘Lara, sei acida, perché sei gelosa. Possibile che ogni essere umano, se è una donna, tranne che non sia uno scorfano, non ti va a genio?’.
‘Può darsi, può darsi. E’ perché mettono gli occhi addosso a te e non lo sopporto’. E, accostandosi a lui, l’alito della sua bocca su quella di lui, fissandolo torbida, continuò, la voce arrochita, ‘Perché tu sei mio, solo mio e questo ‘ e infilò la mano nei calzoni del pigiama, prendendogli il membro ‘ appartiene solo a me. Lo so, mi giudichi pazza, malata, forse, per questa voglia continua che ho di te. Dipendesse da me, vorrei che mi scopassi in continuazione, che stessi con le mani dentro la mia fica, che imprigionassi per sempre i miei seni. E’ una febbre che mi cola nelle ossa e che vedo, raggiante, che arroventa anche te. Non brami anche tu cercarmi sempre nel sesso, inebriarti dei miei seni?’. Lo abbracciò e lo baciò appassionatamente con la lingua. Lui non poté fare a meno ‘ era più forte di lui ‘ a cercarla nell’inguine, a scompigliarle il magnifico seno. E lei sentì che la voleva e si espose lussuriosa spalancando le gambe sospesa su angolo del piano del tavolo. Si accostò sino a lambirla, ma riuscì a farsi forza. L’accarezzò ancora sul sesso, poi, corse affrettato a vestirsi. A lei rimase forte la smania di essere da lui posseduta e nella mattinata fece la scorbutica con la sorella.
Suo padre, però, telefonò che a pranzo non sarebbe venuto e questo mise di malumore entrambe le sorelle. Avevano voglia di lui, fosse anche solo di essere palpeggiate. Forse, non era solo l’assuefazione di sentirsi in perenne stato di euforia erotica, di viva eccitazione: volevano essere sempre sicure di essere desiderate, amate.
Quando la sera rientrò, Lara si precipitò ad abbracciarlo e a baciarlo appassionata come un’amante senza più avere remore per la sorella. Voleva che fosse chiaro che il padre era il suo amante, solo suo. Era, pure, un segnale dato a quest’ultimo per il tempo futuro: l’unica donna della sua vita e a letto era solo lei. Mentre lo baciava ‘ e lui impacciato e arrossito non sapeva come rispondere a quel bacio,- si strofinava a lui vogliosa e impudica. Lui la invitò a voce bassa di smetterla e, dato che lei non lo lasciava, la respinse bruscamente. Alberta da lontano guardava ingelosita, ma senza darlo totalmente a vedere: sapeva aspettare. Non corse ad avvinghiarsi a suo padre: lo salutò soltanto, mettendosi a passeggiare un po’ per il salone e salendo, poi, nella sua camera. Sapeva che il padre l’avrebbe raggiunta a dispetto dei mugugni della sorella, che era impegnata in cucina a preparare. Anselmo, difatti, andò a cercarla e la trovò che faceva finta di rovistare nel baule con l’aria di chi è risentita. La chiamò e, visto che non si girava, si chinò per baciarla sul collo. Lei si rizzò senza girarsi. Lui l’abbracciò prendendola per i seni. Certo, non erano quelli di Lara, pieni, plasmati, ma a lui piaceva tenerli tutti raccolti nelle proprie mani e sapeva che quella stretta eccitava la figlia. Il suo sesso già inalberato premette sui glutei di lei che lo avvertì con brividi di piacere. Non parlavano entrambi, ma lo facevano le mani di lui e il corpo di lei che assecondava il desiderio di lui. La baciava sul collo e sulla guancia e, finalmente, girato il capo, lei gli porse la bocca. Mentre con una mano continuava a tastarle il seno, con l’altra corse a frugarla sotto la cortissima gonna. E la trovò nuda. Rabbrividì, mentre sentì sotto la propria pelle scorrere la tenue peluria del vello di lei. Che si strinse ancora più strettamente a lui col suo di dietro, invogliandolo a prenderla. Ma lui voleva rimandare tutto alla notte: aveva solo desiderio di calmare la febbre che Lara gli aveva acceso e fare capire ad Alberta che lei veniva prima della sorella. La continuò, quindi, a baciare, continuando ad accarezzarla sotto la maglietta e esasperando i piccoli capezzoli di lei al massimo turgore e masturbandola nel sesso, fino a che la sentì godere. Le sue figlie ormai erano una malattia, una droga che scorreva come metallo fuso nel sangue infiammandogli di libidine ogni poro della pelle, i suoi nervi, le sue vene.
‘Su, scendiamo, se no, tua sorella si insospettisce. Non dovrà mai accadere. Tu sei la mia preferita, ma lei non lo dovrà mai sospettare. Lo capisci, vero?’.
‘Te l’ho già detto io, mi pare. Non accadrà mai. Non lo darei a vedere nemmeno sotto tortura. Di notte, poi, lei dorme come un ghiro e possiamo amarci come vogliamo.’. Poi, ridendo: ‘Non so quanto può durare questa tua perfomance di accontentare in una giornata la voglia di due donne. Alla fine dovrai optare per una: non credi?’.
‘Se non mi spremerete come un limone potrò soddisfare tutte e due. Se no, a turno, come farebbe un musulmano’.
Lei lo guardò ancora accesa di desiderio: ‘Accarezzami ancora e poi scendiamo’ e si avvinghiò, strofinandogli il pube contro, baciandolo. Poi, si inchinò e gli cercò il sesso, che svettò prepotente. Lo impugnò, lo scoperse, lo sfiorò con le labbra, infine lo imboccò lasciandovele scorrere. Quindi, tenendolo con la mano, cominciò a succhiarlo come una poppante, gli occhi chiusi nel pregustare il piacere dell’uomo. Lui lo sentiva salire su dalle gonadi, ma voleva mantenersi per la notte. Sapeva bene che avrebbe dovuto accontentare Lara, di cui aveva grande voglia. Ormai al limite, l’allontanò con la mano. ‘Uhm’, lei mugolò, la bocca piena. Ma lui con la forza della volontà la staccò da sé.
Quando scesero sotto, Lara stava già portando in tavola. Non immaginava quel che si era svolto lontano dai suoi occhi. Eppure, Anselmo trovò il modo di brancicarle il seno e lei sentì con orgoglio quel possesso paterno e quella voglia poderosa che la pressò sulle terga.
Qualche ora dopo la cena, lui riuscì a sussurrare ad Alberta che andasse di sopra. La figlia comprese e si ritirò nella sua stanza. Lara si abbandonò tra le braccia del padre. La voglia che era stata appiccata da Alberta, unita al desiderio di Lara, deflagrò in tutta la sua veemenza. Le stracciò quasi con furia gli indumenti per poi baciarla dissetandosi nella saliva di lei mulinando la lingua nella sua bocca. Lei si sentì soffocare da quell’impeto, stordire e ubriacare da quella passione. E questa in lei salì vertiginosamente alle stelle. Le stritolò i seni bellissimi e vi si pascette con avidità. Era così appassionato di quelle sfere luminose e carnali che avrebbe voluto disperdervi il viso, naufragarvi come in un mare di frangenti. Le impastava, le mordicchiava, le suggeva, pizzicava, vi affondava smanioso la faccia, si attaccava ai capezzoli succhiandoli a farli quasi sanguinare, le devastava di baci. Erano così tanti gli spruzzi, poi diventati gorghi, di piacere, che lei si sentì inabissare nello stordimento di esso. Il cuore le si slargava talmente che le pareva morire. E, quando la cercò e trovò nel sesso, vorace con le dita e la bocca, impazzì dal godimento. Rovesciava la testa da un lato e dall’altro, la mano in bocca e lamentandosi flebilmente come un animale ferito, inerte come un fuscello alla deriva in una rapida travolgente. E lui entrò finalmente in lei: gli occhi le si rovesciarono nell’estasi, mentre il seme di lui la inondava con il suo tepore. Oh, quanto l’amava, per lui avrebbe ucciso ancora.
