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Racconti Erotici Etero

La stanza buia

By 8 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Il corpo talvolta fa male. Un alone scuro resta a coprire il cuore. Come una macchia di sangue più scuro che blocca l’afflusso al cuore. Sangue d’amore. La vita non ha soltanto un ieri eppure per Luca si era fermata l’ultima volta che aveva visto Alessia. Una delle solite liti da innamorati ma quella volta lei scese dalla macchina, sbattendo la portiera, senza voltarsi. E Luca aspetta ancora che torni indietro. O che si volti almeno nei suoi sogni. Aspetta che torni a recuperare le sue cose dalla stanza buia. La paura della morte del sesso ci pervade, è facile scopare il corpo, è quasi impossibile far l’amore con l’anima. Con lei non c’era mai stato bisogno di aver paura dell’amore, lei gli permetteva di venirle dentro, sul cuore, nell’anima. Senza parlare d’amore, ma solo sentendolo.Ora tutto cio’ che la riguardava era rimasto custodito nella stanza buia come l’aveva soprannominata Luca una volta terminato il loro amore. Una grande casa d’epoca mussoliniana, appartenuta a Galeazzo Ciano nella parte nord di Roma. Case abusive intorno. Finte villette ormai sbrecciate, palazzoni condominiali’ la casa, la villa padronale era rimasta isolata nel suo piccolo bosco verde, ricoperta, nascosta da pini e abeti. Il muschio ormai attaccato alle tegole del tetto dava un’idea d’abbandono. Un grande salotto con un camino, un tavolo scuro e un sofà dai fiori sbiaditi davano un’idea sciatta di quello che dovevano essere stati i fasti del passato. Chissà quante donne avevano calpestato il tappeto che ricopriva tutta la stanza. Dovevano essere vivaci i fiori rosati, sgargianti le frange dorate quando all’epoca qualcuno spazzava ogni giorno il tappeto. Chissà quanti uomini si erano accostati al camino per scaldarsi durante le discussioni. Una casa immersa nel verde, una residenza di campagna per i parenti stretti del Duce. Chissà quante donne si erano sdraiate languide sul divanetto stile impero ora lasciato in un angolo a marcire mangiato dalla tarma. E la stanza buia era li’. Chiusa, colma di ricordi. Le immense vetrate dalla forma ogivale a quadrati alternati bianchi e verdi intercalate da interstizi di ferro laccati di nero, davano luce a tutta la casa. Il salotto nei giorni in cui penetrava il sole era un arcobaleno di quadrati e rombi che si stagliavano contro le pareti e sul pavimento in cotto scuro in un gioco di colori. Ma la stanza buia chissà com’era. Forse era sempre stata cosi’. Chiusa. Usata come un magazzino o come una dispensa. Ora era chiusa dai ricordi. Luca non permetteva a nessuno di entrare. Nessuno doveva sbirciare nella sua vita. Non più’ almeno. Aveva murato le finestre. Due ampie finestre con le persiane verdi, murate, – era stata la scusa ufficiale, in realtà per non far entrare più nessuno nel nascondiglio del suo amore.Un bicchiere di coca cola caduto, un giorno, per terra dalle mani d’Alessia aveva lasciato una macchia sul cotto scuro. La stessa macchia che aleggiava nel cuore di Luca. Il suo desiderio più profondo era stato quello di renderla felice. Le sue parole del corpo, il suo desiderarla fisicamente, tendevano verso la realizzazione di un solo scopo: dare amore. Donava e regalava se stesso, percepiva ed ascoltava, lasciava parlare il cuore. Non smetteva mai di credere che l’avrebbe amata per sempre. Non smetteva mai di credere che Alessia sarebbe tornata. Li’ nella stanza buia erano rimasti i suoi ricordi ed i suoi vestiti. Nelle scatole accatastate per terra, enormi scatole di cartone plastificato a fiori riempite di sacchetti di lavanda, giacevano abbandonati i suoi vestiti. Chissà se si ricordava ancora della prima camicetta, celeste con quadratini bianchi e le maniche a sbuffo, che avevano comprato al mercato. Poche lire. Ma non importava, Alessia doveva solo indossarla. Sapeva che sarebbe durata poco. Luca amava vederla provare i vestiti, immaginava gli indumenti appiccicarsi sul suo corpo, sul seno prosperoso. Amava guardare Alessia, la sua piccola Ferilli in miniatura, con i capelli lisci castano scuro sciolti sulle spalle, gli occhi grandi, color nocciola, il nasino piccolo, mentre tentava di chiudere i bottoni della camicetta, troppo stretta, mentre la stoffa le aderiva al corpo come una seconda pelle. Una seconda pelle di stoffa che Luca avrebbe palpato seguendo il contorno del corpo di lei e poi strappato. Camicette da poche lire per essere strappate, rotte, dilaniate, per godere all’improvviso della vista del seno di Alessia. Il reggiseno di pizzo nero, di