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Racconti di Dominazione

Diario segreto

By 14 Dicembre 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

7 aprile 1987
Oggi è martedì e, come tutti i martedì, sono andata a lezione di matematica.
Non mi è mai piaciuta la matematica e ho fatto il Classico proprio per questo motivo, ma, anche se poca, un po’ ce n’è, purtroppo, anche qui.
Il professor Palmisano è un omino piccolo, tondo e pelato.
E’ considerato il miglior insegnante di matematica del mio liceo ed io vado a casa sua due volte a settimana, il martedì ed il giovedì pomeriggio.
Oggi, quando sono arrivata, aveva un’espressione strana e mi ha dato una grande busta con i manici.
‘Questo è per te, ora vado di là e voglio che tu ti metta questa divisa. Quando hai finito di rivestirti, chiamami.’
Il prof. è un tipo strano, quando mi guarda mi da delle strane vibrazioni, ma si è sempre comportato correttamente con me.
Mi ha lasciata sola, nel grande studio, pieno di libri alle pareti, ed ha richiuso la porta alle sue spalle.
Sbircio nella busta, contiene una camicetta bianca, una gonna blu a pieghe, dei calzettoni bianchi e dei sandali blu, bassi e con la punta rotonda, simili a quelli che portavo da bambina.
è assurdo che una ragazza di diciassette anni si conci così, ora lo chiamo e gli dico che non ho nessuna intenzione di assecondare questo suo strano e morboso desiderio, invece, senza quasi accorgermene, mi sono tolta i jeans e la maglietta e mi sono infilata quei vestiti.
La camicia mi va precisa, mentre la gonna, lunga fino al ginocchio, mi tira dietro.
Sono magra ma ho sempre avuto il sedere grande e sporgente e, guardandomi allo specchio sulla parete di fronte, vedo che le pieghe, sul retro, tendono ad aprirsi.
Erano anni che non mettevo i calzettoni e provo una strana sensazione di freddo alle gambe.
Il professore bussa e gli dico che può entrare.
Mi squadra per bene e sembra soddisfatto.
A me sembra tutto assurdo ma lui mi fa cenno di sedere e inizia la lezione.
Mi sento confusa e, lo sguardo del prof., attraverso gli occhiali spessi, con la montatura dorata, aumenta il mio disorientamento.
Mi fa fare un esercizio di geometria e comincio a fare un mucchio di casini.
‘Sara, ma è mai possibile che la matematica proprio non riesce ad entrare in quella testolina vuota?’
E’ arrabbiato, si è alzato dal tavolo ed ha fatto il giro. Ora è in piedi davanti a me, con il volto paonazzo.
‘Adesso basta, oggi farò come si faceva una volta: ti darò una bella punizione.’
Tiene in mano una strana paletta di legno scuro, leggermente più grande di una racchetta da ping pong, e mi ordina di alzarmi e di piegarmi sul tavolo.
è matto? Non farò niente di tutto ciò. Ma chi si crede di essere?
Mi prende per il colletto della camicetta e mi costringe ad alzarmi in piedi, poi mi mette una mano dietro la nuca, mi spinge in avanti ed io, non so perché, lo lascio fare.
Sento l’aria fresca arrivarmi sul sedere e capisco che mi ha sollevato la gonna a pieghe.
La prima palettata mi arriva di sorpresa e grido per il dolore, ma lui non sembra impressionato e continua a colpirmi.
La fa con una certa violenza e sento un bruciore fortissimo al sedere, gli grido di smettere, ma lui continua, alternando colpi ora su una natica ora sull’altra.
Ho il viso bagnato dalle lacrime, ma comincio a sentirmi bagnata anche lì. Non capisco.
‘Vediamo se può bastare.’
Mi ha abbassato le mutandine.
‘il tuo sederino è quasi pronto. Qualche colpetto direttamente sulla carne nuda e sarà rosso come quello delle scimmie allo zoo. Sono sicuro che dopo non sbaglierai più gli esercizi.
Mi strizza le mutandine che pendono in mezzo alle cosce e così si accorge che sono bagnate.
‘Ah! Bene, bene. Vedo che sei proprio una bella maialina.’
Riprende a colpirmi con la paletta. Sul sedere completamente nudo fa molto più male ed io grido forte mentre mi sento sempre più bagnata.
Quando finalmente si ferma, il dolore è insopportabile, ma lui non sembra preoccuparsene e mi ordina di sedere di nuovo.
Mi sistemo alla meglio le mutandine e rimetto a posto la gonna.
Come provo a sedermi, mi accorgo che la mia pelle irritata non sopporta il contatto della sedia, allora lui la scansa e mi dice di inginocchiarmi davanti al tavolo.
Si siede accanto a me e mi aiuta a finire l’esercizio.
‘Per oggi basta così, hai visto che sei stata brava?
Ora puoi rimetterti i tuoi vestiti.’
Sulla porta mi ricordo dei soldi e tiro fuori dalla tasca dei jeans le 20000 lire che mia dato la mamma per la lezione, ma lui dice che questa volta non devo pagare, anzi prende il portafogli e mi porge una banconota da cinquantamila.

9 aprile 1987
Ho saltato la lezione di matematica.
Un po’ perché il sedere mi fa ancora molto male, nonostante ci abbia messo una pomata tre volte al giorno, ed ho paura di una nuova punizione sulle mie chiappe ancora terribilmente arrossate, ma soprattutto perché sono spaventata dalla mia reazione: mi piaceva da impazzire.
L’altra sera, a letto, mi sono masturbata a lungo, pensando al professore che mi colpiva con la paletta di legno.
Oggi sono uscita di casa ed ho chiamato il professore da una cabina telefonica, dicendogli che stavo poco bene e ci saremmo visti il martedì successivo.

14 aprile 1987
Sono tornata dal professore.
Ho messo la minigonna nuova, quella che ho comprato con le sue cinquantamila lire.
è veramente mini e così sotto ho indossato un panta collant nero, molto aderente.
Il mio sedere va molto meglio, anche se sono costretta ancora ad indossare mutandine di cotone lisce, perché i ricami, sfregando, mi danno molto fastidio.
Sembra contento di vedermi, mi ha fatto entrare nello studio e mi ha lasciata sola, richiudendo la porta.
La camicetta bianca e la gonna a pieghe sono lì, a cavallo dello schienale di una sedia, mentre i mocassini, con dentro i calzettoni, piegati ordinatamente, sono sotto la sedia.
Penso che la cosa migliore sia scappare via, oppure, potrei decidere di non cambiarmi, così lui capirebbe che non sono disposta a farmi fare nuovamente le chiappe rosse.
Ripenso alla paletta di legno che mi ha colpito decine di volte e mi sembra di sentire, dietro, delle fitte dolorose, poi arriva.
Sì, quell’eccitazione strana che l’altra volta mi ha preso di sorpresa e che ora mi prende di nuovo.