‘Ancora, fai ancora l’amore con me. Baciami i seni. So quanto li adori. Smani, quando li prendi, come se li volessi strappare. E io fremo, brucio dal godimento, quando me li tormenti. Mordili, maltrattali e, prendimi, prendimi ancora. Ho così voglia di te. Voglia che tu mi riempia tutte le viscere con il tuo seme, sentirmelo traboccare fuor dalla gola. Ti amo, ti amo, e ti voglio’.
‘Maltrattare i tuoi seni, queste mie lussuriose colline di carne, che irraggiano mari di voluttà. Morbide come la buccia di una pesca e fermi come di marmo. Se potessi farmene un cuscino per riposarvi tutte le notti. Sì, voglio ancora tenerle nelle mie mani, voglio stordirmi della loro fragranza’. E, afferrate le mammelle a due mani, vi affondò il viso nell’incavo, chiudendo gli occhi e inebriandosi di quella soffice beatitudine. Sì, in quel momento aveva così tanto bisogno di lei, di sentirla materna.
‘Lara, Lara, sei la droga dell’anima mia. Fammi bere il nettare dei tuoi capezzoli rosa’. E, attaccatosi ora all’uno, ora all’altro di essi, cominciò avido a ciucciarli in modo così prepotente da farle quasi male. Lara, invece, gemeva, gemeva di un diletto sconfinato. Lo sentiva, figlio, padre ed amante e ciò la esaltava sino allo spasimo, mentre le sue viscere si contraevano in orgasmi continuati. Avrebbe voluto tanti figli da lui, anche se lui non avesse voluto. Lo amava oltre ogni limite. Per lui avrebbe fatto anche la puttana. Scivolò lentamente sul corpo di lui, abbandonata e lasciva, fino a raggiungere il sesso di lui. Lo cullò, lo picchiettò, lo scalpellò masturbandolo dolcemente, poi lo lasciò scivolare tra le labbra schiuse, mulinandolo in tutto il palato, avida, ingorda. Sentiva il piacere di lui nella torsione del corpo e cercava di allungarlo sino allo stremo. Aveva esigenza del nettare di lui, del suo sapore appena salso. Allora si decise. Avviluppò la cuspide fremente del sesso di lui tra le tumide labbra e cominciò a suggere come un bimbo affamato di latte materno. E lui venne subito copioso, sentendosi aspirare le parti più segrete delle gonadi. Lei ingurgitò quel tiepido rigagnolo fino all’ultima goccia. La voglia di lei era ancora tanta che sapeva come incentivarla, come il fuochista in un forno a vapore. Gli accarezzava i testicoli, li succhiava, li sballottava in bocca, gli stimolava, sotto lo scroto, la prostata, fino a che il sesso di lui si ergeva in tutto il suo trionfo. E lui la voleva, la voleva ancora, entrare in quella fica di sogno, sensuale e libidinosa e, giratala con le spalle verso di sé, avvinghiandola per i seni, la penetrò con foga con i testicoli che le schiaffeggiavano i glutei. Schiaffo che lei godeva, mentre con una mano cercava di afferrarli. La squassò con poderosi colpi di maglio che sembrarono durare all’infinito, mentre lei si torceva sino allo sbigottimento dal godimento, lamentandosi con grida, come un animale ferito a morte. E questo ingigantiva l’eccitazione di lui, che, nel possesso, le stritolava i seni. Era un gigantesco maremoto il suo maglio di carne a imperversare sulla scogliera di lei, rovistando tutte le feritoie più inaccessibili. Una contrazione spasmodica, dolorosa quasi, e, ancora una volta, venne in quella grotta aulente, bramata e fumigante di desiderio. E si abbatté, schiantato, sul dorso di lei. Il mare si placava in entrambi a cerchi concentrici, lenti e sfiniti. Nudi, mano nella mano, in silenzio, si avviarono verso la loro camera. Alberta quella notte non cercò suo padre, anche se il cuore ebbe un tuffo concitato quando li vide fare il loro ingresso nella stanza. Fece finta di essere addormentata. Si sarebbe accontentata che Anselmo le avesse scompigliato soltanto la sua voluttà pubescente. E quella scomposta carezza le mancò.
V
‘Le mie ragazze! Siete sempre più belle’, e, sorridendo, la zia Marianna corse verso le nipoti. Lara non si mosse, mentre Alberta andò incontro alla zia. Dietro di lei veniva Tiziana. Era una ragazza bionda, capelli corti, occhi verdi con un luccichio di giada. Era decisamente bella e affascinante nel suo metro e settanta. Un seno superbo e un di dietro alto che faceva lievemente ondeggiare la rendevano sensuale. Era consapevole di essere bella e desiderata e lo mostrava. Prossima diciannovenne, tranne qualche casto filarino, non aveva avuto alcun rapporto intimo ed era decisa a mantenere questa sua castità fino a quando non l’avrebbe potuta donare alla persona che l’avrebbe travolta dalla passione. Era legatissima allo zio, anche se non lo dava a vedere. Le era mancata la figura paterna e lo zio colmava quella carenza. Era forte e bello e dava sicurezza. Quando, all’aeroporto, lo aveva abbracciato si strinse forte. Anselmo non poté non avvertire con un brivido il turgore sensuale del seno sul proprio torace. Un analogo turbamento provò quando aveva abbracciato la cognata. Marianna alla soglia dei quarant’anni non aveva perso nulla della sua bellezza. Il fisico perfetto, anche se più minuto della figlia. Sul metro e sessantacinque, gambe snelle e nervose, un di dietro tondo e sodo, un seno piccolo, ma ancora ben sostenuto, che lei mostrava disinvoltamente con la sua camicetta scollata ad uso e consumo del cognato. Gli occhi erano neri e vellutati in un volto ovale incorniciato da lunghi e increspati capelli. Marianna era venuta da Anselmo determinata a portarselo a letto, a sostituire sua sorella nel talamo matrimoniale. Sì, perché lo voleva sposare, anche se il cognato non ne aveva sentore. Non immaginava che anche la figlia aveva posto più di un pensiero non proprio casto sullo zio. Tuttavia, Tiziana non avrebbe posto intralci al piano della madre, anzi. Il punto era se la strategia materna sarebbe stata vincente. Ecco perché l’attacco doveva essere portato in due. Marianna non immaginava che la figlia volesse cooperare in modo molto solerte alla riuscita dell’impresa e, certamente, non l’avrebbe gradito.
Ultimati i convenevoli d’obbligo e quelli sentiti, Marianna e la figlia andarono a sistemarsi nella camera riservata a loro. Si ritrovarono tutti, insieme, a pranzo, in cui fu lodata la perizia di cuoca di Lara. Mentre le tre ragazze sparecchiavano e poi si intrattenevano a scambiarsi le proprie considerazioni, Marianna e Anselmo erano a parlare nella camera della prima.
‘Sai come la penso su mia sorella. L’ho detto a lei ripetutamente. Le volevo un bene dell’anima, ma eravamo franche una con l’altra. Sono stata dura con lei per come si comportava con te. Non ho capito la sua evasione, anche perché lei mi raccontava nei particolari le vostre effusioni ed era più che soddisfatta sessualmente’.
‘Davvero, ti raccontava della nostra intimità nei particolari? Tutto tutto?’.
‘Anche le minuzie. Forse lo faceva pure apposta per eccitarmi. E ci riusciva. Anselmo, tu mi piaci e lo sai. Ho detto sempre a mia sorella che, se non fossi stato suo marito, ti avrei sedotto. Ora, purtroppo, lei non c’è più e io posso provarci. Sono venuta con questo intento. Allora, che ne dici cognato: sono troppo sfacciata? Alla mia età non si può più perdere tempo in chiacchiere e pantomime ipocrite. I tuoi sguardi, li ho sempre colti con desiderio anche se temperato da complicità e affetto. So che mi hai voluto, e me ne vuoi ancora, un gran bene. E’ da una vita che una mano d’uomo non mi tocca. E’ stata una mia scelta, m’è pesata come la più grande delle montagne. Quando mia sorella ti ha presentato, l’ho invidiata: eri l’uomo che avrei scelto io, se ti avessi conosciuto. Allora, cognato, che dici: sono ancora bella, sono ancora in grado di tentare un uomo come te?’.
