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Racconti erotici sull'Incesto

Le… gine…

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Specie per i più giovani, &egrave necessario ricordare che, allora, la vita era quasi sempre circoscritta nell’ambito delle famiglie. I rapporti tra ‘maschietti’ e ‘femminucce’ iniziavano all’asilo (per chi ci andava), e poi s’interrompevano dato che, successivamente, specie nelle scuole, si curava al massimo, potendolo, la separazione dei sessi. Anatomicamente, si apprendeva qualcosa in casa se c’erano figli di entrambi i sessi, altrimenti’. Ecco dunque che, molto spesso, le prime curiosità venivano, per noi ragazzi, soddisfatte tra cugini, come pure le prime esperienze, da quelle esclusivamente sentimentali’alle altre.

Poi, naturalmente, qualcosa di quelle iniziazioni restava.

Le ‘cugine’, sono sempre le ‘gine’!

NINA

C’incontrammo per caso. Sullo stesso tram. Non sapevo nemmeno che s’era sposata.

Nina era una delle prime cugine (ne ho tante, troppe) e aveva alcuni anni più di me. Le nostre famiglie, un tempo, erano state molto legate, per ragioni varie Non la vedevo da almeno sei anni che, da quando ero stato ospite a casa sua, bellissima, in una splendida zona costiera, per un paio di settimane. Mi curava con particolare attenzione, affettuosa e premurosa, specie sulla spiaggia, per tema che mi scottassi, che stessi troppo a lungo in acqua, che’ Era una gran bella ragazza, che poteva apparire minutina se non ci fosse soffermati sul suo perfetto personale, non vistoso, proporzionato in ogni dettaglio. Il costume da bagno ne evidenziava le curve, la tornita snellezza delle gambe, il perfetto disegno del seno. Ma Nina era vecchia, per me. Io avevo diciassette anni, e lei venticinque. Ero molto più interessato a Netta, la sorellina dallo sguardo languido, compagna di passeggiate, vicina al cinema, che si appoggiava al mio braccio, alla mia spalla, che m’attraeva e stuzzicava col suo perfetto corpo che ammiravo incantato. Era nata pochi mesi dopo di me. Dolce, tenera, premurosa, amorevole.

Nina mi parlò un po’ della famiglia, mi disse che era da tempo in questa città, dove lavorava il marito, s’informò di me’ Era stata dal medico per dei noiosi fastidi alle vertebre cervicali. Sorrise dicendo che era la vecchiaia che avanzava. Non fu un complimento quando mi congratulai con lei, assicurandole che era ancora più attraente di sei anni prima. Insinuai, con scherzosa malignità, che certo era dovuto al matrimonio. Divenne seria, e mi pregò di non toccare quel tasto. Aggiunse che doveva fare dei massaggi locali, per sfioramento, con un preparato antiflogistico e antidolorifico.

‘Dammi la ricetta, Nina, lo prenderò nella farmacia di mio suocero.’

‘E come me lo farai avere?’

‘Già.’

‘Puoi portarmelo a casa, se non ti da fastidio.’

‘Nessun fastidio, e in questo periodo, data la situazione, ho a disposizione tutto il tempo che voglio.’

Rimanemmo d’accordo che sarei andato a trovarla l’indomani mattina.

Abitava in una zona semiperiferica ma ben collegata al centro. Un quartiere in espansione, limitato dai binari della ferrovia che puntavano alla stazione centrale. Edifici civettuoli, ben tenuti.

Nina m’attendeva, in un semplice ma elegante vestito scuro che ne esaltava il personale. I capelli, non troppo lunghi, con lucenti onde naturali, appena un po’ di rossetto sulle labbra, piccole, che ricordavano la forma del cuore.

‘Grazie, Piero, Entra.’

Subito a destra un salottino grazioso, con la radio sul tavolino di fronte al divano, una consolle, con delle foto, e qualche altro mobile al quale non prestai attenzione, perché ammiravo, in effetti, Nina che appariva mia coetanea.

Glielo dissi, Sorrise alzando le spalle.

‘Siedi, o vai di fretta?’

‘Nessuna fretta.’

‘Gradisci un caff&egrave?’

‘Pochissimo, solo mezza tazzina. Ma prendi il tubetto con la medicina.’

‘ Quanto ti devo?’

‘Ma sono pochissimi spicciolo, lascia stare.’

‘Come vuoi, vado a prenderti il caff&egrave.’

Si allontanò, verso la porta che conduceva in corridoio, e mi accorsi che mia cugina aveva proprio un bel culetto. Ben fatto. S’intravedeva, sodo, scattante, muoversi sotto il vestito, mi parve di cogliere qualcosa di civettuolo per non dire provocante. Era, certo, la mia fantasia, sicuramente non cupidigia sessuale, poiché la mia Roberta di saziava abbondantemente.

Era naturale che, quando rientrò, il mio sguardo si diresse al seno. In ciò fui facilitato e premiato dal suo chinarsi nel porgermi la tazzina, sul piattino, chiedendomi quanto zucchero. La scollatura, non eccessivamente generosa, lasciava vedere, però, che le due tettine erano in perfetta libertà, con piccole rosse fragoline sulle vette. Insomma, Nina si rivelava un gran pezzo di fi’gliola!

Sedette di fronte, sul puff imbottito. Prese la scatola con la medicina.

‘Come si usa questa pomata?’

‘Ho letto che si deve applicare, leggermente, sulla parte dolente, ed eseguire un delicato sfioramento per qualche minuto.’

‘Speriamo bene.’

‘Ma sei sicura che serve una massaggiatrice?’

‘Il medico non lo ha detto. Che dovevo mettere la pomata e massaggiare la parte. Non forte, ha aggiunto. Ma come faccio da sola?’

‘Chiedilo a tuo marito.’

‘Si. Quello non ha mai tempo, per me!’

‘Vuoi che ci provo io?’

‘Lo faresti? Ma ti sporcherai le mani.’

‘Potrei lavarle, dopo. Che dici?’

‘Sei un angelo, Piero. Ora più di quando eri ragazzo.’

‘Posso togliere la giacca?’

‘Che domanda? Ma devi considerarti a casa tua.’

Tolsi la giacca, la poggiai sul divano. Rimboccai le maniche della camicia. Presi la scatoletta, ne estrassi il tubetto, mi misi alle spalle di Nina.

‘Forse &egrave meglio aprire un po’ il vestito, per evitare di ungerne il colletto.’

Nina portò le mani dietro, dov’era la chiusura, ma le ritirò presto.

‘Non riesco a farlo da sola. Un bel pasticcio. Eppure, questa mattina era stato tutto facile. Vedi la vecchiaia che avanza?’

‘Dai, sciocchina, ti aiuto io.’

‘C’erano quattro bottoncini, quasi fino alla vita. Li sbottonai tutti. Il vestito si aprì, lasciando vedere le belle spalle, levigate, che confermavano la sua nudità sotto il vestito. Non era facile rimanere indifferente di fronte a quello spettacolo incantevoli. Infatti, non ero insensibile. Anzi mi seccava che Nina potesse accorgersene. Per fortuna le ero alle spalle. Misi un po’ della pomata sulle dita, con l’altra mano le tenevo sollevati i capelli, e cominciai a spalmarla lentamente.

‘Nina, per favore, vedi abbassare la testa per favorire l’applicazione.’

Nel farlo, il vestito scivolò sul davanti, e le tette rimasero quasi scoperte.

Che bella, quella pelle. Sembrava carezzare la seta. Di pomata ne avevo poca, sulle dita, ma la mano s’era aperta e andava sfiorando zone che poco o nulla avevano a che fare con le vertebre cervicali. Nina era immobile. Era una carezza lunga, insistente.

‘Ti do’ fastidio, Nina?’

Deglutì, attese un attimo prima di rispondere.

‘No, grazie, seguita pure. Mi sembra già di sentire sollievo.’

‘Vorrei usare entrambe le mani, ma con una devo alzare i capelli.’

‘Aspetta, ci penso io.’

‘Tolse due piccole forcine dai lati, raccolse la chioma in alto, la fermò.’

‘Va bene così?’

Una vista splendida, quel collo con i capelli alzati. Glielo dissi proprio.

‘Splendida!’

Non usai altra pomata. Le mani carezzavano, un po’ dappertutto. Quando sfioravano le dorsali la sentivo irrigidirsi sul busto. Cercai di guardarle il viso, aveva gli occhi chiusi, un’espressione rilassata. Il movimento delle mani aveva fatto cadere quasi del tutto la parte anteriore dell’abito. Che tettine meravigliose. Sempre stando dietro, portai le mani lateralmente, fino a sentire l’inizio del seno, attento ad ogni sua reazione. Portò indietro la schiene, che poggiò su di me, incontrando l’evidenza della mia erezione che urgeva nei pantaloni. Si spostò in avanti’ poi tornò a poggiarsi su di me. Ormai le mani le carezzavano il seno, le dita sentivano il turgore dei piccoli capezzoli. Rovesciò la testa indietro, sempre con gli occhi chiusi, le labbra appena dischiuse. Mi chinai a lambirle con la mia lingua, ed incontrai la sua, avida, che cercava, cercava, m’invitava a entrare per suggermi golosamente, mentre le mani le avvinghiavano il seno, e la mia erezione stava per esplodere.

Ebbe un sussulto, un lungo sospiro. Si staccò, si voltò con occhi di fiamma.

‘Piero, sono una pazza, vero?’

Cercava di alzare il vestito.

‘No, sei uno schianto, sei meravigliosa.’

‘Non so cosa mi sia preso, scusa. Non m’era mai capitato, mai, in tutta la mia vita”

‘Ma che scusa’ sono io a doverlo fare, non credi?’

‘Allora’ nulla’ Facciamo come se non fosse accaduto nulla”

‘Ma &egrave accaduto, Nina. Poco, ma &egrave accaduto. E’ stato splendido.’

‘Non farmi dir nulla, ho perduto la testa. Dammi un bacio e lasciami”

‘Ma devo tornare. Devi seguitare la cura.’

Mi guardò scotendo la testa.

‘E dire che sono stata definita frigida.’

‘Ogni fiamma vuole il suo alimento.’

Ci baciammo, con tanta tenerezza.

‘Vengo domani, Nina, alla stessa ora”

Uscii senza lasciarle il tempo di rispondere. In ogni caso, aveva il mio numero di telefono.

Roberta doveva aiutare il padre, in farmacia. Io ero libero. Le dissi che sarei andato un po’ in giro, cercando di trovare qualche amico e di parlare sul da fare. Non sapevo come regolarmi in merito al lavoro. Temevo che se mi fossi esposto, se fossi uscito da quella che era definita la clandestinità, ne avrei potuto pagare carissime conseguenze.

Nina si disse sorpresa, quando mi aprì la porta. Ma non lo era.Indossava una vestaglia molto elegante, lunga fino ai piedi, d’un celeste tenue, arabescata. Aveva messo un nastro dello stesso colore tra i capelli. Nessun segno di rossetto sulle labbra. Era raggiante e timorosa. Glielo si leggeva in volto.

Mi fece entrare nel salotto del giorno prima. Stessa cerimonia del caff&egrave.

‘Che dici, bimba, mettiamo la pomatina?’

Sorrise divertita.

‘Tu che chiami me bimba.’

‘Dall’aspetto lo sei. Anzi sei una bambolina.’

‘Lasciamo stare, altrimenti ricadiamo in errore.’

‘Errore?’

Mi guardò sorniona.

Seguitai.

‘E’ bellissimo, sbagliare, allora.’

‘Basta, Piero.’

Andai a sedere sul puff.

