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Racconti erotici sull'Incesto

*Il tempo dei lupi (1) : Cesare e Lucrezia, un letto di tenebra**

By 23 Ottobre 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Roma 3 Giugno 1497
Mi giro e rigiro tra lenzuola spiegazzate, nel caldo torrido e umido, insolito, di questo inizio giugno, incapace di prendere sonno, perseguitato da quella che ormai &egrave diventata un’ossessione.
Sento in lontanaza il cupo rumore del tuono, magari piovesse.
Ai piedi del mio letto, rannicchiato per terra come un cane, russa Michelotto, il mio servo più fedele.
Nella stanza accanto dormi tu, mia sorella, Lucrezia, Lucia, così bionda e bianca, tanto diversa da me, nero di capelli e scuro di pelle.
Ma così simile nel sangue spesso e incontrollabile di voglie che ci scorre nelle vene, un sangue rosso profondo come rosso profondo &egrave il colore del Toro, nostro stemma.
Siamo figli di un PapaRe, carne e anima intrecciati insieme, siamo Borgia: tutto ci &egrave permesso e, dentro di noi, vietato.
Io cardinale…solo la mente di Alessandro VI padre nostro poteva impormi una carica così proficua al potere temporale della Chiesa e per me così grottesca.
Perché Cesare non ha altri dei da servire all’infuori di sé stesso.
Sono un Principe della Chiesa che segue le orme paterne; infatti da un anno a questa parte, oltre a donne di rapina, avventure di poco conto, accolgo nel letto mia cognata, la bella Sancha D’Aragona che ha avuto la ‘fortuna’ di sposare quell’inetto bamboccio del mio fratellino José.
E’ la sgualdrina più in gamba che abbia mai conosciuto; e sì che nei miei ventidue anni di vita ne ho apprezzate parecchie, cominciando da quella Giulia Farnese che ancora scalda il letto al santo padre mio…

Io ti amo Lucrezia, Lucia, come ti chiamavo da bambina.
E ho sofferto le pene di quell’inferno che &egrave il mio regno quando hai sposato lo Sforza, ancora una bambina e ora..dovremo darti in moglie ad Alfonso di Bisceglie.
Politica, Napoli &egrave la nostra spina nel fianco, ma la gelosia mi tormenterà ancora più violenta , perché Alfonso &egrave giovane e bello, non un mezzo uomo come lo Sforza.
Lo sai che quando mi sfinisco sul ventre di Sancha con feroce accanimento non posso smettere un attimo di pensare a te?
E quella gran puttana se n’&egrave accorta, ieri mi ha detto:
-Ma voi Borgia che vi sposate a fare? tanto fate tutto tra di voi…-

Non &egrave mai capitato che dormissimo così vicini Lucrezia: ma stanotte io,te e Juan siamo all’Esquilino, ospiti in casa di nostra madre, che non &egrave il palazzo di S.
Maria in Portico e ci siamo dovuti adattare.

Sono sicuro che anche tu pensi a me in questo momento, innervosita dal caldo e dalla paura, perché ti faccio paura, vero Lucia?
Hai capito, oggi, mentre parlavamo a tavola con nostra madre che ho già deciso la sorte di Juan duca di Gandia, uno sciocco presuntuoso incapace, non di certo un Capitano Generale degli eserciti della Chiesa, come vorrebbe il padre nostro, Santa Beatitudine.
E il fatto che ci sia fratello &egrave irrilevante, lui non farà mai grande la casata dei Borgia.
Preferisce le perle alle spade.
Mi hai guardato terrorizzata, Lucrezia, ma poi il freddo della paura nei tuoi occhi azzurri si &egrave sciolto divorato da una fiamma improvvisa che mi ha fatto avvampare.

