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Le prime stelle comparivano nel cielo che imbruniva, la giornata era stata molto faticosa, impegnativa e ostica: il lavoro, le polemiche, le difficoltà, le discussioni, i contrasti, la fatica dello stare con gli altri, la realtà e la vita con la sua sempre attuale e presente quotidianità. Un’occhiata lassù nel cielo però se l’aveva concessa, nel tempo in cui la luna s’affacciava da dietro la collina, riassaporando quelle dolci sensazioni, amabili, soavi e sempre nuove. La stradina di campagna sulla quale camminava speditamente per tornare a casa al momento era deserta, difatti non c’era nessuno, se non la delizia e l’incanto e la magia della notte che sopraggiungeva.

In effetti nessuno, se non lui, unicamente con le sue analisi, le sue considerazioni, i suoi fitti pensieri e i suoi immancabili timori, accompagnato soltanto dall’affaticamento e affiancato dalla stanchezza della giornata appena trascorsa, in quanto non vedeva il desiderio di fare ritorno a casa cercando di recuperare totalmente le energie giornaliere dissipate, ritrovando in ultimo l’intimità gratificante e riposante delle accoglienti e ospitali mura domestiche, perché già calcolava immaginando il sorriso cordiale e gioviale della giovane moglie, che nel frattempo gli aveva preparato una cenetta genuina e semplice, ma accattivante e propiziante nel tempo stesso. Entrambi, in verità, non avevano avuto figli, ma erano felici in tal modo, in quanto la loro unione durava ormai da alcuni anni e stavano bene insieme.

La casetta apparve sennonché dietro la curva fra gli alberi del bosco, tenuto conto che la circondavano come per volerla costantemente tutelare proteggendola dagl’intrusi. All’improvviso da dietro un cespuglio vide sbucare un’ombra, giacché si parò di fronte a lui rapida e silenziosa, ma ammaliante. Istintivamente per un attimo lui ebbe paura, poi con prudenza i contorni di quell’ombra cominciarono a mostrarsi nell’oscurità, dal momento che vide una figura femminile che stava lì immobile sulla strada davanti a lui, impedendogli di proseguire sbarrandogli irrimediabilmente il cammino, alla svelta però quella figura iniziò soavemente a conversare annunciandogli:

“Non aver paura, non voglio farti del male, ascoltami, non ti pentirai per questo, ben presto ti ricrederai”.

“Chi sei, che cosa vuoi?” – replicò lui curioso, un poco agitato e palesemente preoccupato.

Lui adesso poteva squadrare più chiaramente e lucidamente quella donna. Lei era bella, deliziosa, giovane e seducente, i lunghi capelli le avvolgevano il bel viso e scendevano fino alla schiena, aveva un sorriso sensuale e adorabile, il corpo aggraziato e soave con una corporatura nella norma avvolto da un lunga tunica bianca, giacché sembrava un angelo disceso in maniera inattesa e sorprendente dal cielo in quell’appassionata, calda, intensa e magica notte d’estate:

“Ho solamente bisogno della tua compagnia, non temere. Io so che devi andare a casa, però ruberò soltanto pochi ma preziosi minuti del tuo tempo”.

Lui restò immobile, fissando incredulo e sbigottito quell’angelo o demone biondo che lo aveva come ammaliato, pressoché ipnotizzato, ambedue non parlarono più per tutto il tempo del loro incontro, giacché la loro fu una momentanea, ma entusiastica e febbrile coincidenza. In un attimo, infatti, la lunga tunica bianca cadde al suolo al cospetto dei piedi della giovane donna, lui sentì il corpo nudo, invitante e vibrante vicinissimo al suo, il viso che sfiorava il suo volto, il respiro affannoso e caldo, le labbra di lei posate sopra le sue.

Captò immediatamente il dolce calore della notte e di quel corpo che si stringeva con esaltazione e passione, con sentimento e trasporto al suo, con la mano che lo accarezzava sempre più giù, in ultimo avvertì che lei gli slacciava la cintura dei pantaloni, implacabile, graduale e decisa, poi cominciò a sbottonarli, giacché rapida come un’anguilla che sguscia entrò negli slip e afferrò il sesso eretto e pulsante, successivamente con una perspicace mossa s’inginocchiò davanti a lui abbassandogli i pantaloni e gli slip.

