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Racconti di DominazioneRacconti Erotici

La lunga notte – cap. 9

By 7 Settembre 2021One Comment

Cap. 9

Il ronzio delle porte dell’ascensore che si chiudono dietro di noi interrompe il silenzio. Francesco è alle mie spalle le sue mani aprono la mia giacca mentre lo specchio riflette la nostra immagine.
I miei seni velati dalla camicia sono la sua preda, poi scende a sollevare il bordo della gonna, impadronendosi della mia fica. Dita rapide entrano in me, l’altro braccio mi tira indietro, contro di lui. Il suo sguardo è più invadente delle sue mani. Il campanello dell’ascensore arrivato a piano terra mette fine alla sua esplorazione, le porte si aprono. Mi sorride mentre usciamo, guardandomi rimettere a posto la gonna.
Ci avviamo nella calura verso la sua macchina, che ci saluta con il lampeggiare delle frecce.
Saliamo a bordo e come esce dal parcheggio la mano di Francesco si impossessa della mia coscia.
“Allora , come ti dicevo mi aspetto molto da te. In fondo dovresti essermi grata, non rovino la tua reputazione con gli amici, non ti metto nei casini con tuo marito, forse ti faccio anche divertire… a pensarci bene mi devi molto.” Ride, mentre lo guardo come si potrebbe guardare uno scarafaggio su una torta di panna.
La sua mano scivola lungo la coscia mentre l’auto si muove silenziosa nel traffico. Si insinua tra le mie gambe, le forza ad aprirsi. Faccio resistenza, ma il suo sguardo mi fa capire che non è il momento di discutere. Allarga il palmo della mano spingendo e le ginocchia vanno a toccare il tunnel centrale e la portiera, mentre la gonna – già corta – risale fino all’inguine scoprendo il bordo delle calze.
Con la destra rincalza l’orlo della mini nella cintura, esponendo abbondantemente il mio addome depilato.
Le mie mani si uniscono, per cercare di coprirmi, ma Francesco scoppia a ridere
“No, no, le mani mettile sotto alle cosce, come se ti offrissi, ti dico io quando puoi muoverti. Quando sei in macchina con me è così che devi stare.”
Obbedisco, non riesco a mettere a fuoco come uscire da quella situazione e devo stare al gioco.
Scivoliamo a fianco di un autobus, un ragazzo sgrana gli occhi guardando le mie gambe aperte dall’alto del finestrino. Sento i muscoli irrigidirsi per resistere alla tentazione di chiuderle.
Francesco mi appoggia la mano sulla coscia, le sue dita sfiorano la mia pelle segnandola leggermente con le unghie poi accelera e ce lo lasciamo alle spalle.
Il mio respiro si fa affannoso, mentre sento un languore ben conosciuto crescere ad ogni sguardo che si insinua dentro al finestrino.
La sua mano risale, giocando con le labbra quel tanto da far uscire allo scoperto i miei umori, che lubrificano l’apertura del mio sesso.
Gioca con il clitoride quel tanto da scaldarmi, senza portarmi all’orgasmo, ora restare a cosce aperte non è una fatica e mi rilasso.

Il traffico si dirada mentre Francesco guida veloce verso la periferia.
Grandi capannoni industriali prendono il posto dei palazzi, poi la campagna ci accoglie piena di sole e colori. La strada si fa sinuosa salendo il fianco di una collina due, forse tre chilometri, poi l’auto rallenta. Un attimo dopo un grande cascinale compare sulla sinistra, di fronte uno spiazzo con diverse macchine.
“siamo arrivati – dice fermando l’auto – scendi, si mangia.” rassetto la gonna e apro la porta, mentre Francesco fa il giro della macchina.
Mi guarda, mentre girandomi per scendere sono costretta ad aprirgli le cosce davanti. Mi allunga una mano, un aiuto per uscire ma anche per tirarmi contro di lui. Mi prende la giacca e la ributta sul sedile.
Mi bacia tenendomi per il collo e l’altra mano, rude, si apre un varco sotto alla gonna. Due dita entrano rapide dentro di me accolte dalla mia fica umida, mentre all’orecchio mi sibila “apri le cosce quando ti palpo, troia”.
Cedo leggermente sulle ginocchia per agevolare l’accesso, e socchiudo gli occhi.
“Bene, vedo che il trattamento ti piace, ora andiamo a mangiare” dice appoggiandomi una mano sul culo mentre ci avviamo verso il ristorante.