una quarta misura, riusciva a malapena a contenere il suo seno, quel seno che Luca amava succhiare, mordere, tastare, pizzicare, stringere tra le mani per goderne la consistenza. E amare. Amava il suo seno, era geloso della sua bellezza come un bambino geloso del latte della mamma. Per Luca il seno di Alessia era il luogo dove appoggiare il suo desiderio. Ma non riusciva mai a resistere. Non riusciva a resistere alla tentazione di non strappare anche il reggiseno. Reggiseni imbottiti, a balconcino, trasparenti, di tulle, di pizzo, di cotone, di seta, di ogni colore erano la sua ossessione. Il seno di Alessia si liberava nelle sue mani, corpulento, caldo, pronto ad essere sfiorato dalla sua lingua. Ogni volta era come se le violentasse il cuore, ma era una violenza d’amore, un insopprimibile desiderio di possederla. E lei si lasciava prendere, talvolta in piedi, appoggiata allo stipite della porta, altre volte appoggiava le mani sul marmo del camino accesso. Un calore le inondava il ventre mentre Luca la prendeva da dietro. Altre volte ancora il reggiseno a brandelli le rimaneva incastrato sotto le ascelle e si lasciava trasportare a letto dove dormivano insieme. Solo dormire. Uno accanto all’altra colmi dei loro corpi. In quei momenti le parole d’amore non facevano differenza tra percepire ed ascoltare, tra fondersi ed unirsi, ma erano solo un insieme indistinto di piacere. Ora il gran letto era vuoto, freddo, le coperte bastavano per uno ma non accoglievano più il calore del corpo d’Alessia ed i suoi piedi freddi, il comodino non straripava più di creme da notte, di fazzoletti, di campioncini di profumo, l’armadio troppo grande per quattro camicie e qualche paio di calzoni, l’armadietto del bagno troppo grande per un solo spazzolino da denti, un pettine e un deodorante e la dispensa troppo vuota per un solo barattolo di pomodoro. Aveva ancora Lola e Max i due cuccioli di pitbull, ormai cresciuti, che Alessia gli aveva regalato per il compleanno, aveva il cestino rosso in cui li aveva portati e i collarini con i loro nomi incisi e aveva ancora le foto che ritraevano i due cani insieme a lei. Aveva tutti i ricordi, ma non Alessia. La stanza buia conservava le foto che avevano fatto insieme, i negativi dei loro anni felici accatastati alla rinfusa dentro una bustina, i provini con le foto scelte gettati a casaccio dentro il coperchio di una scatola. Ogni volta che frugava nelle scatole agli occhi di Luca appariva l’immagine spezzettava di Alessia sia che fosse una foto, un reggiseno, una collanina spezzata o una boccetta di profumo. Dopo che lei se ne era andata, Luca aveva gettato con rabbia tutte le sue cose nelle scatole, lasciandole li’ in un angolo della stanza buia, abbandonate, come abbandonato era il suo cuore. Tante altre donne erano state le sue compagne, forse non ne ricordava i nomi, ma ne conservava ancora l’odore del corpo nelle narici, tante avevano cenato con lui accanto al camino, sdraiate sul tappeto, tante avevano amato sul divano, scopato sul tavolo, dormito nel suo letto, baciato le sue labbra ma nessuna aveva piu’ aperto la porta della stanza buia. La felicita’ non concede due volte di affacciarsi dallo stesso spiraglio di luce. Luca considerava le altre donne solo una esigenza fisica, uno sfogo d’amore, ma aveva giurato a se stesso che non si sarebbe mai piu’ innamorato. Amava Alessia, amava quello che lui sentiva di poterle dare, ma non l’amava per il suo carattere, per il suo modo di vedere la vita. Amava il ricordo di lei, amava i completi intimi che lei indossava, amara l’odore che restava appiccicato sulle camicette, amava le sue mutandine, amava il suo volto sorridente nelle foto, ma non amava lei. E la stanza buia gli ricordava l’affetto, la complicità e il dolore di un amore non consumato, interrotto. Quella fitta al cuore, profonda, quella sensazione di mancanza d’aria, di pesantezza allo stomaco che ogni tanto lo colpiva la notte durante il sonno era solo un sintomo d’amore, la sua nostalgia di girarsi nel letto e di trovare accanto una donna qualsiasi ma non Alessia. Puo’ dirsi mai concluso un amore anche se si trasforma in odio? Non e’ forse l’odio l’altra meta’ del cuore? Quel desiderio che ci fa odiare una persona perche’ non ci puo’ appartenere ?I desideri perduti, i sogni interrotti sono di tutti, restano a vagare nell’aria, gli amori non consumati invece ristagnano nel cuore e sono sempre dolore. Se l’amore e’ una monotona felicita’ e la passione e’ un attimo senza amore perche’ un alone scuro resta a coprire il cuore?

scritto il 11/12/2000

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