Capitolo 1: Cole (di iprimipassi)
Non credevo possibile una cosa simile. Fino a pochi giorni fa, il sovrannaturale, per me, non era altro che il fondamento di un film, la base di un libro, pura fantasia, insomma. Ed ora, invece, mi ritrovo qui, in quest’immenso castello, con tanti altri come me.
Tutto cominciò solo ieri. Sembra una vita fa, ormai. Il funerale di mio nonno si era svolto quella mattina. Un vero strazio. Soprattutto per me, che in lui avevo una guida, una figura insostituibile. Orfano sin da piccolo, avevo soltanto lui ad occuparsi di me. Ora ero rimasto solo.
La passeggiata che feci per distrarmi, tornando a casa, mi raccontò su me stesso molto più di qualsiasi introspezione. Quando mio nonno mi apparve davanti, avvolto da un’accecante aura luminosa, rimasi di stucco. Inebetito, non compresi cosa fosse quel fascio di luce che, dalle sue mani, si protendeva verso di me. Ne ricordo ancora il calore. Durò un istante. Un solo momento che sembrava non finire mai.
Solo qualche ora più tardi iniziai a capire. Quando, dalla mia stanza, mi ritrovai altrove, semplicemente chiudendo gli occhi e desiderando di essere lì. Era la sua eredità. Potere cinetico, mi avrebbe spiegato Noah qualche ora più tardi. ‘Per adesso puoi spostare te stesso attraverso lo spazio’, mi disse, ‘Col tempo, i tuoi poteri si evolveranno, cresceranno con te’.
Come stessi cercando un ufficio postale, mi rivolsi a Google per avere ulteriori delucidazioni. Fu tra le centinaia di pagine farlocche sulla magia che ne trovai una semplice, scarna, con poche righe e un indirizzo e-mail. Quello di Noah, appunto. Lui è uno degli anziani della Congrega della Magia Elementale. Mi spiegò trattarsi di un gruppo di streghe e stregoni che vivono, per lo più isolati, in un luogo protetto, dal quale vegliano sul mondo e insegnano alle nuove leve a crescere e fare altrettanto. Mi domandò come e quando avessi ottenuto i poteri. Ci scrivemmo a lungo quella sera. Poi, mi chiese se volessi unirmi a loro. Scettico, annuii. ‘Come ci arrivo?’, domandai. Tradito da Hollywood, mi aspettavo racconti su binari fantasma, portali magici, omini volanti. Nulla di tutto ciò. ‘Dovrai solo desiderare di essere qui. Se hai in te la scintilla della magia e un cuore puro, ti ritroverai alle porte del castello’.
Con mio stupore, accadde davvero. Noah mi aveva spiegato come opera la Congrega. ‘I nostri poteri traggono forza dagli elementi naturali: acqua, fuoco, terra e aria. La tua psicocinesi, ad esempio, deriva da quest’ultimo. Così come i miei poteri di controllo del clima, delle tempeste, dei venti. Noi rispettiamo la natura e viviamo in armonia con essa. Come gli animali, ad esempio, non indossiamo abiti’. Mi aveva pregato di recarmi al castello completamente nudo. Non lo feci, per pudore. E me ne pentii già quando lo vidi attraversare le grosse porte di legno di quell’immensa struttura immersa nel verde. Era un uomo avanti con gli anni. Il bianco dei suoi capelli e del suo pube, e le rughe del suo volto, stonavano con un corpo ancora maestoso. Mi imbarazzò non poco scorgere il suo pene dondolare, seguendo il moto delle sue gambe. Quasi come mi leggesse nel pensiero, esordì dicendomi: ‘Non preoccuparti, ci farai l’abitudine’.
Entrammo. Dall’interno, le alte volte, le gigantesche porte, gli spessi muri in pietra del castello, attirarono la mia attenzione. Poi i miei occhi si posarono sugli altri. Un turbine di corpi nudi. Uomini e donne, più o meno giovani. Peni, sederi, seni, in mostra, senza pudori. Tentavo di distogliere lo sguardo, invano. Quando mi convinsi anch’io a spogliarmi, cercai, comunque, in ogni modo, di celare quell’accenno di erezione che, inevitabile, mi coglieva quando una donna mi passava accanto vestita di null’altro che della sua bellezza.
Proprio mentre pensavo di aver iniziato a controllarmi, scorsi lei nel grande salone in cui Noah mi aveva appena condotto. Si guardava intorno, spaesata. I suoi lunghi capelli castani le coprivano in parte il volto e i seni che, tuttavia, si intuivano abbondanti attraverso la sua folta chioma. Non era troppo alta e, confrontata all’imperiosità di quel luogo, pareva ancor più piccola e indifesa. I suoi occhi smarriti vagavano per la stanza, ascoltando le parole della donna al suo fianco. Probabilmente si trattava di un’altra neofita, e la donna la sua guida, come Noah lo era per me.
Dal suo fianco sinistro, un tatuaggio spiccava sulle sue bianche carni. Un motivo floreale, delicato come lei, che conduceva furtivamente il mio sguardo ad esaminare, ancor più attentamente, la sua esile figura. I suoi fianchi polposi, il paffuto sedere che sporgeva dal fondo della sua schiena liscia e seducente, la peluria scura che colorava il suo monte di venere erano, per i miei occhi, una calamita dalla forza invincibile. La mia erezione si fece prepotente. Il desiderio di possederla, lì, subito, iniziava ad annebbiarmi i sensi. Dovetti faticare molto per frenare i miei istinti.
Quando i nostri occhi si incrociarono per un istante, e scorsi la fiamma che ardeva nei suoi, mi sentii come trafitto nel petto da una spada di fuoco. Diavolo se era sexy quella ragazza. Le sue gote arrossate, le sue labbra piene, i suoi lineamenti pressoché perfetti, aggiungevano alla grazia del suo corpo un’avvenenza da mozzare il fiato. E quella piccola, brillante, goccia rossa, incastonata a destra delle sue invitanti labbra, non faceva che accrescere la sua sensualità ai miei occhi.
Ora che questa incredibile giornata è volta al termine, e sono solo nella stanza che mi è stata assegnata, il mio pensiero continua a tornare a quella bellissima sconosciuta. Dopo quei pochi minuti non ho più avuto occasione di vederla, mio malgrado. Eppure, il suo ricordo è ben vivo in me, e il mio membro ancora turgido quando ripenso a quell’incantevole figura.
‘Sono qui per imparare a gestire i miei poteri’, cerco di ripetermi, ‘Devo concentrarmi solo su questo’. Ma la mente, spesso, vaga oltre il nostro controllo. E la mia, ad ogni occasione, non disdegna di posarsi su di lei.
Forse, fare un giro mi calmerà.
Capitolo 2: Anita (di Samar)
Mi sono dimostrata sin da piccola particolarmente portata. Doni che ho ereditato da mia madre, profonda conoscitrice del sovrannaturale. Ovviamente nessuno oltre a me conosceva il segreto di mamma e lei stessa rimase sconvolta quando mi vide la prima volta giocare con le fiamme del camino.
La mia prima vera esperienza risale infatti alla mia tenera età. Avevo 12 anni.
