Se sapessi davvero, Luca, scapperesti lontano! Senza intenzione ti chiederesti se sono malata, se la mia bocca, che prima hai apprezzato, ti ha trasmesso qualcosa. Sì Luca, io sono infetta! Corrotta dalla voglia che mi prende ogni sera, dalla brama d’essere parte del mondo, dalla presunzione d’essere terra e luna, ventre accogliente dove si depongono semi infecondi d’un surrogato d’amore.
Spingono e premono concentrati sull’unica parte come un macellaio su un quarto di bue, come se davvero fossi solo carne, tette e culo, gambe che chiuse non servono a nulla. Alle volte mi chiedo perché passo il tempo a truccarmi, il viso, la faccia per farla uguale ai colori di questo tramonto. Mi lego i capelli ed allungo le ciglia sapendo benissimo che il posto dove si sentono naufraghi è distante un metro da questi miei occhi. Sono sicura che molti di loro non mi riconoscerebbero di giorno, ma se poco poco scollassi il mio seno non avrebbero dubbi ad alzarmi la gonna, a tenermi ferma contro questo parapetto, contro questo sfondo di mare che sola vedo e m’illude che non esiste poesia senza un sesso che preme, che prendo e ne faccio tesoro. Alcuni sono recidivi, ed ogni volta mi sorprendo a pensare quale istinto li guidi a tornarci di nuovo, ad entrare tra le gambe di questi stivali che basterebbe guardarli e godere di nuovo. Mi verrebbe da dirgli che quello che cambia è soltanto la gonna, perché le gambe che offro sono sempre le stesse.
Li sento, Luca, li sento di dentro e s’affaticano come se dovessi a breve provare l’orgasmo, come se la fine non fosse solo il compenso. S’affannano e premono mentre io conto le stelle, ad una ad una le chiamo, perché tutte hanno un nome, per ogni volta che mi bagnano il collo, per tutte le volte che rimango a pensare che l’amore è soltanto questo movimento di sesso, un maschio che geme e ti crede distrutta, un maschio che urla e ti chiude la bocca.
Non credere Luca che un cliente non abbia accortezze, che con chi provi amore sia tanto diverso, perché il sesso è un buco, un tappo di pelle, sono questi stivali, e l’amore che senti sono le parole che chiami, sono le pieghe di mare che si scompongono a riva, e m’illudo e t’illudi che siano identiche alle grinze di donna disfatte dal sesso.
Apri la finestra Luca! Qui non siamo distanti dal mare. Ecco, vedi? Proprio lì mi metto la sera, oltre la fine di quelle cabine che al tramonto diventano ocra, sopra uno squarcio d’asfalto come un segno di scena. Ma io non faccio la parte perché lo sono davvero, non faccio l’attrice perché mi riesce meglio sentirmi puttana, nell’anima dentro più del seno di fuori che offro, di questa terza abbondante che fa tremare le mani, fa pensare alla notte accovacciati nel grembo.
E ciucciano ciucciano come se s’aspettassero latte, per nutrire la parte in contrasto, che ogni sera li porta su questo squarcio d’asfalto. Che cerco Luca? Cosa mai ci sarà su quella falce di luna che vedo soltanto quando mi fottono dietro, cosa mai ci sarà nel mio infinito conflitto d’essere sola e ricercare l’amore, nell’ansia che sale ad ogni sesso che sbatte, perché basta davvero poco fare la troia se ad ogni fine ricevi soltanto dei soldi, se sei qui per farti pagare e non serve il latino per contare fino a cinquanta.
Dimmi se davvero ci credi, perché non m’offendo, se ora t’esce una parola soltanto che sa di volgare, che sa di mignotta. Perché lo sono Luca, se vuoi lo grido per non lasciarti dei dubbi, per non confondere il cuore che ancora s’ostina a vedermi come la brava ragazza ai tempi di scuola. Te la ricordi Luca? Quella del terzo banco che passava la traduzione di greco? Che arrossiva al minimo accenno impacciato d’invito? Dillo Luca, lo sento che sta per uscire! Tanto cosa potrei aspettarmi mentre mi chino e ti prendo di nuovo, mentre in piedi fermo t’aspetti di sentire ancora il vapore di questo rossetto, delle labbra che stringo e uniche si chiudono a forma di sesso. Luca, Luca cosa t’aspettavi? Che questo modo di fare l’amore l’avessi imparato nei film in attesa che mia madre rientrasse? Oppure dai racconti di compagne di scuola mai avare nei dettagli più osceni quando si tratta di riceverne vanto.
Non chiudere gli occhi ti prego, questo non è un sogno al chiaro di luna, non è un magico ieri per vantarsi domani, è solo una bocca che inforna, una lingua che bagna senza che l’amore mi nutra il timore di non esser perfetta. E’ tecnica, stile, è orgoglio di sapere fin d’ora quanto tempo rimane, quanto tempo ho deciso prima di sentirti gridare. Perché dipende da me Luca! Da quanto docile decido di farmi guidare da questa mano che s’illude di guidare la voglia. Ma non sei tu che m’accompagni la testa, non sei tu che m’arrivi fino alla gola. Se solo volessi ci vorrebbe un istante, mentre bagnata ti cullo e ti fai galleggiare, mentre ti lascio il rossetto e ti fai risciacquare.
Ti prego, non pensare che tutto ciò sia amore, soltanto perché sono brava e lo gridi e lo pensi estasiato da queste carezze. Non confondere mai le due cose perché altrimenti davvero sceglieresti soltanto puttane! Ora ti sento, tra poco mi dirai che mai una donna è riuscita a farti provare piacere due volte nel giro di un niente, che la seconda è intensa quanto la prima, che mai e poi mai avevi cacciato quest’urlo, che ora continua e non vuole più smettere. Sappiamo tutti e due che non è vero. Non dirmi ti prego che ti sei sentito come un gabbiano che plana, una foglia che trema davanti ai colori di questo tramonto. Non è vero Luca! In amore c’è bisogno di metafore perché altrimenti ogni volta sarebbe lo stesso. Chissà quante altre volte ti sei sentito morire come adesso t’affanni a spiegarmi. Ma ti giuro non c’è bisogno di parole. T’ho sentito perché mi stavi dentro, sentivo il piacere che come bolla si formava dal basso, si gonfiava e premeva fino a trovare l’uscita bollente che ancora t’offro non serrando le labbra.
Lascia stare, non domandarmi domani. Perché se davvero ci fosse, tu non proveresti lo stesso bisogno, il desiderio che ora t’arrossa e ti fa tremare le gambe. Siediti, ti prego. Non comprimere il sogno dentro un’ora precisa. Domani alle sette davanti alla scuola. Oppure di sera davanti ai Bagni Giuditta. Lì mi ci troveresti, ma sarebbe tutt’altro di quello che senti, che provi ora mentre t’accarezzo e ti bacio. Sei piccolo, Luca! Non giudicarmi troppo esperta mentre cerco un fazzoletto di carta e mi rifaccio le labbra in uno specchio impolverato di rosa.
Conosco la strada, non accompagnarmi alla porta. Sono già in ritardo e devo fare in fretta. perché lo squarcio d’asfalto non m’aspetta e qualcun’altra a caso potrebbe sbatterci il tacco.
Grazie Rebis
Bellissima storia, molto realistica
Pisellina… fantastico! Un buon mix di Femdom e umiliazione
Storia molto intrigante. Per favore, continua! :)
In tutte le volte in cui Maria ordina a Serena di spogliarsi, Serena rimane sempre anche a piedi nudi oppure…