‘Vieni qui, mettiti sulle mie ginocchia. Potrò massaggiare meglio.’

Restò un momento meditabonda. Poi si alzò, e venne a sedere sulle mie ginocchia.

Attraverso la stoffa sentivo i suoi glutei, e, improvvisa, la mia erezione andò ad insinuarsi, per quanto poteva, tra essi. Sentii stringere le belle chiappette prensili di Nina. Mi sembrava di sognare.

‘Piero, la pomata”

Alzò i capelli, come il giorno prima, lasciò cadere indietro la vestaglia. La schiena poggiava su me.

Mi tirai indietro, per guardarla. Posai le mani su quella pelle vellutata, poi le labbra, cominciai con piccoli baci, dal collo, lungo la schiena. Lei si curvò in avanti, a facilitarmi quel lungo, delizioso lambire che la faceva rabbrividire, Ne sentivo il ripercuotersi nei glutei che non riuscivano a star fermi.

Con voce soffocata, sempre curva in avanti, sussurrò qualcosa.

‘Piero’ Piero’la pomata!’

Seguitai ad godere il sapore della sua pelle, con la lingua, ingordamente e nel contempo godevo le contrazioni del suo bel culetto. Portai le mani sul seno, sui capezzoli, scesi al ventre, al pube’. Era nuda! Incontrai un folto vello, come ricci di seta morbida. Mi attardai come a cercarvi qualcosa. Percepii il turgore delle grandi labbra, strette. Mi introdussi cautamente tra esse, si dischiusero appena. Ecco le piccole, tenere, vibranti, ed ecco il piccolo bocciolo che andava ergendosi al mio tocco, alla mia carezza.

Era un piacere profondo ed esaltante. Volevo vederla in viso.

La presi per i fianchi, la sollevai, la voltai verso di me. La vestaglia era caduta sul pavimento. Nina era completamente nuda, bellissima, col volto acceso, una luce splendente negli occhi, come sorpresa, incantata. Il suo pube era all’altezza della mia testa. L’attrassi verso me, cominciai a baciarle i suoi riccioli neri, a introdurre la lingua nel suo sesso che andava schiudendosi docilmente, e andavo sfiorandola, sempre più insistentemente, dal clitoride al piccolo bocciolo che custodiva tra le natiche. Mi soffermai tra le piccole labbra, m’introdussi piano nella vagina. Nina tremava, sentivo i fremiti del suo culetto che stringevo tra le mani. E cercai di entrare sempre più, avvertendo il suo muoversi ritmicamente, sempre più convulsamente, con le mani che stringevano a lei la mia testa, fin quando un lungo grido roco non rivelò tutto il suo infinito, voluttuoso piacere. Quando si calmo’ un poco, la feci sedere sulle mie ginocchia, carezzandola tra le gambe.

Mi guardava con gli occhi spalancati, come sorpresa, meravigliata, sbalordita.

‘Non capisco nulla, Piero. Mi &egrave accaduta qualcosa di sconosciuto, di inaspettato’ o forse che avevo solo sognato. Cos’&egrave successo?’

‘Ti ho baciata, Nina, ed hai risposto deliziosamente al mio bacio.’

‘Altro che bacio’. Ho perduto cognizione della realtà, del tempo”

‘Sei stata bellissima, ti ho sentito vicinissima”

‘Ma com’&egrave potuto avvenire, sono stata sempre accusata di frigidità.’

‘Io ho sentito solo ardore, passione, voluttà.’

Mi guardò con un misto di sorriso e di tristezza.

‘Il solo orgasmo della mia vita sessuale.’

‘Il primo, tesoro.’

Seguitò a fissarmi, pensosa.

La mia mano, intanto, seguitava a carezzarla dolcemente.

Si alzò, raccolse la vestaglia.

‘Scusa, torno subito.’

Uscì dalla stanza.

Dopo un po’ andai nel corridoio. La porta del bagno era chiusa, sentivo dei rumori, lo scroscio dell’acqua.

Poco oltre s’apriva l’uscio della camera da letto. Vi entrai, guardai curiosamente in giro. Andai verso il balcone, mi soffermai dietro i vetri. Quando mi girai, Nina era entrata, avvolta da un telo di spugna bianca. Mi avvicinai a lei.

‘Vieni, che ti asciugo.’

Mi guardò, non troppo convinta. Io, intanto, ero alle sue spalle e le strofinavo leggermente la stoffa sulla pelle ancora umida. La feci voltare, e continuai.

‘Siedi sul letto, ti asciugherò le gambe.’

Eseguì come un automa. Erano splendide le gambe di Nina, perfette, come tornite in un marmo ambrato, e si congiungevano deliziosamente, all’inizio di un ventre piatto, teso, lucido, come di raso. La mia mano la percorse tutta. Sedetti accanto a lei e presi a carezzarle il seno, il ventre il pube. Si sdraiò, chiudendo gli occhi, abbandonata. Decisi, improvvisamente, che non dovevo far più soffrire la mia erezione imprigionata nei pantaloni. Mi denudai in un attimo, e mi posi accanto a lei, riprendendo le carezze interrotte, a baciarle i piccoli capezzoli fragola. Poi le labbra. La sua bocca mi accolse, avida, e quasi naturalmente mi trovasi su lei. Le sue mani percepirono la mia nudità, aprì gli occhi fissandomi, poi li richiuse. Io scesi lentamente, con le labbra, con la lingua, cercando nuovamente il suo sesso che si aprì palpitante. Quando sentii che stava nuovamente per raggiungere l’acme del piacere, mi sollevai sulle ginocchia, posi il glande all’ingresso della vagina, attendendo la reazione. Alzò il bacino, invitandomi ad entrare, e fui accolto dalla sua piccola dolce fichetta che mi avvolgeva palpitante. Ebbe profondi sobbalzi, e un nuovo grido testimoniò il suo piacere. Rimasi in lei a lungo, tornando ad essere pronto a un nuovo assalto. Uscii da lei, lentamente. Mi guardò aggrottando le ciglia, interrogativamente. Mi misi supino, col sesso ben eretto.

‘Vieni su di me, piccola, a cavalcioni. Tieniti sulle ginocchia.’

Eseguì, curiosa. Possibile che non sapesse’ che non immaginasse?

Quando il suo pube fu all’altezza del membro, le dilatai le grandi labbra, e poggiai il glande sull’orifizio vaginale.

‘Scendi lentamente.’

Lo fece in modo incantevole, divorandolo fino a quando non sentii che aveva incontrato l’utero. Rimase immobile, poi la sentii che accoglieva le mie pulsioni, e le ricambiava stringendomi in sé. E fu ancora un ascendere a vette sublimi, insuperabili. Univa in sé l’incanto d’una strana ingenuità e l’ingordigia del goloso che scopre il miele. E del mio si saziò voluttuosamente, si inebriò, cadendo, poi, affranta sul mio petto, ancora palpitante per il lungo, frenetico orgasmo. E andava baciandomi appassionatamente, tenendomi il volto tra le mani. Rimase così, mentre il respiro s’andava placando. Non permettendo che il mio sesso sgusciasse da lei.

‘Dimmi che non sogno, Piero’Sono ubriaca di te, piena di te, ho sentito la deliziosa invasione del tuo seme incandescente.’

‘E’ tutto vero, bambina, &egrave la più bella realtà della mia vita.’

Si assopì. Mentre le carezzavo i capelli, la schiena, le tonde e sode natiche. Pochi minuti, poi aprì gli occhi e mi guardò, come se mi chiedesse cosa stessimo facendo. Il ritorno della mia eccitazione la richiamò alla concretezza della situazione e, così com’era, cominciò a muovere il bacino. A mano a mano che sentiva il progredire della mia erezione, il suo ondeggiare aumentò. Si alzò poggiandosi sulle mani, rovesciò il capo e cominciò un lento e lungo gemito, crescente, sempre più roco, fino ad urlo che non riuscì a frenare. E tornò a giacere su me.

Solo allora pensai alla mancanza di precauzioni. Glielo sussurrai nell’orecchio.

‘Non credo che dobbiamo pensarci, credo di non poter concepire’ e poi, sarebbe meraviglioso un figlio tuo’!’

Dovevo tornare a casa. Nina lo capì senza doverle dire nulla.

Fu una passione travolgente.

Mi raccontò del profondo rammarico che l’aveva sempre turbata, da quando era adolescente, per credersi frigida. Il suo uomo, poi, l’aveva gettato nel massimo sconforto, accusandola di ciò, senza nulla chiedersi se il suo comportamento, frettoloso e sciatto, non avesse provocato, o almeno favorito, tale superficiale scarsezza di sensibilità sessuale.

Nina, invece, era passionale, vibrava al minimo contatto, sapeva essere femmina calda ed affettuosa, tenera e fremente, avida e dolce.

Mi ripeteva che doveva essermi grata per aver sollevato il velo del suo smarrimento, ma diceva che tutto era stato possibile perché io ero l’uomo giusto per lei.

Come avrebbe fatto lontana da me?

‘Lontana?’

‘Si, ci trasferiamo, molto a sud, fra pochissimi giorni.’

Ogni volta, però, che potevo raggiungerla, era come la prima volta. No, no. Molto meglio.

NETTA

Le avevo fatto sapere che sarei andato, per motivi professionali, nella città dove abitava. Si informò quando, a che ora, e si rammaricò che, almeno subito, non avrebbe potuto ospitarmi. Non conoscevo ancora suo marito, e non sapeva come l’avrebbe presa. Era un tipo gentile, ma sommamente asfissiante. Aveva molti più anni di lei.

Era ad attendermi all’aeroporto. Allora ce ne era uno solo e quasi in città. La vidi subito, appena fui sul portellone. Il volto delizioso di sempre, incorniciato dai lunghi capelli biondo-scuro. Un sorriso smagliante. Più bella che mai. Del resto ora era una donna, in tutto e per tutto, e l’avevo lasciata poco più che adolescente. Mi tornò subito alla mente quella splendida giornata estiva in cui non sapemmo contenere il nostro istinto, le nostre pulsioni, la nostra passione e ci unimmo. Per lei era la prima volta, ed io ero alle primissime armi, in materia. Fu una cosa bellissima. La sua tenera verginità si offriva meravigliosamente, il lieve trauma della ‘prima volta’ su travolto dalle successive sensazioni. Solo dopo ‘ed io più di le- pensammo a come lo avevamo fatto. Nessuna precauzione, nessuna protezione. Lo capì dal mio sguardo.

‘Non pensarci, Piero. Non attacchiamo il carro avanti ai buoi.’

E volle sentirmi ancora in sé. Più ardente che mai.

Eccola lì, Netta, splendida come non mai.

Sapemmo contenere il nostro abbraccio, ma si mise sottobraccio, come allora, facendomi sentire il calore del suo prospero e caldo seno. E rimase così, fino alla consegna del bagaglio, fino alla sua auto che era stata parcheggiata all’ombra.

‘Sei sempre uno schianto, Netta’ posso chiamarti mia?’

‘Lo sono, e lo sarò sempre, indipendentemente da situazioni ed eventi. Ti ricordi quando ti chiamavo ‘sposo’? Tale sei rimasto.’

Quasi dieci anni, da quel tempo, e mi sentivo attratto da lei come non avrei immaginato. Un’attrazione dolce, tenera, e nel contempo travolgente, possessiva, esclusiva. Non mi aspettavo di reagire in tal modo, rivedendola. La mia piccola Netta’

In auto le posi la mano sulla gamba, con antica e sempre nuova confidenza. Mi guardò e sorrise. S’avviò piano, prima d’imboccare la strada che conduceva in centro, svoltò in una viuzza, fece qualche giro, andò a fermarsi sotto un grande albero, in un angolo deserto, dove non si sentiva alcun rumore. Era una vecchia fabbrica abbandonata. Si voltò sorridendo. La presi tra le braccia e ci baciammo ingordamente, a lungo, frugando reciprocamente nelle nostre bocche. Le mani le sfiorarono il petto, più generoso e sodo d’allora, le strinsero le mammelle, strizzarono i capezzoli inturgiditi.

