Esco dal portoni che sono le sette di sera, l’aria è elettrica presto ci sarà un temporale, fuori è già buio, fa fresco ed io indosso abiti leggeri, volutamente.
Mi è stato ordinato di farlo, mi è stato ordinato di uscire così, di solcare la folla con questa minigonna leggera, un modello a tinta unica, plissettata, non mi arriva neppure a metà coscia, calze a la bonne, mocassini, sopra una giacchetta blu stile uniform con tanto di taschino e logo accademico.
Mi sento ridicola, fortunatamente i capelli sono sciolti, non legati in stupide codine.
Sono in strada, casa mia è lontana, dall’altra parte della città, penso al percorso, mi avvio veloce su via Anton Lazzaro Moro, direzione centro, poca gente in strada, io veloce, le gambe si muovono veloci facendo svolazzare i lembi della minigonna.
Umido nell’aria, devo sbrigarmi, non ho ombrello tra poco pioverà, la strada è lunga e mi stanco presto di correre, sono in zona università e seppure di domenica e di sera la via si fa affollata, imbocco via Mazzini, c’è gente, mi guardano, via Palladio e sono tra la gente, i primi bar.
Sento gli sguardi su di me, non so se è imbarazzo o eccitazione ciò che provo, penso alla pioggia, che stupida in un altro momento saprei bene cosa aspettarmi, come comportarmi in funzione del mio stato d’animo.
Ma anche quest’ansia è uno stato d’animo, questa urgenza che mi fa correre, avrò fatto un chilometro penso, forse no, non lo so, cammino veloce sento i tacchi sul selciato, la gente che mi guarda non mi sfiora la mente non va bene così.
Che esibizione è se non mi coinvolge, passo per Riva Bartolini sono in centro con questi pensieri, non mi rendo conto della folla che si accalca, che corre accanto a me, due gocce d’acqua sul viso mi fanno scegliere la direzione da prendere, via Mercato Vecchio è più breve se possibile, ma soprattutto ha i portici.
Scivolo, porca miseria, pietre antiche bagnate, le college non sono fatte per queste strade, qualcuno mi sorregge, sorrido, la giacca si apre un poco, sotto non indosso nulla, avrà sbirciato, avrà visto il mio seno, sapesse che nemmeno sotto la minigonna indosso intimo, queste le regole del professore, niente intimo su abiti non del tutto convenzionali.
Non so come arrivo in piazza Libertà, ora piove davvero, mi bagno nell’attraversarla e mi infilo ancora sotto i portici di via Vittorio Veneto, so che saranno gli ultimi, ora tuona e piove forte.
Ansimo di paura, corro, non so perché non ne ho bisogno non ho particolari orari da rispettare, ma corro e arrivo in fondo, accanto alla posta, ancora pochi metri coperti e poi sarà l’uragano.
L’intensità della pioggia è fortissima, una vera bomba d’acqua, tuoni e fulmini in continuazione, l’aria è elettrica, ho paura e devo attraversare la strada e prenderne un’altra, senza portici.
Mi faccio coraggio, attraverso di corsa via Piave, ironico il nome di un fiume in questo frangente; sono subito fradicia.
Imbocco via Aquileia, è lunga, so che mi aspetti a piazzale D’Annunzio, alla fine, non so come ci arriverò, ma ce la farò, devo.
I capelli mi fanno scendere Rivoli d’acqua sulla faccia, sono tutti attaccati, faccio fatica a respirare, oramai non cerco neppure nascondigli o sporgenze, sono zuppa, ho freddo, la giacchetta mi si è attaccata al corpo, me lo modella, il tessuto leggero e impregnato d’acqua diventa pesante, sento Rivoli d’acqua gelata scendermi lungo le gambe, le scarpe mi fanno male, ho paura.
É irrazionale ma ho paura, la pioggia mi piace ma questa è più una cascata, fa impressione per la quantità d’acqua che mi arriva addosso.
Rallento, non ce la faccio più, sono stanca, infreddolita e impaurita, ti cerco con gli occhi ma tu sei ancora lontano, accelero un poco ma è dura.
Piazzetta del pozzo, ce l’ho fatta, attraverso Porta Aquileia e sono su piazzale D’Annunzio, ti vedo finalmente, sono felice, mi passa pure la paura e ora corro verso di te.
Tu allarghi le braccia, sei orgoglioso di me, lo sento, la tua scolaretta ce l’ha fatta, allarghi le braccia e io ti saluto addosso, tu mi stringi, sembriamo un disegno di Manara.
Ti scivolo verso il basso, le tue mani addosso scivolano sulle mie gambe, mi abbranchi il culo nudo, mi blocchi così, io ti bacio avida, tu rispondi al bacio e so già che questa insolenza verrà punita, ma non ora.
Invece mi dici che merito un premio, salgo in macchina, pochi metri, mi porti in un vicolo che si già finisce in un lungo portico coperto, scendiamo e mi trascini quasi li sotto.
Ti cali i pantaloni bagnato, me lo mostri è già turgido, lo voglio, mi struscio a te, mi allontano, mi apri la giacca e mi ordini di toglierla; sì professore, ti sorrido mentre a seno nudo lascio cadere la giacca in terra, mi accuccio, so cosa vuoi, apro la bocca e tu me la prendo, è tua, è cosa tua, mi scopi la bocca, violento, veloce, sono un pezzo di plastica tra le tue mani, io non ti tocco, so già che non devo avere iniziative, tu vieni veloce, ti svuoti dentro la mia, no, la tua bocca, poi mi allontani, ti rivesti e vai verso l’auto.
Io ti guardo andare via, deglutisco, riprendo la giacca e mi alzo, poco lontano qualcuno sta sdraiato in terra, avrà visto tutto, io sorrido passandogli accanto, poi indosso la giacca e percorro il sottoportico, so che finisce su via Aquileia, vicino una fermata dell’autobus, aspetterò, ora la pioggia fa meno paura e sono felice.
Situazione intrigante, molto cerebrale. Se ti andasse di fare quattro chiacchiere: evoman@libero.it