Mi spoglio rapidamente e già mi sento bagnata.
Mi sbrigo ad indossare i vestiti che il professore ha lasciato per me sulla sedia e gli dico che può entrare.
è contento, sicuramente temeva che non sarei più tornata, invece sono di nuovo a casa sua, pronta a farmi sculacciare.
Mi da un esercizio facile facile. Questo lo so fare, è impossibile sbagliarlo.
Invece comincio a fare un mucchio di pasticci sui calcoli.
L’ho fatto apposta. Me ne rendo conto mentre lui inizia a sgridarmi e si alza.
Non aspetto neanche che me lo ordini e, dopo essermi alzata, mi piego sul tavolo.
Quando mi solleverà la gonna avrà una sorpresa: le mutandine sono rimaste sulla sedia, in mezzo ai miei vestiti.
Non se l’aspettava proprio questa. Passato un momento di stupore, inizia a carezzarmi le chiappe. Mi dice che ho un culetto fantastico, nato per essere sculacciato, che lui farà in modo di farmelo restare sempre un po’ rosso.
Le sue dita passano leggere sulla pelle irritata ed io mi sento sempre più bagnata in mezzo alle gambe.
‘Questa volta userò qualcosa di meglio della paletta.’
Tiene in mano un vecchio battipanni di vimini, uguale a quello che usava una volta mia nonna e prova a vibrare qualche colpo in aria.
Sento il sibilo leggero che fa e mi abbasso per bene, spingendo le chiappe in fuori.
Sento ancora il sibilo, questa volta molto più vicino.
è come se una lama di fuoco fosse passata sul mio culetto nudo e non riesco a trattenere un grido.
Mi colpisce ancora e grido di nuovo, mentre sento la mia cosina che si apre completamente ed inizia a spruzzare.
Sto bagnando il tavolo di legno, il professore se ne accorgerà e mi punirà ancora, forse.
Alla fine vengo gemendo senza ritegno e lui smette di colpirmi.
Quando provo a rimettermi in piedi, mi tremano così tanto le gambe che sono costretta ad appoggiarmi al tavolo con entrambe le mani.
Il bruciore è fortissimo e, come mi raddrizzo, la gonna blu, fatta di lana pesante e rugosa, torna al suo posto. Il contatto della stoffa con la mia pelle irritata, fa aumentare la mia sofferenza e così mi spingo in avanti per appoggiarmi con le cosce al tavolo, poi tolgo le mani e sollevo di nuovo la gonna.
Sono in piedi, poggiata ad un vecchio tavolo di legno scuro, con il sedere nudo pieno di segni rossi causati dal battipanni ed ho dietro di me un uomo piccolo, vecchio e grasso, che mi sta guardando con bramosia.
‘Fa molto male mia piccola maialina? Vero?’
Mi sbottona la gonna, che scivola lentamente lungo le mie gambe.
Per un attimo penso che, dopo avermi spogliata, mi scoperà, farei meglio a rivestirmi e scappare via, ma la sensazione di quasi piacere, che provo nel sentire il mio sedere libero dal doloroso contatto con la lana, ha il sopravvento. Così alzo prima un piede e poi l’altro per liberarmi completamente dell’indumento.
Mi fa allontanare dal tavolo.
Sul piano di legno ho lasciato una larga pozza. Lui ci intinge un dito e poi l’annusa soddisfatto.
‘Guarda cosa hai combinato.’
Solo allora mi accorgo che il tavolo, nel punto in cui mi sono appoggiata, è pieno di macchie vecchie, che devono essere lì da anni.
Sicuramente, prima di me, ci sono state molte altre maialine, disposte a farsi sculacciare.
Mentre penso a questo, lui mi infila una mano in mezzo alle gambe e comincia a toccarmi.
Poi, con la mano libera, prende la mia mano destra e la avvicina al suo corpo.
So benissimo cosa succederà. Guida le mie dita in mezzo ai suoi pantaloni aperti, sento i suoi peli e poi il suo pene, piccolo, curvo ma duro e lo stringo in pugno.
Ricordo anni prima, al paese con mio cugino, più grande di me di qualche anno. Passavamo molto tempo insieme ed io, a tredici anni, avevo imparato il piacere della masturbazione. Lo facevamo insieme, uno di fronte all’altro, poi, un giorno, provammo a scambiarci.
Lui infilò le sue dita nel mio sesso ed io lo guidai, con la voce e con la mano, mentre lui mi dettava il giusto ritmo che dovevo imprimere al suo pene.
La facemmo un mucchio di volte, quell’estate e, alla fine riuscivamo quasi sempre a raggiungere l’orgasmo insieme.
Il vecchio professore è venuto quasi subito ma io l’ho costretto a tenere la sua mano dentro di me finché non è giunto anche il mio momento.
Poi è uscito dalla stanza, ha detto che doveva lavarsi le mani e smacchiarsi i pantaloni.
Io, allora, mi sono rimessa i miei vestiti. La cosa più difficile è stata indossare le mutandine, perché i colpi del battipanni hanno lasciato quasi delle piaghe sul mio povero culetto.
Ora che è passata l’eccitazione, il dolore si è riaffacciato in tutta la sua intensità.
Per strada cammino piano ed a fatica, ma in tasca ho un mucchio di soldi, quelli della lezione ed altre cinquantamila, che mi ha dato il professore.

Maledetto bastardo, ora ti vengo a cercare e ti spezzo tutte e due le braccia, così non farai più certe cose, brutto porco.
Lorenzo era furioso.
Aveva trovato per caso quel pen drive dove Sara, sua moglie aveva scritto il suo diario segreto e istintivamente ne aveva copiato il contenuto.
Le cartelle che contenevano il diario segreto erano criptate, ma alla fine, usando un software che prova tante password in successione, era riuscito ad entrare.
MAIALINA
La chiave dei segreti di Sara era proprio il soprannome che le aveva dato il professore.
Ma chi vado a cercare?
Il professore magari è morto, oppure sta in un ospizio, paralizzato e rincoglionito.
Il diario era sterminato, iniziava nell’87 e c’era una cartella per ogni anno. All’interno delle cartelle c’erano tanti file il cui nome corrispondeva con la data.
Ci sarebbe voluto un mucchio di tempo per leggerlo tutto, ma era troppo curioso di sapere cosa aveva combinato Sara negli anni successivi e, soprattutto, dopo che loro si erano conosciuti. Lorenzo aveva aperto la cartella del 1991.
A quell’epoca Sara faceva l’università.

2 gennaio 1991
Abbiamo trascorso il capodanno in montagna, nella casa di Lucia.
Ieri sono scivolata sul ghiaccio e mi fa male una caviglia, così, quando questa mattina hanno deciso di fare una gita, io sono rimasta a casa.
La brigata è partita di prima mattina, lasciando a casa soltanto me e e Claudio.
Claudio è il cugino di Lucia ed ha diversi anni più di noi.