Allora ti sei alzata, e accarezzandomi una guancia, con una scusa mi hai trascinato a passeggiar sotto il pergolato, lontano dai loro sguardi, stringendoti a me.
All’improvviso, guardandomi fisso negli occhi, il seno che mi sfiorava il petto, hai chiesto:
-Non farlo Cesare ti prego; io voglio bene anche a lui, come a te-
Vedendo la mia espressione- per tutti gli inferi come l’ho odiato in quel momento
quell’inetto- hai continuato:
-Non come a te , non come a te…
Dimmi, mi trovi bella, Cesare? Bella come Sancha?- e nel pormi questa domanda, hai reclinato un poco il capo, con una mossa da civetta consumata, allontanando con la mano dal viso i lunghi capelli del colore dell’albicocca dorata.
Allora non ho resistito e ti ho affondato il viso nel seno, ma tu mi hai allontanato, pregandomi, con mani di febbre.
E sei fuggita, mormorando:
-No, Cesare, no, non possiamo-

La notte trascorre, inutilmente mi rigiro nel letto, tentando di scacciare la visione di te, che nella stanza accanto, giaci sicuramente seminuda, visto il il caldo malsano ed estenuante che ci perseguita anche nelle ore notturne.
Basta, mi alzo, devo vederti,il mestiere delle armi non mi aiuta in questa guerra.
So essere silenzioso come un gatto, eppure Michelotto &egrave pronto a colpire con il pugnale alzato.
-Sss, esco a prender aria, no, stai qui, non seguirmi-
E il cane fedele si rimette a dormire.

Sono in camera tua, mi avvicino all’enorme letto che hai lasciato libero da tende, per non sentirti soffocata oltreché dal caldo anche dalla stoffa.
Due lucerne illuminano vagamente la stanza, creando giochi di fantasmi sui muri e sui mobili.

Sembri ancora più piccola sprofondata tra grandi cuscini a stento coperta da una leggerissima veste candida che ti copre dal collo alle caviglie, come un sudario.
Tieni le braccia spalancate, le cosce leggermente aperte.
-Lucrezia-mormoro-Lucia-
Ma tu non rispondi, dormi o fingi di dormire.
Sollevar quel velo &egrave un attimo e farlo salir in alto, fino a scoprirti i seni &egrave entrar in un giardino di delizie.
Allora mi accorgo dello specchio dall’altra parte del letto; vedo riflessa una figura d’uomo torva, scura: eppure c’&egrave amore in me, ma di una specie particolare che non illumina lo sguardo e non fa dolci i lineamenti.
Ho nel petto pugnali acuminati invece che dolcezze mielose.

Poi il tuo sesso biondodorato leggermente dischiuso mi attira, come un frutto appetitoso da divorare.
I capelli sono lunghissimi serpenti gialli di sole, che arrivano con alcune ciocche ad ombreggiarti il ventre, la tua carne delicata di bionda così bianca e cremosa mi fa rabbrividire di desiderio.
Il mio sesso, eccitato, &egrave teso allo spasimo.
E tu fingi di dormire,lo so, me ne accorgo dal respiro affrettato, dai capezzoli tesi dal desiderio, ritti come lance in battaglia.
Le labbra sono dischiuse, lucide, pare aspettino la mia lingua a confondersi con la tua.
Sono ancora in tempo a fermarmi, una riga rossa mi passa davanti agli occhi: so che superata quella c’&egrave solo il punto di non ritorno per noi, Lucrezia.
Se solo tu dicessi una parola…
Ma in fondo tutta la nostra vita &egrave fatalità: sarà così come doveva essere.

Mi siedo sul letto e mi chino su di te, sul tuo ventre adolescente e su quel sesso che mi preparo a onorare come fosse un sacramento; delicatamente separo le due rosee labbra, che si aprono docilmente alle mie dita, come per facilitarne l’entrata.
Ora posso saziare il mio sguardo con quei rosei petali caldi di eccitazione messi a guardia della porta del piacere, con la delicata fessura che immagino già umida…
Guardo il tuo viso: si &egrave arrossato, le labbra dischiuse, la lingua a bagnarle, mentre le ciglia fremono…
Ti accarezzo il sesso, passando le dita ripetutamente sul monticello di carne, che diventa turgido, come avesse vita propria.
-Cesare-mormori-Cesare…-
-Sì Lucrezia, va tutto bene, &egrave giusto così, noi ci apparteniamo, anima e corpo, Lucia, io e te soli contro tutti, ti ricordi quando eravamo bambini? –
Ma tu continui a mormorare il mio nome e frasi spezzate senza senso.