Attraversiamo la strada, lo seguo verso l’ingresso camminando incerta sulla ghiaia e mi sostengo al suo braccio.
Entriamo da una piccola porta con i vetri riquadrati e le tendine. Dentro il fresco della casa di pietra mi avvolge con un piccolo brivido.
Il ristoratore ci viene incontro.
“Siamo in due, c’è un tavolo fuori?” chiede Francesco
“Certo, accomodatevi pure dove volete.” dice indicandoci l’uscita dall’altra parte, verso il cortile, mentre i suoi occhi attraversano la mia camicetta leggera e si fissano sui miei capezzoli.
Fuori un pergolato ombreggia i tavoli.
Ci sono un paio di coppie, un gruppo di quattro uomini ad un tavolo che discutono di lavoro davanti ad una grigliata di carne e due uomini ad un altro.
Francesco si dirige verso un tavolo un po’ defilato e mi porge la sedia, poi si accomoda nel posto al mio fianco.
I tavoli sono mobili da giardino anni 50, in ferro, sopra una tovaglia a quadri che scende solo una spanna dal piano.
Dopo poco arriva il cameriere con i menù. Scegliamo gli antipasti e un primo, riservandoci di scegliere dopo il secondo.
Quasi tutti i clienti sono alle spalle di Francesco, che intanto parla del più e del meno e mi versa il vino.
Davanti a me, ma distanti sette, otto metri, i due uomini. Sembrano rappresentanti alla sosta pranzo.
Ognuno di loro ha una grossa borsa di pelle sulla sedia libera.
All’arrivo degli antipasti ho già bevuto un paio di bicchieri di rosso, accompagnati dai grissini caserecci.
Prendo il tovagliolo e lo metto sulle gambe.
“Meglio se ci facciamo portare anche un po’ d’acqua, forse.”
Francesco si illumina ridendo. “No, per oggi andiamo a vino. E il tovagliolo non ti serve, posalo pure sul tavolo”
Lo guardo e non capisco.
“Si, appoggialo sul tavolo e apri bene le cosce, hai spettatori” dice con un leggero cenno del capo.
Resto interdetta, poi metto a fuoco i due al tavolo all’altro lato del giardino.
Mi rendo conto che mi stanno guardando e mi pare che non stiano più parlando di affari.
La tovaglia corta lascia completamente libera la visuale e la gonna mostra sicuramente il bordo delle calze.
“ma non… non posso…” balbetto, mentre Francesco riempie per la terza volta il bicchiere.
“Certo che puoi, bevi e vedrai che sarà anche più facile. Voglio essere sicuro che tu sia pronta e ubbidiente. E poi è divertente”
“Stronzo” abbasso lo sguardo, poi poso il tovagliolo a fianco del coltello. Butto giù d’un fiato il vino e apro lentamente le gambe, senza esagerare ma è evidente che al tavolo notano il movimento, così come forse riescono a intuire la mia fica scoperta.
Francesco mi versa nuovamente il vino.
“Dai, puoi fare di meglio, anche se questo è solo l’antipasto. Dagli un bello spettacolo da guardare”
Chino la testa sul piatto e apro ancora di più le cosce.
I due stanno guardando dalla nostra parte, sento il loro sguardo su di me.
Li sento ridacchiare e anche se non capisco cosa si stanno dicendo lo posso immaginare benissimo.
