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Racconti Erotici Etero

Come sono caduta in basso

By 10 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Come sono caduta in basso! Sto per uscire. Sono chiusa in bagno a darmi gli ultimi ritocchi per risaltare i contorni. Mio marito è di là che si sta preparando la cena. Ha messo sul fuoco una padella con un po’ di verdura, sicuramente brucerà l’aglio. Non è capace, non l’ha mai fatto. Ma questa sera devo uscire, è una settimana che l’ho preparato, anche se non ce n’era bisogno. M’avrebbe comunque creduta, m’avrebbe comunque lasciata andare senza domande, perché si fida ciecamente di me. Lo sento spiattellare, chissà cosa si preparerà per secondo? In frigo c’è un po’ di carne surgelata, ma non sa usare il microonde. Ma io non ho tempo, sono in ritardo, ho perso minuti preziosi per una calza smagliata, le mutande sottili che non coprono niente sono ancora sul bordo della vasca. Devo fare in fretta, ma non ci riesco, non riesco ad essere disinvolta. Mi guardo allo specchio e vedo riflessa una vera battona, di quelle che passano l’attesa a rimarcarsi il rossetto, di quelle che ti dicono di fare più in fretta perché il tempo è scaduto. Ed io il tempo lo sto perdendo a raddrizzarmi la riga delle calze, a cambiarmi tre volte il reggiseno, perché le tette non erano abbondanti come lui pretende, come il suo orgasmo s’appaga soltanto. Mi guardo allo specchio e sono bella, bella come solo una femmina può essere. Oltre l’ombretto bianco, rosa e oro che sfuma luccicante e prezioso ad ali di farfalla. Oltre il rimmel carico d’impaccio e paura che cola bluastro lungo i solchi dell’antica depressione. Oltre quei rumori di cucina che mi fanno indugiare sulle tacche dei secondi incerta sul da farsi, perché i minuti sono ormai esauriti. Ora ho deciso apro la porta del bagno e corro verso l’uscita, lo saluto correndo, dalla cucina scorgerà solo una figura senza contorni, senza questo spacco nel vestito che arriva oltre ogni verità di qualsiasi scusa. Come posso pensare che possa credere al compleanno della collega, a una ventina di persone che s’incontrano in un ristorante del centro? Vestita in questo modo non posso che andare in cerca di un uomo, sapendo già chi è l’uomo che mi fotte stasera come quasi tutti i pomeriggi da anni. Vestita in questo modo non posso che uscire per far addrizzare l’uccello di un uomo che mi prende in piedi, appena arrivata, scostando spacco e mutande e lasciandomi bella e vestita perché nuda non sarei altrettanto. Lo sento, mi chiama, mi chiede dov’è il sale, dove può trovare una bottiglia d’olio di quello che ci ha regalato sua madre. Ma la bottiglia stasera rientra nel gioco, come bavagli che mi comprimono urla e piacere, come legacci che mi fanno sentire in balia. Forse ho messo troppo profumo, di quello dolce che