Io e mamma eravamo sole in casa, da una settimana la febbre mi costringeva alla carcerazione casalinga accompagnata da tisane di erbe e impacchi freddi. Ero stanca e scocciata, volevo uscire a giocare ma non mi era permesso. Ma mentre mamma preparava l’ennesima zuppa di erbe e spezie io me ne stavo seduta a terra di fronte il camino. Le fiamme mi hanno sempre affascinata, le ho sempre sentite dentro. Adoro guardarle divampare e muoversi sinuosamente potenti e autoritarie. Quel giorno più le fissavo più sentivo il forte desiderio di immergermi dentro.
Ero caduta quasi in trance, perché non ricordo proprio di aver spostato la mano vicino la legna ed il fuoco. Iniziai a sfiorare le fiamme, seguivo il contorno e cercavo di afferrarle, di stringerle fra le dita. La cosa bella è che non bruciavo, non sentivo dolore, non mi ustionavo. Semplicemente, le fiamme avvolgevano la mia mano ed il mio braccio danzandoci quasi sopra. Sentivo quella lieve carezza e quel dolce calore contro le dita e sorridevo sentendomi al sicuro e decisamente tranquilla. Fino a quando l’urlo di mia madre non fece fermare tutto.
Da allora ci furono altri avvenimenti ed il rapporto con mia madre andò sempre più ad intensificarsi legate da tale segreto.
Più crescevo più desideravo capire e imparare. Un giorno di pioggia decisi di rimanere a casa passando il mio tempo al pc. Quella pagina venne fuori dal nulla, se ci penso adesso non so nemmeno come ci sono arrivata a trovarla. Semplice, pulita, niente pubblicità, nessun commento o immagine. Solo poche righe e un indirizzo mail a cui sentivo di dover scrivere. La risposta arrivò subito ed io passai la notte a chiacchierare con lei, Ishtar, tanto gentile e premurosa. Sembrava conoscermi da una vita. Mi fece domande sul mio passato, sui miei doni, le mie esperienze e poi eccolo l’invito: ‘vieni, raggiungici parleremo meglio’.
Ishtar mi aspettava oltre il grande portone del castello. Sulla quarantina lei. Alta, bella, dalla pelle ambrata, potrei dire abbronzata, i suoi capelli erano cosi ricci e scuri, profumavano di vaniglia. Ma la cosa che mi scioccò è che era nuda, completamente. I seni abbondanti poggiavano sul petto, dai capezzoli scuri e piccoli. I fianchi morbidi e quelle cosce lunghissime in confronto alle mie. Mi sorrideva mentre mi svestivo, lasciando tutto all’ingresso. Una delle regole del castello è che nessuno può portare abiti.
La sala è immensa, cosi grande da far paura ma allo stesso tempo cosi accogliente e calda, se non fosse che tutti sono nudi. Qualcuno chiacchiera, qualcuno legge, ridono e scherzano, tutti si comportano come fosse la cosa più normale di questo mondo. ‘Solo io mi sento cosi fuoriposto?’. Non sono mai stata una ragazza timorosa o vergognosa, anzi il contrario. Ma questo va ben oltre il mio carattere o il mio essere timida. ‘E’ normale sentirsi cosi la prima volta, chi non proverebbe le tue stesse sensazioni?’.
Ishtar sin dall’inizio si è dimostrata disponibile e cordiale. Mi ha sempre capita con il solo sguardo. ‘Stai tranquilla ci vuole sempre un po’ di tempo prima di abituarsi a tutto questo. Nessuno è qui per giudicarti e nessuno qui si preoccupa di mostrarsi per ciò che si è realmente’. Sorrideva ed io non potevo far altro che annuire. ‘Ora ti mostro la sala, poi passeremo al resto del castello. Ci vogliono sempre un paio di giorni per conoscerlo tutto’.
Lei continuava a parlare ed io mi guardavo attorno. Ma fu il portone ad attirare la mia attenzione, qualcuno era entrato pochi minuti dopo di me. Quando mi girai a guardare i miei occhi si incrociarono ai suoi. Lui era li immobile affianco ad un uomo dai bianchi capelli. Ci guardavamo e sembrava spaesato quasi quanto me. Per un attimo senti un brivido risalirmi lungo la schiena, mentre il mio sguardo scendeva sul suo petto, decorato da peluria scura, ad incorniciare le areole rosate. Il suo corpo era allenato e mascolino, ma non esagerato. Oserei dire invitante. Non riuscii a resistere comunque, il suo membro sembrava crescere di attimo in attimo. Il glande spiccava ingrossandosi particolarmente e questo mi fece saltare il cuore in gola e fremere il basso ventre. Il tutto contornato da una criniera di peli che facevano risaltare la sua carne in maniera perfetta. Non ricordo cosa stava raccontando Ishtar. Ero distratta a guardarlo e non mi ero resa conto di nulla, ma quando mi posò la mano sulla spalla mi girai di scatto sorridendo e annuendo verso di lei, sperando in cuor mio di non essermi sparata la prima figuraccia.
Mi invitò a procedere accompagnandomi verso l’ampia scala in pietra, cosi io e lui ci perdemmo di vista. Ognuno di noi aveva una camera tutta per sé. Arredamento spartano, l’essenziale insomma. Una scrivania dove poter studiare, una libreria per i propri libri. Letto ed un baule dove conservare le proprie cose. Le finestre affacciavano sul retro del castello.
La prima giornata è quasi finita ed io mi chiedo ancora chi sia quell’uomo.
Capitolo 3: Attimi (di iprimipassi)
La maestosità di questo posto mi turba alquanto. Anche di notte, nel vuoto e nel silenzio totale, le stanze e i corridoi del castello sembrano pregni di storia, di vissuto, di un’aura misteriosa e solenne. Non so se sia permesso girare liberamente a qualsiasi ora. Tuttavia, tra le regole illustratemi da Noah, non mi pare ve ne fosse alcuna che lo vietasse.
Una leggera, piacevole brezza accarezza a folate il mio corpo nudo. L’aria fresca della notte, unita alla situazione surreale nella quale mi trovo, mi causa un brivido lungo la schiena. Tanto è assoluto il silenzio che regna nella struttura, che quasi mi sembra di udire il rumore dei miei piedi scalzi muoversi sul pavimento freddo.
Non ho idea di cosa fare o dove andare esattamente. Solo, cammino, passando accanto a gargoyle in marmo, pesanti porte di legno sbarrate, enormi finestre attraverso le quali, di tanto in tanto, mi fermo ad osservare la luna piena stagliata sul cielo oscuro, e gufi e civette tra le fronde degli alberi che, curiosi, ricambiano il mio sguardo.
All’improvviso, un tonfo quasi mi ferma il cuore. I miei sensi si acutizzano. Nella penombra non riesco a capire bene cosa o chi l’abbia prodotto. Ma, d’istinto, seguo la direzione dalla quale il rumore proveniva. Dietro l’ennesima porta, stavolta socchiusa, porta che ricordo essere quella della biblioteca, vi è una luce che mi abbaglia. Dopo pochi secondi, le mie pupille si abituano al cambio di luminosità, e i miei occhi mettono a fuoco l’ambiente circostante. Giganteschi scaffali pieni di libri, per lo più impolverati, riempiono una sala di svariate decine di metri quadrati. Entro, richiudendo la porta alle mie spalle. In questo labirinto di legno e carta, seduta ad un grosso tavolo in un angolo, scorgo lei. La sconosciuta. China su un grosso libro, i suoi capelli le coprono quasi completamente il viso. Eppure, non ho dubbi su chi sia.
