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Racconti Cuckold

Le sante mogli 4

By 2 Dicembre 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Matilde continuava a girare il telefonino tra le mani, guardando il figlio davanti a sé. Aveva lasciato che parlasse a lungo e che provasse, una volta di più, a perorare le virtù della moglie.
“Ho sposato una santa, mamma! Ma tu non lo capisci. Stamattina, tornando dal mercato, siamo passati dalla piazza. Sul sagrato della Chiesa, don Flavio parlava con una parrocchiana. Milena mi ha detto di venire a casa e lei si è fermata da lui a farsi confessare. Ed era già la terza volta in questa settimana.”
Aveva dovuto farsi forza per non ridergli in faccia, a quel figlio così ingenuo. Ma aveva continuato ad ascoltare, mentre pensava al momento giusto in cui tirare fuori da quel telefonino le foto che aveva fatto. Chi, meglio di lei, conosceva la sagrestia? Quante volte si era incontrata lì col vecchio don Vittorio, “confessandosi” almeno tre volte a settimana? E forse nessun altro sapeva che, nella scala che portava al campanile, c’era una fessura, all’altezza del quinto gradino; poco più di un buco, ma grande quanto basta per inquadrare la piccola sagrestia, senza essere visti. Non erano molti neanche quelli che sapevano che alla scala del campanile si accedeva sia dalla sagrestia che dal retro dell’altare. Lei, naturalmente, era una di queste e aveva guardato attentamente quasi tutta la “confessione”. L’aveva guardata spogliarsi e posare sullo schienale dell’inginocchiatoio le piccole tettine, sormontate da due capezzoli incredibilmente turgidi dall’eccitazione ed attendere, lingua in fuori, che don Flavio le offrisse il suo personalissimo omaggio. Aveva dovuto ammettere, da esperta qual era, che la nuora ci sapeva davvero fare. Senza mai toccare il cazzo con le mani, lo trastullava con la lingua, lo accoglieva tra le labbra, che si protendevano in avanti carnose e morbide, mentre volgeva verso il prete uno sguardo carico di devozione.
E lei scattava!
Aveva fatto in modo che l’apparecchio emettesse il finto rumore dell’otturatore che si chiude nell’attimo in cui cattura l’immagine. Guardava i due amanti dallo schermo del telefonino e scattava foro su foto. Mentalmente sceglieva, suo malgrado, quelle più eccitanti. Come quella dell’attimo in cui Milena si era alzata dall’inginocchiatoio e aveva posato le mani sulla spalliera, protendendo indietro il culo perfettto, sodo e tonico, offrendolo in sacrificio al prete, che lo aveva accettato, restituendole, in cambio, un godimento che lei non si curava di trattenere, sicuri come erano di esser soli. I capelli neri di lei ondeggiavano al ritmo dei colpi che don Flavio continuava ad assestarle e in una foto il suo sguardo felice trapelava tra i ciuffi mossi che le si scompigliavano sulla fronte.
In un’altra, tra un buco e l’altro, per dirla così, le loro lingue si intrecciavano, mentre le mani di lui si chiudevano sui seni a coppetta di lei. Si era eccitata, cazzo: non era mai stata di pietra e guardare quei due le avevano fatto colare qualcosa tra le gambe e salire una voglia che, se non avesse avuto l’ingrato compito di fotografare, avrebbe provato a soddisfare sgrillettandosi. Ma il dovere è dovere, aveva pensato, ed avrebbe potuto dimostrare al figlio che quello che pensava della nuora era vero, senza possibilità di errore.
Quanto l’aveva invidiata, quando il cazzo del prete (ma sti preti che cazzo hanno tutti quanti, aveva pensato, ricordando il magnifico attrezzo di don Vittorio) era sprofondato, una volta di più, nella fica di lei, che, urlando, aveva squirtato così tanto da essere visibile nell’ennesima foto.
Ma che puttana che era, sua nuora! Proprio come aveva capito lei al primo sguardo. Tra troie si riconosce, pensò, ricordando quanto lo era stata lei e quanto cornuto avesse reso suo marito, senza che lui si rendesse mai conto di nulla. Che dolce formicolio tra le gambe! Quanto avrebbe voluto uscire ed unirsi a loro! La sua mente, ora, era immersa in pensieri peccaminosi, che la ringiovanivano di venti anni almeno.
Un tonfo sordo sul muro la riportò alla realtà. Guardò lo schermo del telefonino: inquadrava solo un capezzolo di Milena in primissimo piano. Don Flavio l’aveva sbattuta sul muro, lì, ad un passo da lei ed ora, probabilmente, la stava nuovamente sodomizzando. Sentiva i gemiti sordi di Milena ed i rantolii di lui, ma poteva solo immaginare la scena: erano troppo vicini perché l’inquadratura potesse essere completa. Mise il telefonino nella tasca della giacca e finalmente poté accarezzarsi la fica in fiamme. Le bastarono pochi attimi per raggiungere un orgasmo che, probabilmente, sarebbe arrivato comunque per l’enorme eccitazione. Dovette soffocare nella gola l’urlo che le partiva dal basso ventre. Capii che non poteva più stare lì, che doveva andarsene prima di tradirsi. D’altronde aveva una quantità enorme di foto da mostrare a suo figlio.
Avrebbe anticipato Milena e le avrebbe preparato una bella sorpresa nel momento in cui fosse rientrata a casa.
Ed ora era lì ad attenderla ed ad ascoltare suo figlio, mentre le sue convinzioni, la sua determinazione si smorzavano, come una candela che abbia già arso troppo a lungo sotto la pioggia.
Guardò il telefono e poi guardò il figlio, proprio mentre lui, ancora una volta, le diceva di aver sposato una santa. Ripose il cellulare nella tasca da cui era uscito: in fondo, quel figlio così ingenuo, le corna se le meritava, proprio come quel coglione di suo padre e che la storia continui.