‘Marianna, sai che sei bella e desiderabile. Sono non solo lusingato e..’, non finì di parlare che lei lo abbracciò e lo baciò. E lui rispose pronto al bacio. La desiderava in modo prepotente. Era un po’ come se fosse sua moglie. Scoprire la sua intimità era bello e lo eccitava enormemente. E, mentre lei gli cercava il sesso, lui infilò la mano nello scollo vertiginoso.
Era così assetata di lui, del maschio che le mancava da tanti lunghissimi anni, che voleva la penetrasse subito. Lui, però, sapeva come esasperare un desiderio per accrescerne il godimento. Così, la palpeggiò, la baciò, la titillò, la succhiò, la morse, fino a quando la sentì schiumare dalla voglia, fino a quando i secreti della palpitante vagina gocciolarono come una fontana guasta. La posizionò a quattro zampe e la possedette con foga. Con una mano le tormentava il seno, con l’altra le masturbava il clitoride. Erano tanti gli anni che non conosceva uomo che si sentì impazzire per le sensazioni che si sprigionavano dalla sua vagina in cui furoreggiava il maglio di carne del cognato. Si aggrappò al copriletto spasmodicamente, tanto il piacere la dilaniava.
‘Sbattimi, sbattimi così, cognato’, lo incalzava. Ma, di colpo lui si fermò.
‘No, che fai, non ti fermare’.
‘Pensa a godere. Lasciami fare’.
Raccolse dalla vulva il lago degli umori di lei e lo spalmò sulla grinza dell’ano.
‘No, lì no. Mi farai male. Non l’ho mai fatto’.
‘C’è sempre una prima volta. Hai un culo arrapante. Lo voglio, lo voglio’.
Lei non replicò. Si limito ad aspettare. Lui si spalmò di saliva il glande, lo portò su quel più stretto orifizio e, spingendo pian piano, la penetrò. Sentì risucchiato il suo membro come una supposta. L’abbrancò per i seni, mentre si dimenava dentro di lei.
‘Masturbati, toccati, forza, toccati’, chiese lui.
Lei che aveva cominciato ad ansimare, ubbidì. Lui andava e veniva, facendo sbattere i testicoli contro i glutei di lei, che ne raccoglievano lo schiaffo con voluttà. Appena poteva, allungava una mano per raccoglierli e stringerli. Ancora un’altra volta, lui uscì, per prenderla nella vagina. E così, prendendola ora nel culo ora nella fica, andò avanti per un po’. Riusciva a controllarsi e non venire. Infine, la rovesciò sul letto, si portò le gambe di lei sulle spalle e la riprese nella vagina. Avanti e indietro, avanti e indietro e, quando sentì che lei veniva per l’ennesima volta, anche lui si abbandonò all’orgasmo.
‘Sei stato fantastico’, disse lei. ‘Non ricordavo più come si facesse l’amore. Ora che ti conosco biblicamente ancora di più non capisco perché mia sorella ti volesse piantare. Oh, Anselmo, ho ancora voglia di te, anche se mi hai soddisfatto alla grande. Quanto sei bello! No, non parlare: ti vedo così. Lo voglio prendere in mano. Sembra timido, timido, tutto raccolto in sé. Che fai mi desideri? – disse rivolgendosi al sesso di lui, e cominciò lievemente a masturbarlo. Il genitale cominciò subito a lievitare.
‘Allora mi desideri?’. Anselmo la guardava divertito, mentre maneggiava il suo membro. ‘Vuoi un bacetto, eh? E io ti prendo in bocca, invece’. Accostò il viso al membro, lo baciò dappertutto e, poi, ormai decisamente rizzato, l’immerse tutto in bocca, andando e venendo su di esso e succhiandolo avida. Un piacere sottile invase l’uomo, mentre vedeva la testa della donna agitarsi ritmicamente sul suo sesso. Gli venne istintivo chinarsi verso quel capo e stringerlo con le mani. Si capiva che non era esperta, ma per questo era tanto più eccitante.
‘Se continui così, non ce la farò a trattenermi: ti verrò in bocca’.
Lei lo guardò compiaciuta, facendogli intendere che lo voleva.
‘Non so, poi, se ti potrò ancora scopare’, osservò lui, incalzato dal piacere. Lei non gli dette intesa e continuò sempre più ingorda fino a quando sentì quell’obelisco rigido ingrossarsi allo spasimo per poi eruttare sussultando nella sua bocca. Lei deglutì il tulle tiepido e leggermente salso di lui sino all’ultima goccia.
‘Ne avevo bisogno. Volevo assaporare il sapore di te. E’ buono. So che ancora ce la puoi fare, perché ti voglio ancora. Ti accarezzerò così voluttuosamente che il tuo gingillo risorgerà più vigoroso di prima’.
Non poteva risponderle Anselmo che era munto allo spasimo in quella villa dalle sue figlie. Era anche vero che il desiderio cresceva sempre di più con i coiti continui.
‘Ormai so che morirò d’infarto. Pazienza. Del resto, quale morte più bella di quella sulla fica di una donna’, così pensava, mentre Marianna parlava. Poi, cominciò a accarezzarla riconoscente del pompino. Era davvero stremato, ma aveva voglia di maneggiare quei seni ancora così sodi e cesellati. Pensava che erano anni che le mani di un uomo non li avevano stretti e si sentì eccitare. Le afferrò i capezzoli tra le dita. Erano turgidi e morbidi, più piccoli di quelli di sua moglie. Li strinse ancora più forte fino a farle quasi male. Poi, vi tuffò il viso per stordirsi su quelle voluttuose piccole coppe di carne. Vi si abbarbicò come a degli spuntoni di roccia, mentre li divorava con la bocca, inducendola a gemere. Lei già cercava il genitale di lui. Ne raccolse i testicoli, cominciando a mungerli. Lui scese con la bocca e le mani verso quello di lei. Lo scompigliò fino a farla lamentare dal piacere. La scopava con le dita e con la lingua, la frugava nella vulva e nelle natiche fino a farla bruciare dalla voglia. Lei lo spinse ad un tratto da un lato e si tuffò sull’ogiva del grembo di lui con il viso a cercare ancora una volta la verga, i testicoli. Lo masturbò con la bocca e le mani fino a quando sentì quel maglio voluttuoso gonfio di prepotenza, quindi, gli sussurrò rovente: ‘Scopami’.
Entrò subito dentro di lei con impeto. Ruotarono uno sull’altro nelle posizioni più varie, febbricitanti di desiderio. Lei era stordita dal piacere, quasi incosciente. Si abbandonò sussultando sotto gli spasmi dell’orgasmo di lui.
‘Sei meraviglioso, cognato, meglio di un martello pneumatico. Donna, mi hai fatto sentire pienamente donna. Fammelo accarezzare. Non ricordavo quasi più com’era fatto. Ne è valsa la pena, però’. Si allungò verso il bacino di lui e gli raccolse il sesso in mano.
‘Come se non avesse fatto un pandemonio prima. Guardarlo com’è tutto raccolto in sé. Il riposo del guerriero’. Avvicinò il viso e lo odorò.
‘Sa di me. Sì è il mio odore, più forte del tuo. Mi piace quest’odore: si sposano bene. Dio, quanto mi piace questo tuo uccello!’. E cominciò a baciarlo.
‘Calma, calma, bellissima cognata. Non sono un pozzo senza fondo’.
‘Guarda, guarda, come si solleva. Ha ancora voglia. Per la verità pure io’.
‘Una cosa è quel che vuole lui, un’altra quel che posso dare io. Per oggi è chiuso. Ti morderei come un’anguria, ma è meglio gustarti un altro momento’. Le prese i capezzoli, li strizzò ruvidamente, facendola sobbalzare. Poi, si alzò e cominciò a rivestirsi.
Quando scesero di sotto era trascorso l’intero primo pomeriggio. Le ragazze erano tutte e tre nel salone e li guardarono scendere in silenzio. Capivano bene che non si erano scambiati solo ricordi e commenti. Le due sorelle fremettero, soprattutto Lara. E che? Voleva per caso portarsi via il padre? Se lo poteva scordare. Si sarebbe fatta sentire da Anselmo. Passi se si prendeva qualche libertà con la sorella, ma non c’era niente per nessun’altra donna.