I salumi degli antipasti mi danno sete, il vino placa l’arsura ma comincio a sentirlo nelle tempie e nei polsi.
Le occhiate verso di me e sotto al nostro tavolo si moltiplicano, mentre il cameriere porta via i piatti.
Il mio bicchiere si riempie ancora una volta “Dai, spalancati per bene, fagli vedere chi sei.”
I miei sensi sono accesi, scivolo leggermente in avanti sulla sedia, ruotando il bacino e scosciandomi completamente, socchiudo gli occhi e svuoto il calice.
“ Ti va bene così? ” dico con voce incolore che si incrina a metà frase.
“Si, brava. Perfetta, resta così, lascia che ti guardino e intanto bevi”. Gli occhi dei due uomini sono incollati su di me, sul mio sesso che inizia ad essere lucido di umori.
Il vino scende ancora lungo la gola, mentre il cameriere porta il primo e una nuova bottiglia lanciando una lunga occhiata al mio seno, visibilmente libero sotto il leggero tessuto della camicetta.
Mi sento al centro dell’attenzione dei maschi che ho intorno mentre l’alcool che scorre nelle vene alimenta la mia eccitazione.
Finiamo il primo, mentre Francesco continua a riempire il mio bicchiere ogni volta che bevo un sorso.
“Bene, ora vai fino in bagno. Vedrai che uno dei due ti seguirà.”
“Cosa vuoi da me?” chiedo rassegnata, con la voce impastata dall’alcool.
“Immagino che proverà ad abbordarti, probabilmente a scoparti li, o a farsi fare una bella pompa.”
“Sei un bastardo” Ma Francesco mi stupisce.
“Voglio che lo rifiuti in malo modo.”
“Come hai detto?”
“Si, voglio che lo cacci indignata. Sei una signora, no?” dice sorridendomi.
“ Va bene” rispondo disorientata ma sollevata.
Mi alzo, leggermente malferma sulle gambe, dirigendomi verso i bagni.
Con la coda dell’occhio guardo i due. Stanno parlottando fitto, poi vedo che uno posa il tovagliolo sul tavolo. Entro nel ristorante e vado verso la toilette.
Mentre chiudo la porta dell’antibagno sento alle mie spalle i passi dell’uomo. La porta si apre mentre
sto entrando nella toilette delle donne.
“signora… bella signora, aspetta” ha il sorriso di un gatto che si liscia i baffi davanti ad una scatola di sardine aperta, mentre la sua mano mi blocca la porta.
“Che vuole?”
“Bé, che dire… te. Hai due cosce che sono uno spettacolo e una fica che sembrava un lago.” la sua mano si allunga ad accarezzare il mio seno attraverso il tessuto della camicia.
Resto un attimo interdetta, mentre la mano scende verso il bordo della gonna, poi reagisco.
“Ma come si permette, mi lasci.”
“E dai, non fare tante storie, che si vede lontano un miglio che hai voglia di cazzo. Se vuoi dopo ti mando anche il mio amico a scoparti.”
“Mi lasci e se ne vada, o grido e faccio venire qualcuno.” rispondo mentre cerco di staccarmi le sue mani da dosso.
Ma per una che allontano l’altra torna cercando di non farmi scappare. Le sue labbra si avvicinano al mio collo “Su, che ci hai mostrato la fica per tutto il pranzo, pensi di lasciarci così?”