‘La mia piccola Netta”

Non fu facile, fermarsi, ma dovevamo.

Riprese a guidare, col respiro alquanto affannato.

‘Passiamo per il tuo albergo e poi vieni a cena da noi. Ne ho parlato con Umberto, si dichiara lieto di conoscerti. Gli ho parlato dei’ fraterni rapporti della nostra infanzia, e della nostra adolescenza. E’ curioso di conoscere questo mio’ fratellino.’

Umberto mi accolse cordialmente. Era un signore distinto, di almeno cinquanta anni, molto curato nella persona, nel vestire. Così, a vederlo, sembrava più il padre di Netta, che non il marito.

‘Così, tu saresti il ‘fratellino’ di cui mi ha tanto parlato Netta. Devo riconoscere che tra i tanti cugini che mo ha presentato, non ha scelto male. Anche io avevo una cuginetta preferita, con la quale andavo d’accordo, mi confidavo. Anzi, a dire il vero, avevo del tenero per lei. Non era amore, tanto meno passione, ma un qualcosa che mi faceva stare tanto bene in sua compagnia.’

Non rifiutai l’andamento della conversazione.

‘Credo che sia un po’ la stessa cosa con Netta, almeno da parte mia. Non ho mai dovuto fingere con lei, le ho sempre raccontato tutto dei miei sentimenti, ho la certezza, forse la presunzione, che sia quella che ha più conosciuto e compreso il mio carattere, il mio modo di sentire, le mie esigenze.’

‘E’ un po’, in un certo senso, allora, come una ‘rimpatriata’ tra vecchi amici.’

‘Direi qualcosa di diverso. Gli amici sono legati dalla semplice amicizia, i cugini dal sangue. Non so qui, ma nel napoletano proprio per questo si chiamano fratelli-cugini.’

Certo’ certo”

Netta avvertì che la cena era pronta.

La tavola era apparecchiata con particolare raffinatezza. Rosalia serviva impeccabilmente.

Rosalia era un po’ più alta di Netta, quasi quanto Umberto, indossava gonna nera, glissata, e blusa bianca, con abbottonatura non completamente chiusa, il ché lasciava scorgere il reggiseno che conteneva il prosperoso petto. Dovevano essere tette sode, però, perché il loro muoversi era molto contenuto. I fianchi che si intravedevano sotto la stoffa della gonna dovevano essere altrettanto consistenti. Il volto bruno era contornato da riccioli nerissimi che le uscivano dalla civettuola cuffietta. Stimai che poteva avere intorno alla quarantina, ma portati bene. Era un bel vederla muoversi, chinarsi, sorridere, in modo particolare quando offriva ad Umberto lo spettacolo dell’interno della scollatura. Era solo un’idea, la mia, forse solo una illazione, ma tra Rosalia e Umberto c’era, o almeno c’era stato, qualcosa di molto intimo. Seguivo la donna cogli occhi. Umberto lo notò.

‘Vedo che osservi Rosalia.’

‘Si, devo complimentarmi per la sua perizia, la sua grazia.’

‘Rosalia &egrave nata in casa nostra. Nella villa di campagna, dove abbiamo anche una masseria. E’ l’ultima figlia di Massaro Ntoni, ed &egrave nata quando avevo quasi quindici anni. L’ho tenuta in braccio. Ci conosciamo da sempre. Vero Rosalia?’

‘Verissimo, Ingegnere. Poi, da quando vi siete sposati ho l’onore di pensare ala vostra casa.’

‘E’ da molto che non vai a trovare i tuoi?’

‘Eh, si &egrave parecchio.’

‘E come sta Ntoni?’

‘Come uno che ha lavorato tutta la vita, e vorrebbe fare ancora qualche cosa a novant’anni!’

‘Perché non lo vai a trovare, magari domani?’

‘Domani?’

‘Si per un paio di giorni. Io devo andare a Milano. Partirò domani, martedì, col primo aereo del mattino e tornerò giovedì sera, dopo le dieci.’

Netta lo guardò, sorpresa.

‘Non mi avevi detto niente.’

‘Scusa, hai ragione. Ma mi hanno telefonato mentre tu eri andate ad accogliere Piero. Ti dispiace se lascio libera Rosalia per due giorni?’

‘No, nulla. Le piccole cose che sono da fare le potrò esplicare io. Lei può tornare direttamente venerdì mattino, con la prima corriera. Giovedì vengo a prenderti e andiamo a cena fuori. Che ne dici?’

‘Ottima idea. Mi spiace di doverti lasciare, Piero, ma spero di ritrovarti al ritorno.’

‘Mi dovrò fermare almeno una settimana.’

‘Benissimo. Intanto Netta ti farà visitare qualche parte della città a te poco nota.’

‘Sarò ben felice, ma il lavoro mi occuperà moltissimo.’

‘Sarai bel libero per la cena, no?’

‘Lo spero, almeno qualche volta.’

La cena fu ottima. Andammo a sedere nel salotto perché Umberto doveva farmi assaggiare un marsala secco che non temeva confronti col miglior sherry. Infatti, era delizioso.

Le robuste natiche di Rosalia passavano e ripassavano, risaltavano mirabilmente ogni volta che si abbassava, seguite dagli occhi di Umberto, non certo nuovi a quello spettacolo, e non sempre con tanto di superfluo vestimento.

Era l’ora di accomiatarsi. Umberto disse a Netta di accompagnarmi in albergo, ma non accettai fermamente la proposta. Avrei preso un taxi. Umberto dette disposizioni a Rosalia di chiamarlo.

Ringraziai, mi accompagnarono entrambi alla porta.

Netta si rivolse a me.

‘Ti fai rivedere domani?’

‘Ti telefonerò appena possibile. Buon viaggio, Umberto, e grazie di tutto, specie per l’affettuosa accoglienza.’

‘Sei un po’ mio cognato, no?’

Uscii sorridendo.

Dormii poco e male.

Le terga e il petto di Rosalia mi portavano a Netta. Non era possibile alcun raffronto. Netta era giovane, con un corpo statuario, elegante, raffinato. Era come paragonare un sorso di vino campagnolo con una coppa di champagne di classe. Una utilitaria un po’ scassata, con una fiammante fuori serie.

Dopo la doccia scesi a colazione, lessi il giornale, calcolai che Netta dovesse essere a casa, anche se avesse accompagnato il marito all’aeroporto. Telefonai. Mi rispose la sua voce.

‘Ciao Piero.’

‘Ciao, come va?’

‘Benissimo, grazie. E tu?’

‘Ora che sento la tua voice, meravigliosamente. Hai accompagnato tuo marito all’aeroporto?’

‘No, &egrave venuto a rilevarlo l’auto dell’ufficio. Partiva prestissimo, a quest’ora dovrebbe già essere a Milano. Mi sono fatta lasciare il telefono dell’albergo e quello del convegno.’

‘Sei tanto desiderosa di telefonargli?’

‘Si, devo accertarmi che sia veramente a Milano. Tu non immagini la mente diabolicamente sospettosa di Umberto”

‘Mi sembra anche un po’ provocatoria. Ho notato che ha fatto allontanare anche Rosalia, ha voluto che tu restassi sola.. Vero?’

‘Questo &egrave un altro punto, te ne parlerò a voce. Fra un po’ provo a telefonargli.. Tu cosa fai? ‘

‘Non lo so io stesso. Per ora desidero solo rivederti.’

‘E il lavoro?’

‘Per quello c’&egrave sempre tempo.’

‘Dove sei?’

‘In albergo.’

‘Ti richiamo non appena mi assicuro in merito a Umberto.’

‘OK, attendo con ansia, spero di stare insieme a pranzo.’

‘Ne parliamo. Ciao.’

Il tempo trascorreva esasperatamente lento’ finalmente mi avvertirono che ero desiderato al telefono. Era Netta. Il marito era al Convegno! Disse che sarebbe passata con l’auto per un certo punto, non distante dal mio hotel, fra mezz’ora. Non voleva farsi vedere nell’albergo dove alloggiavo.

Accostò lentamente, salii, rimise in moto, tendendomi una mano. La strinsi, la sentii incantevolmente tiepida, indugiare nella mia, come a carezzarla.

‘Sei bellissima, mi sembri pensierosa.’

‘Ho la sensazione di essere spiata, sorvegliata.’

‘Mi auguro che sia solo una sensazione.’

‘In ogni modo, ho in mente qualcosa.’

‘Dimmi.’

‘Andiamo a visitare un Museo, così solo una scorsa, poi andiamo a sedere al Caff&egrave Centrale, a bere qualcosa. Io ti lascio e torno a casa. Tu, prendi un taxi, non farti lasciare proprio sotto casa.. Ti aspetto. Se Umberto desidera controllarmi verrà a sapere tutto, e che poi sono tornata a casa.’

Veramente mi sembrava una cosa macchinosa, ma non dissi nulla.

Al Museo la conoscevano.

‘Buon giorno professoressa, posso esserle utile?’

‘No, devo solo acquistare il biglietto per mio cugino, ha poco tempo ma desidero che veda le cose principali.’

‘Ma quale biglietto, professoressa, lei e i suoi ospiti sono sempre graditi. Accomodatevi.’

Netta gli sorrise amabilmente. Entrammo. Andammo al primo piano, in una saletta, piccola, a sedere di fronte a una bellissima, piccola, Annunziata, di Antonello da Messina.

Posi una mano su quella di Netta, che era sul velluto rosso del divano.

‘Mi sembra che dobbiamo cercare più sotterfugi di quando eravamo ragazzi.’

Mi guardò sorridendo, dolcemente.

‘Certo, ora non sono una donna libera’.’

Repressi a stento un moto di stizza.

”.non essere il solito irrequieto. Io sto bene con te.’

‘Anche io, ma vorrei esserti diversamente vicino.’

‘Sii paziente. Andiamo al caff&egrave.’

All’uscita, le chiesero come mai se ne andasse così presto.

Non nascondo che ero molto infastidito per quel modo di muoversi che per me era quasi assurdo. Comunque decisi di seguire il programma di Netta fino in fondo.

Al caff&egrave le chiesi cosa mai fosse quello che doveva raccontarmi su Rosalia.

‘Prima di tutto’ ‘disse Netta- ‘devo chiederti se puoi restare a pranzo con me o se hai impegni. Una cosa leggera, che ho già preparata.’

Dovetti trattenermi dal prenderle la mano, cos’, dinanzi a tutti.

‘Sei tu, il mio unico impegno.’

‘Sono felice. Ed ecco la storia di Rosalia. Una mattina, non sentendomi troppo bene, sono uscita da scuola, lasciando la classe a una collega della stessa materia, e sono tornata a casa. Mi meravigliò, sul principio, il silenzio. Avevo lasciato Umberto a letto, perché aveva detto che si sentiva febbricitante, pur rifiutandosi di mettere il termometro. Umberto non era a letto, né nel bagno, neppure nello studio. Stavo andando in cucina quando, dalla camera di Rosalia udii dei rumori. L’uscio non era completamente chiuso, la scostai piano’ Rosalia era appecoronata sul letto, nuda, e Umberto, anche lui nudo come un verme, la stava diligentemente sodomizzando. Sapevo che Rosalia era stata l’amante di Umberto, ma credevo che con le nozze tutto fosse finito.’