è un quarantenne piccolo di statura, con pochi capelli e l’aria triste che hanno gli uomini da poco piantati dalla moglie.
Lucia ha insistito parecchio con tutti noi, perché ci teneva a far divagare un po’ suo cugino, ma, fino ad ora, lui si è sempre tenuto in disparte.
Sono andata in bagno a lavarmi.
Poiché la serratura della porta è rotta, abbiamo da subito stabilito una regola: quando si esce bisogna lasciare la porta aperta, mentre tutti la devono tenere chiusa quando si è dentro.
Sono uscita dalla mia stanza con addosso un maglione pesante a collo alto ed i pantaloni della tuta, perché la casa, a parte una stufa ed il caminetto, non è riscaldata.
Una volta entrata in bagno, dopo aver chiuso la porta mi sono tolta i pantaloni per farmi il bidè.
Mi ero appena seduta quando la porta, improvvisamente, si è aperta e mi sono trovata davanti Claudio.
Accidenti! Gli grido di chiudere la porta e lui lo fa prontamente.
Nel senso che chiude la porta dietro di sé.
Vorrei coprirmi, ma i pantaloni sono troppo lontani, sul bordo della vasca da bagno e lui, senza dire nulla si avvicina a me.
Prima che possa reagire, mi stringe forte i polsi e mi costringe ad alzarmi.
Mi strascina, scalza e completamente nuda dalla vita in giù, fuori dal bagno, fino alla porta finestra del balcone.
Con mia grande sorpresa, mi spinge fuori e poi, rapido, richiude la porta a vetri.
All’esterno ci sono parecchi gradi sotto zero e penso che se qualcuno dovesse passare per la strada, vedrebbe una ragazza con il sedere nudo e la fica all’aria.
Lui intanto è sparito in cucina.
Lo vedo ritornare con un secchio.
Riapre la porta a vetri e mi versa l’acqua, bella fredda, addosso.
Sento il liquido gelato che mi scende sulla pancia, mi inonda le gambe nude, infine mi costringe a girarmi e finisce di vuotare il secchio sulle mie chiappe.
Ha richiuso la finestra e si è messo in poltrona a guardare lo spettacolo.
Sto congelando, morirò assiderata.
Busso disperatamente ai vetri e ormai non penso più al rischio che qualcuno mi veda.
Dopo una decina di minuti, che a me sono sembrati un’eternità, mi fa rientrare.
Non riesco neanche a camminare e vorrei mettermi vicino al camino acceso ma Claudio mi trascina in camera sua e mi butta sul suo letto disfatto.
Il primo colpo mi prende alla sprovvista, ma mi rendo conto che le sculacciate, sulla mia carne semi congelata, saranno dolorosissime.
Io grido e piango ma lui continua a colpirmi, un dritto ed un rovescio, con dei colpi secchi e rapidi, che sembrano quasi delle frustate.
Ho smesso di gridare e comincio a gemere sommessamente. Mi sta succedendo di nuovo, vorrei che lui non se ne accorgesse, altrimenti non la finirà più.
Ora mi sta colpendo sulle cosce. I colpi sono meno veloci ma più pesanti ed io gemo senza ritegno. Ormai non riesco più a nascondere la mia eccitazione crescente.
Ho allargato le gambe, sono tutta bagnata, ma non più d’acqua, e lui mi da qualche colpo, un po’ meno forte, sulla fica gonfia ed aperta, perfettamente visibile tra le mie cosce divaricate.
Grido solo quando, all’improvviso, me lo ficca dentro.
Mi sta scopando selvaggiamente il piccolo e timido cugino della mia amica Lucia.
Improvvisamente realizzo che lo sta facendo senza preservativo ed io ho sospeso la pillola da cinque mesi.
‘Maledizione! Vieni fuori, non puoi ‘ lì!’
Sembra deciso ad andare fino in fondo e mi sta anche piacendo da matti, ma non posso assolutamente restare incinta.
Mi sta schiacciando e le sue mani, piantate sul mio culo arrossato ed irritato, mi tengono completamente bloccata, mentre lui fa avanti e indietro dentro di me.
‘Nel culo ‘ per favore. Sì, inculami!’
Gli grido proprio così e questa volta ubbidisce.
Sento il suo cazzo uscire dal mio corpo e, subito dopo, spingere in mezzo alle chiappe.
Cerco di farlo entrare, fa male.
Mi fa male tutto. Le cosce, le chiappe ed il mio ano che lui si appresta a sfondare e sto anche per venire.
Io grido, di dolore e di gioia, vorrei toccarmi ma le mie braccia sono bloccate sotto la pancia, mentre lui spinge sempre più a fondo.
Raggiungo l’orgasmo improvvisamente e per un attimo mi sembra di non sentire più il dolore dei suoi colpi.
Claudio si è accorto di quello che mi è capitato e la cosa deve averlo eccitato, perché mi segue a ruota.
Sento le sue unghie affondare nella mia carne mentre mi inonda con il suo sperma.
Sono rimasta sdraiata sul suo letto per un mucchio di tempo, Claudio deve essere uscito ed io sono sola in casa.
Mi alzo a fatica, sono stanca, infreddolita, piena di dolori e raggiungo a fatica il bagno.
Finalmente potrò farmi quel bidè, prima interrotto bruscamente.

12 gennaio 1991
La telefonata di Claudio mi ha preso di sorpresa. Dopo quella mattina in montagna, non ci eravamo più parlati ed ero convinta che non ci saremmo mai più incontrati.
Mi ha chiesto di vederci, oggi pomeriggio, in un bar del centro.
Dopo quello che è successo, una persona sana di mente si sarebbe rifiutata di incontrarlo.
Ma io, non sono evidentemente sana di mente.
Ho ancora i segni sul sedere e sulle cosce, delle forti fitte mi hanno accompagnato in seguito al violento rapporto anale subito, ma accetto subito il suo invito.
Sono preoccupata ma allo stesso tempo desiderosa di incontrarlo.
Mi sono truccata per bene, mi guardo il viso, circondato dai capelli neri e mossi, osservo con attenzione i miei occhi grandi e scuri, per accertarmi di averli fatti uguali.
Il giaccone corto ed attillato mette in evidenza il mio fisico slanciato, mentre sotto ho messo dei pantaloni di pelle aderenti che fasciano strettamente il mio sedere.
Ho un gran culo! Largo, rotondo e prominente.
Mi piace il mio culo e piace anche agli uomini.
Adoro sentirmi i loro sguardi addosso e le mie gambe, lunghe e magre, lo fanno sembrare ancora più grande e più sporgente.
Completano il mio abbigliamento degli stivaletti con il tacco molto alto.
Claudio è già seduto ad un tavolo del bar.
Ordiniamo qualcosa e viene subito al dunque.
Mi mette una mano sopra la mia e mi dice a bruciapelo: ‘Ti ho fatto troppo male l’altra volta?’
