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Racconti Erotici Etero

Occupazione

By 23 Agosto 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

Tanti anni fa , all’alba dei miei vent’anni, frequentavo un Centro Sociale. Non ero ideologicamente ‘puro’, più che altro ci andavo perché ci andavano i miei amici e era un modo facile per divertirsi, in maniera più o meno lecita, frequentare ragazze e passare il tempo tra un esame universitario e l’altro. I ricordi mi sono tornati alla mente l’altro giorno incontrando due amici di allora, solo che loro erano rimasti impegnati politicamente (uno &egrave ora assessore) mentre io, e vidi chiaramente ‘l’accusa’ nei loro occhi, ero passato dall’altra parte (in effetti sono un manager di un certo successo).
Una primavera si organizzò l’occupazione di un liceo. Non ricordo i motivi ma ci recammo in massa dal Centro alla scuola per aiutare e supportare gli studenti. Durò una settimana, in cui praticamente vivevamo e dormivamo lì nei sacchi a pelo o sui materassi della palestra. Il tempo passava tra discussioni sul problema che aveva generato la contestazione e discussioni politiche generali. Partecipai volentieri, era un diversivo dal tran tran quotidiano e poi sentivamo di fare qualcosa di utile per la società.
Se di giorno c’era movimento continuo per le varie attività, la notte scendeva il silenzio riducendosi a una cinquantina di persone la presenza all’interno. Ovvio che fatte salve le apparenze (le ragazze dormono lì, i ragazzi di là) non si badava molto alla promiscuità e ai vari movimenti notturni.
Fu lì che conobbi Carla, una biondina dell’ultimo anno che, notai, faceva sempre in modo di sedersi vicino a me nelle riunioni. Parlammo spesso in contesti di gruppo e qualche volta anche da soli, approfondendo la conoscenza. Era chiaro che le interessavo, e anche lei interessava a me. Non proprio magra, aveva una quarta abbondante di seno, fianchi larghi e un sedere che riempiva piacevolmente gli eterni jeans.
La terza notte rimase a dormire anche lei.
Quando finimmo il pasto serale, al solito pizza e panini, oramai era sera e solo la luce della luna piena che entrava dalle finestre o il fascio fioco di una lampada rompeva l’oscurità.
Io, Carla e altri tre o quattro restammo in un’aula a chiacchierare, bevendo coca-cola e rum, fino a tardi quando gli altri andarono verso il proprio posto-letto.
Ora eravamo soli, ma intorno a noi c’erano i piccoli rumori e bisbigli di altre persone. Le presi la mano e, usando una torcia elettrica, la guidai lungo i corridoi verso un locale distante, a uso ripostiglio, dove nei giorni precedenti avevo visto erano custoditi dei materassini da palestra. Mi seguì senza parlare. Entrati nel locale, abbastanza ampio, illuminato dalla luna e dai lampioni esterni attraverso un finestrone traslucido, chiudemmo la porta a chiave e ci accovacciammo lungo una parete.
Non c’era bisogno di dire nulla, la baciai e lei mi corrispose con foga.
Limonammo per alcuni minuti, accarezzandoci da sopra i vestiti e scambiando copiose quantità di saliva. L’eccitazione cresceva in noi, staccandomi dall’abbraccio le tirai in su il maglione e lei mi aiutò a farselo togliere dalla testa. Il reggiseno durò pochi istanti di più. La stesi a terra riprendendo a baciarla ma ora avevo tra le mani i suoi seni caldi, dai capezzoli pronunciati su cui mi tuffai avidamente. Erano soffici quei seni, l’uno mi faceva da cuscino per la testa mentre di lato suggevo il capezzolo dell’altro. Carla sospirava.