Era rossa in volto, con le labbra tremanti, le mani strette sulla borsetta che aveva in grembo. Proseguì.

‘Uscii di nuovo, senza farmi sentire. Picchiai. Dovetti attendere un po’. Venne ad aprirmi Rosalia, serena, come se nulla fosse accaduto. Le spiegai che avevo lasciato le chiavi a casa. Le chiesi come mai avesse impiegato tanto tempo per venire ad aprirmi.’

‘Non ho sentito subito, signora, la lucidatrice faceva rumore.’

‘Umberto era in poltrona, in vestaglia, leggeva il giornale. Gli chiesi come stava. Mi risposa che ora si sentiva molto meglio. Non dissi parola, riuscii a mascherare la mia ira.’

‘Non ne avere parlato mai?’

‘Non in modo esplicito. Ero dibattuta tra il fare uno scandalo e far finta di nulla. Non mi piaceva nessuna delle soluzioni. Fu penoso quando, qualche sera dopo, cercò di avvicinarsi sessualmente a me. Accusai un malessere, detti la colpa a una strana e prolungata dismenorrea. Lui si mostrò comprensivo, ma capii che appena, l’indomani, fossi uscita per andare a scuola, Rosalia avrebbe soddisfatto le sue esigenze. A cena gli dissi ridendo che mi sarebbe piaciuto spezzare in due Rosalia. Avremmo potuto chiamarla, a nostro piacere, Rosa, o Lia. Feci finta di ridacchiare per una battuta scollacciata. Già, Rosa per il davanti e Lia per il didietro. Umberto non condivise la mia ilarità. Da allora la nostra intimità, chiamiamola così, &egrave meramente meccanica e molto sporadica.’

Netta, ora, era cerea.

‘Ti prego, Piero, accompagnami all’auto. Ti aspetto a casa. Scusa questo sfogo..’

‘Hai fatto benissimo. Ti voglio bene, oltre che amarti, anche per questo nostro poterci manifestare liberamente.’

Pensai che, invece del taxi, sarebbe stato più riservato e sicuro prendere un’auto a noleggio. Non mi rivolsi all’albergo, ma andai alla Stazione Centrale. Una piccola auto, poco appariscente, che parcheggia in una traversa poco lontana dalla casa di Netta.

Premetti il campanello sul cancello, la piccola sigla che usavo da ragazzo, una P in alfabeto morse, punto linea linea punto, mi aprì subito. Mi attendeva dietro la porta. Era incantevole, magnifica, bellissima, con un’espressione magica nel volto, emanava un’irresistibile attrazione da ogni poro, fasciata in un elegante vestito fermato in vita da un fluente fiocco. La strinsi a me, sentendola aderire deliziosamente. Le sue labbra erano soavi, dolci più del miele, la sua lingua stillava voluttà. Sentivo il suo ventre aderire al mio, il pube cercare il mio sesso.

Ci guardammo sorridendo.

‘Hai fame, Piero?’

‘Tantissima’ di te!’

La sentivo fremere.

‘Anche io, Pit!’

Aveva ricordato il nomignolo che aveva dato al mio sesso quando lo carezzò la prima volta, in risposta alla mia carezza su quella che chiamai la piccola Net. La deliziosa rete.

Le cinsi la vita e andammo verso il corridoio, nella sua camera che aveva l’uscio spalancato.

Con l’altra mano entrai nella scollatura. Sentii che sotto il vestito indossava solo il reggiseno e le piccole mutandine. Si allontanò da me, lasciò cadere il vestito, entrò nel letto, coperta dal lenzuolo fino alla gola. Dopo poco la sua mano gettò lontano gli altri piccoli indumenti. Non avevo perduto tempo, ero in perfetta tenuta adamitica e fui subito vicino a lei. La baciai sugli occhi, sulle labbra, sulla gola, sui piccoli capezzoli scuri che s’ergevano prepotenti dalle sue splendide tette; ancora più giù, a frugare l’ombelico, a cercare tra i riccioli neri del grembo, a lambire le turgide grandi labbra che si dischiudevano per accogliere la mia lingua, sempre più insistente. Ecco l’orificio del suo sesso delicato, il clitoride che sussultava al sentirsi suggere lievemente. La lingua entrò in lei, insistentemente, accolta da palpiti irrefrenabili. Le sue mani erano tra i miei capelli, accompagnavano il mio movimento, sempre più impetuoso, fin quando non la sentii sciogliersi languidamente, con un profondo sospiro, troppo a lungo contenuto.

‘Non era mai stato così bello, Piero, l’ho sempre desiderato, ma ho deciso che solo tu avresti potuto baciarmi in questo modo. Ci sono delle cose che desidero siano solo tue.’

Ero supino, accanto a lei. Allungò la mano su me, mi carezzò, incontrò la mia prepotente erezione. Si mise su me.

‘Ecco la tua Net, adorato Pit, la tua rete che desidera solo accoglierti.’

Era sospesa sulle ginocchia, aprì bene le grandi labbra, portò il mio glande vicino la bocca infuocata della vagina, si calò lentamente, ingurgitandolo in sé fin quando non lo sentì spingere sull’utero. Restò così, con gli occhi chiusi, il capo rovesciato, le nari vibranti. Poi sentii muoversi il grembo, avvolgermi golosamente il fallo, con movimenti peristaltici sempre crescenti, e lei che danzava, avanti e dietro, col petto che andava sempre più ansando. Le presi le tette tra le mani, titillavo i capezzoli; s’abbassò, senza interrompere la cavalcata, portando il petto sulla mia bocca che le era andata incontro, che le prese i capezzoli tra le labbra e iniziò a ciucciarli, sentii la vagina che si contraeva sempre più, fin quando il suo grido roco, l’impeto dei movimenti e il successivo abbandono dissero del suo lungo, irrefrenabile orgasmo. Non riusciva a star ferma, mi sentiva ancora in lei, in tutto il mio desiderio, e, dapprima piano, poi sempre più speditamente ripeté il suo voluttuoso exploit, fin quando, questa volta, non raggiungemmo insieme le più alte vette del piacere.

‘Non &egrave stato mai, così, vero?’

Sussurrò ansante. Mi baciò sulla bocca, poi scese a baciarmi il petto, il ventre, accolse il mio fallo semieretto nella bocca, fu come un bagno eccitante, stimolante. Netta cominciò a lambirlo con la lingua, a suggerlo con movimenti lenti e profondi. Sempre più insistentemente, fin quando non lo sentì palpitare, contrarsi, stillare nella sua bocca il nettare del piacere, e lo sorbì qualcosa di golosamente’ Non mi aspettavo una tale’ manifestazione da Netta.

Tornò vicina a me, col capo sul mio petto.

‘Non credevo che mi sarebbe piaciuto così, &egrave stato bellissimo sentirti in me anche in questa maniera. E’ una di quelle cose che ti danno il diritto di considerarti il ‘solo’. In materia non c’&egrave stato un prima, e i dopo saranno esclusivamente tuoi.’

Si, era stato bellissimo, ma non posso nascondere che mi ponevo tanti piccoli quesiti’ La mia mano era tornata tra le sue gambe, con piccole carezze. Alzò le ginocchia, alzò il bacino. Il dito, curioso, scese fino al buchino del suo incantevole culetto, e cominciò a stuzzicarlo, dolcemente, Il liquido che le era colato tra le gambe lo aveva reso viscido, scivoloso. Vi penetrati appena, e sentii che le pareti cedevano lentamente. Seguitai ad entrare e uscire. Netta accompagnava con piccoli movimenti del bacino.

‘Aspetta, Piero”

Si voltò su un fianco, con la mano aprì le natiche. Mi voltai verso di lei, alle spalle, e questa volta fu la punta del mio sesso a trovarsi, bagnata ed eccitata, tra le piccole rosee rughe di quel buchino. Cercai si spingere, sentii che mi accettava, assecondava collaborando attentamente. E prima ancora che mi rendessi pienamente conto dell’accaduto, entrai in lei, tutto, fino in fondo, sentendo le sue magnifiche chiappe battere sul mio ventre.

Una nuova, sconosciuta, imprevedibile Netta. Altro che la fanciulla di dieci anni fa.

Avevo notato una sua piccola indecisione, certamente una reazione al male che quella manovra le produceva, ma poi tutto era proceduto nel migliore dei modi. Mi accoglieva con evidente piacere, fremeva alla mia mano che le tormentava i capezzoli alle dita che le titillavano il clitoride. Sentii come un gemito lento e lungo, un mugolio che andava testimoniando il suo crescente godimento, e quando esplosi in lei sentii stringermi il sesso, convulsamente, con un grido che la liberò dalla tensione, forse la vittoria su un tabù.

Rimanemmo così, a lungo, col suo culetto che sembrava volermi carezzare. Senza volgere il capo mi chiese, con voce roca.

‘Ti &egrave piaciuto, amore?’

‘Sei sempre più incantevole, piccola. Non speravo tanto.’

‘E chi altri poteva sperare di stare con me così? Ha certamente capito che anche questa, come per il bacio fremente al tuo Pit, &egrave stata per me la prima volta. Voglio che sia tu il primo in tutto, ma ti giuro che in quello che abbiamo fatto adesso, e poco prima, non sei il primo, ma il ‘solo’. Capito, amore? Il solo’il solo”

Fece in modo che sgusciassi da lei, si voltò, mi baciò furiosamente.

La tenevo tra le braccia e ripensavo a quell’incontro appassionato. Non avrei mai immaginato che il mio fisico potesse rispondere così prontamente al desiderio della mente. Ero giovane, certo, comunque’. La prestazione, o meglio le prestazioni, erano state particolari, ognuna delle quali aveva richiesto un non indifferente impegno. Finii col congratularmi con me stesso. Ma capii che il merito di tutto era esclusivamente di Netta. Desiderata da sempre, voluttuosa al di là dell’immaginazione.

S’era assopita, così, tra le mie braccia. Ma non durò a lungo. Aprì gli occhi e mi guardò sorridendo, strofinandosi a me come una gattina.

‘Dovremmo anche mangiare, Piero. Che ne dici?’

‘E’ un particolare trascurabile.’

‘Prima di alzarmi, però, desidero ancora qualcosa.’

Era a cavalcioni, sul mio pube, giocherellando con sesso che andava reagendo alla sua provocazione. Raggiunse l’intento, e tornò a impalarsi bramosamente sul mio fallo. Sembrava volesse svellerlo.

‘Voglio conservarlo in me, solo per me, per sempre.’

E fu ancora il suo ennesimo orgasmo a farla giacere sul mio petto.

La guardavo sbalordito. Netta, la mia cuginetta.

TATU’

Perché Tatù?

Era il nome della magnifica creola che, completamente senza veli, avevo ritagliato da un Magazine USA, capitatomi tra le mani per caso. Da allora decisi di chiamarla così. Tra l’altro, sarebbe stato un nostro piccolo segreto. A lei non piacque molto, quel nomignolo, dapprima, poi, quando dopo sue infinite insistenza mi decisi a farle vedere l’immagine di quella che oggi chiameremmo una ‘pin up girl’, sorrise appena (mi sembrò compiaciuta) ed accettò l’appellativo.

‘Non dir niente a nessuno.’

Mi raccomandò.

‘E non t’azzardare a mostrare quella’ quella foto ad altri. Poi, che ne sai tu di come sono io?’

Mi guardò con aria di sfida.

‘Lo so, non lo immagino, ne sono sicuro. Anzi, firmami la foto, con dedica!’

‘Ma non fare lo scemo.’

‘No, dedicami la foto e firma.’