In quell’attimo si aprì la porta e Milena entrò. Matilde guardò il look dimesso e casto: il tailleur grigio con la gonna appena sopra al ginocchio e la giacca abbottonata, come pure abbottonata fino al collo era la camicia sotto, gli occhiali spessi un po’ retrò ed il trucco appena appena accennato. Le sorrise e la nuora ricambiò il sorriso, abbassando leggermente lo sguardo. Matilde le si avvicinò e la abbracciò:
“Ciao, Milena! È bello vederti così serena ed in pace col mondo: qualunque cosa sia, a renderti così beata, non rinunciarci mai!”
La baciò sulla fronte e poi baciò il figlio, carezzandogli la fronte come a voler sentire quanto fossero cresciute le corna; sorrise anche a lui ed andò via!

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Milena entr’ e richiuse l’uscio alle sue spalle. Si lasci’ cadere , posando la schiena sul freddo legno della porta, le mani dietro, con i palmi posati sul battente ed i dorsi sul culo, sodo e contratto dalla tensione. Ruot’ lo sguardo intorno, come stesse cercando una via di fuga: le ci volle qualche istante per realizzare che era in casa sua e che l’unica cosa che doveva fare, in quel momento, era sfilarsi il soprabito e posare la borsetta. Si sentiva stordita e confusa: aveva bisogno di parlare, anzi di non parlare con qualcuno. E cosa avrebbe potuto dire? Da dove avrebbe cominciato? Ma sentiva la necessit’ di stare con qualcuno, per fuggire da quei fantasmi che ora affollavano la sua mente. Non si rese neanche conto di stare telefonando ed a chi: il pronto dall’altra parte la ricondusse alla realt’.
‘Ciao, Matilde! Che fai?’
‘Stavo giusto per uscire ed andare al mercato…’
‘Se ti va di passare, prendiamo un caff’ insieme!’
‘Successo qualcosa?’
‘No! No, nulla! Solo avevo voglia di un caff’ in compagnia.’
‘D’accordo, arrivo.’