Scavalcandole la gamba misi le mie tra le sue appoggiandomi al suo corpo e baciandola ancora. Avevamo tutto il tempo del mondo e procedevamo con lentezza, ma l’urgenza di vederla e sentirla completamente nuda mi spinsero a tirarle giù i jeans. Mi aiutò anche questa volta slacciandoli e divincolandosi fino a che rimase solo con gli slip. Mi fermai un attimo a ammirarla, nella penombra mi appariva bellissima. Mi stesi ancora sopra di lei per baciarla ancora e ancora. Con il ventre simulavo l’atto muovendomi su e giù, accarezzandola col mio corpo ancora vestito (mi ero solo tolto il maglione). Le sue mani corsero verso i miei pantaloni, slacciandoli e tirandoli verso il basso. Mi fermai per togliermeli e con loro gli slip. Ora ero nudo anche io. Mi venne voglia di assaggiarla e scivolai con la testa verso il suo pube, mordicchiandolo attraverso la stoffa leggera degli slip che poi scostai per dedicarmi a leccare la sua micina. Mi strinse le cosce intorno alla testa sospirando ancora premendomi con le mani contro di se e agitando i fianchi. Insistetti con le mie manovre leccandole il clitoride e penetrandola prima con un dito, e poi con due. Era bagnata, molto. Sussultava mugolando e chiamando il mio nome. Accelerai il movimento delle dita e succhiai forte il grilletto. La sentii irrigidirsi e sussultare mentre un fiotto di umori mi bagnava la faccia. Leccai ancora la micina allagata, aveva un sapore delizioso ma ora toccava a me, il bastone mi faceva quasi male da quanto era rigido.
Mi alzai e camminando sulle ginocchia mi accostai al suo volto. Riaprendo gli occhi vide il mio affare teso a poche decine di centimetri, sorridendo allungò una mano per stringerlo iniziando una lenta sega ma non si fermò lì, si rialzò col busto e mi prese in bocca. Non leccava né succhiava, si limitava a tenerlo lì come un biberon. Con la mano le premetti sulla nuca, servì a scuoterla e farla cominciare a scorrere le labbra sull’asta, dentro e fuori. Non era molto esperta ma già solo il calore della sua bocca mi donava un piacere delizioso.
Se lo tolse di bocca guardandomi con aria di muta interrogazione. Compresi che non le piacevano i pompini e mi stesi al suo fianco. Ancora mi teneva in mano mentre cercavo il suo fiore, fu lei a guidare la penetrazione serrandomi di tanto in tanto per impedirmi di affondare di colpo. Alla fine fui tutto dentro di lei. Faccia a faccia ci guardavamo, non so lei cosa vedesse perché ero in ombra mentre il suo viso era chiaramente illuminato dalla luce esterna, e vedevo i suoi occhi farsi lucidi mentre muovevo i fianchi avanti e indietro, entrando e uscendo. Bastò poco perché ricominciasse a gemere. I capelli scarmigliati, la testa tirata indietro e la smorfia di piacere sul suo viso mi eccitavano forse più della penetrazione. Mi mossi più velocemente affondando la faccia sul suo collo, baciandolo e mordicchiandolo. Le sue braccia mi strinsero forte, ora quasi urlava mentre aveva un altro orgasmo. Anche io ero vicino, non sapevo se prendesse la pillola e non volli rischiare, al momento culminante mi tirai indietro e il mio pene eruttò stretto tra i nostri corpi, strusciando sul suo e mio ventre, sporcandoli entrambi.
Ci addormentammo così, stretti l’uno all’altra.
Non fu l’unica volta che feci l’amore con Carla”’ ma questa &egrave un’altra storia.
Il giorno dopo tornarono gli altri, in tanti, ripresero i dibattiti, le chiacchierate. Una delegazione partì per andare a parlare non ricordo chi, noi altri ci preparavamo. Era girata voce che la polizia forse ci avrebbe fatto sgomberare con la forza e cominciammo a ammassare materiale, tutto quel che potevamo, a porte e finestre per bloccarle. C’era un po’ di paura, specie nei ragazzi più giovani che erano alle prime esperienze di quel genere. Anche Carla era impaurita, mi stava attaccata come una cozza allo scoglio, ovunque andassi lei mi veniva dietro, e così fu anche quando andai in giro per la scuola a cercare possibili vie d’accesso che non avevamo bloccato. Corridoio dopo corridoio setacciavamo i locali che davano verso l’esterno, Carla mi aveva preso per mano e potevamo sembrare due innamorati a passeggio. Arrivammo all’ultima aula dopo aver fatto il giro dell’edificio, non avevamo notato problemi. Se avessero voluto entrare non avrebbero avuto problemi, bastava spaccare una finestra del pianterreno, ma a noi sembrava di essere in un fortino