‘Mamma’, ruppe il silenzio Tiziana, ‘Vi siete raccontati l’intera storia della vostra vita! Dovevamo uscire. Si è fatto tardi. Allora: usciamo o no?’.
‘Scusami, scusatemi. Vero. I ricordi ci hanno preso la mano. Sapete quanto siamo legati io e tuo zio. Ci siamo messi a ricordare la zia. Sono pronta. Solo la borsa e possiamo andare’.
‘Sì, scopando’, si rispose in mente Lara. ‘Te lo darò io, portarmi via mio padre’
Cinque minuti dopo Annamaria e Tiziana erano fuori. Anselmo si era accomodato sul divano in mezzo ad Alberta e alla sorella.
‘Come siete taciturne e rabbuiate! Volevate uscire pure voi?’.
‘Sfotti o fai lo scemo? Vi si leggeva in faccia quel che avete fatto. La zia voleva essere consolata e tu l’hai consolata per oltre due ore. E poi siamo noi che ti stressiamo, vero? Ti facciamo venire l’infarto’.
‘Una volta tanto, sono d’accordo con la negriera’, aggiunse Alberta. ‘Lara ti adora e ha i suoi diritti, e tu ti neghi perché sei troppo stanco o rischi l’infarto. Io ti credo, però’ Le tue figlie vengono prima di tutto. Io salgo sopra. Lara sicuramente avrà tanto da dirti. Io lo farò più tardi, zia permettendo’. Poi, rivolta alla sorella: ‘Non me lo strapazzare troppo anche se lo merita’. E si diresse verso la scala.
‘Sì, è vero: abbiamo fatto l’amore. Non potevo tirarmi indietro. Sarebbe stato indelicato’.
‘E se io scopassi con un uomo, che faresti? Me lo perdoneresti, se mi giustificassi col dire che è stato solo per fare un favore? Io non sarei in grado di andare a letto con un altro: questa è la verità’.
Lui non rispose. L’attirò solo a sé. Lei recalcitrò, tentò di respingerlo, ma, quando lui la cercò nel sesso, si ammollò, la voglia la percorse e si abbandonò. Lui sapeva ormai che linguaggio parlare con la figlia per piegarla. Infilò due dita nella vagina della ragazza e cominciò a stantuffarla, mentre con l’altra mano le afferrava il seno.
Lara cominciò a lamentarsi. Quell’uomo era una febbre per lei, una droga, una malattia.
‘Prendimi, prendimi’, lamentò implorante e con la mano cercò il sesso di lui che, nonostante le imprese di prima, si ergeva prepotente. Non gli dette tempo. Si tolse le mutandine e si accomodò fremente a calcioni su di lui, impalandosi da sola, cominciando a dimenarsi con furia. Lui le strappò quasi la camicetta e si aggrappò ai suoi seni meravigliosi, ora strizzandoli, ora affondando il viso e la bocca su di essi. E ancora una volta in quel pomeriggio venne. Si sentiva svuotato, indebolito. La testa gli vorticava e la nuca gli doleva. Eppure, se Lara avesse insistito, non avrebbe potuto resistere nel ricominciare. Doveva riuscire a chiudere queste storie con le figlie. E, perché no? Accasarsi con la cognata. Gli piaceva davvero. Forse ne era stato sempre innamorato.
‘Devo un debito a mia sorella’, interruppe i suoi pensieri la figlia. ‘Non ti dividerò con nessuno, ma lei è un’eccezione anche se saltuaria. Ora te la mando e non farti venire l’infarto. Con tutto questo affollamento sarà un problema vederti da solo: bisogna approfittare ora’. Lo lasciò, mentre si riassettava e salì in camera per far scenderle Alberta, che si meravigliò del comportamento della sorella. ‘E che?, pensò. ‘Aveva finalmente preso atto che c’era pure lei nel letto del padre?’.
Anselmo non ebbe nemmeno il tempo si sgomentarsi. Il sesso era ormai una droga: più gliene si offriva e più ne voleva.
‘Hai voglia di me’, chiese Alberta. ‘Davvero hai voglia di me? Dei miei seni, del mio culetto, della mia patatina? Me lo devi dire’.
‘Sì, ho voglia di te, come sempre. Poi, con questi calzoncini consunti, la camicetta annodata sul pancino, i tuoi seni che occhieggiano, come faccio a non avere voglia? Vieni’.
Alberta si pose all’in piedi davanti al padre senza camicia, i calzoni aperti. Lui allungò una mano e l’adagiò sulla gota di lei in una carezza dolce e sensuale, poi la discese sul collo, per accompagnare il bordo della camicetta arrotolata. Ne avvertì il declivio nello scollo. I capezzoli si protendevano turgidi sotto il tessuto. Li raccolse tra i polpastrelli dell’indice e del pollice, strofinandoli con desiderio. Lei già si era bagnata e brividi la trascorsero a quei tocchi. Le dita di lui si rivolsero, poi, al nodo della camicetta, sciogliendolo. Con lentezza esasperata, mentre le mani le raccoglievano i piccoli seni, gliela fece scivolare dalle spalle, finendo per terra. Quanto era bella e sensuale nella sua adolescenza la figlia! Il corpo sottile, armonioso nelle curve di ragazzina, urlava voluttà nella sua freschezza ingenua e disarmante. La spinse verso di sé e, con le mani sempre abbarbicate a quelle dolci colline, cominciò ad inebriarsene baciandole e mordicchiandole. Quindi le lasciò scivolare verso le terga, sospingendo i calzoncini in giù insieme allo slip. Eccola: era nuda, piccola Venere, davanti ai suoi occhi. Scivolò dal divano e, in ginocchio, tuffò il viso su quella nuvola leggera di scuro che ombreggiava il pube di lei e cominciò a farla godere. Con le mani le martoriava le rotondità del culetto. E di questi lo assalì prepotente la voglia. La girò di colpo e la fece piegare verso il divano. Lei capì e si dispose. Avrebbe voluto che il padre la possedesse nella sua natura, ma se lui la desiderava così’ Lui si riempì la mano di saliva e le spalmò il buchetto. Fece la stessa cosa con la punta del glande, l’appoggiò sullo sfintere, quindi spinse. Con una mano le stringeva una tettina, con l’altra le masturbava il sesso. La sentì godere più volte. Lui avrebbe potuto continuare indefinitamente dentro di lei, tanto il suo membro era diventato insensibile, ma voleva che la figlia usufruisse di lui al massimo. Avanti e indietro, avanti e indietro, fino ad arroventarla dentro. Non riusciva a venire.
‘Scopami nella fica, nella fica, così vieni. Non ne posso più. Ti voglia nella mia fica’.
‘No, no’, rispose lui, mentre con la mano quasi gliela strappava, così forte la brancicava. ‘Lo desidero tanto. E’ così stretta che grida di essere allargata. Non è ancora tempo’ E la sbatteva più forte sopra le terga. Ma non riusciva a venire. E lei voleva sentire il tiepido fiotto di lui. Lo voleva nella sua bocca.
‘Aspetta’, disse con la voce rotta dal piacere lei, mentre si discostava da lui. Si girò e si inginocchiò. Gli prese il membro in mano e lo imboccò, scopandolo con la bocca e masturbandolo insieme. Il vedere quella mano piccola ed esile tenergli il sesso segandolo lo eccitò di più e finalmente riuscì con un singulto nel cuore ad eiaculare.
‘Fatemi due bistecche da un kilo: sono disfatto’, e si abbandonò sfinito sul divano. Alberta lo baciò appagata e corse in cucina.