Intuendo una presenza, alza lo sguardo. I suoi occhi, fissi nei miei, mi elettrizzano. Avverto già l’eccitazione montare in me come poche ore prima. Non vedo il suo corpo, nascosto dall’enorme volume e dalla pesante scrivania. ‘Com’è possibile che basti solo un suo fugace sguardo per eccitarmi? Dannazione, devo calmarmi’. Mi sorride, poi, per la prima volta, sento la sua voce, dal timbro caldo e deciso. ‘Ti ho svegliato con quel rumore, vero? Perdonami, sfogliandolo, questo libro mi è scivolato dalle mani’. Quella donna mi sconvolge. Non riesco a proferire alcunché. Non so per quanto tempo rimango imbambolato come un idiota prima di riuscire anche solo a biascicare qualcosa. ‘Non’ non preoccuparti. Ero già sveglio. Giravo per i corridoi e quel rumore mi ha portato qui’. I suoi occhi vagano per un momento su di me, fino a posarsi sul mio pene che, come animato da vita propria, inizia a gonfiarsi. Arrossisco. Cerco di coprirmi. Anche in lei avverto una punta d’imbarazzo. E, forse, qualcosa di più. Mi rivolge ancora un sorriso, più malizioso che rassicurante.
Per allentare la tensione, mi avvicino a lei, causando in me l’effetto opposto. ‘Di cosa parla?’, le chiedo. ‘Della storia di questo luogo’, mi risponde, facendomi spazio sulla panca di legno. Mi siedo a pochi centimetri da lei. Mi sforzo di non guardarla ma, inevitabilmente, i miei occhi si posano più volte sulle sue bianche cosce, sui suoi seni gonfi, sui suoi prorompenti capezzoli, che appaiono appena turgidi, sul pelo scuro che ravviva il suo basso ventre. Lo spettacolo visivo, assieme al buon odore della sua pelle, che avverto chiaramente chinandomi verso il libro, mi eccita oltremodo. Tenendo un braccio in grembo, cerco di mascherare la mia erezione, ormai quasi completa. Non sono, però, certo che lei non l’abbia notata.
Dopo un attimo di pausa, continua a parlarmi. ‘Sembra che sia stato creato ai tempi dell’Inquisizione come posto nel quale gli esseri magici perseguitati potessero rifugiarsi per sfuggire alla pena capitale. Col tempo, si è trasformato in una sorta di scuola nella quale i giovani stregoni come noi possono imparare le arti magiche, e gli adulti possono affinarle’. ‘Ma dove ci troviamo, esattamente? L’hai scoperto?’, chiedo, ammaliato dal racconto e dalla sua arte oratoria. ‘Si chiama Utopia. Qui non dice esattamente dove si trovi, ma dovrebbe essere una piccola isola da qualche parte in uno dei grandi oceani, probabilmente il Pacifico. Ad ogni modo, secoli fa è stato reso invisibile al resto del mondo. Ci si può arrivare solo per via magica, come abbiamo fatto noi’.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso mentre parlava. E, neppure, mi ero reso conto che la sua frase fosse terminata.
Solo all’udire nuovamente la sua voce riesco a riacquistare un briciolo di lucidità. ‘Ehi, tutto bene? Ti sei ibernato?’, mi chiede, con uno dei suoi dolci sorrisi. ‘No, no. Scusami, ma”. Mi blocco. So come concludere la frase, ma non mi sembra la circostanza più adatta. ‘Ma’ cosa?’, mi incalza. Alla fine mi decido a parlare. Vada come vada. ‘E’ solo che’ ti stavo guardando, perché’ io ti trovo bellissima. E’ da quando ti ho vista oggi nel salone che non riesco a toglierti dalla testa’. Per un attimo la vedo arrossire, abbassando lo sguardo. Poi, torna a guardarmi negli occhi. ‘Grazie’, sussurra. ‘Anch’io ho avvertito qualcosa vedendoti prima’. Non resistendo oltre, cerco un timido contatto, sfiorandole i capelli castani e la guancia sinistra, avvertendo la sua pelle liscia come seta sotto i miei polpastrelli.
Non sono mai stato troppo audace, ma muoio dalla voglia di assaggiare le sue labbra, rosse ed invitanti. Mi protendo verso di lei, con il cuore che batte a mille. I suoi occhi si chiudono, nell’attesa. Sono sempre più vicino, riesco, ormai, a sentire distintamente il suo respiro sul mio volto.
Un istante prima che le nostre labbra si tocchino, un urlo straziante ci fa sobbalzare. Un urlo di donna, acuto, stridente, terrificante. Poi altre urla, e altre ancora, si susseguono, miste a boati e rumori di vetri in frantumi.
‘Resta qui’, le dico, prima di andare verso la porta ed aprirla, per guardare cosa stia accadendo.
A pochi metri da me, scorgo Noah, terrorizzato, mentre schiva sfere di fuoco che gli sfrecciano attorno. Diversi uomini con tuniche grigie stanno seminando il panico. ‘Noah! Che succede?’, gli urlo, per sovrastare il frastuono. Ansimante, mi risponde: ‘Presto, va’ a nasconderti, va’ via di qui! Sono i cacciatori!’. D’istinto, richiudo la porta, tornando verso la sconosciuta, che fissa la scena a bocca aperta. ‘I cacciatori’, sussurra quando le sono vicino. ‘Sai chi sono?’, le chiedo. ‘Si, c’era qualcosa nel libro. Sono degli emissari che cacciano streghe e stregoni buoni per conto del Male Assoluto’. ‘Chi?!’. ‘Lascia perdere, dobbiamo nasconderci, subito’. Mi affretto a spegnere la luce e ci rifugiamo sotto il tavolo, sperando di scamparla.
Qualcuno, però, doveva avermi visto mentre parlavo con Noah. Infatti, passano solo pochi istanti prima che una potente onda d’urto faccia esplodere la porta della biblioteca. Due degli uomini in grigio irrompono nella stanza e, dopo aver acceso la luce, iniziano a guardarsi intorno, mentre tengo la sconosciuta stretta tra le mie braccia.
Nonostante la situazione sia tutt’altro che stimolante, non riesco a non pensare ai suoi seni che premono contro il mio fianco, al calore emanato dalla sua pelle, al suo profumo che, ormai, ha riempito le mie narici ed inebriato i miei sensi. Sono terribilmente eccitato, nonostante tutto. Rassegnato e confuso, penso che non ci possa essere un modo migliore per lasciare questo mondo.
Quando i due cacciatori ci vedono, lei si stringe ancor di più a me, nascondendo la sua testa tra le sue braccia e il mio torace. Avverto il suo tremore.
I due si avvicinano sempre di più. Provo a teletrasportarmi altrove. Ma ci ero riuscito solo due volte prima, e sempre per puro caso. Non so farlo a comando, è una cosa che avrei dovuto imparare qui.
Uno dei due cacciatori apre la mano. Una sfera di fuoco si materializza in essa. Senza perdere tempo, ce la scaglia contro. Chiudo gli occhi, stringendo ancor più forte la sconosciuta e facendole scudo col mio corpo. Posso sentire la mia pelle quasi bruciare mentre quella cosa si avvicina.