inespugnabile, l’ultimo Forte Apache. Prima di arrivare all’androne dove erano i nostri compagni incontrammo la scala che saliva ai piani superiori. In un lampo tirai Carla dietro me e cominciai a salire. Non dovevo verificare nulla, volevo solo un po’ d’intimità con lei e la cercavo là dove, teoricamente, non doveva esserci nessuno. All’ultimo piano entrammo in un’aula deserta, solo l’odore del gesso e della polvere, da lì avevamo una bella veduta della piazza antistante, in bella vista l’onnipresente pattuglia delle forze dell’ordine, la gente che passava, il bar gremito che pareva un formicaio impazzito. Chiusi la porta e causa la mancanza di chiave la sbarrai con un banco. Mi avvicinai a Carla, l’abbracciai e la baciai corrisposto. Limonammo per qualche minuto e poi ci spostammo verso una finestra. Lì la feci voltare verso l’esterno, l’abbracciai da dietro premendo il mio inguine contro il suo sedere, strusciandomi contro di lei come un cane in calore. Con le mani avevo afferrato i suoi seni e li accarezzavo, li palpavo, li stringevo mordicchiandole il collo. Carla era immobile, passiva, gemeva piano quando giocavo con i suoi capezzoli, quando con la lingua le stuzzicavo le orecchie. Abbassai una mano e l’intrufolai nei jeans, tra stoffa e pelle, scostando le mutandine per accarezzarle il clitoride e farla gemere più forte. Non avevo molto spazio di manovra ma riuscivo comunque a strusciare le dita sulle sue labbra intime, a penetrarla con la punta di un dito sentendola inumidirsi sempre più.
Mi staccai da lei strappandole un verso di stupore e dispiacere, però avevo in mentre un’altra cosa. Sempre da dietro le slacciai i jeans tirandoli giù. Carla fece l’atto di voltarsi, glielo impedii finendo di abbassarle anche gli slip. Avevo davanti a me il suo culo, non proprio a mandolino ma fresco, setoso, un piccolo brufolo che spiccava al centro di uno dei due emisferi. Le spinsi la schiena facendola chinare in avanti esponendomi così la sua micina, il suo piccolo ano grinzoso. Mi abbassai sulle ginocchia e iniziai a leccarla. Presto la sentii bagnare copiosamente. Continuai fino a farla mugolare in un orgasmo improvviso, inaspettato. Con le dita intanto avevo anche giocherellato con il suo buchino nascosto e Carla aveva prima accettato il tocco leggero ma poi respinto con una mano il dito che cercavo di spingerle dentro.
– No, mi dà fastidio – mi aveva detto prima di abbandonarsi all’orgasmo dettato dalla mia lingua.
Era pronta, mi rialzai, mi aprii la patta e puntai il mio uccello sulla sua micina, una leggera spinta e entrai quasi totalmente tanto era lubrificata. Un altro mugolio di Carla mi indusse a prenderle ancora le tette da dietro, aggrapparmi a loro per cavalcarla con forza. Da dietro vedevo la gente passare, ignara dell’amplesso che si stava consumando a pochi metri di distanza da loro. La montai per diversi minuti portandola a un altro orgasmo, però iniziavo a avvertire la stanchezza e cambiai posizione. Uscii la lei e arretrai verso un banco, lo scostai tirandomela dietro, gli occhi con uno sguardo interrogativo. Mi sedetti liberandomi dei pantaloni, lo stesso feci con lei faticando un po’ a farle uscire una gamba dai jeans stretti, poi la tirai a me per farmela sedere sopra, scostandole le mutandine e penetrandola ancora una volta. Ora la guardavo bene in viso, potevo vedere i suoi bellissimi occhi farsi torbidi mentre il piacere montava ancora dentro di lei. Potevo baciarla, stringerla a me per farla aderire bene al mio inguine, muovendo i fianchi per penetrarla al meglio. Durò poco, Carla si muoveva sopra di me venendomi incontro, saltandomi sopra, e sentii la solita stretta ai coglioni che sapevo preannunciare il mio orgasmo. Ebbi il tempo di vederla chiudere gli occhi e mugolare forte il suo piacere raggiunto ancora una volta, ma stavo per farla grossa. Solo all’ultimo mi ricordai che non eravamo protetti né le avevo chiesto se prendesse la pillola. Con uno sforzo notevole la staccai da me e lo tirai fuori, impugnandolo per masturbarmi. Mi venne in aiuto, seduta sulle mie ginocchia sostituì la sua mano alla mia e la mosse veloce fino a quando non venni imbrattandole tutta la mano che aveva portato sopra la cappella a parare gli schizzi. Fu un orgasmo intenso, amplificato dalla sua mano che continuò a muoversi leggera e dalle sue labbra che si schiusero sulle mie per cercare la mia lingua e succhiarla.