‘Ti ho restituito il debito’, disse Lara alla sorella. So che avete pomiciato o forse più. Pensavo che sarei stata arroventata dalla gelosia. Non è successo. Chissà, forse perché non vi ho visto o forse ‘ e ne devi convenire pure tu, – perché il pericolo maggiore sono la zia e la cugina. Riusciranno a sottrarcelo. Non fosse perché, vivendo nella stessa casa, sarebbe impossibile fare l’amore con papà. E lui troverebbe un alibi d’acciaio. Oh, Alberta, non so tu, ma io impazzirei. Sarei pronta a fare anche gli spropositi più orribili pur di non lasciarlo a chicchessia’.
‘Lo so. Lo hai già fatto’.
‘Di che parli?’.
‘Di mamma. Non te lo dovrei perdonare mai, mai. Ma tant’è. Ora è di papà che ci dobbiamo preoccupare. Voglio bene a zia e Tiziana, ma hai ragione tu: loro ce lo toglieranno. Curioso! In cuor mio avevo deciso che, poco alla volta, te lo avrei tolto dal letto. Vendicare la mamma da un lato e appagare la mia gelosia. Il fatto è che sono tua sorella e ti voglio bene. Mi tratti da schiava, ma ti voglio bene e non sono gelosa di te come mi costringevo a pensare. Sei una parte di me, forse quella più perversa, ma sempre una parte di me. Dobbiamo studiare che fare, quindi, per tenerci papà, senza fare alla zia quel che hai fatto a mamma’.
‘Tu sei pazza, Alberta: non c’entro con mamma. Se lei si è rotta l’osso del collo, che colpa ne ho? A quest’ora tu staresti senza papà. Io no. Non l’avrei mai lasciato. Convincere papà! C’è un solo modo, non riesco ad arzigogolarne altri: ricattarlo. ‘Se ti vuoi scopare di tanto in tanto zia e cugina, purché se ne stiano a casa loro, pazienza. Ma, se vuoi insediare zia nel tuo talamo nuziale, inonderemo tutto il social network con i particolari più piccanti della nostra relazione. Ti perderemo noi, ma per te sarebbe la fine più infame”.
‘Avresti il coraggio di farlo?’, balbettò spaventata Alberta.
‘No, non lo avrei, anche perché ci spedirebbero in qualche istituto assediati da psichiatri inferociti’.
‘Solo per questo? Io non riuscirei a fare del male a papà, a prescindere’.
‘Sei scema. Non lo farei nemmeno sotto tortura io. Mi ucciderei piuttosto. Solo che lui non sa che non lo denunceremmo mai. Il solo immaginarsi in galera, odiato dagli altri carcerati e senza di noi affidati a chissà chi, lo farebbe impazzire. E’ un ricatto feroce ma incisivo in modo radicale. E glielo lanceremo insieme, se necessario. Chiaro?’.
‘Sei perversa, ma, se è necessario, sto con te’.
‘Vieni, abbracciami. E’ da tanto che non mi stringi più a te’.
Alberta corse subito sorridente e complice tra le braccia della sorella. Forse avrebbe desistito dal rimpinzarla di sonnifero due notti sì e una no. Si strinsero, si baciarono e si coccolarono scherzando.
‘Vorrei sapere che ci trova in questa balconata’, scherzava Alberta, mentre afferrava, tastandolo, il seno della sorella.
‘Per compensare la deficienza della tua’, di rimbecco Lara. ‘Già, lo ricompensi con la fichetta sempre al vento’, e tentò di prenderla di sotto.
‘Ehi, ehi: lasciami’.
‘Vieni qua, lurida troietta’, rideva Lara, tenendola per un braccio, mentre con la mano dell’altro tentava di frugarla nel grembo. Strillando Alberta riuscì a fuggire correndo per la cucina, mentre la sorella l’inseguiva. Si erano finalmente ritrovate e complici.
Era ormai notte inoltrata e Anselmo era solo nel suo studio. Per la verità non aveva nulla da rivedere del suo lavoro: voleva solo meditare, anzi, no, non pensare nulla se non il nulla stesso. Che era sempre qualcosa, ma che bloccava ogni pensiero.
Sulla soglia della porta semichiusa si affacciò Tiziana. Indossava un négligé così impalpabile che avrebbe potuto fare a meno di indossare, se non per il fatto che la rendeva ancora più seducente. Sotto non portava nulla. Alla luce della lampada sulla scrivania si vedeva nitidamente il vello triangolare baluginare nel suo oro scuro. Anselmo ebbe un fremito istintivo. Alberta gli aveva predetto un’atmosfera da porno. Le intenzioni erano evidenti. Lui, però, non avrebbe nicchiato. La vita era troppo bella per darla in pasta a disquisizioni etiche o filosofiche. Se lei era venuta per fare l’amore con lui, vuoi quella notte, vuoi in futuro, lui non si sarebbe tirato indietro.
‘Con questo caldo i condizionatori funzionano male. Mamma, poi, non vuole abbassare la temperatura. E’ stata sempre freddolosa. Ogni estate mi fa penare dal caldo. Come fai a lavorare a quest’ora? Mi annoio da ammattire. Sai che non ho ancora fatto l’amore? Sembra impossibile alla mia età, ma sono vergine’, e, girato il tavolo, si portò al fianco di lui seduto, che la contemplava in silenzio. ‘Sei stato sempre il mio uomo ideale. Freud avrebbe detto che con te voglio consumare il mio complesso edipico, quello nei confronti di un padre che non ho mai avuto. Non mi importa. So che la prima volta, almeno la prima, voglio farlo con te. Allora? Mi giudichi spregiudicata?’. Gli tese la mano per significargli di alzarsi. E lui si alzò e, guardandola intensamente in quel verde corallino degli occhi, avvicinò le labbra a quelle di lei, le raccolse il capo tra le mani e la baciò appassionatamente. Il suo membro ignorò che aveva giostrato l’intero giorno in contese erotiche: si ergeva turrito come un obelisco. Fu pronta lei, mentre si perdeva nel suo bacio, a cercarlo, tirandogli giù calzoni e boxer, e serrarlo vogliosa in una mano. Anche questa era la prima volta e il calore pulsante della verga la increspò intera di un irrefrenabile desiderio del maschio. Voleva che subito la scopasse. In un secondo momento i preliminari. Anelava sentire dentro di sé quel bastone di carne palpitante. La leggerissima camicia da notte scivolò blanda per terra e lei sbocciò in tutto il suo fulgore di femmina come Venere dai flutti. Era sublimemente bella e sensuale. Gli occhi di lui la discostarono appena per contemplarla intera. Poi, si gettò avido ad arpionare i seni superbi e perdersi con la bocca sopra di essi. Lei lo voleva subito, però.
‘Scopami’, comandò con voce libidinosa e con il braccio, piegatasi su un fianco, spazzava via la scrivania di tutto ciò che c’era sopra. Scintillante di voluttà vi si distese. Ripeté: ‘Scopami’.
Lui si distese su di lei, mentre le ghermiva la vulva e perdendosi sulla bocca di lei con la propria, gustandone avidamente la lingua. Ancora una volta lei lo cercò nel membro, trascinandolo verso il suo sesso. Il desiderio di essere penetrata era incontenibile.
‘Dammelo, subito’, ordinò, la voce rocca dalla passione. Lui sollevò appena il bacino, la guardò intensamente negli occhi, poggiò la verga con le mani sulla fessura del sesso di lei, che inarcò il bacino ancora di più, e spinse una volta, due volte per entrare tutto dentro la verginità di lei. Un mare di piacere la inondò, unitamente a una brevissima fitta. Il solo fatto di sentirsi scavare dal quel maglio di maschio la fece delirare.
‘Veloce, veloce. Sbattimi con impeto’.
Con il cuore che gli scompigliava nel petto dal piacere, con le dita rattrappite sui seni di lei ad ubriacarsi, cominciò il suo andirivieni frenetico dentro di lei. Le gambe di lei l’attanagliarono così strettamente sulla schiena da sentirsi quasi stritolato, tanto grande era la fregola di lei. I suoi lamenti cominciarono a farsi sempre più profondi e più lunghi, gli occhi in deliquio, la testa che sbatteva ora di qua ora di là. Avanti e indietro senza pietà il suo pube a cozzare violento contro quello di lei, i testicoli a schiaffeggiarle il perineo. Lei che con la mano glieli cercava, tentando di stringerli, cosa che accresceva la sua eccitazione. Infine l’orgasmo si fece vicino e lei sentì crescere al parossismo quel maglio che la martellava furente e capì che stava per venirle dentro. Voleva che venisse dentro. E lui eruttò nelle viscere di lei l’onda del suo piacere profondo, accasciandosi, poi, sulle colline del petto di lei.