Sbuffò, volendo apparire seccata. Poi, prese la penna stilografica che le porgevo. Scrisse: A Piero’come firma iniziò con A, la prima lettera del suo nome, poi la cancellò e scrisse Tatù.

‘Aggiungi qualcosa.’

‘Cosa?’

‘Si scrive sempre qualcosa in una dedica.’

Riprese la penna, e avanti al nome scrisse ‘la sua..’.

La guardai sorpreso, fece finta di nulla.

‘Aspetta, Piero, si vede dal volto che quella non sono io, e’dal colore della pelle.’

‘La tua pelle &egrave dorata come quella della modella”

‘Dammi la foto.’

La prese, con la massima attenzione strappò la parte della testa, me la restituì.

Tatù era una splendida ragazzona, con una forza incredibile. Aveva splendide braccia, non muscolose, ma piene, sode. E così i suoi fianchi. Quando facevamo finta di ballare e pian piano facevo scendere la mano sulle natiche, le sentivo deliziosamente scolpite nel granito. Mi guardava con una strana espressione, allora, come seccata, ma non diceva niente. E così pure quando sentivo le sue splendide tette sul mio petto. Il volto, ovale, circondato da capelli nerissimi, ondulati, erano stati certamente di qualche sua ava, forse veramente creola. Chissà. La pelle, bronzo dorato, era liscia come una pesca, e sembrava cosparsa di oli profumati per quanto era splendente. Quando eravamo vicini, le prendevo la mano, poggiavo il volto sul suo braccio e mi piaceva baciarlo, lambirlo delicatamente con la lingua. Tatù lasciava fare, come una concessione al cuginetto.

Appena chiuse le scuole decidemmo, una miriade di amici e di cugini, di andare un giorno al mare. Mariella sarebbe stato il nostro chaperon, la garante del buon comportamento, perché i suoi ventitré anni la facevano considerare una sicura sentinella.

Sul tram, sedemmo abbastanza educatamente. Tatù era vicina a me, e le solide cosce erano coperte dal leggero vestito di cotone. Le poggiai una mano sulla coscia.

‘Che fai? Ti possono vedere.’

‘Ti da fastidio? La devo togliere?’

Per tutta risposta vi poggiò sopra la giacchettina portata per l’eventuale fresco del tramonto.

Visto che le cose stavano così, strinsi le dita, carezzai lentamente.

‘Pierì.. non t’allagrare”

Ma la mano sembrava cercare qualcosa. Salì piano, sentì chiaramente i folti riccioli del pube, attraverso il vestito e la mutandine, e cercò di scompigliarli. Tatù si sistemò meglio sul sedile, portando il bacino in avanti. Era la prima volta che sentivo il calore del sesso della mia cuginetta. Da quello che potevo sentire, al glabro assoluto delle sue braccia e delle gambe, si contrapponeva il consistente volume dei suoi riccioli pubici. Li immaginavo dello stesso colore dei capelli. Forse più neri, più lucidi. Mi facevano tenerezza. Adesso che aveva un po’ dischiuse le gambe li sentivo meglio, e tra essi percepivo il turgore di due grandi labbra, non certo insensibili a quella carezza.

Tatù si mise a guardare fuori dal finestrino, nel vuoto. Ma i suoi piccoli movimenti testimoniavano il suo sentire. Si voltò verso me, con una espressione implorante.

‘Piero, per favore, se ne accorgeranno tutti. Sii buono, ti prego”

Fermai la mano, sul mio sesso.

Quando fu il turno di spogliarci, Tatù disse che aveva sete, sarebbe andata al bar. Decisi subito di accompagnarla. Ci mettemmo un po’ di tempo. Quando tornammo alle cabine (una per i maschi e l’altra per le femmine), gli altri erano già sulla spiaggia, sotto il vigile occhio di Mariella che ostentava un costume chiaramente evidenziatore della sua venustà.

Entrammo nelle rispettive cabine, adiacenti.

Fui presto in costume. Poggiai l’orecchio alle tavole che ci separavano. Poi cercai un forellino. Ero curioso. Nulla, c’era solo un piccolo nodulo del legno. Con l’unghia cercai di rimuoverlo, insistei. Ci riuscii. Cominciai a spiare. Tatù era nuda, di fronte allo specchio, e si ammirava, di prospetto, di profilo. Aveva un sedere scultoreo, della giusta rotondità.. ecco, si girava per osservare la sua schiena allo specchio.. Caspita.. due tette di forma perfetta, che non si muovevano, e lunghi capezzoli bruni, e poi.. era un vero bosco d’ebano che le adornava il pube, nascondeva il suo sesso, la dove iniziavano due lunghe gambe.. da delirio.

Quanto era bella Tatù, e’bbona!

Memento audere sempre. Meglio pentirsi per aver fatto che rimpiangere il non aver fatto.

Uscii piano, poggiai la mano sulla porta della cabina destinata alle femminucce. Non era chiusa dall’interno. Chissà se per mera distrazione. Comunque l’aprii ed entrai rapidamente. Tatù era ancora come l’avevo contemplata.

‘Che fai, qui? Come sei entrato? Sei matto? Mariella, o qualcun altro, potrebbe averti visto”

Io, intanto, ero rimasto inebetito, e per non cadere m’ero seduto sullo sgabello, seguitando a guardarla, ammaliato.

‘Vieni qui, Tatù, avvicinati.’

Le tesi le mani.

Le prese, si avvicinò.

La mia testa era all’altezza del suo grembo. Rifugiai il mio volto in quel serico rifugio. Sentii che aveva infilato le dita tra i capelli. Cominciai a baciarla lievemente, poi a cercare il suo sesso con la lingua, mentre lei andava lentamente dischiudendosi, agitandosi. Non so quanto restammo così, ma d’un tratto sentii il sapore della secrezione della sua vagina, e lei s’accasciò sulle mie gambe, sfinita.

‘Va via, Piero, va via”

Andò a prendere il suo costume. Io tornai di corsa e guardingamente nella mia cabina, in attesa che si placasse la mia prepotente ed evidente eccitazione.

Adesso, ogni volta che guardavo Tatù mi eccitavo.

Al ritorno s’assopì sulla mia spalla, non sembrò dispiacere la mia mano che le carezzava la tetta, le titillava il capezzolo.

Ormai le scuole erano chiuse.

L’indomani andai a trovarla, per chiederle se voleva fare una passeggiata. Mi dissero che era andata a rovistare in soffitta. La raggiunsi. Era china su una cassa aperta, rovistando tra scartoffie varie. Il suo favoloso culetto era più che mai provocante. Le fui alle spalle, e sembrò solo allora accorgersi della mia presenza. E come avrebbe potuto non percepire quanto le premeva tra le natiche? Si alzò molto lentamente, e così mi strinse ancor più. Chiuse il coperchio della cassa, si girò. L’afferrai per i fianchi, la baciai, mentre la stringevo a me per farle avvertire il mio desiderio. Mi sembrò comprenderlo chiaramente e corrisponderlo. Mi baciava furiosamente. Poi sedette sulla cassa. Mi misi ai suoi piedi, infilai le mani sotto la sua gonna e l’alzai, poggiai la testa sulle sue gambe, mentre cercavo di far scendere le mutandine.

‘Che vuoi fare, matto?’

‘Voglio riposare con la testa sul tuo grembo.’

Alzò il sedere per facilitare il mio proposito. Quando il piccolo indumento fu in terra, poggiai la testa tra le sue gambe. Era un cuscino di seta che mi carezzava le guance. Delizioso. Lei mi guardava teneramente, passandomi le dita sul volto, sulle labbra. Si chinò a baciarmi.

Mi sussurrava qualcosa.

‘Non l’ho mai fatto, Piero, mai”

Qualcosa, però, era più forte di noi.

Poco distante c’era un vecchio materasso arrotolato, avvolto in una coperta. Lo presi, lo slegai, lo distesi. Invitai Tatù a sedere vicina a me. prima, però, andai a chiudere la porta della soffitta. Tutto si svolgeva secondo un rituale prestabilito scritto dal fato. Iniziai a spogliarla, lentamente, sembrava come in trance. Non si opponeva e non partecipava. Quando fu nuda, bellissima, la deposi delicatamente sul materasso. Poi fu la mia volta, a spogliarsi. Le andai vicino, e presi a baciarle il seno, a suggerle i capezzoli, a carezzarla tra le gambe. Cominciò a corrispondermi, sempre più appassionata, e quando le fui sopra, aprì spontaneamente le gambe, le alzò poggiandole sui talloni, e nel contempo sollevava il bacino, La punta del mio sesso ero all’ingresso della vagina, calda, palpitante, con un piccolo ostacolo che impediva la penetrazione. Ancora un momento e fui in lei, lentissimamente, accolto da contrazioni sempre più intense, deliziose.

Un primo entusiasmante amplesso che ultimò nella reciproca massima voluttà, felice che quel corpo bruno, granitico, vibrasse con me, ed io in lui.

Giacemmo ansanti. Poi riprendemmo con rinnovato vigore e più intenso piacere, mai sazi. Come a sfamarci d’antica e nuova fame.

Tatù era un’incantevole statua vivente.

‘Alzati, piccola, voglio ammirarti.’

Ero rimasto steso sull’accogliente materasso. La vista dal basso mi eccitava, turbava, sconvolgeva.

‘Passeggia, per favore.’

I suoi muscoli che si muovevano sotto la lucida pelle serica erano uno spettacolo indescrivibile: bellezza e perfezione. Mi alzai, la strinsi a me, con passione e tenerezza, mentre sentivo l’erezione del pene che le urgeva tra le gambe. Non ero ancora pago del suo amore, di lei. Mi guardava sorpresa, quasi divertita.

‘Sei terribilmente attraente, Piero. Ho sempre saputo che tra noi sarebbe accaduto, lo temevo e bramavo nel contempo. Mi avevano detto che avrei urlato per il dolore. Solo un piccolo male compensato da un grande piacere. Mi sembri immenso, non avrei mai creduto che avrei potuto accoglierti in me. Invece &egrave stato bello, amore mio.’

Le sue parole, i piccoli baci sul volto, sulle labbra, l’imperiosa pressione dei suoi capezzoli sulla mia pelle, erano sensazioni voluttuose. Mi sdraiai sul materasso, tenendola per mano.

‘Vieni su di me, fammi sentirmi tuo, ricevimi nel tuo grembo celestiale, prova s’&egrave dolce il cavalcarmi.’

S’abbassò lentamente, guardandomi negli occhi, col suo pube che accolse il fallo tra i suoi riccioli. L’istinto non vuole esperienza’ La sua manina aprì le labbra, prese il pene e lo indirizzò verso il palpito della vagina, e s’impalò con fremente lentezza, accogliendomi e stringendomi in lei, fin quando sentì che non poteva ospitare più di tanto.

‘Che bello, Piero..posso fare come voglio’ ti possiedo’ ti tengo prigioniero in me”

Si muoveva, avanti e indietro, con avidità, come se godesse dominarmi, e sembrò perdere la testa quando le mie mani presero a titillarle i capezzoli.

”oddio’ oddio’ ma io svengo”

I suoi dimenarsi diveniva impetuoso, ansioso di raggiungere un traguardo vagheggiato, dove l’attendeva l’appagamento dei suoi sogni.

Non era la sua voce quella che gridò Pieeeroooooo, mentre crollava sussultante sul mio petto. Le carezzavo la schiena, le sue superbe natiche.

Si calmò, molto lentamente. Aprì gli occhi, sollevò un po’ e mi guardò, trasognata e raggiante.

‘Che bello, morire così, Piero.’