Ci ripulimmo con dei fazzoletti di carta e felici e spensierati scendemmo sotto ridendo come bambini, volando per le scale mano nella mano.
Quella notte dormii da solo, Carla era tornata a casa. La passai a chiacchierare con i compagni, tra una risata, un sorso di qualcosa e un tiro di canna, fino a addormentarmi sul posto, sopra un materassino, senza prendermi la briga di cercare un angolo appartato.
Al mattino dopo venni svegliato da grida concitate, di nuovo la delegazione partì”””..
Ancora giravano voci di possibili sgomberi forzati, c’era chi diceva che già le camionette erano in viaggio, che l’incontro con la nostra delegazione era una trappola, che ci avrebbero pestati per bene. Tutte voci senza fondamento ma in quel momento ci credevamo, la mente logica era stata messa da parte a favore di quella istintiva. Pensai a Carla. Io avevo già avuto qualche esperienza, avevo già preso la mia dose di randellate, però non volevo che potesse capitare anche a lei. Feci di tutto per convincerla a andare via, a casa, almeno di portarsi a distanza di sicurezza dalla scuola. Non nego che mi pareva di essere l’eroe pronto a sacrificarsi per salvare la propria donna, ma lei scelse di recitare la parte della donna che vuole condividere la sorte dell’eroe e rimase con me, al mio fianco, la mano intrecciata alla mia mentre da una finestra scrutavamo la piazza come sentinelle di un forte assediato. Le ore passarono e nessuno si fece vivo. Infine tornò la delegazione e fu festa. Le nostre richieste erano state accolte a patto che l’occupazione terminasse subito e si potessero riprendere le lezioni. Urlammo e saltammo, facemmo fuori i pochi alcolici rimasti, abbracciandoci e cantando vittoria. Carla sempre al mio fianco, il sorriso felice, la bocca umida nei baci che ci scambiavamo di frequente. Giunse il momento di salutarci, non riuscimmo nemmeno a trovare un momento d’intimità perché pareva che diverse coppie ci avessero preceduto e non trovammo un’aula libera per stare insieme. Ci salutammo sul portone, certi di poterci rivedere presto. Tornai al Centro scherzando con gli amici, ancora inneggiando alla nostra lotta. Poi la vita reale mi calò addosso. Dovevo preparare un esame, uno di quelli tosti, ebbi pochissimo tempo da dedicare al Centro ove mi recai solo un paio di volte, e lì mi dissero che una ragazza bionda era venuta a cercarmi. Poteva essere solo lei, Carla. Maledissi il momento in cui non le avevo detto dove abitassi o l’avessi chiesto a lei, però l’esame incombeva, non potevo distrarmi o mi sarei fregato l’estate e passai ore e notti sui libri.
L’esame andò bene, eravamo ormai a luglio e mi preparavo a tornare a casa per una vacanza non avendo appelli sino a settembre. Camminavo per il corridoio della facoltà, senza avere lezioni e con l’intenzione di rilassarmi nel giardino antistante quando mi sentii chiamare per nome. Mi volsi e lì, a pochi metri da me, c’era Carla. Mi volò addosso abbracciandomi. Mancò poco cadessi sotto il suo impeto, l’abbracciai anche io e subii, sì subii il suo bacio vorace, ricambiandolo dopo una breve esitazione conscio che diverse teste si erano voltate verso di noi. Quando si staccò vidi vicino una ragazza mora che mi presentò come una sua amica da cui s’era fatta accompagnare. Brevemente mi spiegò che era venuta a salutarmi, aveva superato l’esame di maturità e suo padre era stato trasferito in un’altra regione, a breve sarebbero partiti. Le parole le uscivano veloci, intervallate da un bacio o da un abbraccio, la sua amica leggermente arrossita che ci guardava. Non sapevo cosa dirle, lei non sapeva ancora a quale facoltà si sarebbe iscritta, sicuramente vicino la nuova abitazione come volevano i suoi genitori. Io le scrissi il mio indirizzo e telefono e stavo per dirle addio con un ultimo bacio quando mi chiese:
– Non c’&egrave un posto dove possiamo salutarci per bene? ‘
Gli occhi le brillavano maliziosi mentre lo diceva. Gettai un’occhiata interrogativa verso la sua amica che parve arrossire ancora di più, e Carla mi spiegò che si era prestata sapendo tutto, poi mi chiese dove fosse il bagno e, avuta l’informazione, mi prese per mano tirandomi in quella direzione. Camminammo con la sua amica a fianco fino alla porta, lì Carla entrò, diede un’occhiata veloce e poi mi tirò dentro.