Se fossi quella ragazza sana di mente, che non sono, gli direi che sì, ma ha fatto molto male, gli direi che porto ancora i segni sulle natiche e sulle gambe, gli direi che ho dovuto usare gli assorbenti per un settimana, a causa delle perdite di sangue che ho avuto.
Gli direi che è un sadico bastardo, liberei la mia mano dalla sua stretta, mi alzerei e me ne andrei.
Invece lascio la mano al suo posto e gli rispondo, sorridendo: ‘Non troppo.’
Lui mi propone subito di rifarlo oggi stesso.
Così lasciamo il bar e ci incamminiamo a piedi verso casa sua.
Mi sono accorta che sbircia il mio culo, foderato dalla pelle dei pantaloni e lo immagino già in piena erezione.
Arrivati a casa si inginocchia dietro di me e comincia a carezzarmi il sedere.
Mi dice che il mio culo è un monumento, che le mie chiappe lo fanno impazzire, poi mi apre i pantaloni e me li abbassa fino alle ginocchia.
Rimane senza fiato e so perché: sotto indosso soltanto un minuscolo tanga nero, semi trasparente, per non far vedere il segno delle mutande.
Comincia a colpirmi subito. Io gemo disperatamente e mi tocco con le mani in mezzo alle gambe, sono già bagnata fradicia.
Claudio si è tolto i pantaloni e le mutande, ha un cazzo molto grande, largo e leggermente ricurvo e tiene un paio di forbici in una mano e la cinta dei pantaloni nell’altra.
Con le forbici, solleva il tessuto del tanga e taglia la striscia di stoffa tra le mie chiappe, poi comincia a colpirmi con la cinghia.
Sa il fatto suo, colpisce abbastanza forte da far male, molto male, ma non da spaccarmi la carne.
Quando ha finito mi trascina davanti ad uno specchio.
Il mio sedere è gonfio e pieno di striature violacee in rilievo. Rabbrividisco e penso che ci vorranno molti giorni prima che torni come prima.
Ma non mi lascia il tempo per pensare e mi trascina verso il divano, facendomi mettere, piegata in avanti, con la pancia poggiata sul bracciolo.
Mi tocca a lungo, ora dolcemente, carezzando le labbra della mia vagina dilatata, ora con cattiveria, schiaffeggiandola. Per ultimo mi strizza il clitoride, facendomi gridare di dolore, anche se so che sto per venire.
Quando poggia la punta del suo affare in mezzo alle mie natiche ho un momento di reazione. Ho paura, una parte di me non vuole farsi inculare, ma lui mi assesta ancora qualche colpo con la cinghia e subito prevale l’altra Sara, quella sporca.
Il dolore delle cinghiate si mischia con quello causato dalla penetrazione, ma poi tutto viene annullato dall’orgasmo violentissimo che mi scuote, facendomi gridare di piacere.
Mi penetra una seconda volta ed io vengo di nuovo, subito, mentre Claudio cerca di entrare dentro di me ancora più profondamente.
Solo dopo avermi nuovamente riempito l’ano di sperma, mi lascia andare ed io vado in bagno. Chiudo la porta a chiave e penso che, se il bagno della casa di montagna avesse avuto la serratura funzionante, oggi non sarei qui.
Ho impiegato parecchio a risistemarmi e la cosa più difficile è stata rimettermi i pantaloni senza nulla sotto, dopo tutte le cinghiate che mi ha dato Claudio.
Si è anche proposto di riaccompagnarmi a casa, ma ho preferito tornare a piedi, anche se è stato faticoso e doloroso.

Lorenzo chiuse il file e spense il computer.
Solo ora cominciava a dare un senso a certi strani atteggiamenti di sua moglie, come il fatto che molte volte lei volesse far l’amore al buio.
Aveva sempre pensato ad una forma di timidezza, invece ora era quasi sicuro che era solo per non far vedere al marito i segni che si era fatta fare sul culo da qualcun altro. 9 maggio 2000
Questa sera sono stata invitata da Federico.
Federico è il proprietario di un locale notturno. è un cinquantenne alto e magro, distinto, ma è anche il mio master (si dice così), da circa sei mesi.
Ci sono ricaduta, non riesco proprio a stare lontana da queste cose e poi, il fatto più stupefacente, è che trovo sempre uomini che capiscono al volo quello che ho dentro di me.
In media una volta a settimana ci vediamo a casa sua e mi punisce severamente prima di scoparmi.
Con lui ho raggiunto delle vette di piacere che non credevo possibili.
Federico trova sempre nuove punizioni a cui sottopormi, riesce a farmi abbastanza male, ma senza esagerare, capisce sempre quando insistere e quando fermarsi.
Questa sera devo andare al suo locale.
Quando gli ho fatto notare che oggi è martedì e che il locale è chiuso, mi ha detto sorridendo che per lui che è il padrone, il locale è sempre aperto.
Ha aggiunto che oggi c’è una serata molto speciale e che io non devo mancare assolutamente.
Io ho insistito, gli ho fatto un mucchio di domande, ma lui non si è sbottonato.
Ha detto soltanto che, certe volte, ci sono delle serate in cui si fanno certe cosine che a me piacciono.
Mi ha detto di vestirmi normale, come se andassi al lavoro o al supermercato e di bussare all’entrata sul retro.
Il locale da fuori sembra chiuso, sbarrato, ma quando busso alla porticina sul retro, quella che affaccia sul vicolo, mi aprono subito.
Mi trovo davanti una negra enorme. Non è grassa, è semplicemente grande: altissima, con due spalle da lottatore, due tette spropositate, un culone grande e rotondo e due cosce che sembrano le colonne di marmo di un tempio greco.
Mi sorride e mi fa strada fino ad una stanza stretta e lunga, con un attaccapanni lungo una delle pareti.
Ci sono già diversi vestiti femminili appesi e a terra, in corrispondenza delle scarpe da donna.
Mi dice che devo spogliarmi completamente.
Esito un attimo ad ubbidire ma l’atteggiamento vagamente minaccioso di quel donnone mi convince ad eseguire il suo ordine.
Scesa dai tacchi degli stivali e nuda mi sento ancora più piccola ed indifesa di fronte a lei.
Mi fa passare nella stanza successiva e mi lascia sola, dopo avermi indicato i vestiti che devo indossare, posati sullo schienale di una poltrona.
Beh, chiamarli vestiti ‘
Indosso rapidamente la gonna rossa cortissima, al punto da scoprirmi quasi l’attaccatura delle chiappe, le autoreggenti nere velate e le scarpe rosse con il tacco altissimo.
E’ tutto qui.
Federico mi aveva raccomandato di farmi un trucco vistoso e l’ho accontentato.
Mi guardo allo specchio e vedo una puttana alta, mora, con un gran culo.
Sistemo i capelli ondulati a coprire in parte le mie tette e, in quel momento, si apre la porta.
è Federico che, dopo avermi fatto un mucchio di complimenti, mi spiega cosa dovrò fare nel corso della serata.