Che, però, non era ancora paga. Aveva sentito il fiotto della virilità di lui investirla dentro e la sensazione fu gaudiosa. Aveva finalmente conosciuto il vigore del maschio, di quello vagheggiato da anni e non poteva, nella sua prima esperienza d’amore, accontentarsi di essere posseduta sola una volta. Ardeva sentirsi ancora rovistata dentro, fino a sentirsi arroventare le mucose. E, poi, toccare quella maschia sensualità, prenderla in mano, stringerla, baciarla, imboccarla. Circondò sospirando con le braccia il torso di lui, serrandolo di più contro il suo seno, quasi gli volesse scavare il petto, tanto erano eburnei.
‘Tiziana’, disse lui, ‘ti rendi conto di quello che abbiamo fatto? Non lo avrei mai immaginato. Sei troppo giovane, bella e, soprattutto, mia nipote per indugiare un pensiero sconveniente’.
‘Non ci credo. Sei troppo sensuale ed esteta per non avere fatto un pensiero su di me’.
‘E’ così, invece. Come fare a non ammirare la tua bellezza? Sei troppo bella da stordire. No, davvero, nemmeno se avessi avuto una fantasia sfrenata, avrei immaginato di fare l’amore con te. E tua madre? Se lo venisse a sapere. Abbiamo fatto l’amore. Potremmo metterci insieme. Come potrei con te accanto. Che sciocco: solo un desiderio appagato per una volta. Ci sarà, giustamente, un bel ragazzo a condividere i tuoi giorni e il tuo letto’.
‘Tutte abbiamo capito che tu e mamma facevate l’amore. Non sono per nulla gelosa. E’ da una vita che mamma non aveva avuto rapporti con un uomo. E’ stata sempre innamorata di te. Sai fare l’amore bene, anche se non ho esperienza in merito. Davvero non capisco perché zia ti ha mollato. Non sei un desiderio passeggero. Tu sarai il mio amante segreto e mamma non se ne accorgerà. Andiamo nel salone: sul divano si sta più comodi’.
Si sollevò sul tavolo, costringendo Anselmo ad alzarsi. Incurante di essere completamente nuda, afferrò lui, altrettanto denudato, e, splendente di bellezza e voluttà, lo trascinò nel salone, chiudendo la porta dietro le loro spalle. Era lei che conduceva il gioco ormai.
‘Aspettami qualche minuto e sospirami: vado in bagno a pulirmi. Ora posso dire: ero vergine. Che bello fare l’amore!’.
Poco dopo tornò palpitante di passione e lo contemplò con gli occhi lucenti, febbrili.
‘Fatti guardare’, disse, sotto la luce forte dei lampadari. ‘E’ la prima volta che vedo così da vicino il sesso di un uomo’. Si sedette sul divano di fronte a lui, all’in piedi. Allungò le mani verso i testicoli pendenti e li soppesò. ‘Belli, sono belli. Pesano, eh’. Cominciò a carezzarli, quindi con una mano li sprimacciava, mentre con l’altra raccoglieva il pene flaccido. A quel tocco si ravvivò, cominciando a sollevarsi.
‘Oh, oh, guarda, guarda. Sì, è bello, bello. Eh, si fa così una sega?’, chiese a lui che, eccitato e divertito insieme, la guardava armeggiare con il suo genitale, mentre maldestramente lo masturbava.
‘Lo devi impugnare meglio senza stringere troppo forte. Se vuoi fare, però, ancora l’amore, per stanotte lascia perdere: non ti potrei accontentare, se mi farai venire con la mano. Sono stato troppo provato con tua madre e sono anziano’.
‘Già, il vecchietto. Un satiro. Non credo che non ce la faresti, ma ti ubbidisco. Devi, però, farmi godere da ammattire. Prima, tuttavia, fammelo sentire diventare bello duro nella mia mano’. E cominciò a menarlo. Qualche minuto dopo il membro era impietrito come una stalattite. Poi lo lasciò, mentre faceva per abbandonarsi sul divano.
‘No’, fece lui, tirandola verso di sé, inducendola ad alzarsi. Voleva sentirla con le terga contro di sé, mentre la serrava per i seni stentorei.
La cercò con le labbra anelanti sul collo, sulla spalla, sulle guance, sugli angoli della bocca, mentre cercava di farle sentire il suo desiderio contro le cosce, sopra i glutei. Le dita le attanagliavano i seni, ne cercavano i capezzoli, strizzandoli. Quindi, mentre una mano si ubriacava delle sensuali colline di carne, l’altra si indirizzò verso il folto sesso di lei a cercarne l’ingresso fremente, la fragola del piacere nascosta. E cominciò a frugarla sapientemente facendola presto gemere. La voleva possedere anche, lì, nella parte più lubrica.
‘Basta così’, gemeva lei supplichevole, tentando di girarsi. ‘Scopami. Ti voglio, ti voglio subito’.
Lui non l’ascoltava e continuava a frugarla dentro, mentre con l’altra mano le martirizzava ora una ora l’altra mammella. Con l’asta del sesso le scudisciava le terga. Ad un tratto si decise. La spinse contro un bracciolo, costringendola a inchinarsi verso di esso, ad appoggiarvisi. Lei ritenne che la volesse prendere da dietro nel sesso. Lui si chinò a leccarla con dovizia facendola gocciolare dagli orgasmi, mentre con quei succhi le aspergeva l’ano, facendovi scivolare dentro un dito. Sotto la sua mano e le sue labbra sentiva la vulva contrarsi così come lo sfintere.
‘Fottimi, fottimi, non resisto più. Non vedi quanto lo voglio?’.
Lui portò la punta del sesso contro l’orifizio grinzoso.
‘Che fai, che vuoi fare? No, lì, no. Non ora. Lì, no’.
Ma lui la teneva saldamente ferma contro il bracciolo, mentre cominciò a spingere con dolcezza, ma inesorabile. E fu dentro di lei che lo risucchiò ingorda.
‘No, no, non voglio. Così, non voglio’, protestava lei. Lui, ormai, la sbatteva bramoso, mentre con la mano scavava dentro il suo sesso. Le proteste si fecero sempre più fioche per lasciare il posto a gemiti sempre più lancinanti.
‘Oh, sì, sì, così. Godo, godo, oh, come godo’. E agitava le natiche per sentirlo meglio in lei.
Lui sapeva dopo tanti combattimenti erotici che era in grado resistere a lungo prima di eiaculare. Quando ritenne che aveva ormai goduto tanto nel culo, uscì da quel nido più segreto e la possedette nel sesso.
‘Ora, vieni ora. Sono pronta. Vieni dentro di me’, languiva lei. Lui non veniva, però.
‘Lo vuoi prendere in bocca e farmi venire nella mano?’.
‘Te lo prendo in bocca, sì, te lo prendo, ma voglio che schizzi dentro di me’, acconsentì.
Lui uscì da lei, che prontamente si girò e, inginocchiatasi, afferrato il membro, lo imboccò cominciando, mentre lo masturbava, a succhiare avida.
Ecco il sesso di lui farsi sempre più teso. Stava per arrivare. Lei lo capì e lo lasciò. Lo spinse sul divano, facendolo distendere e lei accosciatasi sulle sue gambe si impalò. Pazza di desiderio cominciò a dimenarsi furente. Il pube si arroventò nello strofinio su quello di lui. Avanti e indietro, avanti e indietro vorticosamente.
‘Ora, ora, vieni ora’. E lui finalmente venne, sussultando con lamenti singhiozzanti. Sentì un gran dolore al petto per alcuni istanti. E, mentre gli spasmi dell’orgasmo si diluivano, il dolore passò. Anselmo si era spaventato. Tiziana non comprese quel suo rannuvolamento e lo scambiò per stanchezza.
