Fu sei anni fa che ti conobbi a Parigi: eri il figliolo diciannovenne di una coppia di amici di mio padre che si erano dichiarati ben felice di ospitarmi nel mio soggiorno parigino.
Io non li conoscevo, come non conoscevo te e non amavo particolarmente Parigi: la identificavo con un periodo assai triste della mia vita. Mi venisti a prendere all’aereoporto : tenevi alto un cartello buffo con il mio nome e tanti fiori e cuori disegnati intorno: rimasi immobile a guardarti prima di farmi riconoscere, incerta se scoppiare a ridere o abbracciarti. Eri così bello, di una bellezza sfolgorante e così giovane…
Poi mi decisi a muover le gambe e tu mi individuasti subito. Mi abbracciasti con l’entusiasmo di un cucciolo: non eri timido, no davvero.
E cominiciasti a parlare quella lingua che mi ostinavo a non voler imparare ma che è così affascinante, musicale, liquida direi.
Così diventasti la mia guida ufficiale nella città dell’amore: guida nottura, perché di giorno ero impegnata e il poco tempo libero lo passavo al Louvre; tu dimostrasti da subito una grave allergia verso i musei in genere.
Poi i tuoi genitori si assentarono per andare nella casa in Provenza che i ladri avevano visitato e verificare i danni. Mi pregarono di accudirti durante la loro assenza come fossi un bimbo piccolo.
Non si erano davvero accorti dell’attrazione che avevamo sviluppato l’uno verso l’altro, inevitabile: il bellissimo adolescente attirato dalla ragazza più grande, esperta, sicura di sé che a sua volta si ritrovava con gli ormoni in subbuglio per quella pelle perfetta, quel corpo magro e guizzante dai muscoli così ben disegnati da parere scolpiti… e anche gravemente contagiata dalla tua allegria che mi faceva sentire di nuovo una sedicenne senza un pensiero al mondo.
Fatalmente dovevamo finire a letto e così fu.
Avevamo scorrazzato per Parigi tutta la notte, suonando ai portoni, giocando a nascondino dietro ai bidoni della spazzatura, abbracciando gli alberi, ridendo, entrando nei bar a bere latte e menta- finalmente avevo trovato qualcuno che aveva i miei stessi gusti- quando ci sorprese l’alba seduti su una panchina in piazza dell’Arcivescovado, dietro Notre-Dame. Quella è zona di ritrovo degli omosessuali che li si incontrano a celebrare il culto di Sodoma. L’ombra ancora calda mi pareva diffondesse intorno una febbre di sensualità.
E’ uno spettacolo davvero affascinante quello di Parigi vista da quel giardino alle prime luci di
un giorno d’estate: il sole stava per spuntare e una luce bianchissima faceva risaltare vivamente ogni piano degli argini della Senna, coperti in quel punto da un manto di vite vergine.
La città cominciava a dar segni di vita, risuonava già del rimbombo dei primi metrò.
Tu mi appoggiasti il capo sulla spalla e io mi voltai: fu naturale che le nostre bocche si incontrassero. All’inizio timidamente poi divenne tutto un divorarsi mentre le mani si agitavano sui nostri corpi in affanno. Quando ci staccammo mi prendesti per mano e corremmo verso il metrò.
E poi via …nella mia stanza con quelle strane tende rosse che si gonfiavano alla prima aria del mattino mentre sentivo suonare le campane di Saint Thomas d’Aquin.
Ci spogliammo guardandoci negli occhi, con lentezza, quasi a ritardare il momento in cui ci saremmo dati piacere con entusiasmo, lo intuivo.
Ci sedemmo sul letto e tu dicesti:
-Per favore apri le gambe, voglio vedere..-
e scivolasto di fronte a me il viso sul lenzuolo, tra i miei piedi.
Mi eccitai a quella richiesta che non mi era famigliare e tu:
-Pare un piccolo animale, un nido d’erba, un fiore di carne, come sei bella lì, ti starei a guardare per ore..-
-Non sarai mica vergine, vero?- ti chiesi ridendo ma anche un po’ preoccupata
-No, stai tranquilla, so come si fa..è che non l’ho mai …assaggiata.
E ne ho voglia, ora , voglio mangiarti, sentire il tuo sapore-
-Prego accomodati…-
E cominciasti sfregando sul mio ventre le guancia liscia per poi finire con la lingua a solleticarmi il monticello di carne già eccitato e lasciarlo, suprema delizia, umido e lucente alla sua irriatzione, come un anatroccolo annaspante in un’onda di carne rosa. per esplorare quel labirinto di carne che chiedeva solo di esser saziata.
Furono giorni di sesso sfrontato, estremo, non ti bastava mai, le tue fantasie erotiche di
diciannovenne naturalmente incline ai riti d’amore si realizzarono e anche le mie, quelle che non avevo mai osato rivelare a nessuno.
Mi lasciai legare, imbavaglaire, mordere, succhiare, prendere con violenza, amai il dolore che mi offrivi perchè veniva da te.
Di lì a poco tornarono i tuoi genitori e tutto finì, anche la mia vacanza.
Avevo un uomo che mia aspettava a casa e che amavo o almeno credevo di amare.
Dimenticai Parigi e anche te fino a quando non ci tornai, non da sola questa volta.
Allora scrissi questa poesia:
Perché non ti ho ritrovato la notte scorsa
quando ho sognato Parigi
-eppure non amo quella città-
e i posti dove abbiamo respirato
in quella strana estate.
Ho seguito un uomo alle Tuileries
-aveva i tuoi capelli scuri-
ma non eri tu.
Ho visto un ragazzo con una buffa andatura
sul Quai des Grands Augustins
sorridere agli alberi e agli uccelli
-ma non eri tu-
In un caffé nella Place des Vosges
un uomo fumava tenendo la sigaretta
-Marlboro-
nel tuo stesso modo
ma no, neppure questa volta
ti ho ritrovato.
Eppure sono sicura che siamo stati a Parigi insieme
in quella strana estate
anche se nel sogno non c’era la tenda rossa
alla finestra della nostra camera
e le campane di Saint Thomas d’Aquin
non suonavano la messa
mattina e sera.
Ma nel musée Rodin
ho ritrovato la tua testa addormentata:
sì, non è stata un’illusione, siamo stati a Parigi insieme
in quella lontana estate.
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…
Mamma mia ruben, mamma mia... Ti prego, scrivimi a gioiliad1985[at]gmail.com , mi piacerebbe condividere con te le mie esperienze…
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