Mi prende una voglia insensata di assaggiarti, di cibarmi di te; allora, incapace di resistere, mi chino e con la lingua prendo a sfiorare anche le piccole labbra, così tenere, frugandoti in tutti gli angoli, fin nell’interno della vagina.
Tu prendi a muovere i fianchi, come ad aiutarmi, mentre le tue mani mi cercano e le cosce si aprono ancor più.
-Prendimi, Cesare, vieni, tu che sei un vero uomo…-
Ti salgo sopra e tento di penetrarti.
La fessura &egrave molto stretta, come tu fossi tornata vergine, come eri tredicenne, prima di finir nel letto del tuo primo marito, ma sei bagnata e io inizio a spingere con forza.
Sento a poco a poco le pareti della vagina aprirsi, le tue braccia stringermi all’improvviso, le unghie lacerarmi la pelle della schiena mentre mi mormori ansante all’orecchio:
-E’ come se tu fossi stato il primo, Cesare, mio unico amore, fammi godere, fammi quello che fai alle tue donne, dammi…-
E così dicendo ti apri tutta sotto di me , sforzandoti di inghiottirmi per intero.
E gridi, di piacere e dolore: con un morso ti ho fatto sanguinare il collo.

Spingo e affondo sempre di più a ogni colpo, per raggiungere la tua più intima profondità di donna, dove mi pare che innumerevoli piccole labbra succhino la punta del mio sesso.
Vengo con una intensità dolorosa, riempiendo del mio seme il corpo che ho violato contro ogni legge divina e umana e che ora &egrave mio, nessuno riuscirà più a portarti via da me.
Le labbra, incollate alle tue, ti divorano l’anima.
Ora non parli, resti lì, immobile, gli occhi spalancati, fissi nei miei.
-Ti ho fatto male?- chiedo, con voce tremante , stringendoti forte tra le braccia.
– Si, ma vorrei che tu stessi dentro di me per sempre –
Poi ti chini sul mio sesso, sporco di seme: inizi a leccarlo, poi a succhiarlo, con una abilità che non mi meraviglia- sei una Borgia anche tu-mentre con la lingua mi porti in paradiso.
Un tuono improvviso fa tremare i vetri delle finestre, seguito da un altro e un altro ancora.

Improvvisamente la porta della stanza si spalanca e Juan , lo stupido Duca di Gandia, il mio inetto fratello, irrompe nella stanza:
-Che succede Lucrezia, parlavi, gemevi, rumori di letto; mica l’avrai fatto uscire dalla finestra, il tuo amante vero? ‘

La sciocca risata gli muore in gola: rimane lì, come folgorato.
Tu sei tra le mie braccia, il viso sul mio petto, la mano ad accarezzarmi il sesso.
-Vattene Juan, vattene..-
Mormori con voce stanca, senza spostarti.
E quando la porta si rinchiude lentamente, mi baci con furia, attirandomi di nuovo sopra di te: lo so che cosa stai pensando.
Ora il Duca di Gandia deve davvero morire.
Siamo Borgia, non temiamo nulla, né Dio né gli uomini.

N.d.A: Il 16 Giugno dello stesso anno il duca di Gandia fu trovato morto nel Tevere ucciso a pugnalate.
Tutti gli storici sono ormai concordi nell’attribuire l’omicidio a Cesare Borgia
che riteneva il fratello un inetto nel mestiere delle armi.
Fu così che il primogenito di Alessandro VI divenne il Valentino e il Principe
del Machiavelli.

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