Sedute una di fronte all’altra, le due donne sorseggiavano il caff’ in un silenzio surreale. Fu Matilde a romperlo.
‘Cosa c”, che non va?’
‘Nulla, te l’ho detto!’
‘Sei andata a confessarti, stamattina?’
‘No! Cio’, s’, ma don Flavio non c’era… Ma cosa c’entra questo?’
Matilde cerc’ il tono migliore, quello pi’ dolce che potesse, senza scivolare nel ridicolo, per dire quel che stava per dire.
‘Senti, Milena, possiamo continuare a tenere le nostre carte coperte e fingere, o possiamo decidere di mostrarle, anche perch’, le tue, francamente, le vedo riflesse nello specchio.’
Meccanicamente, Milena si volse a guardarsi le spalle, suscitando un moto di sorriso nella suocera.
‘Cosa vuoi dire?’ chiese la nuora.
Senza rispondere, Matilde tir’ fuori il cellulare; cerc’ nella galleria una foto e l’apr’, mostrandola a Milena. Lei strabuzz’ gli occhi, davanti al suo volto ed al suo corpo nudo, mentre un uomo, inquadrato fino al collo, la montava da dietro. Dove fosse impegnato era lasciato all’immaginazione di chi guardava, ma, di certo, non cambiava la sostanza del tutto.
‘Che significa? Cosa vuoi fare?’ il terrore si poteva leggerlo chiaramente nei suoi occhi.
‘Cosa avrei voluto fare! Ho fatto un po’ di foto, con l’idea di mostrarle a mio figlio. Ma ho cambiato idea.’
‘Matilde, io amo Andrea e non voglio perderlo. Davvero non so cosa mi succeda, ma… Stamattina, sono andata da lui, come sempre, pi’ volte nella settimana. Come ti ho detto prima, non c’era! Ma nella sagrestia, c’era l’avvocato Stampacchia, il vecchio… Vieni, entra, mi ha detto, Vieni, Milena! Don Flavio ha avuto impegni urgenti, ma mi ha parlato molto bene di te. Dice che sei di bocca buona, accomodati! ‘ stato allora che ho visto che aveva il cazzo fuori dai pantaloni, moscio. Mi sono inginocchiata davanti a lui e l’ho preso in bocca. Non ‘ diventato mai duro, ma dopo cinque minuti, mi ha sborrato in bocca! Cosa pensi di me, Matilde?’
Matilde le carezz’ la mano, prendendola tra le sue dita affusolate.
‘Cosa vuoi che pensi, colombina mia? Che sei una troia! Che hai la vocazione della troia. E contro la vocazione non si pu’ combattere. Lo so per esperienza, tesoro mio, ci sono passata prima di te. Anch’io amavo ed amo Pasquale, tuo suocero. Ma non potevo andare contro la mia natura. Io vivevo due vite: in una, vagavo con una specie di nuvola sul capo che erano i miei sensi di colpa, nell’altra sentivo il dovere di cornificarlo. Quando era il momento ed innanzi a me si mostrava il simulacro di carne, non potevo sottrarmi. Diventavo la sacerdotessa del sesso e dovevo rendere onore a quel dio terreno. Spogliarmi era come indossare i paramenti sacri per celebrare quel rito di amore incondizionato per il cazzo. Insieme ai vestiti, sfilavo i sensi di colpa: quella nuvola si dissolveva ed io mi inchinavo ad onorare e celebrare la liturgia del piacere. Ed immancabilmente volevo che finissero nella mia bocca: quel rito si doveva concludere cos’, bevendo ed ingoiando il frutto del mio sacrificio. Poi, quando tutto era finito ed io avevo ripulito, come mio dovere, quel cazzo che mi aveva concesso ed elargito tanta gioia e mi rivestivo, su di me tornavano i sensi di colpa ed avevo fretta di tornare a casa, di riabbracciare Pasquale e di coccolarlo, di sentirmi amata e di amare. Fino al successivo incontro! Colomba mia, ‘ cos’! Io e te abbiamo la vocazione della troia, Andrea e suo padre, probabilmente, quella dei cornuti. Io, ormai, non ho pi’ l’et’, ma tu fai quel che devi, quello che la tua natura ti comanda. A me basta che continui ad amare sinceramente mio figlio, con il tuo cuore. E sia il tuo corpo di chi lo vuole e di chi vuoi tu. Perch’, vedi agnellino, ‘ vero sacerdote colui che sa celebrare anche in una parrocchia diversa dalla sua. Insomma: il cazzo ‘ cazzo di chiunque sia, purch’ ti dia piacere. Un ultima cosa: da sempre avrei voluto conoscere il sapore della sborra dell’avvocato Stampacchia, ma lui non mi ha mai cercata.’
‘Non capisco!’
‘Vorrei sentirlo dalla tua bocca , baciandoti!’
‘Non ho mai baciato una donna!’
‘Neanche io!’
Le loro labbra si avvicinarono e le loro lingue si cercarono, intrecciandosi a lungo. Quando si lasciarono, Matilde si pass’ un dito sulle labbra.
‘Non ho sentito altro, che non fosse il sapore del caff’… Ma mi ‘ piaciuto lo stesso. Ora andiamo al mercato, che si fa tardi.’
Prese per mano la nuora, che la segu’, docile e sorridente, oltre quell’ uscio, dove nulla poteva fare, ormai, paura.

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