‘E’ più bello vivere, così. Non credi?’

Annuì con la testa.

‘Posso restare così?’

‘Per sempre, amore.’

Dopo alcuni minuti, che sentivo vivere in paradisiaca beatitudine, si pose al mio fianco, mi voltò le spalle.

Mi accostai a lei. Posi il mio sesso, ancora abbastanza vigoroso, nella più bella valle del mondo che s’apriva tra la sontuosa magnificenza dei suoi glutei marmorei. Si spinse verso me. L’abbracciai carezzandole un seno, mentre l’altra mano la vellicava delicatamente tra le gambe. Sentii che s’andava appisolando. Solo per qualche minuto.

Si svegliò, restò così.

‘Piero, e’ se resto incinta?’

‘Ci sposiamo, tesoro, e attenderemo di dare altri fratelli al primo, o prima.’

Ebbe un brivido.

‘Ci sposiamo? Ma siamo cugini.’

‘E allora? Avremo tutte le dispense necessarie.’

Se adagiava appassionatamente sulle mie ginocchia.

‘Pensa che bello, Pierino,non cambierei nemmeno cognome”

E così, ne parlavamo quando c’incontravamo, in soffitta, sul materasso che conservava gli evidenti segni della sua prima volta.

Fin quando non ebbe evidenti segni che non aveva concepito.

Tatù ed io eravamo certi che ci saremmo sposati. La nostra appassionata storia d’amore procedeva con sempre rinnovata voluttà. E cominciammo ad essere meno riservati’tanto’ci dovevamo sposare!

Credo che tutto sapevano del sentimento che ci univa, certo senza immaginarne i reali particolari.

Con molta riservatezza, andammo a farci una fotografia, insieme, testa a testa, come usava allora, dal più famoso fotografo della città.

Lei scrisse, su quella che sarebbe stata mia: ‘per tutta la vita!

E fu così. Ma per pochissimo tempo.

Una strana malattia, come folgore, s’abbatté su Tatù, e la strappò dalla montagna rocciosa che le aveva dato il corpo.

LINA

Mentre l’aereo s’apprestava ad atterrare, mi venne in mente che Lina abitava nella città che stavo per raggiungere. Si, mi era stato detto qualche tempo prima, anzi diversi anni fa.

Ma come trovarla? Quale sarebbe stato il nome del marito?

Sapevo che insegnava latino e greco al liceo, ma quale?

La piccola Lina’ ora, però, aveva anche lei i suoi anni, sempre pochi, per la verità.

La piccola Lina che, trotterellando, veniva a rifugiarsi tra le mie braccia, Mi guardava con quei suoi profondi occhioni verdi e diceva: ‘mbrà, in braccio! Ci separavano solo sei anni, ma sapeva che mi piaceva coccolarla. Ogni scusa era buona per correre da me: un invisibile graffio causatole dalla piccola spina delle rose che andava carezzando; o era una fogliolina che voleva mostrarmi; o qualcuno l’aveva rimproverata’

Poi fu la volta delle fiabe, che ascoltava, sulle mie ginocchia, guardandomi incantata. E quindi i primi compiti.

Di solito, ogni estate ero ospite della sua famiglia, e per lungo tempo. La casa era immensa, costruita in epoche successive, anche un po’ in modo bizzarro. Si entrava dall’ampio portone carrabile, o si poteva raggiungere dal cancello del giardino che dava nello stretto viottolo che sboccava nella piazza centrale, accanto alla Chiesa. In passato, era sempre uno della numerosa famiglia a ricoprire la carica di Arciprete. Un altro fratello era quasi sempre medico, un altro ancora farmacista e, infine, l’unico sportello bancario era gestito da noi, azionisti d’una certa importanza di quell’istituto di credito.

La piccola Lina, col tempo, s’era trasformata in una splendida rossa, la chiamavamo scherzosamente ‘red lina’. E lei non se la prendeva a male. Era sempre molto attaccata a me, mi scriveva delle lunghe lettere, in uno stile garbato, a volte un po’ ermetiche, perché sembrava piuttosto scritte per il proprio uomo. L’ultima volta che vidi quel maestoso pezzo di figliola, dalla pelle candida, i lunghissimi capelli rossi, piccole labbra color ciliegia e splendidi occhi nei quali ti sperdevi, fu alla sua matricola. Io ero ancora ufficiale, trattenuto in servizio, ma non potevo mancare alla festa della mia adorabile cuginetta.

Volle fare con me il primo ballo, si stringeva a me, anche sollevando qualche risolino tra i presenti, non permise che ballassi con nessuna delle sue amichette, e quando m’accompagnò all’auto che era venuta a riprendermi, mi abbracciò e mi baciò sulla bocca, a lungo, con gli occhi lucidi.

L’autista che aveva aperto lo sportello, mi sorrise, con una certa aria di complicità.

‘La gà una bela morosa, sior tenente, complimenti.’

E quando gli dissi che era mia cugina, rispose che capiva’capiva.

Mi venne in mente, una volta giunto in città, per un importante convegno internazionale, di chiedere alla segreteria del convegno stesso, come fare a trovare una professoressa che, aggiunsi, era mia cugina e che non vedevo da tanto.

All’attenta ragazza, gentilmente impegnata a prendere nota, le dissi che si chiamava Lina, e il cognome da ragazza, come il mio, e che aveva capelli rossi.

‘Certo, signore, &egrave stata la mia prof. Insegna al Liceo Rossetti.’

‘Per favore, veda se può farmi sapere i giorni in cui ha lezione, gli orari e, se può, l’indirizzo.’

‘Non stia a preoccuparsi, le porto un biglietto in sala.’

La bella mula mi sorrise e tornò al suo lavoro.

Ero di fonte alla scuola. Salvo motivi che potrebbero averla trattenuta, Lina doveva stare per uscire. Eccola, infatti, &egrave lei che scende i pochi scalini che la separano dalla strada. La tracolla della borsetta sulla spalla, e quel suo andare, disinvolto e quasi spavaldo, certamente incantevole. Era bella più di prima. Un corpo perfetto, in una tenuta sportiva. Il volto, sorridente, incorniciato dai lunghi capelli colore della fiamma. Ero vicino all’auto, la chiamai.

‘Lina..’

Si girò verso me, curiosa, poi sorpresa, raggiante e, senza badare se sopraggiungessero veicoli, mi corse incontro. Si rifugiò nelle mie braccia.

‘Piero? Ma sei proprio tu?’

Piangeva e rideva. Come quand’era bambina. Ma era una splendida donna.

‘Fatti guardare, Lina, gira”

Fece una lenta piroetta, si fermò, a un passo da me.

‘Allora? Esame superato? Classifica?’

‘Constatazione esteriore e superficiale affrontata con successo; voto 110, in attesa che maggiori approfondimenti possano migliorarlo; classifica: incantevole, splendida, attraente..de fuego!’

‘Nessuno mi aveva detto tante cose insieme.’

‘Ma io non sono’nessuno.’

Si strinse ancora a me, incurante dei passanti, di qualcuno che poteva vederla dalla scuola.

‘E’ vero, tu per me sei tutti e tutto. Ora come sempre. Che bello vederti. Cosa sei venuto a fare in questa città? Ti fermi a lungo? Dove alloggi?’

Le sue solite domande a raffica.

‘Allora, vediamo’ andiamo con ordine. Sono venuto per te’ ed anche per un convegno internazionale; mi fermerò il tempo che vorrai’; alloggio all’Excelsior.’

‘Io non abito lontano da qui, a Via Fabio Severo, poco lontano dall’Università. E’ li che insegna mio marito.’

‘Hai figli?’

Scosse la testa, ma non sembrava dispiaciuta.

‘Piero, vieni a casa?’

‘Preferirei non subito. Desidero stare un po’ con te come ai vecchi tempi.’

‘Allora, sa che facciamo? Mi offri un aperitivo, dal bar telefono a Giulio, sento se torna per il pranzo, e ci regoliamo di conseguenza.’

‘Sono perfettamente d’accordo. Direi di portare l’auto nel garage dell’Hotel, poi potremo andare agli Specchi, e così via!’

‘OK, bellissimo.’

Entrò in macchina senza nemmeno attendere che le aprissi lo sportello, fece tutto da sola. Quando le fui a fianco, mi abbracciò, scoccò un bacione sulla guancia, mi carezzò coi suoi lunghissimi capelli fiammeggianti.

‘Che bello, Piero. E chi si aspettava una sorpresa del genere, un vero premio inaspettato.’

Mi avviai lentamente. Mi immisi nel traffico, non eccessivamente intenso in quel punto, scesi verso il lungomari, andai dinanzi all’Hotel, lasciai le chiavi dell’auto al ragazzo che era accorso, pregandolo di parcheggiarla in garage. Dopo non molti passi eravamo nella grande e bella piazza, al vecchio e caro Caff&egrave degli Specchi. Lina volle andare subito al telefono.

Tornò Pimpante.

‘Giulio andrà a colazione con delle persone venute da fuori, credo proprio per il convegno al quale partecipi. Non sarà in casa neppure per la cena. Gli ho detto che c’eri tu. Ti saluta, &egrave desideroso di conoscerti. Libera’!

Andammo a sedere in un angolo.

Al compìto cameriere che venne per l’ordinazione, chiedemmo due mimose.

Le portò dopo pochissimo.

‘Allora, affascinante red Lina, visto che sei libera, pranzi con me?’

‘Certo.’

‘Che ne dici di andare da Suban, una volta si mangiava bene.’

‘Si mangia bene anche adesso, ma &egrave lontano.’

‘Prendiamo un taxi.’

‘E’ lontano, non molto distante da casa mia. So che anche all’Excelsior si sta bene, il roof garden &egrave di fronte al mare”

‘Hai vinto. Aggiudicato.’

Le presi la mano, lei la trattenne e se la portò in grembo. Sentivo il tepore del suo corpo, ed anche ‘forse immaginavo- il morbido dei riccioli, certamente rossi, che le impreziosivano il pube. Oddio, stavo montandomi la testa. M’era sempre piaciuta Lina, avevo sempre ammirata la sua pelle bianca e avevo anche figurato nella mente’il resto. Le tettine d’una volta erano ‘si vedeva- il sodo e florido petto d’una bella signora; anche i fianchi s’erano arrotondati, nella misura giusta, e in quando ad essere gagliarde il loro muoversi lo confermava. Sì, era proprio un bocconcino delizioso la mia cuginetta, e quel contatto mi eccitava.

Parlammo del tempo passato, dei periodi che trascorrevo a casa sua. Di quella volta che eravamo andati al mare e io la guardai incantato quando uscì dall’acqua col costume che le sembrava spruzzato sul corpo, attraente fin da allora.

‘Tu sei stato sempre molto affettuoso nei miei confronti, Piero.’

‘No, Lina, eri veramente attraente. Non quanto adesso, però. Mi verrebbe da definirti lussureggiante, come una foresta fascinosa.’

Mi strinse la mano che teneva in grembo.

‘Sai che mi piace sentirmi apprezzata così da te? Io ti ho sempre contemplato come l’irraggiungibile sogno della mia vita. Perché ti sognavo, ora posso confessartelo, e sognavo di essere coccolata da te, come quando ero piccola piccola”

Arrossì un po’.

”anzi no’in modo ben differente!’

Le carezzai teneramente il volto. Si portò la mano alle labbra, la baciò.

‘Andiamo a pranzo, Piero, la brezza del mare potrà farmi bene.’

Chiamai il cameriere, pagai. Ci alzammo. Uscimmo. Ci avviammo verso l’Hotel. S’era messa sotto braccio, stretta. Camminava col volto assorto in pensieri che, forse, la turbavano, la rendevano perplessa.