accalappia sessi e nasi maschili, non adatto ad una cena tra colleghi, ad un compleanno. Mi sento vigliacca e bugiarda, ma questa sera mi sembra di tradirlo davvero come finora non era successo, come finora non avevo pensato. Mi disgusta il pensiero che tra poco, tra meno di un’ora qualcun altro mi riempia anima e cervello, mi riempia le cosce facendo di me quello che mio marito non s’immagina nemmeno, quello che io non gli ho mai dato da dubitare. Per anni insieme senza neppure un sospetto, moglie ideale che consiglierebbe a tutti di sposare, perché onesta e integerrima, perché mai nella sua mente un tarlo ha trovato consenso. Non può certo pensare che tra poco sua moglie correrà per farsi stipare nel collo del ventre la voglia che altrimenti non avrebbe conosciuto, per farsi colmare di sesso volgare legata alla spalliera del letto o appoggiata al davanzale dove riceve da dietro amore e considerazione. Sono in ritardo! Quell’uomo mi starà già aspettando, voglioso, mi darà il benvenuto col suo sesso dirompente che mi sgualcirà in un secondo queste labbra perfette, le spalancherò senza nessuna esitazione, come in questo momento meticolosamente ripasso. S’accorgerà soltanto di questi tacchi, lunghi quanto un coltello che s’infila nel cuore, ma non provocheranno dolore perché tra noi non c’è sentimento, perché il cuore ci serve solo per respirare e provocare piacere. ‘Eva la tovaglia! Dove la trovo?’ Ecco, ha bisogno di me, ed io mi guardo e riguardo le tette se sono abbastanza depravate come l’altro vorrebbe, simili a gommoni dove galleggiare sicuri. Ma il mare in tempesta, ora mi sta dentro nel cuore e sbatte impetuoso sugli scogli dei miei non posso, sulle pareti dei miei scrupoli che mi lasciano uno squarcio indelebile nell’occhio della ragione. Non voglio sentire questi rumori di sicurezza e famiglia, di calore e tepore come solo una grattugia o lo sportello del frigo sanno fare. Ora mi spoglio e mi lavo la faccia, mi tolgo questi indumenti che farebbero impazzire solo troie e clienti, solo rifiuti di notte sui marciapiedi corrotti di sesso e deviazione. Appesa ad un gancio sul muro c’è la mia vestaglia da casa, mi dà tenerezza, mi fan voglia di divano e televisione, di programmi scemi che ti cadenzano i giorni e le ore. Vado di là e mi metto a cucinare, non brucio l’aglio, so dov’è il sale e dove trovare la tovaglia pulita. M’invento una scusa. Ho mal di testa. Rinuncio alla cena, sto male. Ma se non vado sto male veramente. L’ansia risale la corrente lungo il torpore delle mie membra, delle mie cosce che ragionano senza ragione e dettano regole e legge al cervello che in panne ha rinunciato a pensare. Allora vado. Scivolo le dita sul vestito che mi fascia leggero e vedo scorrere i miei dubbi ormai repressi adagiandosi a terra come biancheria ammonticchiata ancora da stirare. Mi riguardo allo specchio, accenno ad un sorriso, i miei seni stipati e bugiardi si gonfiano d’attesa e di voglia, tra meno di un’ora saranno più duri, dritti al piacere, sfacciati nel chiedere, insolenti nel ricevere. ‘Eva, guarda che farai tardi!’ Eccolo, ha premura. Ha paura che deluda quell’uomo, che lo faccia arrabbiare e poi magari non mi fotte nemmeno! Non m’inginocchia come in preghiera di fronte ad un Dio. Odio la sua ingenuità! Vorrei gridargli che non c’è nessuna collega, nessun compleanno, vado soltanto a farmi scopare, a farmi infilare finché non mi bagna di dentro o di fuori. Finché il suo liquido caldo non mi riempie la bocca o m’insozza i vestiti. Come cazzo è possibile che non riesca a capire! Sua moglie si sta preparando, chiusa nel cesso a farsi puttana per chissà qualche cazzo, chissà quale stanza d’albergo dove solo mignotte, o signore sposate senza documenti, gremiscono le stanze e riscaldano i letti. Perché non capisce? Non ci vorrebbe che un niente. Sono anni che lo tradisco. Anni, che mentre mi guarda, passano nella mia testa pensieri e preoccupazioni, emozioni e desideri, che non avverte nemmeno. E’ possibile, santo Cielo, che dentro di me battano in ogni istante due cuori e questo uomo mi ami perché sono unica e fedele? Sapesse quante bugie che nel corso del tempo sono diventate vere, pura verità di gente inesistente che si è sposata ed ha fatto figli, poi divorziata, morta per sempre, perché l’avevo dimenticata. E tutto e soltanto per correre incontro a chi sa come darmi emozioni, come pigiare tasti e pensieri che soltanto in quel preciso momento diventano orgasmi e mi fanno godere. Nella mia memoria sfilacciata non trovo nulla di simile, solo amplessi dove il bisogno non né può fare a meno, ma dove le profondità diventano mare piatto e le montagne pianure interminabili di noia e doveri. ‘Eva, ma ancora non sei pronta?’ Ora esco, mi dirà sicuramente di fare attenzione che di notte girano brutti figuri malintenzionati, ma io sono la sola malintenzionata che giro di notte per farmi violentare anima e cervello perché altrimenti non dormo, sarei fuori di me a pensare che venga presto il mattino per recuperare il giorno perduto. Solo io sono la malintenzionata che a quarant’anni sogna ancora di fare la bambina e ciuccia il suo ciuccio come gioca al dottore. Squilla il telefono. E’ lui che mi sta reclamando. Esco dal bagno, mi precipito senza badare che quest’ansia potrebbe dare sospetti. Il rumore dei tacchi invade la casa, come il profumo mi fa sentire fuori luogo e fuori di testa. Al telefono non c’era nessuno, perché lui dentro questa casa è nessuno, non esiste che nella mia mente, non vive che quando ci penso. Se ora gridassi il suo nome non farebbe nessun effetto, non avrebbe una storia e nemmeno un futuro. Ma ora sono davanti a mio marito che intento a scolare la pasta non pensa nemmeno che potrei dargli piacere. Che nel giro di qualche secondo potrebbe prendermi intatta e non ancora sciupata. Ma questo non è previsto! Questa sera le condizioni del gioco non prevedono che la mia bocca assaggi due consistenze diverse di uomo, che han bisogno dello stesso calore, ma che vengono e schizzano orgasmi in tempi diversi. Mi guarda, mi fissa. ‘Dai che farai tardi, il tuo amico t’aspetta!’ Non rispondo, ma quel maschile mi frulla il cervello. Indosso il soprabito, prendo la borsa, ma quel maschile mi frulla il cervello, entra nella mia dignità e mi trova indifesa, entra nella mia vagina e mi sento più sporca. Mi sorride. Mi sento sollevata e distrutta. Faccio per parlare ma non c’è niente da dire. Vestita in quel modo non ho nulla da dire. Mi ripete di non affaticarmi. Sa che non può trattenermi, che comunque domani non sarebbe diverso. Ha capito che tra poco un maschio, che crede qualunque, avrà del mio corpo ragione e consenso, delle mie labbra voluttà e saliva che cola mista a rossetto lungo la voglia ostinata del mio appagamento. Ma non s’immagina fino a che punto, oltre quale limite arriverà il mio benestare, quale cagna a carponi che gode e gode davvero senza rispetto. Il telefono squilla di nuovo. Un altro segnale che muto mi vuole più in fretta. E’ tardi, più tardi del minimo dubbio, della normale incertezza che ogni giorno mi fa compagnia. Rimango indecisa appoggiata al muro. E dalla punta del mio tacco a spillo sale una mano e mi comprime la voglia. Vorrei gridare che non ho tempo da perdere, che sono in ritardo, che qualcuno m’aspetta gonfio e sublime, eretto oltre i diametri della mia accoglienza, e rivendica un posto caldo e accogliente dove stasera scaricare il suo sperma. Vorrei gridare, ma ormai non ha senso, allungare l’attesa che ha spalancato le voglie. Non c’è più tempo, non rimane che il tempo di darsi convinta. Lo sento che entra nel giusto momento che il gioco ha deciso, nel giusto momento che la regola impone, di finire la farsa ed allargare le cosce.

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