Un attimo dopo è il nulla. Niente più urla. Niente più calore. Riapro gli occhi. Sollevato mi rendo conto di essere seduto sul pavimento della cucina di casa mia. Nudo. Con la bellissima sconosciuta ancora tra le mie braccia. Anch’ella nuda. Le accarezzo la testa, lei si scioglie dal mio abbraccio, mostrando il suo viso rigato di lacrime. Ci guardiamo, sconvolti e, allo stesso tempo, sollevati. Non so come, ma il mio potere aveva funzionato. E proprio nel momento più opportuno.
Capitolo 4: Vendetta (di Samar)
Gli ultimi momenti sono stati a dir poco convulsi. Sono intontita, stravolta, e il suo sguardo non lascia trapelare sentimenti migliori. La mia mente turbina per rimettere insieme tutti i pezzi. Ho passato quasi tutta la notte a leggere libri di ogni genere. Fra simboli e antiche lingue ho perso la cognizione del tempo, almeno finché lui non è entrato nella biblioteca. Per un attimo ho dimenticato tutto, il suo corpo ha attirato la mia attenzione come miele con le api. Il fatto di averlo seduto vicino a me ha stimolato ancora di più i miei pensieri, mentre di sfuggita lasciavo calare gli occhi tra le sue gambe. Cercava di nascondersi ma senza riuscirci. La sua erezione mi schiaffeggiava mentalmente facendomi perdere la mia lucidità. Ma proprio quando stavamo per baciarci era arrivata la prima esplosione. Poco dopo eccoci sotto al tavolo a nasconderci, mentre lui mi stringeva e io cercavo di controllare i miei sentimenti. Paura e rabbia divampano e infervoravano come la tempesta nel mio corpo. Lottavo contro me stessa cercando di reagire, ma il mio corpo sembrava non rispondere ai comandi della mia mente. Quando ho posato gli occhi oltre il tavolo, li ho visti lì, pronti a massacrarci. Un istante dopo, il silenzio ci ha avvolti nella sicurezza della sua cucina.
Fa male imparare di nuovo a respirare, fa male nel petto e nell’addome. Sono stupita e incredula, affannata e i miei occhi cercano lo sconosciuto. ‘Sei stato tu?’. La mia voce è bassa, ho quasi paura che qualcuno ci senta. ‘Ma dove siamo?’. Lentamente mi stacco da lui, accarezzandogli la schiena. ‘Siamo nella mia cucina. Ho pensato ad un luogo sicuro e siamo arrivati qui’. Lo guardo, ancora lì seduto e fermo. Lui mi guarda a sua volta cercando di riprendere fiato. ‘Ishtar’. per un attimo il panico torna a colpirmi. ‘Sono tutti li. Li uccideranno non possiamo stare qui fermi. Dobbiamo aiutarli’. Respiro velocemente sollevando il petto e porto le mani contro la fronte. ‘Stai calma, troveremo una soluzione’. Mi dice incredulo delle sue stesse parole. ‘Ehi’ cosa ti sta succedendo?’. Corrughi la fronte guardandomi. ‘Devo calmarmi, devo calmarmi’. Sono così agitata e fuori controllo che delle strane fiamme nere iniziano ad avvolgermi le dita sfiorandomi la pelle, quasi volessero carezzarmi. Scendono lungo il corpo serpeggiando sul mio ventre, fra i miei seni, lungo i miei capelli. E’ una sensazione nuova. Da una vita sento il fuoco crescere dentro di me, ci gioco tra le mie mani. Fiamme rosse, brillanti, scoppiettanti. Questo, però, è qualcosa di diverso, di nuovo. ‘Devo calmarmi’, mi ripeto, ancora una volta. D’improvviso tutto attorno a me sembra fermarsi di colpo, sospiro piano e mi sento serena. Lascio calare le mie mani lungo i fianchi e vado incontro allo sconosciuto come se nulla fosse. Le fiamme continuano ad avvolgermi insinuandosi fra le mie gambe, sfiorandomi intimamente lasciandomi sospirare ancora. ‘Dobbiamo fare qualcosa’. Stendo le mani verso di lui poggiandole contro le sue cosce. ‘Ti prego’, mormoro mentre alcuni tentacoli ora saggiano la sua pelle, saggiano le sue cosce attirando la mia attenzione proprio su ciò che si innalza fra di esse. ‘Io sono Cole’. E’ un sussurro il suo. Si presenta distratto forse da altro, visto che il suo membro inizia a crescere ancora una volta. Per un attimo lo guardo, lo guardo e la mia vista si annebbia. ‘Io’ io… Anita”. Non so cosa stia accadendo ma mi lancio, mi lancio cercando le sue labbra, aderendo con il ventre fra le sue cosce e schiacciando i seni contro il suo petto. Gli umori fanno capolino fra le mie labbra e le fiamme per qualche istante divampano fino a rifluire lentamente dentro di me. Lo assaporo stringendogli la carne, risalendo con le mani sui suoi fianchi. Cerco la sua lingua e vengo colta da un fremito. ‘Era questo quello che volevi fare in biblioteca vero?’, domando staccandomi da lui per osservarlo. ‘Si, era questo’. Si alza di colpo, afferrandomi per i fianchi e spingendomi contro il tavolo che si trova proprio alle mie spalle. ‘E non solo questo’, dice tornando a baciarmi con ancora più foga mentre si struscia fra le mie gambe, lasciandomi sentire quanto è duro e gonfio. Una conseguenza naturale per me, sentirlo e bagnarmi completamente. L’eccitazione sale travolgendomi e lasciando riscaldare la mia pelle. Mi ritrovo ad ansimare con la schiena sul tavolo. ‘Ti voglio’ ora’ ma”. Cerco la sua attenzione. I suoi occhi. Ma non colgo il suo sguardo, perso fra i miei seni. Li bacia e li stringe assaporandone la consistenza. ‘Cole’ Cole’ ti prego”. Si rialza di scatto e mi guarda. I miei occhi sono lucidi e lui capisce subito cosa vuol dire. ‘Sta tranquilla’. Mi prendi per mano sollevandomi dal tavolo. Fa un grande sforzo a controllarsi e non sa io che sforzo faccio per fare lo stesso. In mente ho solo l’immagine di noi due sul pavimento di quella cucina a riempirci uno dell’altro. ‘Dobbiamo tornare al castello’, gli dico. Inspiro a fondo e lo ascolto parlare caricandomi di pensieri e rabbia. ‘Potremmo muoverci all’esterno e cercare qualcuno dei Maestri per farci aiutare’. Io non gli rispondo subito, semplicemente annuisco e mi lancio contro il suo corpo, appoggiandomi a lui e assaporando ancora il profumo della sua pelle. Gli infondo il mio calore e sussurro schiacciando le labbra sul suo petto: ‘No, forse ho un’idea migliore’. Sfiora le mie labbra con le sue, e le sento muoversi mentre mi chiede: ‘Quale?’. ‘Fidati di me’, gli rispondo mordendogli il labbro inferiore.
Le nostre mani non si staccano dai nostri corpi. Vagano su di essi accendendo ancora di più i nostri sensi. A stento Cole si allontana da me di qualche centimetro. Quando basta per recuperare un minimo di lucidità. ‘Forse sarebbe meglio mettersi qualcosa addosso’, mi dice con voce spezzata dall’eccitazione. ‘E’ proprio necessario?’, gli rispondo avvinghiandomi ancora al suo corpo. Mi sorride. ‘Si’, mi dice, ‘Almeno per ora’, conclude mentre un brivido mi attraversa l’interno cosce.