‘Va bene: non ti stuzzico più. Però, mi devi coccolare un po’, prima di salirmene a coricare’. E, tenera, si accucciò sul suo petto. Lui, affettuoso, la strinse a sé, baciandola di tanto in tanto sulla bocca e sulla fronte, ora, accarezzandole il bellissimo seno e il ruvido grano del sesso.
Dopo una decina di minuti di quel raccolto silenzio colmo di tenerezza, Anselmo consigliò di ritirarsi tutte e due nelle proprie stanze. Prima si recarono nello studio a raccogliere i propri indumenti, anche se lei continuò ad incedere nuda, tenendo solo in mano la sua tenue vestaglia. Lui l’accompagnò con lo sguardo fino a quando scomparve nella propria camera. Indubbiamente, era un sogno della più ardita fantasia. Che stranezza. Per una vita aveva avuto solo due donne, sua moglie compresa, ora faceva le veci di un sultano. Era stupendo avere a sua disposizione tante donne giovani e bellissime. E se fosse per questo morto: chi se ne fregava! Aveva passato i mesi, i giorni, i momenti più intensi e pieni della sua vita.
Nel dormiveglia sentiva che non era solo nel suo letto. Pareva che si fosse addormentato da poco.
‘Sono le nove e mezzo, poltrone. Niente lavoro, oggi?’. Era Lara che parlava, accoccolata accanto ad un fianco. C’era pure Alberta, sistemata dall’altro lato.
‘Mi sono coricato stamattina. E ho bisogno di farmi le mie otto ore di sonno’
‘Ho sentito quando sei entrato in camera tua. Ti ha intrattenuto ancora la zia? Oppure miss perfezione?’, osservò Lara.
‘La solita maligna. Nessuna delle due: avevo bisogno di stare solo con me stesso, riflettere’.
‘Su noi? Sono disposta a dividerti con questa mocciosa, e non l’avrei immaginato, ma con quelle due, mai. Sono una donna e ho notato come ti concupisce la cuginetta. Sicuro che non ti ha sedotto stanotte? Mi basterà oggi guardarla per capirlo. Se te la sei fatta, ti perdoniamo, vero sorellina? Però, basta più. Anche se parenti, sono donne e sono tradimenti. O, meglio, ti concediamo qualche altra volta, solo per non insospettire. Poi, trova una scusa per scrollartele di sopra, così che possano andarsene il prima possibile. Vero, Alberta?’.
‘Una volta tanto sono d’accordo con te. Solo che non mi fido che, dopo che le due concorrenti se ne saranno andate, dividerai papà con me. Potrai fare come sempre la prima donna, ma ho uguale diritto al talamo del tuo. Se non dovessi mantenere il patto, mi attaccherò al telefono e comincerò a piangere che papà è pazzo della zia e che vuole che torni, solo che non ha il coraggio di dirlo per noi’.
‘Mantengo sempre le mie promesse nel bene e nel male’. Poi, rivolta al padre: ‘Come ci trovi: siamo o no bellissime?’. Indossavano entrambe una lunga e larga maglia bianca che lasciava scoperti mezza spalla e mezzo seno. Erano d’una seduzione incontenibile. Allora, vuoi scoprire cosa indossiamo sotto?’.
C’era poco da immaginare e Anselmo si era già eccitato. Allungò le mani verso l’inguine appena celato dalla maglia delle due ragazze e ne cercò il sesso. Erano nude sotto come pensava. Si sentì fremere dal desiderio. Serrò nei palmi quella lussuria lanuginosa che fece sussultare le figlie, quindi cominciò a masturbarle. Vinte dal languore le due fanciulle si piegarono un po’ in avanti. Lui, imperterrito e voglioso, continuò fino a quando non sentì il loro orgasmo.
‘Fammi bere’, disse a Lara, che si portò cavalcioni sul suo viso. Anselmo lo tuffò su quel rigoglio lascivo di fanciulla, con le dita le allargò il sesso e, ora la penetrava con la lingua, ora le vellicava il clitoride. La ragazza smaniava dal piacere, mordendosi le labbra. Intanto, Alberta si portò sul grembo del padre e con le dita gli accarezzava i testicoli. Sotto il tatto si accorse subito come stessero gonfiandosi arricciandosi. Allora cominciò a strusciarvi le labbra. Il sesso di Anselmo sembrava il pennone d’una bandiera. Lo prese in mano, masturbandolo blandamente. Schiuse la bocca e vi fece scivolare i testicoli che sballottava dentro le guance. Il sesso del padre cominciò a lacrimare il piacere. Non voleva, però, che venisse. Doveva scoparle tutte e due. Voleva solo eccitarlo al massimo. Si fermò per qualche minuto, quindi riprese, fino a quando si accorse nuovamente degli umori che traboccavano dal glande scoperto. Si fermò ancora. Lasciati i testicoli, cominciò a ripulirgli il sesso dall’eccitazione e il sapore le piacque. Era così granitico e pulsante quel tronco di carne che bruciò dalla voglia di essere sodomizzata almeno per alcuni minuti. Lo serrò fermo nella mano, quindi cominciò ad accoccolarsi su di esso, volgendo le spalle al padre. Lui lo capì solo quando fu dentro il lubrico ospizio della figlia. Spostò Lara da parte e cercò i seni di Alberta sotto la maglia.
‘Non lo fare venire’, disse Lara alla sorella. ‘E tu continua a leccarmi, continua. Scopami con la lingua. Mi fai impazzire dal godimento’. E si piazzò con le cosce spalancate sulla faccia del padre. Alberta si dimenava deliziata con quel palo di carne in corpo.
‘Sto per venire’, lamentò Anselmo. ‘Sì, voglio venire, sto arrivando. E’ bello, oh Alberta, continua, continua’.
Con una spinta Lara fece cadere la sorella da un lato.
‘Ti ho detto: ancora no. Mi deve devastare il seno. Lui adora il mio seno e io godo già solo se lo sfiora. E, poi, lo voglio ancora dentro. Voglio che venga dentro di me. Una seconda volta lo farà con te. Gli faremo uno zabaione con dodici uova. Vero che ti vuoi ubriacare con le mie tette e che mi vuoi scopare prima della mocciosa?’.
‘Voglio fare l’amore con tutte e due, perché vi amo tutte e due e vi desidero allo stesso modo. Vi stendete tutte e due e vi prenderò entrambe. Esco da una ed entro nell’altra’.
‘No, ti voglio tutto prima io’, lei insistette.
‘Perché non mi può baciare di sotto come ha fatto con te, mentre tu te lo metti dentro?’.
‘Perché voglio che mi guardi in viso mentre viene dentro di me’.
‘Lasciate fare a me: non litigate. Siete entrambe bellissime, il sospiro dell’aurora, l’ebbrezza della spuma del mare. Siete le mie veneri, sensuali e ammalianti. Su, sdraiatevi qui davanti a me, fatemi perdere sui vostri seni, dissetarmi sui vostri capezzoli di sogno, inebriarmi delle vostre fiche lussuriose’.