La sua mano scivola sotto la gonna, tra le cosce.
Gli allungo un ceffone che lo lascia interdetto. “Così è più chiaro? Ora se non se ne esce subito da qui la denuncio.”
Fa un passo indietro, guardandomi torvo. “Va bene stupida rizzacazzi. Va bene, me ne vado, ma tu vedi di andare a prendertelo nel culo” poi si volta e esce.
Il mio respiro è affannato per la piccola colluttazione, mi avvicino al lavabo e mi sciacquo il volto con l’acqua fresca. Mi asciugo, ricontrollo il trucco e torno al tavolo.
“Com’è andata?” mi chiede ridendo Francesco
“Mi sono difesa.” I due stanno parlando, quello rimasto al tavolo ha un’aria sorpresa e ogni tanto mi guarda e ride mentre l’altro evidentemente gli racconta di come sia stato respinto.
“Ci sarà rimasto male”
“Può essere.”
Beh, dai, non vorremo deluderli del tutto, no? Riaprigli il tuo scrigno, almeno che possano vederla la figa che pensavano già di potersi scopare.” poi alza il suo calice e con la base fa tintinnare il mio come in un brindisi.
“Sei veramente un stronzo”
“E tu sei veramente una troia, bevi e fai quello che ti ho detto.”
Prendo il mio bicchiere e lo svuoto d’un fiato, poi lentamente allargo le cosce.
Il movimento non passa inosservato all’altro tavolo, con l’uomo che ho respinto che mi guarda sempre più torvo.
Dal primo passiamo direttamente al dolce e al caffè, poi ci alziamo.
Francesco paga, conversando con il ristoratore che sembra seguire più i miei seni e le mie cosce, del discorso.
Usciamo e Francesco mi sorregge mentre torniamo alla macchina.
“Sei contento ora?” dico in tono sarcastico.
“Si, è stato divertente, ma ora è tempo di tornare al lavoro”
mi siedo nell’auto, tirando un respiro di sollievo.
Francesco avvia la macchina e imbocca la strada in discesa, per tornare verso la città.
Dopo poche centinaia di metri sento il ticchettio delle frecce e l’auto accosta in uno spiazzo sterrato, sulla destra.
Mi guardo intorno, mentre Francesco ferma la macchina in fondo al piazzale, la gira con il muso verso la strada e tira il freno a mano.
“Che succede?”
“Te l’ho detto, è ora di lavorare. Scendi”
Lo guardo con aria interrogativa, saranno i fumi dell’alcool ma non capisco.
“Ho voglia di vederti mentre lavori, scendi. Fatti un paio di passaggi.”
“Ma tu stai scherzando”
“Per nulla” Il suo sguardo ironico mi fissa negli occhi.
“Non ci penso proprio.”
“Sicura?” dice tirando fuori dalla tasca il cellulare.
No, non sono sicura. La sua mano si avvicina e sbottona due asole della mia camicia.
In questo modo il seno è quasi libero di uscire. Apre il cassettino della macchina e ne tira fuori una scatola di preservativi.
“Non è detto che ti servano. Vai ora, tira un po’ su la gonna, voglio vederti là, in bella vista sulla strada. Ah, tariffe popolari, non vorremo far scappare i clienti, no?” Apro la porta e gli lancio l’ennesimo vaffanculo.