‘Qualcosa non va?’

‘Al contrario, non potrebbe andare meglio.’

‘E quel visetto come imbronciato?’

‘No, &egrave solo un senso di confusione. Come quando ti sei sempre ritenuto preparatissimo a superare l’esame, e poi, d’un tratto, ti sembra d’aver dimenticato tutto. Come l’attimo di titubanza prima di lanciarti dal trampolino più alto”

‘Non immaginavo che un pranzo con tuo cugino facesse nascere in te tali riflessioni.

‘Già”

Eravamo giunti all’Excelsior.

Lina era tornata allegra, come il suo solito. Sorridente. Appena entrati mi sussurrò che voleva sapere dov’era la toilette, con un’aria sbarazzina e incantevole mi disse che era ‘just to powder my nose..’. Sì, per incipriare il suo nasetto..

‘Potresti farlo più comodamente nella mia suite.’

‘Hai una suite?’

‘Of course, e proprio di fronte al mare. Dal balcone si spazia sul porto, sul molo Audace, sulla Stazione Marittima, da Campo Marzio alla Stazione Centrale.’

‘Andiamo su.’

Salimmo in ascensore, premetti il pulsante del penultimo piano, quello sotto il roof garden. Le porte s’aprirono lentamente, frusciando. Girammo a destra, e subito incontrammo la porta del mio alloggio, la seconda a sinistra. La aprii. Prego. Lina entrò guardandosi intorno.

‘Sai che &egrave molto bello? Se chiudi quello scorrevole dividi del tutto la camera da questa specie di salotto studio.’

Andò verso il balcone, lo aprì, si affacciò.

‘E’ proprio come hai detto tu, un panorama incantevole”

Le ero accanto e le tenevo la mano sul fianco.

‘Qui l’incanto sei tu, cuginetta..’

Si strinse a me, e mi guardò con qualcosa nello sguardo che mi agitò, mi eccitò. Per spezzare quella inquietudine, mi voltai indicandole un uscio nella parte notte.

‘La toilette &egrave quella porta.’

Vi si avviò lentamente, quasi a fatica. Andai a sedere sul divano, proprio di fronte all’ondulato che separava i due vani. Ero confuso. Anzi, no, ero turbato, in preda a qualcosa di vago, che desideravo e temevo. Temere, andavo rimuginando, e perché? E se tutto fosse un castello in aria frutto della mia presuntuosa fantasia? Ero così meditabondo, che non m’accorsi di Lina, in piedi, bella e fresca come aulente rosa del mattino, di fronte a me.

‘Adesso sei tu, cogitabondo. Un penny per i tuoi pensieri.’

Sentivo che dovevo seguire il mio istinto, il mio desiderio, dovevo ascoltare quanto mi diceva la mente, i sensi’ Tutto.

‘Non pensieri’pensiero!’

‘Potrei sapere quale?’

Le tesi una mano, l’attirai verso me. Sedette docilmente sulle mie ginocchia. Portai la sa manina alle labbra.

‘Tu!’

Si rannicchiò, come la piccola bimba d’un tempo. Voltò il volto verso me, con le rosse labbra frementi, appena dischiuse. E fu un bacio lunghissimo, appassionato, voluttuoso, con le lingue che si lambivano, tentavano di intrecciarsi, esploravano le reciproche bocche. La mia mano entrò con naturalezza sotto la gonna, le sfiorò le gambe, salì’ Oddio’ non aveva nulla’ e mi persi nel boschetto morbido del pube, lo esplorai andando verso la più seducente valle dell’amore, che sentii percorsa da un fremito, e dischiudersi alla mia carezza, offrirsi al mio sfioramento, invitarmi ancora, a vellicarla, a entrare nell’ancor più calda sede del piacere, a guardia della quale palpitava il piccolo clitoride. Sentii le pareti della vagina avvolgere le mie dita, ingoiarle i sé, freneticamente. E poi ancor più prepotente il bacio di Lina, e il suo totale abbandono, tra le mie braccia, stringendo a sé, in sé, con un gemito di godimento liberatorio.

‘Sei meraviglioso, Piero, ancor più di come ti sognavo”

Aveva certamente percepito l’erezione che cercava di irrompere dai pantaloni. Si mosse piano, facendomi comprendere che voleva tirarsi su. Si alzò, mi porse la mano, guardando quanto urgeva tra le mie gambe, e, mutamente, m’invitò a levarmi a seguirla’verso il letto. Vi si rovesciò sopra, come esausta, chiudendo gli occhi, beata. Ero in ginocchio ai suoi piedi. Le alzai il vestito, fui affascinato dal rosso fiammeggiante dei suoi riccioli, ma ancor più caldo era il suo sesso quando accolse la mia lingua curiosa e insinuante. Non ci volle molto per sentire che questa volta il suo orgasmo era ancora più energico del precedente. Le mie mani le avevano afferrato le sode mammelle, quasi martoriandole.

Non mi sembrava neanche la voce di Lina.

‘Ti voglio’Piero’ti voglio’.adesso.’

Andava rapidamente liberandosi d’ogni cosa, fino a restare splendidamente e statutariamente nuda, bianca e rossa, s’ bianca e rossa, come non avrei neppure immaginato. E anch’io, ormai, ero come lei. I nostri vestiti giacevano confusamente sul pavimento.

Le baciavo le tette bellissime, suggevo i piccoli capezzoli fragola, ero quasi sopra di lei, sentii il suo invito, il sua porgere il bacino, la sua sollecitazione. Le piccole labbra che baciavano il mio glande, lo suggevano, l’ingoiavano’

Lasciatemi indulgere ad un linguaggio realista.

Non credevo che usa scopata avesse potuto far godere una coppia come noi godemmo, fino a quando la natura non chiese un ‘break tecnico’ a reviving break!

Era tra le mie braccia, e non cessava di carezzarmi, di baciarmi. Le sue superbe sode tettine (mica tanto ‘ine’) premevano sul mio petto, la sua fichetta umida poggiava sulla mia coscia, il suo ginocchio mi carezzava il fallo.

‘Finalmente, Piero’&egrave una vita che ti aspetto.. una vita”

‘Anche io, bambina, ho sempre desiderato di sentirti mia.’

‘Ma io sono tua da sempre, e solo tua’ e non sorridere..’

‘Non sorrido, perché anche per me &egrave la stessa cosa.’

‘Dovrei alzarmi, Piero’fare una doccia’ma tu non venire di là’il solo vederti non mi farebbe resistere”

‘Allora cerca di’saziarti..’

‘Saziarmi? Di te? Non ci riuscirò mai. Perché dopo il pasto ha più fame che pria”

E me lo dimostrò, eccitandomi di nuovo, cavalcandomi come una walkiria delirante, col capo rovesciato, i rossi capelli che mi coprivano le gambe, il pube che sbatteva sul mio, nel tentativo di sentirmi in lei al di là d’ogni sua possibilità. E quando cominciò il suo uggiolio lento e lungo, attesi l’attimo favorevole per invaderla col mio seme bollente.

‘Si’.si’voglio morire così’.così”

E s’abbatt&egrave su me.

Eravamo tutti e due in accappatoio. Guardammo l’orologio. L’orario del desinare era trascorso da tempo.

‘Che ne dici, bimba, se ci facciamo portare qui qualcosa?’

‘Ottima idea, adesso ho anche appetito di’cibo!’

Sorrise maliziosa.

Telefonai, e chiesi qualcosa di light, per due. Approvai senz’altro il suggerimento, e dopo pochi minuti il cameriere bussò alla porta, entrò, chiese se poteva preparare. Gli dissi di si e che non era necessario si fermasse per servire. Lui non vide Lina, che s’era fermata in camera per vestirsi, ma fece un cenno di complice intesa.

Ostriche e champagne furono ottimi, ed anche buoni i filetti di sogliola al lime. Macedonia di frutta, e un fragrante caff&egrave conservato caldo nel piccolo termos.

Lina, civettuola, volle che fossi io a farle gustare le ostriche, volle bere lo champagne dal mi stesso calice e decise di mangiare la macedonia seduta in braccio a me.

‘Non illuderti di liberarti facilmente di me, cugino, specie ora che ho conosciuto anche questo tuo’ aspetto’ e chi ti lascia”

La guardai sorridendo.

‘Guarda che non scherzo. Intanto finché resterai qui dovrai interessarti di me”

‘Non desidero altro.’

‘Speriamo! E poi io ti raggiungerò dovunque, ogni volta che potrò.’

‘E’. tuo maito?’

‘Quello che c’entra’ Io non sto tradendo lui, ma tradisco te quando, ope legis, devo stare con lui. Chiaro?’

Sembrava più che decisa, e fu decisa anche nel pretendere un’ anticipo sull’indomani.

NONO’

Era l’unica figlia d’un cugino di mio padre. Quindi, a voler essere precisi non era proprio mia cugina. Però, ci eravamo sempre considerati tali e così ci conoscevano tutti.

Era stata la compagna di giuochi della mia infanzia. Eravamo quasi coetanei, e le nostre prime curiosità trovarono appagamento tra noi. Fu la mia prima paziente, nel vecchio giuoco del medico, e mai esami obiettivi furono più minuziosi, scrupolosi, ripetuti, incoraggiati e’ graditi.

Era proprio bella, nel bianco abito della prima comunione, coi lunghi boccoli neri ‘come era allora di moda- che le incorniciavano il visetto delizioso, gli occhi verdi, l’espressione sbarazzina. E bella, splendida, fiorente, cresceva, con quel suo personalino alquanto minuto ma non magro, e perfettamente proporzionato. Segui attentamente lo sbocciare e il prosperare delle sue tettine, l’allettante arrotondarsi del suo culetto sodo, insieme allo spuntare e crescere dei serici riccioli neri che andavano abbellendole il pube.

In gran segreto mi confidò che era divenuta’donna! E quando acconsentì che la carezzassi tra le gambe, sentii che era proprio un gran bel tocco di ragazza. E quello che capitò tra le mie gambe me lo confermò. Il tempo trascorreva e io non pensavo proprio a cercare una ragazza, né lei accolse alcuna delle attenzioni che le dimostravano gli infiniti mosconi che le ronzavano intorno.

Frequentavamo due diverse facoltà, ma nello stesso edificio. Prendevamo lo stesso tram. La vicinanza ci piaceva, il contatto ci esaltava, eccitava. Ma tutto si risolveva in lunghi baci e lascive carezze. Giungemmo fino al petting allora in uso, detto ‘infracosce’, che ci dava piacere, orgasmo, ma ci lasciava insoddisfatti e impiastricciati.

Poi, gli eventi imposero una lunga separazione.

Strano, mi limitai a mandarle solo una cartolina.

Ognuno intraprese la propria strada e, non nascondo, pur ricordandola sempre con tenera gratitudine, per volendole bene, non sentivo di amarla. Poi &egrave (purtoppo?) nel mio carattere che m’attraggono le femmine che mi sono vicine.

Eravamo di nuovo nella stessa città, ognuno con la famiglia che aveva formato. Non si frequentavamo molto le nostre famiglie, senza una specifica ragione, o forse perché mia moglie immaginava il tenero che c’era stato tra me e Nonò. Lei, Nonò, m’aveva detto che aveva sposato Ciriaco senza amore, così, perché si sposavano tutte. Il bimbo era nato perché certe cose avvengono anche se non c’&egrave amore. Nel caso suo, poi, non c’era neppure voglia, tantomeno piacere.

Era ormai sera, ognuno, a casa propria, aveva consumato la cena e s’apprestava a pensare come trascorrere il resto della serata, prima di andare a letto. Ero solo, Renata era andata a trovare la mamma, un po’ indisposta, e io l’avrei raggiunta l’indomani.