Le ragazze si estasiarono e si eccitarono di più a quelle parole e si distesero, l’una accanto all’altra, al centro del letto, trepidanti, in attesa. Lui si inginocchiò tra le gambe delle due e allungò la mano verso i loro seni e li trascorse leggero, carezzevole, con il dorso di essa come l’ala di una brezza notturna, che fece tremare le due fanciulle, arricciare le loro carni e indurire i capezzoli. Con quelle tenui carezze percorse più volte quelle coppe afrodisiache in lungo e in largo. Poi, ne raccolse uno dell’una e dell’altra e lo strinse con leggera violenza, quindi ne cercò le cime inturgidite con la punta delle dita strofinandole con voluttà. Le fanciulle ansavano dal piacere e si serravano per mano, la sinistra dell’una con la destra dell’altra, come se volessero che un’unica corrente di piacere le trascorresse senza disperdersi. Lui, infine, si tuffò col viso, con la bocca sul velluto dei loro petti, scompigliandoli, devastandoli di morsi e di baci. Loro senza accorgersene si tormentavano con lamenti dal godimento. Lui cominciò a discendere sui declivi del loro ventre fino a incontrarne il sesso, sessi così diversi l’uno dall’altro e così perdutamente libidinosi. Anche lì cominciò prima a sfiorare la peluria, a vellicarne la fessura lievemente, poi a scompigliarla, arruffandone i peli, quindi, sciudendone le rive, ne solcò il letto con la lingua. Loro inarcarono il bacino in un’ostensione lubrica. Lui infilò due dita contemporaneamente nella vagina dell’una e nell’ano dell’altra e cominciò a stantuffarle. Cominciarono a mugolare e a chiedere che le scopasse, ma lui continuò imperterrito, godendo di vederle godere. Poi, le fece girare sul fianco facendole addossare l’una contro l’altra, seno contro seno, fica contro fica, e cercò l’orifizio più lubrico di Lara. Impregnatolo dei suoi umori vi infilò un dito, poi due dita, cominciandole a scopare. Inconsciamente, le due fanciulle cominciarono a toccarsi, a baciarsi. Si cercarono con le lingue, vagando ubriache di piacere con le mani sui seni dell’altra. Infine cercarono il fiore del piacere lì, nell’inguine. L’una masturbava l’altra, mentre il padre con le dita le scopava il culo. Il godimento era incontenibile. Smaniavano l’una sull’altra come cagne divorate dalla lussuria. Si torcevano l’una contro l’altra con lamenti lascivi. Poi, la più grande si rovesciò sulla più piccola, assaltandola di voglia come fosse un maschio.
‘Ora devi scopare pure me’,reclamò Alberta. ‘Non posso vedere lei che gode nel sesso e io che devo godere solo nel culo. Non voglio più restare vergine’.
‘Non ti ha ancora scopato lì? Non mi aveva ancora tradita con te? Allora, sono io che te la devo porgere’, disse Lara rivolta al padre. Distese la sorella con le spalle sul suo grembo, mentre quella allargava le gambe ostentando il bacino inarcato.
‘Prendimi, prendimi’; supplicò lasciva.
Anselmo la guardava stordito. Quella macchia tenue di scuro gli ondeggiava come in un sogno. Sotto cui si disegnava rosea la piega del sesso, delicata come quella di una bambina. Non ricordò più la promessa fatta a se stesso. Era una seconda barriera illibata che doveva infrangere, che godeva infrangere. Con occhi brucianti avvicinò il membro anelante a quel solco vergineo, lo poggiò e spinse. Fu solo un sussulto della fanciulla per un istantaneo dolore. Un filo di sangue la irrorò tra le cosce. Era stretta, ma lui ormai scorreva veloce e vorace dentro di lei che gemeva estasiata di quel pieno che la riempiva. Si avvinse con le gambe sottili ai fianchi di lui come l’edera, con forza, squassata dal godimento’.
‘Non venire, non venire ora dentro di lei, se non prima scopi anche me’, supplicò Lara. Ma Alberta era così avvinghiata come le chele di un crostaceo a suo padre che non gli permetteva di uscire.
‘Oh, Alberta, lascialo uscire, se non viene. Tanto, dopo che entra in me, rientra in te e puoi godere ancora di più. Forza, lascialo uscire’. E prese a masturbare i piccoli seni della sorella.
Alberta allentò la stretta delle gambe e Anselmo uscì dal grembo di lei per entrare dentro quello dell’altra che si era distesa accanto alla sorella. Ora entrava nell’una ora nell’altra come fosse un martello pneumatico a scavare nella madre terra. Poi, costrinse Lara a stendersi bocconi sopra la sorella e la penetrò nel culo, mentre lei straziava i piccoli seni di Alberta. Quindi le due ragazze si capovolsero: Lara sotto, Alberta sopra e con questa Anselmo usò come con Lara. Poi uscì da entrambe e volle che gli facessero un pompino. Lara lo imboccò, Alberta gli succhiava i testicoli, poi viceversa.
‘No, non venirci in bocca: nella fica, nella fica’, pregò Lara.
Ormai era allo stremo lui. Si fermò per qualche minuto, limitandosi a contemplare le figlie e raccogliere le delizie dei seni, quindi, inginocchiatasi, trascinò per le cosce Lara contro di sé e cominciò a scoparla furiosamente. Alberta strizzava i seni della sorella.
Alberta comprese che sarebbe venuto dentro la sorella. No, questa volta era il suo turno.
‘No, questa volta dentro di me devi venire e non subito: mi devi arroventare la fica’.
Lui l’accontentò e la prese furente.
Quasi con un ruggito animalesco dopo un infuocato saliscendi venne dentro il grembo della figlia arroventato dalla sua furia passionale. Alberta era schiantata.
‘E io? Non puoi lasciarmi a metà. Hai visto come ha rovesciato gli occhi? Lo stesso godimento voglio raggiungere io’.
‘Un altro momento. Ora non ce la faccio’, disse Anselmo.
‘Col cavolo che non ce la fai: sei meglio di un toro. E, poi, te lo faccio salire subito io’.
Anselmo si arrese, mentre Lara imboccava vorace il sesso del padre. Alberta non riusciva nemmeno a guardare, presa ad inseguire la risacca del piacere che ne aveva allagato tutto il corpo. Non ci volle troppo perché il membro paterno si inturgidisse e Lara immediatamente si impalò, mentre ostentava i suoi seni perché lui li attanagliasse. Sapeva che Anselmo si inebriava di quelle rotondità concupiscenti. Il quale, così aggrappato, si lasciava trascinare dalla foga della figlia. Voleva il suo culo per venire. Lara non protestò e porse le sue terga di sogno e, mentre lui sprofondava nel suo più stretto orifizio, lei si masturbava con voluttà. Quando si sentì le mucose anali in fiamme lo implorò che uscisse da lei e la prendesse nel suo canale naturale. In quel ventre agognante lui scorreva forsennatamente, ma non riusciva a venire.
‘Ora, ora devi venire. Non ti accorgi dei miei orgasmi? Ti voglio sentire schizzare dentro di me’.
‘Mi avete anestetizzato il cazzo. Non esce più nulla’.
‘Tu lo dici. Vedrai. Anche io avrò la mia parte’.
Uscì da lui e ne prese il membro in mano masturbandolo forsennatamente con essa e con la bocca. Ma lui non arrivava vicino all’orgasmo. Decisa, si bagnò un dito con la saliva e gli asperse lo sfintere più volte penetrandolo con il dito a poco a poco sino a scivolarle tutto dentro.
‘Devi venire’, disse lei puntigliosa. ‘Dimmi. Quando stai per arrivare’. E mentre, con una mano gli masturbava il membro con il dito andava e veniva dentro di lui vellicandogli la prostata. Ci volle poco perché lui fosse prossimo all’orgasmo. Lo lasciò subito e: ‘Vieni sopra, presto’, si distese allacciandosi alle sue spalle. Pochi colpi e lui venne dentro di lei.
‘Non avevo mai goduto così. Chi t’ha informato di questa tecnica?’.
‘Su internet trovo tutto. Davvero hai goduto tanto? Vuoi ancora?’.
‘Si ancora una volta. Ma voglio che sia Alberta a prenderlo in bocca. E’ bravissima’.
Si distese su un fianco e mentre Alberta prese il sesso di lui in bocca, lei infilò il suo dito nell’ano paterno. Non ci volle molto perché lui con un singulto venisse. Fu un grido soffocato, poi rimase immobile tra le figlie sbigottite. Anselmo era morto.
Endimione
eccolo https://raccontimilu.com/orgia/prima-volta-al-club-prive/
fai una ricerca con lo stesso titolo e trovi il cap.1. Fammi sapere. Ciao. Lunatica
Bisogna scrivere il nick dell'autore nel motore di ricerca del sito, allora esce la pagina con tutti i suoi racconti
Mi chiedevo se ti andasse di scrivere un racconto simile circa a questo, ma seguendo la storia che ho in…
Sempre più pazzesca..vorrei conoscervi..anche solo scrivervi..sono un bohemienne, cerco l’abbandono completo ai piaceri.. e voi.. Scrivimi a grossgiulio@yahoo.com