Dopo aver indossato una sua camicia di diverse taglie più della mia, che copriva il mio corpo fin appena sotto i glutei, e aspettato che anche lui si rivestisse, ci siamo abbracciati. L’istinto di strappare via tutti quegli abiti inutili era prepotente in entrambi, ma cercammo di resistergli.
Cole stava imparando a gestire il suo potere. Dopo qualche tentativo andato a vuoto, riuscì a concentrarsi, e a riportarci in quella biblioteca. Nel castello la battaglia sembrava cessata. Il silenzio era rotto solo dal rumore di atti vandalici. Quei maledetti sicari avevano seminato panico e morte ed ora stavano distruggendo libri ed oggetti sacri, apparentemente alla ricerca di qualcosa in particolare.
‘E ora che facciamo?’, mi chiese Cole con uno sguardo smarrito, divenuto di terrore vedendo un ghigno malefico dipingersi sul mio volto. ‘Io nulla, pensaci tu a loro’, gli dissi, cogliendolo impreparato e riuscendo a spingerlo fuori dalla biblioteca. Ci vollero solo pochi secondi prima che i cacciatori più vicini notassero la sua presenza e chiamassero a raccolta tutti gli altri. Lo stregone era paralizzato dallo shock e dalla paura. Io, nascosta pochi metri più indietro, osservavo gli assassini accalcarsi attorno a lui.
Capitolo 5: Massacro (di iprimipassi)
Non so se a paralizzarmi sia più la paura di quei mostri, o il fatto di essere rimasto interdetto dall’atteggiamento di Anita. Mi ha, praticamente, dato in pasto ai cacciatori, ma per quale motivo? Ormai mi sono tutti intorno e, per la seconda volta nel giro di pochi minuti, temo seriamente per la mia vita. Sto imparando in fretta a gestire il mio potere però, per quanto mi sforzi, in questo momento non riesco proprio a trasportarmi altrove.
Mi guardo intorno in cerca di una via di fuga, ma ogni spiraglio è occupato da uno degli uomini in grigio. Ne conto ben dodici. Alcuni, addirittura, armati di strani pugnali, probabilmente forgiati per chissà quali rituali. Non so se siano tutti qui quelli che han assaltato il castello ma, in ogni caso, sono tanti, troppi per sperare di cavarsela. Il ghigno sui loro volti mi fa quasi desiderare che tutto finisca in fretta, che mi scaglino addosso una delle loro dannatissime sfere di fuoco, così da liberarmi dalla paura, e dalla cocente delusione dovuta al tradimento di Anita.
Con i sensi tesi allo spasimo, avverto un rapido movimento alle mie spalle. Prima che possa anche soltanto pensare di voltarmi per valutare questa probabile nuova minaccia, fiamme nere come la pece scorrono lungo il pavimento, avvolgendo completamente il mio corpo. Non bruciano la mia pelle, mi donano solo un piacevole calore, come indossare un maglione pesante in una gelida mattina d’inverno.
Gli occhi curiosi dei dodici assassini sembrano quasi trapassarmi, concentrandosi su quanto accade dietro di me. Un attimo dopo, è l’inferno.
Vengo investito da una gigantesca vampata. Fiamme di un rosso intenso si spandono tutt’intorno. I cacciatori bruciano tra urla di dolore, venendo ridotti in cenere nel giro di pochi istanti. ‘Mai visto qualcosa di simile’, penso, affascinato e, insieme, intimorito dall’incredibile potenza di quell’enorme rogo. Poi mi rendo conto che io non sto bruciando. Quelle fiamme nere stanno preservando il mio corpo. E ricordo dove le ho viste. Addosso ad Anita, solo pochi minuti prima. Mentre mi volto, cercandola dietro di me, l’incendio si placa, fino a svanire completamente, lasciando null’altro che dodici piccoli cumuli di cenere e alcuni pugnali sparsi sul pavimento.
La guardo, incredulo. Lei mi sorride. ‘Scusami’, mi dice dolcemente, ‘Dovevo farlo’.
Pochi metri dietro di lei, da un corridoio, spunta un altro cacciatore che, immediatamente, la punta con lo sguardo, e con le mani. Senza riflettere, raccolgo il pugnale più vicino ai miei piedi e lo scaglio con violenza nella sua direzione. Per nulla più che un colpo di fortuna, centro nel petto il mostro, che svanisce in una lieve esplosione.
Dietro di lui, appare ancora un altro degli uomini in grigio. Sembrano non finire mai. Questi non perde tempo. Vedo formarsi una grossa sfera infuocata nella sua mano destra che, immediatamente, lancia all’indirizzo di Anita. ‘No!’, urlo, scansandola con troppa violenza, tanto da farla finire bruscamente a terra, e ritrovandomi sulla traiettoria di quel proiettile demoniaco. Come istintivo gesto di difesa, alzo il braccio sinistro a proteggere il mio corpo, ed è allora che i miei poteri mi stupiscono nuovamente. La sfera di fuoco si blocca a mezz’aria per una frazione di secondo poi, come un boomerang, torna a folle velocità verso l’uomo in grigio, incenerendolo.
Tremante, crollo in ginocchio, pregando che fosse finita. Nessun rumore, nessuna nuova apparizione, solo silenzio. Guardo Anita. Lei guarda me. Non parliamo, ma una punta di sollievo inizia a trasparire dai nostri sguardi.
Pochi secondi, e i miei occhi vengono attratti da altro. Così accucciata per terra, quell’incantevole strega è quasi completamente coperta dalla mia camicia. Non fosse per pochi, intriganti, dettagli. Le sue gambe, lisce come seta, sono divaricate in maniera scomposta, con i piedi puntati sul pavimento. In mezzo, il suo sesso è completamente esposto ai miei occhi. Non riesco a non gustarne ogni aspetto. Gli scuri peli pubici che ne accarezzano la parte superiore. Le labbra, morbide, che sembrano quasi invitarmi ad accarezzarle e suggerne il prezioso nettare. La sua vagina calamita il mio sguardo, e quasi non resisto all’idea di fiondarmi ad assaporare quel frutto proibito. Il mio pene cresce rapidamente di dimensioni, arrivando a farmi male tanto preme sotto la stoffa dei pantaloni, mentre sento chiaramente parte del glande superare il blando ostacolo creato dal bordo degli slip ed ergersi oltre essi. Striscio verso di lei, che mi guarda con un sorriso malizioso e gli occhi lucidi.
Appena le poggio una mano sulla coscia, mentre lei si reclina all’indietro per invitarmi a prendere possesso del suo corpo, però, un tonfo deciso ci fa sobbalzare. In preda al panico, schizziamo in piedi, cercando di intuire da dove fosse provenuto.
Individuiamo la zona quando avvertiamo nuovamente quel rumore. La porta in fondo al corridoio, quella di accesso alle segrete. Dall’altra parte, voci imploranti ci arrivano affievolite all’orecchio mentre ci avviciniamo circospetti. Con non poca fatica riusciamo ad eliminare le pesanti assi di legno poste a sbarrare l’ingresso e ad aprire, finalmente, la porta.