Trillò il telefono. Era Nonò.

‘Piero, puoi venire subito da noi. Dobbiamo dirti una cosa molto importante per te.’

‘Va bene, fra pochi minuti sarò li.’

L’abitazione di Nonò era in un vecchio palazzo, con un grande portone scuro che a quell’ora era quasi chiuso del tutto. Rimaneva aperta solo la porticciola di passaggio. L’androne, molto vasto, era quasi sempre molto scuro. Più avanti, a destra e sinistra partivano le scale che portavano agli appartamenti, Niente ascensori! La portinaia si era già ritirata a casa sua. La guardiola era spenta.

Appena entrai sentii chiamarmi sottovoce, la voce di Nonò. Lei era ai piedi della scala, ma non di quella sua.

‘Piero, sono qui.’

Mi avvicinai, sorpreso di trovarla lì.

‘Senti, Ciriaco &egrave andato a dormire. Io gli ho detto che sarei andata dalla mia amica Maddalena, per un partita a carte. Vieni, andiamo su, da lei. Mi prese per mano e cominciò a salire, lentamente, fino al quarto piano. Aveva la chiave. Aprì, entrammo. La luce era accesa. Mi condusse nel piccolo salotto. Solo allora mi accorsi che era in vestaglia. La guardai interrogativamente.

‘E’ per non destare sospetti in Ciriaco, poteva credere che sarei uscita con Maddalena.’

‘Siedi.’

Venne vicina a me, vicinissima. Afferrò la mia mano, quasi con forza, la tenne tra le sue, in grembo.

‘Ti devo dire una cosa. Importantissima.’

La guardavo sempre più sorpreso, era rossa in volto, bellissima, e mostrava un certo affanno nel respiro. Non potevo fare a meno di restare affascinato da quel petto che s’alzava e abbassava aritmicamente. Le belle tette di Nonò, che conoscevo dal loro primo fiorire.

Mi venne spontaneo di cingerle la vita e di attirarla a me.

‘Allora?’

‘Credo di aver trovato per te un importante e redditizio incarico.’

Seguitavo a stupirmi.

‘Ma io ho già una attività.’

‘Certo, ma questa &egrave una occasione unica. Saresti nominato responsabile di una sede di una struttura multinazionale.’

‘Fece un nome. Sì, era veramente molto importante.’

‘In questa città?’

Mi guardò con occhi di fiamma, accaldata, con le labbra che tremavano, le nari frementi. Oddio, com’era bella, invitante.. Ed era sempre stata il mio sogno, il mio desiderio. Temevo che Maddalena potesse entrare da un momento all’altro. Mi lesse nel pensiero.

‘Maddalena &egrave andata al cinema”

La presi sulle mie braccia e la baciai appassionatamente, e pienamente ricambiato. Una bramosia soffocata per anni, ci travolse, le mie mani la cercavano, la frugavano, e così le sue. Non avevamo bisogno di parole. Sentiva che la volevo, sentivo che mi voleva. La camera accanto era quella da letto, di Maddalena, ci accolse come due adolescenti al loro primo incontro. Cercavamo di toglierci i vestiti, e di toglierli all’altro.

Era splendida, Nonò. Altro che la bimba dal’dottore’l’universitaria che me lo faceva impazzire tra le sue cosce.

Era lì, calda, palpitante, invitante.

Le baciai il seno, i capezzoli, la lambii lungo il ventre, su pube, oltre, sentendo i sui fremiti, il suo ansare, la sua impazienza.

‘Subito’Piero’subito’ti attendo da sempre’.’

Dovetti fare molta forza per non penetrarla con violenza, per farmi accogliere il lei con la massima possibile dolcezza, ma inesorabilmente, finché non sentii che non potevo spingermi oltre. E fu una danza voluttuosa, un baciarsi e toccarsi, donarsi e ricevere, in una sinfonia che sembrava scritta solo per noi, armoniosa, dapprima lenta, poi un crescendo travolgente, fino alla conclusione che andò terminando piano piano, nella fusione delle linfe del nostro amore.

Giacque sfinita tra le mie braccia.

‘Potrebbe essere così per sempre, Piero, per sempre.’

Non mi era chiaro cosa volesse dire.

‘Come?’

‘Te lo dirò’te lo dirò. Adesso ti voglio ancora. Ti voglio così”

Mi si mise sopra, si appoggiò sulle ginocchia, ghermì il mio sesso ben eretto e lo puntò golosamente tra le sue piccole, rosee, palpitanti labbra. Sembrava che, a mano a mano che si faceva penetrare, un balsamo benefico mitigasse la sua tensione, appagasse la sua sete, provocasse in lei soavi movimenti peristaltici della vagina, umida e calda, che mi mungevano incantevolmente. Non era il bere ingordo, ma il degustare goloso del raffinato, che centellina, apprezza, prova un godimento sempre maggiore.. si, sempre maggiore, fino a quando il ritmo non aumentò, divenne impetuoso, la’ mungitura sembrava volermelo svellere, ma s’accontentò, e come, della marea che l’invadeva.

‘Meraviglioso, Piero’ amore mio!’

Ero curioso, però, pur nel profondo godimento dei sensi, pur nel piacere di avere tra le braccia una così bella e desiderata creatura, di conoscere il seguito della storia.

Nonò era sensibile alle coccole.

La strinsi a me, su me, le carezzai la schiena, il tondo sodo delle sue natiche.

‘Allora, Nonò?’

‘Pensa, potremo essere insieme, per sempre, tu ed io.’

‘Vorrei saperne di più.’

‘Tu andrai a dirigere la sede, io verrò con te, lontani da tutti.’

‘Dove?’

‘In Canada.’

‘Ciriaco?’

‘Per me non esiste.’

‘Mia moglie?’

‘La preferisci a me?’

La risposta doveva essere rapida e convincente. Un no, l’avrebe per sempre allontanata da me. Perché rinunciare a quella femmina deliziosa che prometteva chissà quali delizie? Dovevo prendere tempo. Fabio Massimo, cunctator, temporeggiatore, vinceva così.

‘Certo che no, piccola mia. Ma dammi il tempo di allontanarmi da lei senza traumi.’

Sembrava impazzire per la gioia.

‘Che bello’ lo sapevo’ siamo nati per stare insieme.. lontani’ in Canada”

Mi guardava sorridendo, e accennava a un motivetto di moda: ”una piccola casetta in Canadà’ , la Capanne ai Canada’

Le dissi che, pur se con infinito rammarico, ci dovevamo lasciarle, doveva tornare a Casa, per non far inutilmente insospettire Ciriaco, e prima del tempo. Annuì a malincuore, mi lasciò sospirando.

Era un bocconcino da non perdere, Nonò, e ci sapeva proprio fare. Poi, diciamolo, le prime volte sono sempre le più incantevoli, e si pregustano mille novità, o meglio nuove esperienze. Forse non nuove nell’accadimento, ma per i protagonisti. Se non fosse così non ci affascinerebbero nuovi partners. Il mare &egrave sempre mare, d’accordo, ma c’&egrave differenza tra i ghiacci polari, le onde tiepide dei tropici, l’azzurro verde delle lagune degli atolli. La novità, poi, &egrave quella che ci attrae. La tendenza umana &egrave di conoscere l’ignoto, esplorare.

Nonò aveva un sederino che mi eccitava da sempre. Lo avevo sentito, fin da ragazzo, sulle mie gambe, avevo compreso non essergli indifferente quando, in seguito, si muoveva per accogliere la mia erezione, soffocata nei pantaloni, tra le sode natiche. E poi ci fu quella volte, al mare, nella cabina infuocata, quando la punta le penetrò appena, solo di qualche millimetro, quel delizioso buchetto e l’irrorò del mio piacere, mentre luna mano le titillava il piccolo clitoride e l’altra i capezzoli. Forse, meditavo, era giunta l’ora d’una completa esplorazione.

Le telefonai per ringraziarla, per dirle che la desideravo. Che la volevo rivedere, anche per seguitare quel tale discorso.

Mi disse che la casa della sua amica era a sua disposizione. Era possibile vederci di mattina, quando lui era in ufficio?

Per me era possibile, avrei preso qualche scartoffia, in studio, ed avrei trovato una ragione per andare in giro.

Entrai nel grosso portone furtivamente. Chissà perché, ma fui contento nel constatare che la portiera non era al suo posto. Salii le scale di corsa, bussai alla porta. Nonò era lì, bella, fresca, aulente, con un vestitino che la faceva sembrare una collegiale e che metteva in evidenza il suo tondo e provocante sederino. Considerai che effettivamente erano chiappette’ prensili. E nell’abbracciarla volli constatarlo, inserendo la mano tra esse. Nonò si strinse ancora di più a me.

Il letto ci attendeva, logicamente, e non furono necessari lunghi preliminari. Il desiderio ci travolgeva. Ci saziammo a più riprese, variando la tecnica. Mi stupivo di sentirmi ancora eccitato malgrado tali eccezionali performances. Eppure era così.

Ero dietro di lei, le tenevo una mano sulle tettine e l’altra tra le gambe. Lei prese il fallo e lo mise nel solco delle natiche, proprio vicino al buchetto che era madido e viscido per ciò che era fuoriuscito dal suo sesso.

Le sussurrai all’orecchio.

‘Nonò, lo voglio, l’ho sempre desiderato.’

‘Ma hai tutta me stessa, tesoro, non mi hai sentita?’

Premetti insistentemente.

‘Nonò, lo voglio, ti voglio tutta, completamente.’

‘Ho timore che quel tuo grosso batacchio non potrà mai entrare li, ho paura che potresti lacerarmi.’

Il continuo premere, e le carezze, le provocavano, lo sentivo, un incessante pulsare dello sfintere. Anche se impercettibilmente, mi accorgevo che il mio glande s’era alquanto intrufolato, e quel palpitare lo rendeva ancor più rigido e bramoso. Impaziente. Nonò stava godendo, le mie dita le sfioravano il clitoride, entravano in lei, ne uscivano per rientrarvi. Ecco, era vicina ad uno dei suoi caratteristici, travolgenti orgasmi che la squassavano, le facevano perdere ogni controllo’ ecco, anche quello del suo prezioso culetto’ si rilassava’ si apriva’ mi accoglieva’ si agitava sempre più. Né si fermo quanto sentì il calore del mio prepotente getto che l’invadeva. Spinsi più che potei. Restai in lei, estasiato, pago. Il suo affanno andava acquietandosi. Voltò appena il capo verso me. Era sudata, e teneva stretta in sé la mia mano, ed anche il mio sesso.

‘Non immaginavo che avrei potuto godere tanto”

Non mi aveva più chiesto cosa avessi deciso per il Canada, né ne aveva più parlato.

Ci incontravamo ogni volta che potevamo, ed era sempre più appassionante della volta precedente.

Era la femmina che conoscevo in ogni minimo particolare fin da bambina, e che ora desideravo sempre, incessantemente. Un’attrazione fisica che andava al di là di qualsiasi altro sentimento. Forse anche per lei era lo stesso. Un rapporto che aveva dell’infinitamente naturale, del complementare, nel senso che ognuno si completava nell’altro. Mi rendevo conto che c’era qualcosa di primitivo, come il cercarsi e accoppiarsi di due belve; per c’era qualcosa di ferino nei nostri incontri.

Potenza del Canada!

A proposito, qualche giorno dopo nella rassegna stampa lessi che il dottor’..era stato nominato responsabile della sede canadese della’.

Non ero io.

Nonò lo sapeva da tempo.

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