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Gatta in calore

By 24 Settembre 2021No Comments

Guardo dalla finestra dell’ambulatorio la linea della costa, a qualche chilometro di distanza, velata da una foschia azzurrina, splendente di luci che si accendono con l’avanzare del buio mentre di cattivo umore sto radunando i miei libri, gli strumenti e i farmaci a conclusione della giornata di lavoro.
La telefonata era giunta quasi allo scadere del mio turno di guardia medica festiva, poco prima dell’arrivo del collega che mi avrebbe dato il cambio per la notte. Lascio un appunto su un Post-it:
“Bruno, faccio l’ultima visita e poi vado a casa direttamente. ‘Notte, fai una buona guardia”.
Così eccomi in pista con la bella prospettiva di far tardi, ma a onor del vero non rinuncio a chissà cosa, viste le prospettive per la serata che mi attende, poco interessanti per usare un pallido eufemismo.
Silvia, graziosissima brunetta dal sorriso bello come il sole e che frequenta come studentessa di infermieristica la mia stessa sala operatoria, mi aveva colpito e affondato, non pensavo che a lei; pieno di speranze l’avevo invitata per cena, sicuro che avrebbe accettato, ma…che razza di due di picche mi aveva dato! Sto ancora barcollando, frastornato e deluso.
Non mi ero perso d’animo – a dire il vero il mio morale era a terra, anzi sotto – e, per dimostrarmi tetragono e superiore alla sorte avversa, avevo dato fondo a tutte le mie riserve tattiche e strategiche, ma nessuna femmina aveva risposto affermativamente ai miei accorati appelli.
Mi dico, per consolarmi, che anche una eventuale risposta positiva l’avrei vissuta come un ripiego e che in fondo non c’era un reale interesse per quelle fanciulle. Una vocina fastidiosa insiste nella mia mente:
– Hai presente Esopo…la volpe e l’uva?
Scaccio il pensiero molesto e adesso forza, concentriamoci sul lavoro: la richiesta per la mia prestazione configura un quadro urgente, nonostante la voce femminile – molto interessante – all’altro capo del telefono, concitata, allarmata, non mi abbia saputo fornire elementi clinici significativi.
Comunque il mio intuito – seeh, ecco il Dott.House in azione! – mi dice che sarà una visita interessante.
Il cancello si apre automaticamente al passaggio della mia auto. La ghiaia del vialetto, fra le siepi di alloro e oleandro, sotto gli pneumatici scricchiola mentre la vettura procede con cautela, quasi con circospezione e pare fare il paio con i miei timori di non rivelarmi all’altezza del caso – ansia da prestazioni professionale? –
Fermo l’auto e spengo il motore, salgo velocemente i pochi gradini che mi separano dall’ingresso della villa. La porta è solo accostata e la apro di quel tanto che mi consente di passare e mi annuncio:
– Sono il medico, è permesso?
– Venga pure avanti e chiuda la porta per cortesia.
– Cazzo che voce! Vibro come un violino alla nota giusta. Se tanto mi da tanto….
Ma cosa vado a pensare? Magari è inguardabile.
Attraversato un breve vestibolo arredato con classe e, guidato dal suono della voce femminile, mi affaccio ad un ampio soggiorno. Stile minimalista, pavimento in legno scuro, – wengè africano presumo – una parete quasi interamente occupata da un camino, un divano Clayton in pelle verde azzurra e, accovacciata mollemente su di esso, la mia paziente avvolta in un serico kimono nero che non mi sembra, in verità, sofferente o malata.
– Venga avanti dottore, non la mangio mica.
Dal tono di voce e dal modo in cui mi guarda non ne sono affatto sicuro, ma non è certo una prospettiva che temo né disdegno. Mi sovviene però, provocandomi un brivido di timore, un bel racconto horror di una donna che si trasforma in un leopardo melanico; meglio non pensarci.
– Fatti vedere…si, si, sei carino.
– Signora lei mi confonde.
– Ma che caro! Sei ancora da togliere dalla confezione, vieni che ti libero dal cellophane.
Esplode in una risata argentina e piega un po’ il capo all’indietro scoprendo in tal modo il suo magnifico collo.
Penso che la vorrei tanto strapazzare, il mio uccello si sente stretto dalle mutande.
– Mi vuol visitare per favore?