In maniera ordinata come una processione, i Maestri ne escono uno dopo l’altro, ringraziando me ed Anita con le lacrime agli occhi e chiedendoci come avessero fatto due novizi a cavarsela contro gente che aveva rinchiuso lì dentro stregoni ben più potenti ed esperti. Già. Non lo sapevamo neanche noi, in realtà. Ma ci eravamo riusciti, in qualche modo.
Vedendo uscire allo scoperto Ishtar, Anita si precipita ad abbracciarla. ‘Noah’ dov’è?’, chiedo alla prigioniera, mentre Anita la stringe, commossa. ‘Eccomi”, sento alle mie spalle. Mi volto di scatto. ‘Noah, grazie al cielo, stai bene!’. ‘Si. Non avevano abbastanza potere per eliminare i Maestri più anziani, ma sono comunque riusciti a rinchiuderci qui. Tanti stregoni più giovani, però, sono stati eliminati’, ci dice, con voce bassa e commossa. ‘Cosa volevano?’, chiedo. ‘Chi lo sa. Qualche testo sacro, o un oggetto rituale. Hanno distrutto tutto per cercare qualcosa, ma non sappiamo cosa di preciso. Ma voi, come avete fatto a”. ‘Non lo so, Noah’ non lo so proprio’, gli rispondo. ‘Diventerete due degli stregoni più potenti che siano mai esistiti’, aggiunge, con uno sguardo carico d’orgoglio. ‘Ora, però, è meglio che vi diate una sistemata, puzzate di zolfo da far schifo’, scherza Ishtar, rinunciando alla sua consueta eleganza quasi eterea, ‘Prendetevi il resto della giornata libera, soldati. Ci vediamo domani’.
Né io né Anita ci facciamo pregare. E in un attimo ci catapultiamo di nuovo a casa mia, stravolti da quell’incredibile sequela di avvenimenti.
‘Mi hai quasi fatto ammazzare’, le dico, con un sorriso finalmente rilassato. ‘Così impari a tentare di sedurmi sul pavimento della cucina’, mi risponde, canzonandomi. ‘Certo, perché tu, invece, te ne stavi sulle tue’, ribadisco. Ride, con un sorriso che scalda il mio cuore più del sole di primavera. ‘Ti devo delle spiegazioni’, mi dice. ‘Vedi, io, a differenza tua, so controllare i miei poteri fin da quando ero bambina. Tuttavia, ho sempre preso queste mie facoltà come un gioco. Non so scagliare sfere di fuoco. Al massimo so creare spettacoli pirotecnici. O roghi di diametro non eccessivo, come quello che hai visto prima. Insomma, l’unico modo per colpire quei maledetti era di radunarli in un solo punto’. ‘E hai usato me come esca. Ma non potevi avvertirmi?’. ‘No, loro sanno anche leggere nel pensiero, c’era scritto nel libro. Se tu fossi stato a conoscenza del mio piano, l’avrebbero scoperto anche loro. Dovevano leggere solo terrore e delusione per abboccare’. ‘Ed ha funzionato’. ‘Già. Non avrei mai permesso ti facessero del male’. ‘Lo so’, le rispondo, con convinzione, ‘Ora lo so’.
‘Adesso che si fa?’, chiedo, tenendo i miei occhi incollati ai suoi. ‘L’hai sentita Ishtar’ io direi di iniziare con una bella doccia’, mi risponde Anita, sbottonando la camicia e lasciandola cadere sul pavimento. Il suo corpo nudo provoca in me un nuovo fremito. E, quando mi si avvicina per sfilarmi la maglia, non riesco a fare a meno di baciarla appassionatamente, mentre la mia mano sinistra affonda sui suoi glutei lisci e sodi.
Capitolo 6: Addio (di Samar)
Da quel primo e ultimo attacco non ci furono altre interruzioni nella vita accademica. I corpi delle vittime furono sepolti nel cimitero locale e tutto quello che era stato distrutto fu ricostruito nei mesi che seguirono il tragico evento. Ben presto, una rassicurante routine si impadronì nuovamente nella scuola, ma i dubbi e la paura per ciò che poco prima era accaduto restò latente nelle menti di chi aveva vissuto quello scempio, me compresa.
Passarono all’incirca tre anni e mezzo da quel giorno, ma quasi nessuno aveva dimenticato, quasi nessuno aveva smesso di farsi domande, in particolar modo gli anziani, oltre me e Cole, che ormai li affiancavamo in pianta stabile per la formazione delle nuove generazioni magiche. Lo studio e l’allenamento andarono avanti per mesi e giorni, attimi e secondi, mai fermi, mai sazi, mai stanchi. Io, in particolare, mi immersi nei libri e nel costruire me stessa, non avrei mai più permesso che una cosa simile si verificasse. Qualcosa cresceva nella mia mente, volevo capire perché e chi fosse stato a programmare e ordinare quell’attacco. Anche il mio corpo era cresciuto. Da ragazza mi ero trasformata in donna. Le mie forme abbondanti si erano strutturate, armonizzate e tonificate. Assieme al mio corpo, era cresciuta anche la mia magia. La mia forza era aumentata, e non avevo alcuna intenzione di smettere o fermarmi.
‘Partirò presto, sappilo’. Nella camera di Ishtar discutevo con lei sugli eventi futuri. La mia maestra continuava da tempo a negare quella possibilità, camminando avanti e indietro per la stanza fin quasi a creare un solco sul pavimento. ‘Ma sei sicura?’. Una domanda diretta che trovò una mia risposta altrettanto esplicita. ‘Si, ormai ho deciso. Dopo gli ultimi preparativi e qualche piccola cosa da sistemare’. Per qualche istante la frase venne spezzata, fin quando la voce non fece nuovamente capolino fra le mie labbra carnose. ‘Ho avuto qualche notizia, pochi indizi e non voglio lasciarmeli sfuggire’. Spingendo sulle gambe, mi alzai in piedi avviandomi verso la porta, che cigolò lievemente quando l’aprii. ‘Grazie di tutto Ishtar’ maestra e sorella”. Non la guardai nemmeno e non attesi risposta, richiudendo subito la porta dietro di me.
Qualche settimana prima, un caro amico mi inviò una e-mail avvisandomi che alcuni sacerdoti, gli stessi dell’attacco, erano stati individuati a nord-est, appena oltre il confine della contea, dove il ghiaccio diventa perenne e implacabile. Doveroso, a quel punto, raccogliere le mie cose e sistemare lo zaino, senza alcuna esitazione.