Prima di congedarmi tira fuori dalla tasca uno strano oggetto: due sfere rosa, grandi come palline da ping pong, tenete insieme da un nastrino nero.
Anche se non le ho mai viste dal vero, capisco di cosa si tratta: sono le famose palline cinesi.
La descrizione del programma della serata mi ha eccitato e quando lui mi solleva la gonna per infilarmi le palline, trova la mia fica già abbondantemente bagnata.
La prima sparisce immediatamente dentro di me, per la seconda devo un po’ trafficare con le mani per farle posto, ma il tutto risulta molto più facile di quanto mi sarei aspettata.
Ora sono pronta, posso andare nella sala ed iniziare la mia avventura.
Fin dai primi passi capisco che la mia convivenza con le palline sarà eccitante ma complicata.
Come mi muovo le palline vibrano, sembrano quasi dotate di una loro vita e trasmettono le loro vibrazioni al mio sesso che, a sua volta eccitato, si contrae, facendole vibrare ulteriormente.
Ho fatto solo pochi passi e già mi manca il respiro.
Non sono abituata a questi tacchi altissimi e l’andatura dondolante fa vibrare ancora di più le palline.
Non sono neanche arrivata a metà del salone del locale e sono già bagnata fradicia.
Devo raggiungere la pista da ballo, per l’occasione inutilizzata, dove ci sono le altre ragazze.
Mi fermo solo un attimo per riprendere fiato, poi mi dirigo verso le mie colleghe d’avventura.
Dai separé intorno, chiuse con le tende pesanti, gli ospiti della serata sicuramente stanno sbirciando la nuova arrivata, per capire se risulterà di loro gradimento.
Ci sono solo due ragazze in pista. Una bionda tinta con le tette grandi ed un po’ mosce, l’altra sembra orientale, con la pelle scura e gli occhi a mandorla. è un po’ tozza e piccola di statura e guarda incuriosita la nuova collega appena arrivata.
Guadagno uno sgabello alto e mi siedo in pizzo, con le gambe leggermente divaricate.
Sono spaventata da quello che potrà capitarmi, ma anche terribilmente eccitata.
La gonna è salita scoprendo il bordo delle autoreggenti e lasciandomi quasi con la fica di fuori. Il nastrino nero che tiene le palline penzola tra le mie cosce nude.
Non devo attendere molto, arriva una cameriera con un vassoio e mi indica l’ultimo separé sulla destra.
Nel vassoio d’acciaio lucido ci sono due bicchieri di liquore ed una paletta di legno.
So bene di cosa si tratta, è cominciato tutto, diversi anni prima, con il vecchio professore, proprio con un aggeggio simile.
Mi dirigo verso il separé e subito le palline entrano in azione.
Già la vista della paletta, mi fa pregustare una bella razione di robuste sculacciate, ma come muovo i primi passi le palline fanno il resto.
Quando arrivo alla fine del tragitto e scanso con un braccio la pesante tenda rossa, ho i capezzoli duri e gonfi, mentre tra le gambe mi sento completamente bagnata.
Dentro ci sono due uomini distinti e di mezz’età.
Non perdono tempo in convenevoli. Uno dei due si accomoda sul divano, mentre l’altro mi fa mettere sulle ginocchia del primo, a pancia in giù.
Mi sollevano la gonna scoprendomi le chiappe e gli scappa un ooh di meraviglia.
Quello rimasto in piedi prende la paletta e mi assesta il primo colpo.
Io grido, poi sento vibrare le palline che sono state messe in moto dalla palettata e non riesco a trattenere un gemito.
Ha la mano pesante e già dopo una decina di colpi un dolore fortissimo avvolge le mie chiappe. Non mi posso vedere ma sono sicura che il mio sedere e già rosso e bello gonfio.
Quello seduto si è sbottonato i pantaloni e si sta masturbando, lo sento ansimare, mentre aumenta gradualmente il ritmo.
Ad un certo punto sposta una mano e mi tocca in mezzo alle cosce.
Infila due dita nella mia fica e, con sorpresa, incontra le palline.
L’urto della sua mano contro quegli aggeggi infernali scatena l’inferno nel mio sesso.
Comincio a gemere e sospirare senza alcun ritegno e lui allora insiste.
Tocca e smuove le palline ed ogni volta è come se fossi colpita da una piacevolissima scossa elettrica.
Raggiungo l’orgasmo mentre l’altro, con la paletta, mi colpisce sempre più forte.
Sono completamente bagnata, poi mi accorgo che anche l’uomo seduto è venuto, impiastrandomi di sperma la schiena nuda ed i capelli.
Mi ripuliscono con un tovagliolo e si cambiano di posizione.
Il secondo maneggia la paletta in tutt’altra maniera: i colpi sembrano meno pesanti, ma risultano secchi e veloci, come se fossero delle frustate.
L’altro riprende a stuzzicarmi, mentre mi sussurra che sono una porca fantastica.
Mi allarga completamente la fica e poi inizia a colpire le palline con delle piccole schicchere.
L’effetto è dirompente, è come se qualcuno facesse risuonare di continuo un diapason nella mia testa.
Intanto, anche il secondo, con la paletta, ha finito.
Mi fanno tirare su e mi ritrovo a cavalcioni di quello seduto.
Anche il secondo si è aperto i pantaloni e mi guida le mani verso il suo pene, così io lo afferro e comincio a masturbarlo, mentre lui inizia a giocare con i miei capezzoli.
Ci passa sopra il palmo delle mani, poi li pizzica, facendomi gridare di dolore e smette solo quando il suo sperma mi schizza sul petto.
Hanno finito, mi spingono fuori dal separé e la tenda si richiude alle mie spalle.
Dopo una breve visita al bagno per ripulirmi, raggiungo di nuovo la mia postazione nel salone.
Ora cammino più piano, perché il dolore delle palettate è forte e fastidioso.
Al centro della pista c’è soltanto la ragazza orientale, quella piccolina. Ha un’aria sofferente ed ha deciso di rimanere in piedi.
Anch’io evito di sedermi e so benissimo il perché.
Passano dieci minuti e la cameriera viene verso di me con un altro vassoio.
Dentro c’è una bottiglia di Champagne con un solo bicchiere ed una frusta.
Rabbrividisco, ma so che le regole sono queste e non potrò oppormi.
Mentre mi incammino verso il separé che mi ha indicato la cameriera, mi torna l’eccitazione più forte di prima.
Guardo meglio la frusta, sembra uno di quei frustini corti che usa chi fa equitazione. Penso che non sarà così terribile, poi le palline entrano di nuovo in azione.
Ho l’impressione che più passa il tempo e più facciano effetto su di me.
Il nuovo cliente sembra provenire da qualche paese dell’est Europa: alto biondo, con due occhi grigio celesti che gli danno un’aria gelida e distaccata.
Non ha molta voglia di parlare e si concentra subito sulla bottiglia, guardandosi ben dall’offrirmi da bere.