– Certo signora. Son qui per questo.
Lascia cadere, dopo esserselo slacciato, il kimono di seta lasciandosi addosso una guepiere con inserti di pizzo e, sostenute da reggicalze e giarrettiere, calze scure con linea posteriore. Le tette sono ben fatte ed erette. Appoggiata languidamente col dorso ai cuscini tiene le gambe accavallate e mettendo in evidenza il bell’arco del collo del piede; gioca a flettere, estendere, allargare le dita stirando, nei sensuali movimenti, il nylon delle calze.
– Oh ragazzi, che idea vi viene in mente? Non penserete mica che io sia feticista? Ma quando mai?
Deglutisco e cerco di trattenere la mandibola che mi scende verso il basso, poi raccolgo l’anamnesi da cui non emergono elementi rilevanti. Mi riferisce solo di un vago dolore in zona lombosacrale che si estende anteriormente.
Ho già fatto la diagnosi – il mio mito Greg House sarebbe orgoglioso di me – mentre son sicuro che voi non ne avete la più pallida idea.
A quel punto pronuncio la fatidica frase, patrimonio del nostro immaginario, avendo tutti o quasi giocato al dottore o sognato di farlo:
– Signora si spogli.
Il modo in cui si sveste mi affascina e mi ammalia: il solo togliersi le calze è mozzafiato, il resto molto di più.
– Vedi dottore, il dolore lo sento quando mi inginocchio col busto in avanti e mi mostra il suo lato posteriore in tutto il suo splendore.
In questa donna convivono raffinatezza associata a un look “nature”: pur essendo ben depilata persistono ciuffi ascellari bruni e un sentiero meraviglioso umido di vello bruno, che unisce la figa al buco del culo. Soprattutto è una conturbante gatta in calore.
Mi si apre un file: la bella signora sembra essersi materializzata, letteralmente venuta fuori in 3D da una tavola di Giovanna Casotto.
– Non la conoscete? Vorrà dire che almeno per una volta potrò insegnarvi qualcosa di interessante ed erotico e vedrete che ne varrà la pena.
La parte corticale del mio cervello adesso soccombe a quella limbica e sono travolto: ormai il mio uccello ha preso con decisione le redini della situazione. Non ce la faccio più e avvicino il volto al solco di bruno pelo umido, odoroso e la mia lingua scatta dalla bocca come una lama di un coltello a serramanico; si intinge in quella delizia percorrendo il suddetto sentiero in su e in giù. Lei geme:
– Mhhh dottore, mi sembra che la diagnosi possa essere giusta, adesso avanti curami.
Mi libero come una furia dei miei indumenti e la penetro con trasporto; lei si dimena e inarca il busto. La bacio sul collo e lei gradisce mentre i miei testicoli premono come volessero entrare pure loro in quel luogo di delizie. Vorrei esibirmi in una prestazione da divo porno, ma esplodo troppo presto.
– Carino, non sarai stanco? C’è ancora da fare.
Inginocchiata davanti a me, seduto sul divano a cosce spalancate, mi rivitalizza con una pompa magistrale.
– Adesso che sei di nuovo pronto dacci sotto, ciccino.
Stavolta mi faccio onore visitando con successo, in durata e intensità, tutti i suoi mirabili anfratti, si tutti.
– Vi sento un po’ invidiosi ragazzi, non è vero?
– Ora vai caro che se torna mio marito, magari s’infuria.
Lesto come la folgore, per evitare brutti incontri, mi rivesto e barcollando come il mio mito House, risalgo in auto e mi allontano soddisfatto ma stremato: mi sembra di essere prosciugato di tutte le energie. Voglio solo una doccia e un letto in cui sprofondare.
Riaccendo il cellulare e do un’occhiata: noto numerose chiamate perse; sono di Silvia. Accosto l’auto e la richiamo. Che dolce la sua voce!
– Ciao, ero riuscita a liberarmi dal mio impegno e ti ho cercato ripetutamente, ma il tuo cellulare risultava staccato. Purtroppo si è fatto tardi, se vuoi ci vediamo uno dei prossimi giorni…. potrei anche domani, può andare?
– Con immenso piacere, d’altra parte anch’io stasera sono molto stanco dopo una giornata di intenso lavoro.
Penso che sderenato come sono non sarei all’altezza di una grande serata; al massimo avrei si e no la forza di carezzarla, ma anche di questo non son troppo sicuro.
– Notte Silvia, a domani.
– Notte.

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