Procedendo nel corridoio, qualcosa attirò la mia attenzione. Era la sua camera. La camera di Cole. In questi tre anni sono stati diversi i loro incontri. E spesso non per motivi di studio. Un sorriso amaro si dipinse sul mio volto. Mi fermai, impalata ad osservare quella porta. Un profondo e lento respiro a gonfiare il petto e, per la prima volta, un’esitazione. ‘Non posso andar via senza salutarlo… non posso… ‘. I canini imprigionarono il labbro inferiore, torturandolo in una manifestazione di nervosismo crescente. Ma uno scossone della testa riportò tutto alla normalità. ‘Cole’ sei dentro? Posso entrare?’. Colpii la porta con le nocche contro la porta, un paio di colpi per annunciarmi. Quando il battente si aprì, lui era li, bello e affascinante. Anche lui cresciuto, più alto, con quella barba scura a delineare la mandibola, le spalle gonfie ed il petto pronunciato. Mi si spezzò il fiato in gola a vederlo, fra la tristezza dovuta alla partenza e il desiderio folle che nutrivo nei suoi confronti. Indossava solo un paio di jeans neri, piedi scalzi e petto nudo. I capelli sembravano umidi. “Avrà fatto la doccia poco fa”, pensai. Un pensiero fugace nella mia mente, che fece però aumentare notevolmente il mio battito cardiaco. Gli occhi scivolarono sul suo addome morbido, e su quella leggera peluria che risaliva al centro di esso, finendo sotto i jeans, sprofondando in un posto meraviglioso. ‘Ehi’ ciao’ volevi dirmi qualcosa?’. Titubai. Mi ero persa, per qualche istante, ad immaginare la carne al di sotto di quei pantaloni. Ma, arrossendo, tornai a fissarlo negli occhi. ‘Si, dobbiamo parlare”. Lui continuava a sistemarsi, strofinando l’asciugamani sui capelli, e io ad ogni movimento perdevo il controllo dei miei pensieri. ‘Maledizione”. Presto, nel mio basso ventre iniziò a risvegliarsi un certo appetito. ‘Senti”. La mia lingua scivolò ad umettare le labbra, mentre i pensieri si affollavano nella mia testa. L’indecisione circa se avvertirlo della mia partenza, la voglia crescente di essere ancora presa da lui, un mare di emozioni forti e incontrollabili. ‘Anita”. In tutto questo non mi ero accorta che Cole si era avvicinato molto a me. Sollevai il viso, perdendomi nei suoi occhi scuri e profondi. ‘Ti odio, lo sai? Ero venuta a parlarti, ma ora non ricordo più neanche di cosa’. Le mie dita corsero a cercare fameliche la sua pelle umida e calda, percorrendo il suo petto e scendendo lungo i fianchi, fino al bordo dei jeans. ‘Sei sempre la solita’ ma sei sicura che non sia nulla di importante?’. Non risposi, ormai ero persa in ben altri pensieri. Non mi sforzai neppure di nascondere il mio stato d’animo. Niente’ lascia perdere’ ho in mente altro adesso… ‘. Mi abbandonai all’istinto, negandogli la rivelazione circa il mio futuro, almeno per il momento, per non rovinare il nostro momento. Decisi di salutarlo nel modo migliore che conoscessi. Lo attirai a me, con tanta forza da schiantarmi contro la porta per il contraccolpo. ‘Prendimi qui’ e, ti prego, fallo come se fosse l’ultima volta”. Sfoderai un sorriso malizioso, e quella voce implorante che a lui piaceva da morire. ‘L’ultima? Non credo proprio”. Tenni lo sguardo ancora fisso nei suoi occhi, mentre la mia mano destra scivolò sul rigonfiamento dei suoi pantaloni. Con le dita accarezzai la grossa asta, percorrendola fino ai testicoli. ‘Ti prego”. Abbassai il tono della voce, quel tanto che bastava per convincerlo ad assecondarmi in quello che credeva essere solo un gioco.
Lui rise e, lentamente, iniziò a sfilarmi la maglietta. ‘Sei una stronza’. Risi anch’io questa volta, ma tornai subito seria sentendo quelle mani grandi e forti scivolare lungo la mia schiena. Pochi attimi, ed il reggiseno cadde per terra insieme alla maglia. ‘Cole”. sussurrai piano. Bastò quello per dar fuoco a tutto. I suoi denti affondarono intorno ad uno dei miei capezzoli. Da quanto sono presa, non faccio nemmeno caso a quale. So solo che una mano stringe il mio seno e che la sua bocca succhia con vigore l’altro. Gemo, dimenticando anche la partenza mentre corro a sbottonargli i pantaloni. Per poco non li strappo, sollevo la gamba e, con il piede, spingo la stoffa fino alle caviglie, cercando di tirarla via. Lui mi aiuta nell’impresa, calciando lontano i jeans e lasciando svettare verso l’alto quel suo palo di carne che tanto desidero. Mi basta sfiorarlo con la mano per bagnarmi tutta, abbondantemente. E, come se non bastasse, Cole inizia ad armeggiare con i miei pantaloni. Pochi minuti ancora e finiamo nudi contro la parete affianco alla porta. Le sue dita si fanno spazio fra le mie grandi labbra, insinuandosi in me senza darmi neanche il tempo di respirare. Inizia da subito a stantuffarmi con forza. Quando inarco la schiena per gemere, non faccio altro che aiutarlo spingendogli i seni in faccia. La pelle si è arrossata, lo avverto dal bruciore. Quei denti, il suo modo di saltare da un capezzolo all’altro, mi mandano fuori di testa. ‘Mi fai morire”, riesco appena a dire mentre un terzo dito affonda dentro di me e Cole, colpendomi le caviglie, mi fa allargare ancora di più le gambe. ‘Allora’ che facciamo’ lo vuoi? Mi vuoi?’. Ha sempre adorato provocarmi, e da quando ci conosciamo lo fa quasi costantemente. ‘Ohh’ sii’ ti prego’ Non voglio aspettare oltre’ sto scoppiando’ lo voglio, ti voglio”. Inizio letteralmente a colare fra l’interno coscia, quando con uno schiocco quelle dita mi liberano dal piacevole tormento della masturbazione. Un attimo di respiro. Il tempo di cercarlo e di baciarlo. Un bacio passionale e carico di emozione, carico più del solito. Muovo il bacino, strofinandomi contro il suo pube. Un ricordo devo lasciarglielo. Lo ruoto, afferrandolo per le spalle, sbattendolo contro il muro e scendendo con la bocca contro il suo petto. La lingua inizia a giocherellare con il suo capezzolo e, quasi imitandolo, inizio a morderlo, succhiandolo per imprimere il suo sapore nella mia mente. Ma è un’altra la mia meta. Mi piego sulle ginocchia, puntando i denti sul ventre e lasciandogli un grosso segno rosso e scuro, risucchiando la pelle e mordendola nello stesso tempo. Lo sento fremere, e questo mi spinge a muovermi. E finalmente incontro l’oggetto dei miei desideri. Le mani circondando i testicoli, sollevandoli quasi fossero due oggetti rari e preziosi. Ci scivolo sopra, leccandoli avidamente uno per uno e spingendoli ad alternanza nella mia bocca. Mugolo, perché lui adora quando lo faccio. Gli lascio sentire ogni suono, ogni risucchio, ogni gemito proveniente dalla mia bocca ripiena delle sue palle. Mentre la saliva mi cola lungo il mento, risalgo dalla base della sua asta fino alla cappella. Spingo in basso la pelle, liberandola e sputandoci sopra. ‘Guarda quanto è duro’ mi vuoi proprio, eh?’, sottolineo, ridacchiando mentre lo masturbo e puntando i miei occhi nei suoi. Quando la saliva torna a scivolare fuori dalle mie labbra, incontra quella pelle calda, qualche