Il suo pene si ergeva al momento diritto, maestoso e possente verso il cielo, nel tempo in cui le stelle gettavano la loro fredda luce sui loro corpi, tenuto conto che ambedue esprimevano sfogando tutta la loro animalità e la loro istintività. Lui captò accuratamente che la lingua di lei lo sfiorava gentilmente, lo accarezzava abilmente e in modo esperto in ogni angolo, sul glande, sul frenulo, sulle vene serpeggianti sotto la pelle tesa e sui testicoli. Lui sragionava, gli sembrava testualmente di perdere omogeneità e forse stava sognando, o forse era tutto vero, però che importava. Quella notte calda, passionale e stellata si era in maniera inattesa rapidamente trasformata, travestendosi magistralmente in un lembo insperato di paradiso, ingoiando superlativamente in conclusione il suo membro nella sua cavità orale appassionata, umida e vogliosa.

Il dolce, ritmico e armonico movimento gli procurava un piacere immenso, cullato fra le labbra morbide che scorrevano su e giù, delicate, leggere sapienti, poi l’onda silenziosa ruppe irreparabilmente gli argini, poiché inarrestabile e travolgente si lasciò trasportare da essa senza opporre resistenza nel mare dell’estasi, all’estremo margine, all’orlo del piacere fisico più supremo. Lei lo accolse sennonché tutto, come un nettare gustoso e saporito, come un dolce latte da bere golosamente, finché un mugolio ristretto e strozzato ruppe il silenzio fatto di fruscii, sospiri e sussurri.

Lui chiuse gli occhi restando qualche attimo cercando d’assaporare quanto restava delle incantevoli, meravigliose e stupende sensazioni che aveva sperimentato, quasi cercando di prolungarle, di riviverle per non lasciarle dissolvere nel nulla di quella fantastica notte, quando li riaprì però nei suoi paraggi non c’era nessuno, la giovane donna era scomparsa, radicalmente svanita e lui rimase lì, esitante, impacciato e stordito con i pantaloni e gli slip abbassati, per il fatto che se qualcuno lo avesse visto in quelle condizioni lo avrebbe giudicato, inquadrato e valutato immancabilmente come un matto esibizionista. Lui si riprese alla svelta, si rivestì in fretta e s’incamminò verso la casa che distava poche centinaia di metri, suonò il campanello e la giovane moglie corse ad aprirgli:

“Ciao caro, ho visto che hai fatto un po’ più tardi stasera. Hai avuto molto lavoro?”.

“Beh, sì ecco, ho avuto un po’ da fare. Sì, a dire il vero sono abbastanza esausto, scusami cara”. Lui era tangibilmente confuso, imbarazzato e scompigliato.

“Sì, lo vedo che sei sfinito, non preoccuparti mio caro, va’ a cambiarti che t’aspetterò a tavola, perché t’ho preparato tante cose prelibate”.

Aveva forse sognato? Aveva verosimilmente supposto o vagheggiato? Quella dea creata e ideata dalla notte che gli era apparsa era vera, o invece era unicamente una conseguenza inedita e un risultato famelico, della sua dissoluta e scapestrata fantasia, che covava lussuriosamente da parecchio tempo? Lui andò in camera per cambiarsi e durante il tempo in cui si toglieva la giacca, avvertì qualcosa conficcato nella tasca: era un fazzolettino bianco di seta accuratamente ripiegato, dove sopra c’era ricamata con i caratteri dorati una frase:

“Io sono e sarò sempre nei tuoi eccellenti desideri e nelle tue astratte chimere, nei tuoi mirabolanti ideali e nelle tue molteplici e indefinite fantasie. Non dubitare e non avere però delle riserve, perché c’incontreremo e ci rivedremo per tempo, contaci, fidati di me”.

{Idraulico anno 1999}

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