Posò una mano sulla spalla della sua amica che annuì, dovevano già essere d’accordo, poi sempre tenendomi per mano entrò in un bagno vuoto.
Appena chiusa la porta mi si appiccicò baciandomi ancora, la lingua che pareva un folletto, stringendomi le spalle e il collo con forza inaspettata. Mi eccitai e ricambiai il bacio, le accarezzai il seno da sopra la maglietta, poi scesi al suo inguine, slacciai il bottone e entrai con la mano nei suoi jeans raggiungendo il monte di venere, la sua micina già bagnata. Mi desiderava, e anche io desideravo lei. Le mie dita entrarono in lei, la carezzai con tutto il palmo e la sentii tendersi, spingere il bacino contro la mia mano, mugolare nella mia bocca, bagnarsi ancora di più. Non era facile muovere la mano dentro quei jeans stretti ma riuscii comunque a masturbarla a lungo, bevendo gemito su gemito, fino a quando sentii la mano bagnarsi la sensazione di caldo sul palmo. Carla mi si abbandonò contro, la faccia sulla mia spalla, quasi senza forze, un mugolio continuo dalle labbra.
La stringevo ancora a me, sostenendola, le dita ancora dentro di lei, e il mio uccello si era fatto durissimo nei boxer, con dolore lo sentivo premere sulla stoffa dei jeans.
Carla risollevò la testa e mi guardò col suo sorriso dolcissimo, mi baciò con le labbra, senza lingua, giocando a prendere una delle mie tra le sue. Mi prese la mano ancora dentro i suoi jeans e me la fece togliere sollevandola, le dita bagnate davanti ai nostri occhi. Me le spinse sul viso, sulle lebbra, me le fece succhiare e io lo feci con gusto, sentendo il sapore dei suoi succhi. Tentai di abbassarle i jeans ma lei mi bloccò. Si sedette sulla tavoletta del water e mi slacciò la cintura, i jeans, me li fece scendere a metà coscia. Ora il mio affare era davanti al suo viso, ancora dentro i boxer fino a che lei non fece scendere anche loro per prendermelo subito in mano e avvicinarlo alle labbra, baciarlo, picchiettarlo con la lingua prima di fagocitarlo con foga, almeno a metà.
Mancò poco venissi lì, per il calore della sua bocca che prese a muoversi avanti e indietro, la mano ancora sull’asta a carezzarmi, l’altra sui testicoli che sentivo tesi nella loro sacca.
Carla mi succhiava con devozione, alzando ogni tanto gli occhi a guardarmi, togliendoselo di bocca per passarselo sulle labbra, sulle guance, quasi una muta adorazione del dio priapo, e poi lo riprendeva in bocca, lo succhiava, cercava di farlo entrare il più possibile nella sua gola. Ora ero io a mugolare tanto era il godimento che mi procuravano quelle labbra e quella bocca. Durai ancora poco sotto la sua azione, l’avvertii che stavo per venire ma non se ne diede peso continuando a smanettarmi ancora a metà dentro la sua bocca, e io godetti, forse urlai mentre riversavo enormi quantità di seme in lei in una serie di schizzi che riuscì a assorbire senza staccarsi, ingoiando man mano che veniva fuori, tenendomi dentro di se anche dopo, quando non avevo più nulla da darle e la rigidità cedeva, i suoi occhi a guardare in su, verso il mio viso, le guance incavate nell’ultimo risucchio.
Mi lasciò andare nettandosi le labbra con una mano, lasciò che mi rassettassi e mi abbracciò ancora, la testa sul mio petto, le braccia a cingermi con forza inaspettata.
Uscimmo dal bagno e ancora c’era lì la sua amica, ora evidentemente arrossita, non poteva non averci sentito. Carla la baciò su una guancia dicendole grazie.
Uscimmo tutti e tre dal bagno e lì ci scambiammo l’ultimo bacio, la sua bocca che sapeva ancora di me, e la guardai allontanarsi abbracciata alla sua amica.
Non l’ho più sentita, non so dove sia andata a finire, non mi ha mai scritto né telefonato.

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