istante prima che la cappella penetri nella mia bocca. Stringo le labbra intorno ad esse per simulare qualcosa di più intimo. Dentro la mia bocca, la lingua inizia a schiaffeggiarlo, colpendolo velocemente e rallentando solo quando inizio a succhiarlo. Una volta inondato di saliva, ridiscendo lungo tutto il palo di carne, spingendolo più che posso in profondità. Penetrandomi fino in gola, fino a non respirare e fino a sentire qualche conato di vomito. Ma non mi importa, resisto e spingo succhiando tutto e scoppiando poi in un movimento veloce. Su e giù, lasciandogli vedere il suo cazzo uscire e entrare dalla mia bocca in maniera decisa e veloce. Gli sbavo letteralmente sopra, fino a bagnargli anche le palle, mentre porto il pene fuori strofinandolo fra le mie labbra. Lui quasi impazzisce di piacere. Geme e accompagna ogni mio movimento con le mani, spingendomi il viso contro il suo membro. Succhio ancora per un po’, fino a staccarmi con uno schiocco. Quel suono particolare. Quel risucchio che mi libera la bocca. Respiro a fatica, rossa in viso, ma appagata e soddisfatta. Ma l’appagamento dura solo per un istante. ‘Si… confermo”. Anche lui è affannato mentre pronuncia quelle parole. ‘Confermo’ che ti odio”. Ma ormai si sta trasformando. Infatti mi solleva di colpo, trascinandomi fino al tavolo e spingendomi li sopra. Il ripiano è gelido. Ma poco importa. Cole non ha bisogno nemmeno di usare le mani. Mi solleva dalle cosce, mentre io mi spingo di poco indietro. Mi penetra con foga, infilandosi dentro di me completamente. Alcune volte mi sono chiesta come facessi a contenerlo. Il suo membro era particolarmente bello. Puntava in alto, non era lunghissimo per mio sommo piacere, era nella media riguardo a questo, ma la stessa media era superata dalla sua larghezza. Le vene spiccavano sempre lungo l’asta, e quella cappella perfetta e rosea, quelle palle, sentirle sbattere contro le mie labbra era magnifico. Ed eccolo li, accaldato ed eccitato, porco e violento come mi è sempre piaciuto, a sbattermi sulla scrivania. Mi schiaffeggia il pube riempiendomi fino allo stomaco e svuotandomi subito dopo. Ogni tanto si ferma, uscendo lentamente. ‘Starei dentro di te per ore”, mi sussurra, mentre con la stessa lentezza entra di nuovo dentro di me. I miei umori abbondanti facilitano tutto, lasciandolo fluire e occupandomi completamente la figa. ‘Fallo allora’ Scopami come non hai mai fatto”. La sua risposta non si lascia attendere. ‘Lo so quanto ti piace il mio cazzo… non riesci a farne a meno’ lo vuoi tutto, vero?’. Quell’ultima domanda viene fuori a denti stretti, accompagnata da un colpo secco del bacino. ‘Dimmelo che lo vuoi tutto’ la mia puttanella affamata”. Ancora un colpo violento, e le mie urla come risposta. Da poco avevamo scoperto quanto fosse facile per me perdere il controllo nel sentirmi dire certe cose, e Cole era davvero un mago in questo. ‘Godi, dai… godi’ godi per me”. Più lui mormora, più io mi eccito e gemo, e più lui mi monta sul tavolo, scopandomi come non mai. La mano libera la mia gamba sinistra per risalire lungo il mio fianco, afferrandomi e spingendomi dal bacino, mentre lui entra ed esce velocemente da me, fino a quasi infilarmi i testicoli dentro e, intanto, strizzandomi il capezzolo, alternando le dita ai morsi e straziandomi quasi a sangue la pelle. Lo sento annaspare, lo sento godere e fremere fra le mie cosce spalancate. Cosi bagnata e calda. Mi basta poco. Pochi altri colpi, e il mio orgasmo esplode come una tempesta, travolgendomi e lasciandomi crollare sul tavolo preda di spasmi, fremiti e piacere. Tremo in ogni modo sentendo il basso ventre contrarsi, quasi urlo sbattendo le mani contro il tavolo e cercando qualcosa a cui afferrarmi, perché lui, non contento, continua a scoparmi con maggior vigore e forza, prolungando di qualche minuto il mio incredibile orgasmo. Sono ancora piena di brividi quando mi rialzo con la schiena, cercando le sue labbra per baciarle e morderle. Fin quando ho capito il momento, quel momento esatto in cui il suo di piacere sta per raggiungere l’apice. Mi è bastato spingerlo indietro con le mani per scendere dal tavolo e tornare in ginocchio. Il suo sorriso non fa altro che confermare la mia volontà. ‘Brava gattina mia’. Dicendo questo, mi afferra per i capelli, spingendomi contro il suo bacino. Solo pochi istanti ed il suo cazzo è di nuovo nella mia bocca. Un misto di sapori, fra il salato di lui e i miei umori, mentre torno a pomparlo con le labbra. Finalmente riprendo a succhiare, afferrandolo dai glutei e affondandoci dentro le unghia. Lo sento quasi grugnire mentre si prepara ad inondarmi. ‘Sii’ sii’ dai’ così’ succhia… succhia’ Sto per venire”. Lo vedo inarcare la schiena, ed il momento fatidico, finalmente, arriva. Fiotti di sperma caldo mi schizzano in gola, riempiendomi le guance di seme bollente. Per quanto ci provi, non riesco a trattenerlo tutto, e qualche rivolo mi percorre il mento. Continuo a fare su e giù con la testa socchiudendo gli occhi e e bevendo ogni goccia di lui mentre geme e si libera, svuotandosi completamente dentro di me. Tengo il suo membro al caldo nella mia bocca, finché questo non si affloscia e si ammorbidendosi. Solo allora mi allontano, ripulendomi le labbra, piegate in un sorriso appagato. Lo guardo dal basso, con la mia solita aria innocente mentre lui barcolla, sedendosi sul bordo del letto. Sudato e rilassato. ‘Maledetta gattina’ ora devo rifare la doccia’ e tu verrai con me”. Un ordine il suo. Un ordine al quale non so dire di no. ‘Solo se mi insaponi tu’, propongo maliziosamente, mentre gattono fra le sue gambe. ‘Volentieri”, risponde in un sussurro. Mi prende la faccia, baciandomi ora con più calma e dolcezza e lasciandomi sentire il suo cuore battere con forza. Poi mi solleva di peso, trascinandomi fra una risata e l’altra sotto la doccia.
Non ci sono proprio riuscita a parlargliene a voce. Quella notte lui ha dormito profondamente. Io, invece, non ho chiuso occhio. Ne ho approfittato per scrivere. Gli ho lasciato una lettera sul comodino, dove ho spiegato le mie ragioni e le mie decisioni.
Il sole ormai sta sorgendo ed io sono in viaggio già da un po’. Porto Cole nel mio cuore e nella mia mente. L’ho appena lasciato e già mi manca terribilmente. Vorrei urlare e scoppiare in lacrime, voltarmi e tornare indietro. Ma non posso. Ho un compito. Una missione. E non posso mollare ora. Lei mi sta aspettando. Lei ha le risposte che non ho mai smesso di cercare negli ultimi tre anni e mezzo. E’ un sacrificio enorme allontanarmi da lui, ma la magia, la mia compagna di vita, colei che è cresciuta con me ha bisogno del mio aiuto. Solo io posso salvarla e, per quanto mi costi farlo, non posso tradirla.
L’alba inghiotte presto il treno sul quale viaggio, mentre i miei occhi sono rivolti al paesaggio circostante e lacrime particolarmente amare rigano le mie guance.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…