Dopo aver bevuto tre bicchieri di Champagne, prende il frustino e mi ordina di mettermi davanti allo schienale del divano.
‘Allarga bene le gambe, troia. Di più, ancora.
Ecco, così va bene.’
La sua voce è fredda, senza alcuna inflessione.
Sono in piedi, con le gambe divaricate e lui mi sta studiando.
Mi piazza una mano dietro la nuca e mi costringe a piegarmi in avanti, finché la mia pancia non viene a contatto con la pelle del divano.
Il piegamento mi ha scoperto quasi completamente le chiappe ed ora lui sta passando delicatamente l’estremità del frustino sulla mia pelle arrossata dalle palettate.
Dice qualche parola in una lingua strana, che non conosco e mi convinco che sta parlando del mio culo, dal tono della voce sembra di suo gradimento.
Alla fine mi arrotola completamente, intorno alla vita, la gonna rossa.
So cosa sta per accadere, penso che dovrei aver paura, invece sono solo eccitata da morire.
Il sibilo della frusta mi riporta alla realtà.
Fa male, fa molto più male della paletta, specialmente se hai già il sedere rosso e gonfio, e poi, la posizione che mi ha fatto assumere, a gambe larghe e piegata in avanti, ha messo in tensione i miei muscoli, aumentando la sensibilità.
Mi colpisce ancora ed il dolore aumenta e si estende.
Non riesco a star ferma, mi muovo e mi agito e così le palline riprendono a vibrare.
Piango di dolore e grido di piacere, allo stesso tempo.
Ora parla in Italiano e mi dice che sono una troia e che prima di sfondarmi il culo mi spaccherà la pelle delle chiappe con la frusta.
No ce la faccio più e, quando alla fine decide che può bastare, ho piegato le ginocchia e la mia pancia è completamente appoggiata allo schienale del divano.
Mi carezza le gambe, poi sento che inizia a tirarmi giù le calze. Mi arrotola le autoreggenti fino ai polpacci e subito riprende a frustarmi.
‘No sulle gambe no. Per favore!’
Ho gridato ma lui non sembra minimamente impressionato.
Se mi riempie di segni le gambe, sarò costretta a portare i pantaloni per almeno due settimane.
Ha posato la frusta ed ha di nuovo in mano la bottiglia. Beve direttamente, senza usare il bicchiere e mi dice di prepararmi.
Quando sento il freddo in mezzo alle chiappe, capisco cosa ha in mente e, per la prima volta ho realmente paura.
Mi sta ficcando il collo della bottiglia nel culo.
Fa male e, quando ne ha infilato un bel pezzo, solleva la parte posteriore e, lo champagne rimasto comincia ad entrarmi dentro.
Ride, dice che un clistere allo champagne non è cosa di tutti i giorni e, intanto, continua a spingermi la bottiglia dentro.
Io intanto ho ripreso a gridare e, proprio in quel momento, la tenda si apre e compaiono Federico e la negrona.
Lui è incazzato nero, parla fitto fitto, in Francese, con quell’uomo. Non capisco una parola ma credo che lo stia cacciando.
Intanto la negrona mi sfila dolcemente la bottiglia dal culo.
Un fiotto di liquido rosato, probabilmente dovuto al connubio tra lo champagne ed il mio sangue, sgorga dalle mie povere chiappe e finisce sul pavimento, poi usciamo tutti dal separé, prima il cliente, trafelato e con il cappotto sotto braccio, poi Federico che ci fa strada, ed infine la negrona che mi ha preso tra le braccia, visto che non sono in grado di camminare.
Mi portano nello studio di Federico e mi sdraiano su un divano.
Lui mi dice che è molto dispiaciuto, ma a volte i clienti si lasciano un po’ prendere la mano.
è stato un vero peccato perché stava andando tutto molto bene.
Intanto mi passa una pomata sul sedere e sulle gambe, strofinando molto leggermente.
Ora siamo rimasti soli e mi sento meglio. Provo a rimettermi in piedi e, tutto sommato, il dolore sembra essersi un po’ alleviato.
Faccio due passi per la stanza e le palline ricominciano subito.
La mia espressione ed i miei gemiti sono inequivocabili, come pure la faccia di Federico.
Mi fa sedere sul tavolo e mi allarga le gambe.
Il contatto della mia pelle ferita con il legno del tavolo è doloroso ma ho voglia di farlo e resisto.
Federico si è chinato tra le mie cosce e mi sta baciando la fica.
Le sue labbra premono sul mio sesso completamente aperto, poi la sua lingua inizia ad esplorare.
Quando arriva a toccare le palline io parto subito.
Grido, lo supplico di scoparmi, non resisto più, voglio che me lo metta dentro subito, e poi voglio andare a casa a dormire, perché sono distrutta.
Sento tirare. Ha preso il nastrino tra i denti e sta facendo uscire, lentamente, le palline dalla mia fica.
Quell’incredibile strumento di piacere abbandona il mio sesso dopo avermi dato un’ultima scarica di sensazioni incredibili e fortissime, poi Federico mi penetra.
Mi scopa due volte di seguito, ormai non sento più il dolore della paletta e della frusta e, alla fine, esausta mi addormento.

Lorenzo spense il computer.
Erano settimane che leggeva l’incredibile diario di sua moglie.
All’inizio aveva pensato di lasciarla, non poteva continuare a stare con una simile pervertita, poi, lentamente, aveva iniziato ad accettare questa situazione che, doveva ammetterlo, lo eccitava.
Gli sarebbe piaciuto fare cose simili con sua moglie?
All’inizio, dovendo rispondere d’impulso avrebbe detto ‘no, che schifo!’, ne era sicuro.
Con il passare dei giorni la sua sicurezza era scemata ed ora, doveva ammetterlo, spesso si masturbava dopo aver letto qualche pagina del diario.
Sapeva già quale sarebbe stato l’epilogo della storia.
5 luglio 1995
L’albergo era in cima ad una scogliera, a picco sul mare.
Uno scenario suggestivo, con il silenzio turbato solo dal verso dei gabbiani e dal rumore delle onde.
Una breve vacanza per me e Matteo, dopo le fatiche della tesi di laurea, che ha sottoposto entrambi a molti mesi di duro lavoro.
Il cameriere che ci ha serviti a tavola, la prima sera, aveva uno sguardo strano.
Un uomo piccolo e quasi completamente calvo, età indefinibile, ma, probabilmente tra i 40 ed i 50, un viso flaccido ed inespressivo, in cui però spiccavano due occhi grigi, gelidi ed imperscrutabili.
Ho provato un brivido strano, quando il suo sguardo si è posato un attimo su di me, ed ho avuto l’impressione che si sia soffermato troppo sul mio sedere rotondo e formoso.
Dopo cena io e Matteo siamo andati dritti in camera.