Con passo malfermo attraverso tutto il piazzale, camminando con i tacchi sul ghiaino.
Mentre cammino tiro su la gonna, rasente il bordo delle calze, il seno fatica a stare nella camicetta ampiamente aperta.
Arrivo sul ciglio della strada e inizio a passeggiare avanti e indietro per tutta la lunghezza dello spiazzo. Passano poche macchine, una suona quando è alla mia altezza e dal finestrino due giovani gridano qualcosa di incomprensibile.
Cerco di ragionare, sono in una situazione insostenibile ma mi ci sono cacciata da sola e da sola devo uscirne. Ma come?
Guardo con la coda dell’occhio Francesco. È in auto e sta fumando.
Dopo circa un quarto d’ora, molti pensieri e alcuni strombazzamenti, più tardi sento una macchina arrivare alle mie spalle. Mi supera, è un grosso Mercedes nero che dopo una cinquantina di metri inchioda e si accendono le luci della retro.
So benissimo cosa vuol dire, aspetto che arrivi alla mia altezza e mi chino verso il finestrino che scende.
“Guarda guarda chi si rivede”
Il cuore manca un battito. Un sorriso conosciuto si staglia dal lato passeggero. È quello che mi ha seguito fino nei bagni del ristorante, mentre il suo amico è alla guida.
“Adesso è tutto chiaro, mignotta, quanto ci vuole per scoparti?”
“Trenta. Trenta euro a testa.” dico cercando di darmi un senso di sicurezza.
“Trenta euro, eh? Brava la troia rizzacazzi. – poi si rivolge all’amico – Che dici, lo facciamo sto investimento?”
“Perché no? Ti spogli naturalmente…”
“Si, se volete mi spoglio” dico aprendo la camicia e facendo uscire una tetta verso il finestrino.
“Va bene, salta a bordo, troia!”
con disinvoltura salgo dietro “Entra qui nel piazzale, puoi andare fino in fondo. mettiti dalla parte opposta a quella macchina” dico indicando la macchina di Francesco.
“È il tuo protettore?” chiede quello alla guida.
Ci penso due secondi “Si, più o meno.” rispondo. Una bella botta di pappone a quello stronzo, anche se non lo sa, mi gratifica.
La macchina si ferma, con lo scricchiolio della ghiaia sotto le ruote. I due si voltano verso di me, con sorrisi a trentadue denti.
“Dai troia, spogliati, facci federe bene la merce, che prima l’abbiamo vista solo in vetrina.” È quello del bagno a parlare.
Comincio a sbottonare la camicetta. “i soldi, ragazzi. Preservativo?”.
Mi allungano sessanta euro che metto in borsa. “No, vogliamo riempirti per bene”
“Chi viene qui dietro per primo?”dico sorridendo e spalancando le cosce per fargli vedere la mia fica.
“Sei veramente una bella troia!” dice l’uomo alla guida, mentre l’altro più intraprendente scende dalla macchina e sale aprendo lo sportello vicino a me.
Mi fa spostare e mi si siede a fianco, le sue mani si impossessano dei miei seni.
“guarda che belle tette.” l’amico ride, un mezzo tono più su dato dall’eccitazione.
“Dai, su, tiralo fuori e comincia a succhiare.” le mie mani cercano la cintura, la fibia scivola, poi il bottone e la lampo.
Sotto ai boxer è già in tiro. Le mie mani se ne impossessano, accompagnata dalla sua mano che mi spinge la testa le mie labbra si impossessano del cazzo.
Un mugolio di apprezzamento e una risata goduta di quello davanti accompagnano il movimento della lingua sulla cappella nella mia bocca. Affondo la testa, l’asta mi arriva in gola mentre sento che lui trattiene il fiato. Poi comincio un lento va e vieni, accompagnato dalla mano.
“Cazzo come succhi!” La mia testa è sul cazzo al mio fianco, mentre ho le cosce spalancate verso il compare. Le sue mani risalgono la mia coscia lungo la calza e cominciano a massaggiarmi la fica.
“Come cazzo sono finita qui… – lo penso soltanto e mi rispondo – Dasho, solo per lui. Che stupida.” Chiudo gli occhi e vedo.
Vedo il lago azzurro dei suoi occhi. Ormai è un riflesso condizionato, improvvisamente mi calmo, tutto assume un’altra dimensione che da un senso a quello che sto vivendo e l’eccitazione prende il sopravvento.