Mi piace molto questo ragazzo dolce ed intelligente, è sicuramente molto innamorato di me ed anche io sono convinta di provare per lui gli stessi sentimenti.
Abbiamo fatto l’amore a lungo, più volte. Avevamo entrambi una voglia matta di scopare, perché negli ultimi tempi, a causa degli impegni di studio, abbiamo avuto troppo poco tempo per noi stessi.
Il cameriere lo abbiamo incontrato di nuovo il mattino successivo, a colazione.
Di nuovo un rapido sguardo, cui i suoi occhi di ghiaccio, ed ho sentito nuovamente quel brivido strano, che mi ha fatto tornare in mente certi episodi della mia vita, che non avrei mai il coraggio di confessare ad uno come Matteo.
Abbiamo passato la giornata sulla spiaggia ed abbiamo subito fatto amicizia con un gruppo di ragazzi spagnoli, molto simpatici, poi, verso le cinque del pomeriggio, ho deciso deciso di rientrare in albergo, perché mi sentivo la schiena un po’ scottata.
Matteo è rimasto a chiacchierare con i nuovi amici ed io sono andata via, con l’idea di farmi una bella doccia e spalmarmi di doposole.
Di nuovo.
Ho incontrato di nuovo il cameriere. Usciva dal montacarichi spingendo un carrello pieno di biancheria sporca e mi ha quasi travolto, schiacciandomi contro una porta situata proprio di fronte all’ascensore.
Ha detto mi scusi, a voce bassa, ma non ha scostato il carrello, anzi, ha spinto ancora e la porta, sotto il mio peso, si è aperta.
Quasi senza accorgermene, mi sono trovata dentro una specie di magazzino e lui è entrato appresso a me, sempre spingendo il carrello.
Ha chiuso la porta alle sue spalle e, prima che io riuscissi a gridare, mi ha mollato uno schiaffone.
Mi ha strappato di dosso il pareo variopinto che avevo messo sopra il costume e poi mi ha buttato dentro il carrello, sopra il mucchio di lenzuola ed asciugamani.
Sono rimasta così sorpresa dalla fulmineità delle sue azioni che, prima di rendermi conto di quanto stava succedendo, mi aveva già legato i polsi dietro la schiena con una asciugamano, e mi aveva ficcato una federa in bocca per non farmi gridare.
Sono rimasta immobile, sdraiata su quel mucchio di biancheria, con le gambe che penzolano fuori dal carrello, mentre lui mi sfila lo slip del costume.
Sento le sue mani che mi carezzano il sedere e cerco di gridare, ma la federa, ficcata profondamente nella mia bocca, mi fa emettere solo uno strano mugolio.
Ora mi sta carezzando le cosce mentre nel frattempo mi allarga a forza le gambe.
Con altri due asciugamani mi lega le caviglie alle zampe del carrello, lasciandomi in una posizione scomoda ed oscena.
Sono totalmente in suo potere, nuda ed immobilizzata e ripenso al suo sguardo freddo e strano mentre mi accorgo che sto cominciando ad eccitarmi.
Non so come, forse è riuscito a leggere nella mia mente, ma sembra che abbia capito cosa io, in fondo, desideri realmente.
Si deve essere accorto della mia eccitazione perché inizia a toccarmi in mezzo alle gambe.
Il mio sesso si è aperto subito e lui sta toccandomi sempre più in profondità.
Mi sta esplorando dentro cercando di individuare i punti in cui sono più sensibile ed io mi muovo disperatamente, per quanto me lo permettono le legature che mi bloccano le caviglie, accompagnando il tutto con mugolii sempre più forti.
Quando mi stringe il clitoride tra le dita io ho un sobbalzo più forte degli altri, e allora lui si avvicina con la bocca e me lo morde leggermente.
Piacere e dolore insieme ed io grido, o meglio, mugolo con tutto il fiato che ho, ma la mia voce si spegne nella stoffa che mi occlude la bocca.
Si allontana da me e lo vedo prendere da un mucchio di panni una lunga striscia bianca. è la cintura di uno degli accappatoi in dotazione all’albergo.
La bagna sotto il rubinetto del lavandino che c’è in un angolo della stanza e poi gli fa diversi nodi, che cerca di rendere più piccoli e più duri possibile, tirando forte i due capi della cintura.
Capisco lo scopo di tutto ciò quando lui si avvicina di nuovo e mi colpisce con forza sul sedere. Mi agito disperatamente ma è impossibile evitare i suoi colpi.
Quando è stanco si ferma un attimo ad osservare il suo lavoro.
Mi dice che ho un bel culo e che tutti i segni rossi che mi ha fatto lo valorizzano.
Non contento si mette a sculacciarmi con grande energia.
Ormai ho smesso di muovermi e subisco passivamente la punizione mentre mi rendo conto che sto per raggiungere l’orgasmo.
Sul più bello lui si ferma. Se riuscissi a parlare lo supplicherei di continuare e poi di scoparmi, perché non resisto più.
Invece lui, inaspettatamente, riprende a colpirmi con la cintura con i nodi.
Non più sul sedere.
Quella frusta improvvisata mi colpisce con precisione millimetrica proprio in mezzo alle chiappe allargate dalle caviglie legate al carrello in quella posizione divaricata, a cui lui mi ha costretto.
La striscia di stoffa con i nodi prende in pieno l’orifizio del mio ano per poi abbattersi sulla mia povera fica, aperta, bagnata e sovra eccitata.
Mi contorco per il dolore ma lui continua, colpendo anche il clitoride, rosso e gonfio.
Lui continua a colpirmi finché non vengo.
Sono stanchissima e vorrei sdraiarmi, ma lui mi dice che ha appena cominciato.
Si è sfilato pantaloni e mutande e mi avvicina alla bocca un cazzo enorme.
Per un attimo penso che voglia costringermi a fargli un pompino, ma poi cambia idea e torna alle mie spalle.
Me lo conficca subito nel culo, senza tanti complimenti.
Io cerco di impedirglielo ma lui infila una mano sotto e mi strizza ferocemente il clitoride tra due dita.
Desisto subito e lo lascio entrare e lui ne approfitta per spingerlo subito fino in fondo.
Ormai sono completamente vinta, potrà fare di me quello che vuole.
Si muove con forza e le mie ginocchia sbattono dolorosamente contro la traversa di metallo del carrello mentre mi sento sempre più bagnata.
L’orgasmo, tanto desiderato, arriva, vorrei gridare ma non posso.
Lui intanto mi sussurra in un orecchio che riempirà di sperma quel mio culone da negra ed aumenta il ritmo, spingendolo ancora più a fondo.
Si libera nel mio corpo, grugnendo di soddisfazione mentre mi piante le unghie nella carne delle chiappe.
Mi frusta ancora con la cintura e sento i nodi strusciare dolorosamente sull’orifizio del mio ano dilatato.
Mi sto eccitando di nuovo e sporgo indietro il mio sedere, come per offrirlo di nuovo a lui.
Non si fa certo pregare e me lo spinge di nuovo dentro, dopo avermi schiaffeggiato violentemente le chiappe.
Mio dice di muovermi ed io ubbidisco. Mi muovo avanti ed indietro mentre lui resta fermo.
Il suo cazzo entra ed esce tra le mie chiappe, finché non decide di fare sul serio e, dopo avermi bloccato, lo spinge di nuovo fino in fondo.
Ora fa meno male, lui mi sussurra che ormai il mio culo è sfondato ed io sento di nuovo un’eccitazione incontenibile che monta, monta ‘
Sono venuta nuovamente, poi lui, con le mani piantate sulle mie cosce allargate, mi spara di nuovo il suo sperma dentro.
Ho la sensazione che mi abbia riempito addirittura l’intestino, anche se penso che non può essere.
Lo tira fuori e poi lo ripulisce sulle mie chiappe gonfie ed arrossate.
Prima di liberarmi, prenda la cintura con i nodi e me la infila nell’ano aiutandosi con le dita, lasciandone spuntare fuori solo un pezzo lungo una ventina di centimetri, come se fosse una specie di coda.
Mi slega e mi libera del bavaglio ed io, come poggio i piedi a terra, sono costretta ad aggrapparmi al carrello per non cadere.
Mi ripulisco alla meglio usando un lenzuolo preso dal carrello, poi lui mi porge lo slip del costume ed il pareo, così posso rivestirmi.
Prima di lasciarmi andare, mi molla una sculacciata e mi dice ‘a domani bella chiappona’.

6 luglio 1995
Ieri pomeriggio, il ritorno in camera è stato duro. Per fortuna Matteo non era ancora rientrato, così ho potuto sistemarmi e riposarmi un po’.
Ci ho pensato a lungo la notte ed il giorno dopo, a quello che è successo con il cameriere.
Questa mattina, a colazione, era al suo posto, ha salutato educatamente ed ha lanciato uno sguardo prolungato e beffardo al mio didietro, almeno mi è sembrato così.
Quando sono tornata in camera, per prendere gli occhiali da sole che avevo dimenticato, è salito in ascensore con me.
Non mi ha neanche sfiorata, mi ha semplicemente detto, ‘stessa ora stesso posto’.
Naturalmente non ci andrò, starò tutto il giorno sulla spiaggia e tornerò soltanto insieme a Matteo, così non potrà succedere nulla.
Invece, dopo pranzo comincio ad essere agitata.
Ieri sono rientrata alle cinque meno dieci.
Devo resistere almeno fino alle sei, così lui capirà che non ho alcuna intenzione di ripetere l’esperienza di ieri.
Mi accorgo che sono spaventata ed eccitata e, alle quattro e mezza, con una scusa vado via.
Passeggio un po’ nei pressi dell’albergo, eccitata e spaventata allo stesso tempo e poi, quando sono le cinque meno dieci in punto entro nell’albergo.
La porta e lì che mi aspetta, devo solo abbassare la maniglia.
Magari è chiusa a chiave e lui non verrà.
Sara non farlo, Sara non farlo!
Invece provo a premere la maniglia e la porta si apre.
Il carrello con i panni è sempre lì.
Entro richiudo la porta e decido di aspettare.
Mi tolgo il pareo ed entrambi i pezzi del costume e mi siedo, completamente nuda su una sedia.
Ma che sto combinando?
Mi alzo di colpo. Devo andar via prima che arrivi, così ficco il costume nella sacca del mare e mi rimetto in fretta il pareo.
Apro la porta e ‘.
‘Scusa, bella chiappona, ho avuto da fare ed ho fatto tardi, cominciamo subito’.
Ha richiuso la porta e sono di nuovo sola con il mio aguzzino dagli occhi di ghiaccio.
Mi sfila subito il pareo ed io rimango nuda davanti a lui.
Mi schiaffeggia i seni ed io provo a gridare ma, di sorpresa, mi ficca in bocca una pallina rossa di gomma da cui esce fuori un nastro nero, che mi lega dietro la nuca.
In un attimo mi ritrovo nella stessa posizione del giorno prima.
Questa volta si è preparato meglio, e mi lega con delle robuste funi.
Tiene in mano un piccolo frustino, di quelli che si usano per andare a cavallo e sorride malignamente.
Me lo passa sulle chiappe e mi dice che il mio bel culone è ancora rosso per il trattamento di ieri, ma che dopo una bella razione di frustate diventerà di un bel viola.
Vorrei dirgli di non farlo, perché ho paura che Matteo se ne accorga, ma non posso parlare e intanto sento che inizio ad essere bagnata.
Mi rifila una quindicina di colpi non troppo forti ed il dolore sarebbe già insopportabile, se non fosse per il piacere che mi prende sempre di più.
In mezzo alle gambe colo e sgocciolo e lui se n’è accorto sicuramente.
Posa il frustino e sento uno strano ronzio metallico, simile ad un rasoio elettrico.
‘Mi lavorerò con questo la tua bella fichetta vogliosa, finché non mi dirai basta. Peccato però che non puoi parlare.’
Mi comincia a toccare con il vibratore, prima lo passa fuori, tutto intorno, poi inizia a far scorrere la punta sulle labbra rosse e bagnate.
Io mi muovo disperatamente e lui, allora, lo affonda dentro, muovendolo.
Quando lo sposta sul clitoride, lasciandocelo premuto, io raggiungo l’orgasmo, il primo.
Riprende il frustino e colpisce il mie sesso completamente aperto ed esposto.
Mi sta colpendo piano ma il dolore è insopportabile.
Ancora il vibratore ed io vengo quasi subito, poi, di nuovo il frustino.
Va avanti così per diverse volte, non sono neanche in grado di contarle. è come se applicassero sul mio sesso, alternativamente, del ghiaccio ed un ferro rovente.
Quando alla fine si decide a ficcarmelo nel culo, come il giorno prima, per me è una liberazione.
Mi incula tre volte di seguito, con foga violenta e quando alla fine mi dice che per oggi può bastare, prende il vibratore e me lo ficca al posto del suo cazzo.
Mi slega e mi lascia rivestire.
Io corro subito in camera, perché devo risistemarmi prima che arrivi Matteo.
Faccio appena in tempo a sfilarmi il pareo e lui entra.
Provate a trovare delle plausibili giustificazioni perché il vostro uomo accetti, tornando, di vedervi con il sedere pieno di segni di frustate, con le cosce ricoperte di sperma di qualcun altro e, ciliegina sulla torta, con un bel vibratore infilato nel culo.

Lorenzo chiuse il file e spense il computer.
Solo ora cominciava a dare un senso a certi strani atteggiamenti di sua moglie, come il fatto che molte volte lei volesse far l’amore al buio.
Aveva sempre pensato ad una forma di timidezza, invece ora era quasi sicuro che era solo per non far vedere al marito i segni che si era fatta fare sul culo da qualcun altro.

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