La mia fica si schiude sotto le mani dello stronzo seduto davanti e la mia bocca si fa più morbida e accogliente.
Il cazzo tra le labbra mi fa morire di desiderio, vorrei che mi riempisse la bocca… Dasho.
“dai tirati su, che voglio scoparti.”
Riapro gli occhi, il mio è uno sguardo duro ora, dritto negli occhi di questo patetico venditore di saponette o Dio sa cosa.
“Come vuoi che mi metta? Vieni su tu o ti vengo a cavalcioni io?”
“Dai vieni qui sopra, a smorza candela…”
Sento le mani dell’altro lasciare a malincuore la mia fica, mentre il primo si porta al centro del sedile e io lo scavalco con una gamba.
La mia mano guida il cazzo verso la mia fica, lo sento puntare contro l’apertura. Chiudo gli occhi e mi lascio cadere dolcemente su di lui.
Si fa spazio tra la mia carne, arriva fino in fondo, lo sento.
Mi strappa un brivido, poi risalgo e inizio la mia danza. Ad occhi chiusi la mia fica si riempie di umori. Non sono dedicati al cazzo che ora la occupa, ma a quello che ne è proprietario, Dasho.
L’uomo mugola come un gatto in amore.
“Cazzo, ma questa è assatanata” ride, godendosi il trattamento della mia vagina sempre più tenera, umida, calda.
Le mani dell’altro mi palpano il culo, mentre le mie tette massaggiano la faccia di quello dentro di me.
Sento che ora anche lui accompagna i miei movimenti aumentando la lunghezza delle penetrazioni e la velocità, so benissimo cosa vuol dire.
Pochi colpi e si irrigidisce, cerca le mie profondità vuole scaricarsi il più all’interno possibile in un istinto da animale che cerca di ingravidare la femmina.
Le sue mani sui miei fianchi mi inchiodano su quel cazzo pulsante che mi riversa il suo sperma all’imboccatura dell’utero.
Secondi interminabili, poi sento che la presa delle mani cede, il corpo dell’uomo si rilassa, lentamente mi scosto.
“Cazzo – dice guardandomi – che scopata.” Ansima, poi si riprende, cerca di ricomporsi da quella situazione ridicola con i pantaloni abbassati e il cazzo ormai mollo. Si riveste ed esce dalla macchina. Apre la porta anteriore e recupera le sigarette, poi si allontana.
“Tocca a te” dico sorridente rivolta al secondo.
In distanza vedo Francesco che è uscito dall’auto e guarda con discrezione verso di noi.
“Arrivo” Scavalca direttamente i sedili e si siede al mio fianco “Puoi fare tutto di bocca?”
“Certo, come vuoi” la mia testa si riabbassa accogliendo un altro membro. Le labbra umide scivolano veloci su un’asta corta e rigida.
Neanche dieci secondi e lo sento contrarsi. Lo sperma arriva a fiotti rapidi, la lingua raccoglie e manda in gola, mentre deglutisco uno dopo l’altro gli spruzzi dell’uomo.
“Cazzoooo nooo” La sua mano mi blocca la testa, un rantolo accompagna le ultime contrazioni.
“Scusa… scusa, la tua bocca… non ce l’ho fatta…” Sembra ferito nell’orgoglio, vuole scusarsi per quell’eiaculazione improvvisa.
“Di solito non mi succede.” si giustifica.
Mi fa tenerezza “Non ti preoccupare, ti sarai eccitato troppo guardando il tuo amico mentre mi scopava”
“Si, si, è quello. – sembra rinfrancato – e anche tutto il pranzo con la tua figa in vista.”
“Già” sorrido rivestendomi.
Quando sono pronta esco dalla macchina, i due risalgono e mi salutano facendo inversione.
Torno verso l’auto di Francesco, salgo a bordo.
“Contento?” gli dico con aria seccata.
“Si, bello spettacolo, grazie – risponde ridendo – Dai è tardi, torniamo in città.”

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One Comment

  • STEFANO FRATTI STEFANO FRATTI ha detto:

    Ciao, brobabilmente il racconto erotico piu’ bello mai letto prima almeno dal 2014 cioe’ da quando ho scoperto il sito. Bellissimo per la trama , l’ambientazione che riguarda la coppia marito/moglie , per finire la scrittura in Italiano corretto .Emozione pura tanto da desiderare un capitolo con publicazione giornaliera . Sinceri complimenti Lord Byron.

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